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Autore: Terre_del_Nord    10/09/2009    18 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Mirzam - MS.004 - Un Tempo per Vivere

MS.004


Mirzam Sherton
Hogwarts Express, Highlands - 1 settembre 1966

    “Ti sta bene la spilla da Prefetto…”

Sussultai. Per tutto il viaggio avevo evitato il suo scompartimento. A King’s Cross ero fuggito quando avevo visto i Black materializzarsi, avevo persino evitato di salutarli, approfittando della calca di quanti si complimentavano per la bellezza della piccola Narcissa, in partenza per Hogwarts per la prima volta. C’era pure quel damerino del figlio di Abraxas, Lucius: l’avevo preso in antipatia dal primo momento, l'anno precedente, e per mesi avevo approfittato dei miei numerosi impegni per tenermi alla larga da lui e dalla sua arroganza congenita. Quell’anno, però, come capitano della squadra di Quidditch, non avrei potuto ignorarlo: di certo si sarebbe proposto come Cacciatore, anche se dubitavo, delicato com’era, che sapesse stare su una scopa. Mentre la mia famiglia si tratteneva con i Black e mio fratello restava imbambolato davanti a Cissa, mi ero perciò avvicinato a Sile per farmi spiegare da lei i miei nuovi impegni di Prefetto. Sul finire di agosto, infatti, Slughorn mi aveva mandato un gufo in cui mi annunciava che sarei stato il sostituto di Steven Pucey: quel bizzarro ragazzo stava andando contro le tradizioni di famiglia già da mesi ma, quell’estate, suscitando un clamoroso scandalo, era addirittura fuggito da casa e i suoi l’avevano diseredato. Orion, presente all’apertura della busta, mi aveva deriso a lungo, osservando la spilla come fosse qualcosa di cui vergognarsi: dalla fondazione di Hogwarts, infatti, mai nessuno Sherton era stato nominato Prefetto o Caposcuola, da generazioni ci vantavamo di non essere persone raccomandabili. Mio fratello mi aveva riso dietro, Meissa, invece, era rimasta a giocare per ore con la spilla, su cui campeggiava lo stemma di Salazar: pur così piccola, temeva già per i risultati del suo futuro smistamento, così l’avevo abbracciata e le avevo dato un bacio sul naso, riportandole il sorriso. Come sempre, avevo percepito lo sguardo di mio padre su di me: non gli era sfuggito uno solo dei miei gesti durante tutta l’estate, e la sua espressione, sempre tanto seria da quando avevo dato in escandescenze a Hogwarts, ormai si tranquillizzava solo quando ero alle prese con mia sorella. In cuor mio pensavo che anche la storia del Prefetto potesse essere un suo stratagemma messo in atto con la complicità di Slughorn per tenermi d’occhio: infondo, quando ricordavo con estrema vergogna come avevo ridotto la stanza di Lestrange, non potevo dargli torto.
Tornai al presente, con un sospiro. Mi voltai. Temevo di non riuscire ad affrontare Bellatrix Black senza combinarne un’altra delle mie: era meravigliosa, i riccioli raccolti a lasciare scoperto il collo esile, il corpo stretto in un abito verde, col ricco corpetto ricamato in argento e la gonna lunga e ampia. Era da togliere il fiato, eppure in me quel mondo, fatto di desiderio e attrazione, era infranto: la guardavo e il mio cuore restava in silenzio, privo di qualsiasi emozione. Ero combattuto tra il sollievo dell’essergli immune e una profonda tristezza perché una parte della mia vita era finita, non esisteva più nemmeno l’odio che mi aveva divorato per mesi: mio padre aveva detto che le Rune mi avrebbero dato la forza per affrontare le passioni più distruttive senza soccombere, ma non mi sarei mai aspettato un tale, spaventoso vuoto dentro di me.

    “Dovresti tornare nel tuo scompartimento, Black, siamo quasi arrivati…”
    “… E tu dovresti mantenere fede alle promesse fatte…”

La guardai, senza capire di cosa parlasse, lei si avvicinò, la consueta grazia nel passo, la consueta malizia nel sorriso. Mi chiusi in un silenzio fatto di ostilità e circospezione, il disagio aumentò ancora, appena appoggiò la mano sul mio braccio: tutto il desiderio che avevo sempre provato per lei si era trasformato in un senso d’irritazione.

    “Non ricordi? Mi devi un ballo dalla festa per la vittoria della Coppa dell’anno scorso: avevi promesso di accompagnarmi, invece alla fine sei sparito dalla circolazione…”

Per l’ennesima volta rividi la scena: lei e Warrington che si baciavano in biblioteca, la devastazione nella stanza di Lestrange, le settimane di delirio, i ricordi nebulosi della notte sull’isola. Osservavo freddo le immagini della mia vita recente provando solamente vergogna. La guardai serio e risoluto: non mi fu difficile mantenere una voce distaccata.

    “Qui non ci sono balli, musica, o feste, Black.  Ci siamo solo tu ed io, e …”
    “Appunto …”

Chiuse la porta dietro di sé e oscurò i vetri con un paio d’incantesimi silenziosi. Io arretrai, colto di sorpresa, lei avanzò ancora. Mi ritrovai stretto contro il finestrino, le sue mani sulle mie braccia, le dita che scivolavano verso l’alto, lente come i suoi sospiri: la fissavo negli occhi, sembrava un gatto che giocasse con la sua preda. Rimasi immobile, se non l'avessi assecondata, forse mi avrebbe lasciato in pace, ma le sue mani erano già salite lungo il mio collo ad accarezzare invano la Runa, poi le dita si erano annodate sulla mia nuca, leggere, perché mi piegassi verso di lei. Salì in punta di piedi, sorreggendosi a me: percepivo il calore profumato del suo respiro che mi accarezzava le guance, il blu dei suoi occhi che mi sondava l’anima. Le sue labbra carnose erano sul punto di sfiorarmi quando, invece di abbracciarla, forzai la sua stretta e la allontanai, deciso.

    “Ora basta, Black… Vattene, per favore!”

Lei mi guardò prima sorpresa, poi delusa, infine infuriata.

    “Salazar… Cos’è? Tuo padre ti ha addomesticato anche le @@, oltre a tutto il resto? O non ti piacciono le donne? So che non vali niente, non che …”

Odio e derisione, là dove prima riluceva, evidente, la lussuria, ma in me non si accese l’antica rabbia, né quel moto d’orgoglio che forse Bella si aspettava e desiderava, quell’impeto irrazionale che avevo provato una volta nel bosco: nei suoi occhi leggevo il desiderio che le dessi ciò che voleva, che le mostrassi con prepotenza, preso dall’ira, quanto le sue accuse fossero infondate. Invece scoppiai a ridere, lasciandola ancora più confusa: non si aspettava il mio autocontrollo. Me ne sorpresi perfino io.

    “Non so che farmene di una che si offre a me come si offre a tutti …”
    “Come osi?”
    “Ho forse detto qualcosa d’inesatto?”

Lo schiaffo mi arrivò immediato, la guardai soddisfatto: aveva le labbra esangui, serrate dall’ira, tremava, ancora più pallida del solito. Sentii il sapore del mio sangue in bocca, lo raccolsi con la punta delle dita e le dipinsi di rosso il contorno delle labbra: non le avevo mai sfiorato il viso così, con un misto di desiderio e di tenerezza, e rabbia fusa a dolore… Lei fece guizzare la lingua, fissandomi negli occhi e suscitando per un attimo i miei antichi desideri, si leccò le labbra, assaggiandomi. Infine mi sputò in faccia.

    “… Sei patetico, Sherton: sei capace solo di insultare perché con me ti senti esattamente ciò che sei, un mediocre e un codardo… La verità è che tu hai paura e invidia di me, perché al contrario di te, io mi prendo tutto ciò che voglio, senza chiedere il permesso, perché sono una donna vera, con passioni vere, che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno... ”
 
Stringeva le mani a pugno, convulsamente, la voce era spavalda e sicura, ma il tremore involontario mandava in frantumi la maschera impassibile che voleva invano rimettersi addosso.

    “Non sei una donna, Black, sei solo una ragazzina spaventata, che si sta dando via, Merlino solo sa per quale motivo! Sei così insicura e piena di rabbia da non accorgerti che qualcuno potrebbe volere te, non il tuo nome, il tuo sangue o i tuoi soldi, solo te… Qualcuno che ti donerebbe un mondo più felice di quello che temi e di certo migliore di quello che ti stai creando da sola…”

Scoppiò a ridere, guardandomi con quella che poteva definirsi solo pietà.

    “… Certo, se solo concedessi la mia assoluta dedizione a un povero idiota come te, pronto a declamarmi il suo amore con un anello sontuoso che susciti l’invidia delle amiche e la soddisfazione della famiglia… Preferirei ammazzarmi piuttosto! Io non mi venderò mai per vestiti e gioielli, come una donnetta qualsiasi… Non mi farò trattare come un trofeo da esporre in società, e non otterrò rispetto solo perché sfornerò figli purosangue. Io merito di più, io farò di più… Io sarò grande, e lo sarò da me, senza un padre o un marito a condurmi… Io mi basterò da me, non vivrò della luce riflessa di un altro… Non voglio essere come te… Continuerò a prendermi tutto ciò che voglio! Persino te, se e quando lo vorrò… Un giorno verrai a supplicarmi tu in ginocchio, Sherton!”

Se ne andò come una furia, richiudendo con violenza la porta dietro di sé. Quello che aveva detto mi aveva colpito, avevo sempre creduto che desiderasse solo trovare qualcuno che l’amasse davvero e che la sua spavalderia celasse il timore di finire nella prigione di un matrimonio combinato: ma ora scoprivo che ero sempre stato innamorato di una fantasia che esisteva solo nella mia mente. Quanto a me… forse aveva ragione, ero un debole, ma credevo nell’amore vero, e del resto non m’importava: la mia famiglia ne dimostrava l’esistenza, e se finora avevo sbagliato a cercare in lei ciò che desideravo, un giorno avrei trovato la donna giusta, la mia metà, accanto alla quale avrei realizzato i miei sogni e che avrei aiutato a realizzare i propri. Insieme. In quel senso, sarei stato ben felice di essere paragonato a mio padre.
Poco dopo, gli altri prefetti di Serpeverde mi raggiunsero per riprendere i propri bagagli, io passai il poco che restava del viaggio in silenzio, perso nei miei pensieri. Notai lo sguardo di Sile su di me, ma non avevo voglia di parlare. Il treno alla fine rallentò, fino a fermarsi, io mi tenni in disparte e uscii per ultimo. Volevo essere io a chiudere la porta dietro di me, per lasciarmi alle spalle, in quello scompartimento, il sogno di Bellatrix e del mio primo, inconcludente, amore…

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 17 settembre 1966

    “E tu cosa ci fai qui?”

Il pomeriggio era grigio e ventoso, sembrava riflettere il mio umore, che non accennava ancora a rimettersi al bello, eppure quella mattina mi ero svegliato con la sensazione che sarebbe stato un giorno importante. Un giorno diverso. Ero sul sentiero che portava allo stadio, avevo deciso di avviarmi con mezz’ora di anticipo, sperando di evitare il codazzo di “questuanti” che volevano raccomandarsi per ottenere un posto in squadra. Quando l’avevo vista camminare davanti a me, mi ero messo a correre per raggiungerla con un sorriso stampato in faccia, felice di quell’incontro inaspettato.

    “Credevo ci fosse un provino per due posti da Cacciatore, oggi. O mi sto sbagliando?”
    “Beh, sì, ma… Da quando t’interessa assistere a dei provini?”
    “Chi ha parlato di assistere? Io voglio partecipare!”
    “Ma dai! Scommetto che non sai nemmeno stare sulla scopa…”

Mi osservò: i suoi occhi chiari saettavano sfida e derisione, riconobbi subito lo sguardo tipico di chi ha il Quidditch nel sangue. Nulla di strano, era la figlia di Donovan Kelly, uno dei più forti battitori Serpeverde di sempre, compagno di squadra di mio padre. Sorrisi della mia stoltezza.
 
    “Allora? Quanto vorresti scommettere, Sherton? Vanno bene cinquanta galeoni?”
    “Cinquanta galeoni?”
    “Paura di perdere?”
    “No, nessuna paura, ma… non mi piace far piangere le ragazze…”
    “Se è per questo, non ti preoccupare, perché non sarò io a piangere…”

Mi guardava con le braccia conserte e una certa impazienza, sapevo già che avevo appena perso un cospicuo gruzzolo, ma con quella sua espressione pestifera era troppo carina perché al momento riuscissi a riflettere su degli stupidi dettagli.

    “D’accordo… Se vinci tu, avrai i cinquanta galeoni, se vinco io… mi passerai i compiti di Storia della Magia per il resto dell’anno: non ho tempo da perdere dietro quel vecchio barbogio… Ci stai?”
    “Ci sto!”

Mi sorrise e mi diede la mano per sancire il patto: aveva una presa energica, benché sembrasse una ragazzina debole e delicata. Mi attraversò un piacevole brivido lungo la schiena, al contatto con la sua pelle morbida. Mi soffermai a guardarla, come cercavo di fare sempre più spesso, di nascosto, da quando eravamo tornati a scuola, soprattutto quando ci ritrovavamo a fare i turni di ronda insieme in giro per il castello: Sile aveva i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, a incorniciare un viso dai tratti delicati, ma meno pallido del solito, merito forse delle vacanze dagli zii in Provenza, le lentiggini addolcivano e rendevano sbarazzina l’espressione sicura dei suoi grandi occhi color del cielo. Era diventata più alta durante l’estate, anche se vicino a me sembrava, come tutte le ragazze di Hogwarts, una piccola ninfa. Appena riprendemmo a camminare e fu qualche passo davanti a me, mi scoprii di nuovo a osservare la linea sinuosa di quel poco di gambe che s’intravvedeva sotto la gonna della divisa: da un po’ mi chiedevo, con un certo imbarazzo, come fosse tutto il resto. Mi riportai subito un passo davanti a lei, muto: ci mancava solo che voltandosi a parlarmi mi cogliesse ad ammirarla a bocca aperta, come uno stupido!
Dopo quasi sei anni, non sapevo che pochissime cose su Sile: finora per me era sempre stata solo una simpatica compagna di corso, una ragazza allegra e socievole, molto diversa dalle ochette volgari e odiose che imperversavano nei sotterranei. L’avevo sempre stimata per questo, soprattutto da quando, la primavera precedente, era uscita un paio di volte con Rodolphus Lestrange, senza però cadere nelle trappole di quel cascamorto, anzi dandogli quella che si poteva definire una bella lezione. Da qualche tempo, però, non era più così, sentivo una tensione strana nello stomaco ogni volta che eravamo nella stessa stanza e quell’inedita, giocosa complicità, che percepivo tra noi durante le ronde o in qualche chiacchierata in Sala Comune, mi faceva intuire che anche lei provasse qualcosa per me. Qualcosa tra noi stava cambiando e mi lambiccavo per ore il cervello per decidermi ad attaccare bottone. Dopo anni passati a vagheggiare un amore impossibile, avevo la possibilità di vivere nella realtà, e non in stupidi sogni ad occhi aperti: razionalmente sapevo che Sile, con la sua semplicità e schiettezza, era perfetta per me.

    “Da quando t’interessa il Quidditch?”
    “A dire il vero da sempre, ma finora non mi sentivo pronta per misurarmi e giocare in squadra…”
    “Non mi ero mai accorto di niente…”
    “Tu vivi tra le nuvole, Sherton, non puoi accorgerti di quello che ti accade intorno…”
    “Io non vivo tra le nuvole…”
    “Su una nuvola con Bellatrix Black per l’esattezza!”

Mi fece un occhietto malizioso, io m’irrigidii e mi fermai di scatto, Sile aveva fatto due passi ancora, senza accorgersi che ero rimasto di nuovo indietro. Quando si voltò, aveva un sorriso divertito stampato in faccia e piegava la testa di lato appena un po’: faceva sempre così quando prendeva in giro qualcuno. Scoppiò a ridere: dovevo avere la tipica espressione da idiota. Sentii la faccia andarmi in fiamme e mi maledissi per quanto fossi imbranato.

    “E dai, Sherton… Tutti voi ragazzi le morite dietro… Che male c’è se capita pure a te?”
    “Io non muoio dietro a nessuna…”

La voce mi uscì più stizzita di quanto volessi, mi morsi la lingua, sperando di non averla offesa. Il destino mi dava l’opportunità di frequentare una persona che m’interessava ed io rovinavo tutto! Inoltre era vero, ero stato talmente preso per anni dalle mie ossessioni che non avevo mai visto più in là del mio naso; ma dovevo, volevo farle capire che ormai era tutto diverso. Quell’argomento ancora aveva il potere di farmi perdere le staffe e Sile se n’era resa subito conto, aveva smesso di ridere e aveva ripreso a parlare di lezioni e di Slughorn, riportandosi su un terreno sicuro, ma troppo asettico per me: non volevo perdere quell’attimo, non volevo più essere per lei solo un compagno musone, interessato solo alle pozioni, al Quidditch e a Bellatrix Black... Non so dove trovai la faccia tosta, ma le presi la mano e la tenni stretta nella mia, mentre tornavo a parlare e a ridere, di me, di lei, di noi e di ciò che più ci piaceva. Mi sorrise e mi scoccò un’occhiata che rifletteva la sua sorpresa e il suo imbarazzo, la mano però si rilassò nella mia e mi godetti uno strano rossore sul suo viso che doveva assomigliare a quello che mi sentivo addosso: volevo convincermi che condividesse il mio desiderio di quel timido contatto. 

    “… Per quale squadra di Quidditch tifi?”
    “Per i migliori… i Tutshill Tornados ….”
    “Mmmm… Allora avevo ragione io, non te ne intendi molto di Quidditch!”

Mi mollò la mano di colpo e mi guardò con la compassione che si riserva ai pazzi, io non potevo far altro che pensare quanto fosse carina, con quelle lentiggini che si accendevano quando si emozionava o si arrabbiava ed esaltavano ancora di più il cielo che brillava nel suo sguardo… Mi aggrappavo al discorso del Quidditch solo per avere la bocca impegnata, o le avrei detto tutto quello che pensavo di lei. Anzi… ciò che volevo in quel momento non era parlarle, ma darle quel bacio che avevo sempre pensato appartenesse a tutt’altra ragazza e che era invece da sempre destinato a lei. Forse intuì le mie intenzioni perché si mise a ridere e scappò via, io rimasi lì come uno stupido, incapace di correrle dietro: imbranato come mi sentivo quando ero solo con lei, se l’avessi raggiunta, avrei detto sicuramente qualche altra stupidaggine, rovinando tutto.
Per il resto del pomeriggio, durante i provini, continuai a non essere molto presente a me stesso, ammirato nel vederla svolazzare con la scopa e fare centri su centri; Rookwood, battitore e mio secondo, pensando non mi sentissi bene, provò a darmi una mano e finì con il decidere per me: d’altra parte, fu evidente da subito a chi spettavano di diritto quei due posti vaganti. Nei sotterranei, quella sera, si festeggiò a lungo: come temevo, Lucius Malfoy era entrato in squadra, ma infondo era meno schiappa di quanto immaginassi e, così silenzioso e serio, forse meritava di essere giudicato obiettivamente anche da me. Inoltre, qualsiasi cosa avesse fatto, non sarebbe mai riuscito a catturare più di tanto la mia attenzione: l’altra nuova cacciatrice, infatti, era lei.

    “Sei pronto a pagare pegno, Sherton?”

Sorrisi a Sile Kelly e dissi addio ai miei cinquanta galeoni, odiavo perdere le scommesse, ma non in quel caso: dentro di me ringraziai Merlino e tutti i Fondatori perché da quel momento avevo un’ottima scusa per poterla guardare liberamente anche di fronte a tutti. E potevo passare quasi tutto il mio tempo libero insieme a lei.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 25 febbraio 1967

A settembre non avevo tenuto conto che la mia vita potesse cambiare e arricchirsi di nuovi progetti e speranze in così poco tempo: avevo temuto che quell’anno, senza più il pensiero di Bellatrix e senza il timore di esami difficili, sarebbe trascorso lento, tra lezioni noiose e pomeriggi vuoti. Mi ero perciò affrettato a organizzare un allenamento furioso e continuo, che diede fin dall’inizio i suoi frutti: a novembre chiudemmo la prima partita contro i Grifoni in pochissimi minuti, il tempo di agguantare il boccino, che svolazzava a pochi metri da terra. Un’impresa analoga mi riuscì la partita dopo, all’inizio di febbraio, contro i Tassorosso: sapevo che certe notizie sarebbero uscite dai confini di Hogwarts e che molti ne avrebbero parlato in toni entusiastici, ma quando il destino bussò alla mia porta, mi trovò ugualmente sorpreso ed emozionato. Quella sera, al termine degli allenamenti, avevo lasciato la squadra negli spogliatoi ed ero ritornato nel deposito a sistemare scope e attrezzature; all’improvviso sentii degli applausi raggiungermi e avvicinarsi: intorno a me, il buio calava su ogni cosa, portandosi dietro il silenzio ovattato della neve. Mi sollevai dalla cassetta del Quidditch, avevo impiegato troppi minuti a mettere a freno uno dei bolidi, perciò i miei compagni ormai dovevano aver lasciato gli spogliatoi. Eppure non ero solo. Al centro del campo innevato, di fronte a me, si stagliava scura la forma di un uomo, alto e distinto, stretto in un abito dal taglio babbano simile a quelli che a volte portava in pubblico anche mio padre. Nonostante la scarsa luce non ci misi molto a capire. L’uomo fece altri passi, portandosi ancora più vicino a me.

    “Salazar!”

Alla mia esclamazione, Rodney Stenton si mise a ridere e coprì rapido la poca distanza che ormai ci separava: aveva qualche anno più di mio padre, era nativo del Suffolk e aveva giocato a lungo nel Puddlemere e nella nazionale nel ruolo di Cacciatore. Alla morte del suo vecchio aveva ereditato una vera fortuna e aveva investito tutto quello che possedeva nella squadra che l’aveva reso famoso in tutto il mondo magico e ora, da almeno un lustro, era il padrone dell’United.

    “Quanto tempo, Mirzam Sherton! Ti sei fatto un uomo! Un uomo portato per il Quidditch, per giunta… Devo ammetterlo, valeva la pena arrampicarsi fin qui per ammirarti…”
    “Signore… io… Grazie…”

Ero completamente imbarazzato: ricevere i complimenti di Rodney Stenton era uno dei sogni gloriosi che m’inseguivano da quando ero bambino, da quando fingevo di volare nel soggiorno di Essex Street, su una scopa giocattolo, reggendo un boccino che mi aveva regalato mio padre.

    “Devi sapere che il nostro caro Slughorn mi tiene informato sulle prodezze dei suoi ragazzi, così, quando ho saputo come sta procedendo il campionato scolastico quest’anno, ho chiesto a Dumbledore di poter assistere a qualche allenamento, in incognito, per rendermi conto di persona di come sei, al naturale…”
    “Al naturale?”
    “Se avessi chiesto a tuo padre di portarti a fare un provino da me, l’emozione poteva esaltarti o intimidirti, falsando la tua prestazione, qui invece ho potuto vedere come sei di solito…”
    “Merlino, vuol dire che è venuto altre volte a vedermi?”

Annuì. Di sicuro ero sbiancato, perché la sua stretta sulla mia spalla si fece più forte e il suo sorriso più ampio.

    “Proprio così… Ma questo è il passato, ora, come puoi immaginare, se sono qui, è per farti una certa proposta… e tuo padre dovrebbe averti detto che non accetto NO come risposta…”

Deglutii, il senso di gelo che avevo nello stomaco divenne improvvisamente fuoco, il sangue, freddo per la paura che stavo provando, iniziò a palpitare furioso dentro di me, mi sentivo sul punto di esplodere…

    “Ma… Io ho sedici anni e devo prendere i MAGO e…”
    “Lo so… Sei un ragazzo con la testa sulle spalle, ma in questo momento non devi rispondermi come faresti con tuo padre, lui non è qui… io voglio sapere se vorresti entrare nel Puddlemere United…”
    “Salazar! Certo che sì! Lo sogno da quando ho ricordi…”

Si mise a ridere, doveva essere la risposta che gli davano tutti i ragazzi cui faceva quella domanda.

    “Perfetto! Allora posso chiedere a tuo padre di farti passare le prossime due estati con i nostri giovani a Inverness… Voglio seguirti personalmente, così da avere in squadra, di qui a tre anni, il più forte cercatore di Quidditch dai tempi di Alshain Sherton…”

Lo guardai stupito: non potevo credere che nel giro di tre anni avrei fatto parte della più gloriosa squadra di Quidditch delle isole britanniche…

    “Tuo padre ha iniziato prima, lo so, a diciotto, ma doveva preoccuparsi di te e di tua madre, tu non hai pensieri, puoi fare le cose con calma… in questo modo potrò renderti anche più forte di lui…”
    “Mi sta dicendo che sarà lei ad allenarmi? Salazar! Questa è la realizzazione del mio sogno più grande!”

Sorrise, una punta d’imbarazzo mal celata fece capolino anche sulla sua faccia.

    “Definirò i dettagli economici con tuo padre, finché non sarai maggiorenne, poi, se lo preferirai, tratterò direttamente con te: una casa a Inverness e un giusto compenso mensile dovrebbero essere sufficienti come inizio…”
    “Ma Signore, se non giocherò per i prossimi tre anni, perché dovrebbe…”
    “Questo è il Puddlemere, ragazzo mio… non posso certo rischiare di vederti finire in pasto a qualche avversario!”
    “Non esiste altra squadra al mondo in cui vorrei giocare, Signore…”

Stenton si mise a ridere e mi abbracciò, continuammo a parlare di Quidditch, del nostro comune passato, dell’attuale classifica che vedeva il Puddlemere dietro solo ai Tornados, per tutto il percorso, fino al castello, dove il mago aveva un appuntamento con Slughorn, ma non sembrava avere poi tanta fretta di lasciarmi andare. Io non vedevo l’ora di essere nei sotterranei per scrivere a mio padre quello che era successo, già immaginavo la sua faccia compiaciuta… e la felicità di mia madre e di mia sorella… e la gelosia di mio fratello… E naturalmente volevo dirlo a Sile… Arrossii, benché ormai fossi rimasto da solo, dopo essermi dato appuntamento con Stenton a Inverness per giugno: ero sempre più convinto che fossero le ore passate insieme a Sile, ridendo e chiacchierando, a darmi la serenità necessaria a conquistare la felicità che stavo vivendo.

***

Mirzam Sherton
Hogsmeade, Highlands - 18 marzo 1967

    “Spero ti ricorderai del tuo vecchio amico e farai a metà con me, quando orde di ragazzine urlanti si stracceranno le vesti di fronte all’affascinante Cercatore del Puddlemere United…”
    “Sei sempre il solito vecchio porco, Lestrange…”
    “Anche tu, il solito poppante… mi chiedo quand’è che inizierai ad apprezzare i veri piaceri della vita…”

Rodolphus si godeva di fronte a me il suo pregiato whisky incendiario, seduti entrambi a uno dei tavoli migliori di Madama Hockbilden, in un sonnacchioso pomeriggio a Hogsmeade: aveva finito la scuola, aveva evitato per il rotto della cuffia un matrimonio devastante, si dedicava con profitto agli interessi di suo padre –e immaginavo, a infastidire suo fratello- e ora sembrava più grande, più rilassato e più gaudente del solito.

    “Dopo voglio portarti alla Testa di Porco…”
    “Sei già abbastanza su di giri, Rodolphus, non c’è bisogno di andare in altri locali… Soprattutto non in quel locale…”
    “Che palle, Sherton, sembri una vecchia zitella acida…”
    “Ah sì? Com’è finito il tuo “Magico Tour dei Locali più Malfamati della Britannia”? Ti hanno ritrovato in un vicolo babbano, dopo tre giorni, sbronzo e senza più un soldo, o sbaglio?”
    “D’accordo, ma ora basta con quella storia! E’ stato solo uno stupido incidente di percorso…”
    “Beh, io nei tuoi incidenti non voglio entrarci…”
    “Questa storia con l’alcool e le femmine non c’entra niente, Sherton, rilassati… voglio solo farti conoscere un amico, un amico di mio padre per l’esattezza, è un grande mago, e ha delle idee… Ti piacerà di sicuro quello che pensa della feccia… Scommetto che piacerebbe anche a tuo padre…”
    “Beh, non ne dubito, soprattutto se è amico del tuo!”

Ridemmo, anche se la risata di Lestrange in quel momento mi fece gelare il sangue, tanto poco mi sembrava sincera. Cercai di non pensarci, mi concentrai sul suo abito: era un pavone. Si era vestito in maniera ancora più disgustosamente elegante e appariscente del solito, sembrava un faro che riluceva nella notte per richiamare su di sé l’attenzione di tutti.  Sapevo che lo faceva sempre ed esclusivamente per lei, la ragazza bruna che sedeva con le due sorelle al tavolo al centro della sala, vedevo come saettavano i suoi occhi azzurri a cercare di intercettare quella figura nervosa, bella e terribile come una notte all’inferno.

    “Non ti è ancora passata la fissa per le sottane di Bellatrix Black o stai solo valutando come mettere le mani sui loro soldi? Ancora mi gira la testa per quel discorso che mi hai fatto il mese scorso, sulla loro ricchezza incommensurabile!”
    “Ragazzo mio, mi credi davvero così meschino? Come puoi pensare che punti a Black per le ricchezze che nasconde alla Gringott? A me interessano le ricchezze che nasconde in posti più… a portata di mano…”

Ghignò. Io lo mandai al diavolo in gaelico, sapendo che solo guardandomi in faccia, avrebbe intuito cosa pensassi di lui.

    “Io non ti capisco… Hai detto tu stesso che si è divertita con mezza Hogwarts e che si ostina a rifuggirti come la peste, non ti senti umiliato?”
    “Non è uscita con tutti! Per esempio non l’ha fatto con te, mi pare… e comunque, a parte che è ricca da far schifo… Ce li hai gli occhi, no? La vedi com’è fatta? Non ti suggerisce niente questo? In nessuna parte del corpo?”
    “Sei proprio una bestia, Lestrange…”

Rodolphus rise di nuovo del mio imbarazzo e tracannò d’un fiato il suo whisky senza staccare mai i suoi occhi famelici da Bellatrix: aveva scelto apposta quel tavolo, proprio di fronte a lei, e con la scusa di doversi rivolgere a me, non si era fatto sfuggire nemmeno una sua mossa. A volte pensavo che quei due fossero davvero fatti l’uno per l’altra, così immorali, esibizionisti e totalmente preda degli istinti. Mi vergognavo solo al pensiero che parte delle sue bestialità potesse arrivare a quel tavolo, nonostante fossimo abbastanza lontani: ormai di lei non m’interessava più nulla, però continuavo a voler bene a Meda e a Cissa, eravamo cresciuti insieme e la separazione forzata a causa di Bellatrix iniziava a pesarmi.

    “Ragazzo mio, devi imparare a fregartene dei dettagli, anche perché per quante dicerie circolino, lei resta pur sempre una Black, e i pivelli di sedici anni son noti per ingigantire i racconti… l’unico pensiero che devi avere è puntare in alto; devi sempre puntare in alto, anche perché con un sangue come il nostro, è il minimo…”
    “Ammesso che tu abbia ragione, e temo tu non ce l’abbia stavolta… Lei preferirebbe morire piuttosto che sposarsi, perciò mi chiedo che senso abbia… non sarebbe il caso che cambiassi obiettivo?”
    “Sei proprio un ingenuo, ragazzo mio… Credi che per Cygnus Black la volontà di una figlia conti qualcosa? Tu pagagli il giusto e in cambio te la recapita bella e infiocchettata con scritto “Divertiti”! Dammi tre anni, il tempo di togliermi qualche sfizio, e me la porto a casa, Sherton, fidati… Nessuna è e sarà mai come lei… per me…”
    “La vita è tua, Rod, rovinala come preferisci! Ora, se permetti, io avrei un appuntamento…”
    “Con Sile Kelly? Ahahahah… Dì un pò… Hai già sperimentato le sue grazie? Com'è? Sempre fredda e distaccata o sotto sotto nasconde un’anima di fuoco?”
    “Ma dico, sei impazzito? E’ solo un’amica…”
    “Se lo dici tu… Ma per il tuo bene, ascoltami: quella ragazza non è adatta a te… Tu devi fare esperienza con le tipe giuste, Mirzam, non devi perdere tempo con quella lì… o non ti godrai mai la vita…”
    “Solo perché lei non è una delle solite con cui te la fai, non vuol dire…”
    “Ne sei sicuro? Ci sono uscito l’anno scorso, ricordi?”
    “Appunto… Ancora ti rode il due di picche che hai rimediato da lei…”

Ormai rideva fino alle lacrime, annuendo divertito del suo insuccesso, io non ne potevo più di lui, anche perché non volevo far tardi e costringere Sile a venirmi a cercare lì, non volevo sottoporla all’analisi minuziosa di Rodolphus o di Bellatrix. Sapevo che mezza Hogwarts guardava con curiosità al nostro strano rapporto, a quel nostro progressivo isolarci, a quella nostra casta intimità che a volte mi spingeva a darle un timido bacio sulla guancia o su una mano. Sapevo che la perfetta sintonia nata tra noi rischiava di essere calpestata dalla malignità degli altri, troppo materialisti per comprendere.

    “E’ stata davvero abile, lo ammetto… Lo sai che ti voleva dal primo giorno, da prima ancora di conoscerti? E chissà, magari smetterà i panni della santa, non appena avrai preso accordi con suo padre…”
    “Ti lascio ai tuoi deliri, Lestrange, ho di meglio da fare che ascoltare le tue buffonate… Addio…”
    “Aspetta… Dai aspetta… se non vuoi venire alla Testa di Porco, almeno prendi questo… Mi raccomando, apri la pergamena quando sarai al sicuro nel tuo baldacchino, l’incantesimo è quello solito delle nostre missive segrete. Quando hai letto, brucialo o potresti finire nei guai… Poi tra una settimana mi trovi qui e mi dici che cosa ne pensi…”
    “Nelle prossime settimane non potrò venire a Hogsmeade, lo sai…”
    “Non importa, intanto leggilo… e impara…”

Presi controvoglia il suo involto, sembrava una normalissima pergamena nuova, pulita, pronta per un bel tema di Pozioni, ma sapevo che conteneva un trucco: molto spesso Lestrange, in quegli anni, mi aveva passato compiti e notizie in quella maniera, senza che nessuno si accorgesse mai di niente.

    “Vedi di farti trovare più sobrio la prossima volta… o dovrò mozzarti la lingua per non sentire le tue cazzate…”
    “Contaci!”

Mi salutò con un’altra terribile risata, immaginava che avrei gettato la pergamena senza nemmeno aprirla, appena fossi stato fuori. Mi alzai e, per uscire dal locale, dovetti passare vicino al tavolo al quale conversavano le sorelle Black: non degnai nessuna di loro nemmeno di uno sguardo, anche se sentivo i loro occhi su di me. Mi dispiaceva per Meda, avevo nostalgia di lei e della nostra amicizia, ma Bella non si staccava quasi mai dalle sorelle, e io non volevo affrontarla, credevo lo sapesse e lo facesse apposta. Ma, in fondo, riflettendo, tutto aveva un prezzo e la serenità che stavo vivendo e che un anno prima non avrei mai immaginato di poter provare, meritava da parte mia qualsiasi sacrificio.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 20 maggio 1967

Anche l’ultima partita, Corvonero vs Serpeverde, era finita con la nostra vittoria, ma era stata molto più sofferta delle precedenti: benché fosse ormai quasi la fine di maggio, una pioggia persistente aveva contribuito a rendere infernale l’incontro, durato per oltre due ore. In realtà avevo adocchiato il boccino già da un pezzo ma, privi com’eravamo di un Battitore e di un Cercatore, eravamo rimasti sotto di un numero impressionante di punti e dovetti attendere che Sile, da sola, ci facesse rimontare, prima di poter mettere fine all’incontro. Quando finalmente scesi con la sferetta dorata, la parte di stadio occupata dalle Serpi ruggì un canto di festa e vittoria: la Coppa era nostra e il punteggio si era mantenuto pieno, tre vittorie in tre incontri. Con lo sguardo avevo studiato da lontano la tribuna degli ospiti, accanto a mio padre e mio fratello, c’erano Slughorn, più in vena di pettegolezzi del solito, lo “zio” Malfoy, rimasto impassibile anche davanti all’incidente del figlio, e Rodney Stenton, l’ospite d’onore della giornata, assediato da adulti e ragazzi che gli chiedevano autografi. Una volta negli spogliatoi, lasciai da parte i miei compagni che volevano festeggiare per ripulirmi velocemente e correre subito in infermeria, a sincerarmi delle condizioni di Lucius:  quel ragazzino si era battuto come una tigre per tutto il campionato, dimostrando che Rookwood aveva avuto occhio nello sceglierlo, benché fisicamente sembrasse delicato e più giovane della sua età. Poi quel giorno, durante l’incontro, impegnato a difendere la fluffa, non si era accorto di un bolide impazzito, che l’aveva disarcionato e fatto cadere da vari metri da terra: l’incontro era stato interrotto per prestargli le prime cure, anche se non sembrava essersi ferito gravemente, doveva provare abbastanza dolore, eppure si lamentava soltanto di non poter più dare il suo contributo alla nostra vittoria. La squadra, un po’ per l’inferiorità numerica, un po’ per le pessime condizioni di gioco, iniziò a essere nervosa e scorretta, sbagliammo vari assaggi e finimmo in svantaggio, Rook perse la pazienza e si fece espellere, costringendoci a portare avanti, in cinque, non più una partita ma un supplizio.
Arrivato il infermeria, Madame Pomfrey, la nostra infermiera, mi aveva rassicurato che Lucius aveva preso solo un colpo alla gamba all’impatto con il bolide ma non si era ferito nella caduta, avrebbe zoppicato per alcuni giorni ma si sarebbe rimesso bene e velocemente. In quel momento stava riposando, perciò mi limitai a lasciargli il boccino sul comodino, di fianco al letto: era il mio modo di renderlo partecipe della vittoria, un po’ come faceva mio padre con me, da piccolo, quando stavo male e non potevo andare a vedere le sue partite. Steso nel baldacchino, Malfoy era talmente pallido da sembrare più fragile del solito, eppure in quei mesi avevo imparato che era bene non lasciarsi ingannare dalle apparenze: come giocatore aveva stoffa, di carattere era forte, determinato, probabilmente sarebbe diventato un perfetto lord Malfoy, degno di succedere ad Abraxas, uomo duro ed energico, e falso e pericoloso come pochi.

    “Vorrei essere informato sulle sue condizioni, Madame… come suo capitano, mi sento responsabile…”
    “Stia tranquillo, signor Sherton: il signor Malfoy sta bene ed entro due giorni sarà di nuovo nei sotterranei, come nuovo…”
    “Lo so che è in ottime mani, Madame: lei mi ha ricucito meravigliosamente non so quante volte in questi anni, e non l’ho mai ringraziata abbastanza…”
    “Non perda tempo con me, Mirzam, vada a festeggiare con i suoi compagni. Anche se sono sempre legata alla mia casa, a Tassorosso, non posso che complimentarmi con lei: erano anni che non vedevo niente del genere…”

Le diedi la mano, mi guardò con attenzione, sapevo che mai come in quel momento, la donna vedeva riflessa in me l’immagine di mio padre: per la prima volta dopo tanto tempo, non me ne sentivo infastidito o imbarazzato, ma davvero orgoglioso. Uscii, deciso a festeggiare finalmente la vittoria e il mio compleanno con Sile, gli amici e i compagni di squadra, avrei passato un po’ di tempo anche con mio padre e con Rigel, e naturalmente avrei parlato con Stenton. All’uscita dall’infermeria, però, incontrai l’unica persona che non mi aspettavo di vedere: Andromeda era in piedi davanti alle ampie bifore, lo sguardo perso sui profili delle montagne, mentre il sole, dopo una giornata grigia e piovosa, andava a nascondersi rapidamente dietro ai boschi che cingevano il Lago Oscuro, tingendo di un rosa infuocato ogni cosa. La ammirai, osservando il suo profilo, per un attimo ebbi uno strano senso di sgomento. Mi vide riflesso sulla vetrata e si voltò verso di me, sorridendo con la consueta gentilezza e dolcezza: mi ritrovai col cuore stranamente accelerato e col cervello che diceva “Non è Bella, non è Bella…” E una parte di me, una parte che non conoscevo, sottolineava, felice, che appunto fosse Andromeda, una ragazzina che riuniva la bellezza di Bellatrix, ma ci aggiungeva anche un cuore generoso. Strinsi appena i pugni e mi concentrai sul profilo delle colline all’orizzonte, non volevo si accorgesse di quanto fossi rimasto attonito per quelle sensazioni contrastanti che provavo e non comprendevo.

    “Va tutto bene, Andromeda?”
    “Sì, grazie, io… io sono qui in missione, vorrei sapere come sta Lucius Malfoy…”

La guardai incuriosito, mi chiesi con un’ansia immotivata se ci fosse qualcosa tra lei e Malfoy, ma ricordando l’inverno appena trascorso, rividi Lucius che sembrava un tappetino adorante al cospetto di Bellatrix, come quasi tutti i maschi che vivevano nel castello, mentre Meda sembrava interessata solo allo studio e a prendersi cura della piccola Cissa. Inoltre, se ci fosse stato anche solo un accordo tra famiglie, l’avrei già saputo, perché noi Sherton saremmo stati i primi a festeggiare la notizia come una liberazione.

    “Perché vedi… mia sorella… Narcissa… non ha mai visto nessuno cadere il quel modo da una scopa da Quidditch e si è spaventata molto, e sai com’è… lei non ha il coraggio di chiedertelo direttamente… e Bella…”

Annuii, immaginavo l’espressione di Bella all’idea di dovermi parlare in faccia e non alle spalle, e sapevo che Cissa, per qualche strano motivo, da sempre aveva paura di me, forse perché ero uno dei pochi che non si prostravano a farle complimenti su complimenti, ma la trattavo con un certo distacco, come facevo con qualsiasi altra ragazzina.

    “Sì, me lo immagino, però dille di non preoccuparsi, Malfoy sta bene, uscirà quasi sicuramente dopodomani, e anche se potrebbe zoppicare un po’ per alcuni giorni, non è nulla di permanente, ci siamo passati tutti… Se vuoi, più tardi potete andare a vederlo, ora sta riposando, credo ne sarebbe contento…”

Stavo già per salutare e allontanarmi, quando posò la mano sul mio braccio, per trattenermi: ricordai una scena simile e mi resi conto che il respiro stava stranamente facendosi più rapido. E sapevo bene che il pensiero di Bellatrix non c’entrava niente.

    “Mi dispiace tanto per questi mesi, Mirzam, per…”
    “Dispiace anche a me… mi spiace aver messo da parte anche la nostra amicizia, Andromeda… è l’unico rimpianto che ho, ma… dovevo farlo e forse… è stato meglio così…”
    “Io non ho mai smesso di considerati mio amico, Mirzam, so che quello che Bella dice di te, che ti sei comportato male con lei, sono solo bugie, gliel’ho detto in faccia che è una bugiarda, tu non sei come dice mia sorella…”
    “Ti ringrazio della tua fiducia e del tuo sostegno, Meda, ma per favore, non litigare con lei per colpa mia, d’accordo? E se vuoi, quando hai bisogno di qualcosa, anche solo di fare due chiacchiere, ricordati che puoi contare ancora su di me… Sempre…”

Le diedi un bacio sulla mano come facevo da quando eravamo bambini, e andai a festeggiare la mia maggiore età, la vittoria, la notizia ufficiale che sarei entrato nel Puddlemere. Eppure di tanti doni, pensieri gentili e sorrisi che ricevetti quel giorno, quello che mi aveva fatto davvero battere il cuore era stato scoprire che Andromeda Black mi considerava ancora un amico. Questo per me era stato il regalo più gradito e inaspettato.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 16 giugno 1967

Mi stropicciai la cravatta per l’ennesima volta, anche se sapevo che il mio abito da cerimonia mi stava perfettamente. Avevo la gola secca e un leggero tremore alle mani. Merlino, perché le avevo chiesto di venire alla festa con me? In fondo avremmo comunque passato la serata insieme, anche senza un invito ufficiale, e non avrei avuto gli occhi di tutti addosso e nemmeno lei… Ma il pensiero che un altro avrebbe potuto invitarla al posto mio, mi faceva  ribollire il sangue nelle vene. Cercai di recuperare un minimo di contegno, rivolevo indietro il coraggio con cui un anno prima pensavo di affrontare una belva come Bellatrix Black: con Sile, infondo, non mi poteva succedere niente di male, a parte rimanere istupidito come sotto “Petrificus”, facendomi ridere dietro da tutti… Ripensai al giorno dell’invito. Avevo aspettato che la lezione di Slughorn finisse e che la maggior parte della classe si stesse dirigendo alla lezione successiva, quando feci capire a Sile che avevo bisogno di parlarle; poi, mentre le suggerivo un paio di mosse per non farsi placcare dall’avversario nel successivo campionato, avevo buttato lì, quasi per caso, il discorso del ballo, chiedendole se le andava di farmi compagnia, o se aveva già ricevuto inviti, o magari preferiva non farsi vedere con un pessimo soggetto come me: nelle ultime settimane, dopo che Bella aveva saputo della mia chiacchierata con Meda, le sue maldicenze erano diventate ancora più pesanti del solito e tremavo all’idea che anche Sile potesse essere coinvolta. Lei si era messa a ridere dicendo che sapeva come sistemare i pessimi soggetti, poi con un’occhiata sbarazzina mi aveva lasciato in mezzo al corridoio e, solo arrivata in aula, mi aveva urlato contro un divertito “OK”.
Con il cuore in gola percorsi le scale che dai dormitori conducevano in Sala Comune, speravo che fosse già lì, o avrei perso quel minimo di coraggio che al momento mi sentivo addosso. Trovai Selwyn che mi parlò per una buona mezzora di non so quale problema di Erbologia di cui non m’interessava niente. Mi versai una burrobirra, sperando di scacciare la paura che mi attanagliava le viscere, quando all’improvviso apparve la creatura più bella che avessi mai visto… Sile uscì dal dormitorio femminile suscitando sguardi carichi di ammirazione e sorpresa pressoché in tutti: aveva un bell’abito chiaro, lungo, che la fasciava esaltando la sua figura, era retto da sottili spalline che le lasciavano le braccia e parte della schiena nude, i capelli erano sciolti, e scendevano in delicati riccioli a incorniciarle il viso, i suoi occhi chiari rilucevano più del solito, forse perché vi leggevo tutto l’interesse che anche lei provava per me. Mi avvicinai e le offrii una rosa dai petali appena sfumati, di cui, a mia volta, portavo una gemella sul mio abito. Lei pose la mano sul mio braccio e ci avviammo emozionati e silenziosi verso la Sala Grande: sembrava spaventata e stupita anche lei e questo mi faceva piacere, in quei mesi ci eravamo scoperti buoni amici, ci eravamo regalati passeggiate in riva al lago e letture amene in qualche angolo isolato del castello, al riparo dalla pioggia che rigava le antiche vetrate…
Eravamo simili, nei gusti e negli interessi e nei progetti. Era persino riuscita a riavvicinarmi alle antiche letture babbane che già conoscevo grazie a mio padre e mi aveva iniziato ai misteri della musica babbana contemporanea: anche a Doire, le frange più riformiste dei maghi del Nord, di cui suo padre era un fervente esponente, praticavano strani rapporti col mondo babbano, in virtù del concetto che il potere deriva non dalla forza ma dalla conoscenza. Riuscii a comprendere le intenzioni di mio padre più attraverso quelle chiacchierate con Sile che in tanti anni di scontri col mio augusto genitore: nelle lettere, in cui gli raccontavo tutto questo, mio padre rispondeva che non dovevo stupirmi della potenza di una delle magie più grandi, la capacità persuasiva di una donna. Quando le avevo chiesto di andare al ballo con me avevo cercato di mantenere un contegno distaccato ma era ormai chiaro che la nostra amicizia era a un punto di svolta: mi chiedevo se sarei riuscito a dirle quello che pensavo senza fare una figura da idiota. E soprattutto, nonostante le pessime ironie di Rodolphus, iniziavo a temere la risposta di Sile a quanto le avrei detto… Sospirai…
A cena quasi non toccai cibo e non riuscii a calarmi nelle chiacchiere divertite dei nostri compagni, Sile era al mio fianco e cercò di comportarsi come al solito con i ragazzi della squadra e gli altri nostri amici Serpeverde, ma percepivo il suo nervosismo. Speravo che il ballo iniziasse il prima possibile: grazie alle lezioni di mia madre, ballare era l’unica cosa che non mi terrorizzasse di quella sera. La sala era magnifica, quel vecchio pazzo di Dumbledore aveva molti difetti ma con le feste non sbagliava un colpo: tutta la sala era addobbata come un inno alla primavera che ci lasciava per far posto all’estate, era piena di fiori che scendevano dal soffitto e restavano a galleggiare a mezz’aria, sopra di noi. C’erano fatine di luce a forma di farfalle, che diffondevano musica e luce; persino le fiamme nei caminetti sembravano lingue candide che mutavano nei colori pastello e danzavano alla musica di sottofondo. Sorrisi e presi per mano Sile, conducendola al centro della sala, rassicurato dal fatto che eravamo due tra tanti e dalla luce che piano piano si faceva sempre più tenue e intima, lasciandoci immersi in un chiarore soffuso che scendeva dal soffitto, rilucente di stelle e costellazioni.

    “Salazar… sono troppo emozionata, Mirzam… ho paura di sbagliare…”
    “Non temere… prova a seguire i miei passi... "

Le sorrisi, ero deliziato da quel rossore che rendevano ancora più azzurri i suoi occhi, mi davano quasi il coraggio di baciarla lì, davanti a tutti. Con lei tra le braccia persi la cognizione del tempo, contava solo poterla guardare negli occhi e poterla avere così vicina da sentire il suo calore; a mano a mano che la musica si faceva più lenta e il buio s’impossessava della sala, io ardivo a stringerla un po’ di più a me: quando arrivai a percepire il battito del suo cuore, attraverso le stoffe, desiderai fissare quell’istante per tutta l’eternità. All’improvviso si staccò delicatamente da me, pensai di aver esagerato e, costernato, cercai di scusarmi, ma con un sorriso mi disse che aveva solo bisogno di un po’ d’aria fresca. La presi per mano e l’aiutai a venir via dalla calca, uscimmo dalla sala, ci lasciammo alle spalle il vestibolo, e ci dirigemmo verso il portico d’ingresso: quel misto di paura ed esaltazione che mi circolavano nel sangue avevano attutito i miei sensi, non sentivo neppure l’aria frizzantina della sera, mi tolsi la giacca e gliela appoggiai sulle spalle, ottenendo un sorriso divertito e compiaciuto per la mia galanteria. Riparammo dietro un paio di colonne e ci fermammo ad ammirare il cielo stellato che faceva capolino tra le antiche pietre e le montagne all’orizzonte,  le presi entrambe le mani tra le mie e iniziai ad ammirare in silenzio il suo naso, la piega morbida delle sue labbra, la linea perfetta del suo collo: in un impeto di coraggio e desiderio, mi chinai verso la sua runa, e lei si ritrasse, ancora più rossa in viso. Stavolta avevo esagerato, sapevo fin troppo bene cosa significasse per noi un gesto come quello.
 
    “Sile…”

La mia voce era irriconoscibile, simile a una supplica. Mi scrutò negli occhi, voleva capire se l’avevo invitata solo per portarla lì, lontano da tutti, per farle chissà cosa, ma le bastò osservarmi per pochi istanti per capire che ero sempre io, il ragazzo che aveva aperto solo a lei il mondo confuso che celava dentro di sé. Mi mise un dito sulle labbra ed io baciai quel dito, senza staccare gli occhi dai suoi. Tremava, sentivo in lei la stessa tensione che divorava me, allora la circondai nel mio abbraccio, pensando che si sarebbe sottratta di nuovo, ma stavolta si abbandonò fiduciosa ai miei gesti. Le sollevai il viso, perdendomi per un tempo che poteva essere una vita intera nei suoi occhi, e mi chinai di nuovo su di lei, respirai il suo respiro e la baciai. Inesperienza e paure non contavano più niente: c’era solo lei, il suo calore, il suo cuore che batteva a tempo col mio. Restammo sospesi così, fuori dal mondo, staccandoci solo per respirare. Poi continuai a tenerla stretta tra le mie braccia, lei appoggiò il capo sul mio petto ed io m’inebriai del profumo dei suoi capelli, le accarezzai il viso e mi soffermai a giocare con un ricciolo ribelle che le solleticava la guancia.

    “Vorrei che questo istante durasse per tutta la mia vita, che la mia amica più cara restasse per sempre tra le mie braccia e diventasse la mia donna, il mio sangue, la mia vita, il mio destino, fino alla fine dei miei giorni…”

Sile si staccò appena da me, tornando a guardarmi negli occhi: l’avevo sorpresa e avevo sorpreso me stesso, non era proprio la formula canonica con cui da secoli i maghi del Nord facevano proposte di matrimonio, ma ci andava molto vicino. All’inizio sorrise impacciata, poi si mise a piangere e a me crollò il mondo: mi avrebbe detto di no, lo sapevo. Quando però già mi trattenevo a stento dal fuggire, Sile annuì, gli occhi pieni di lacrime di felicità, si strinse a me e a sua volta mi baciò con passione. A quel punto era tutto perfetto, in quello che era l’inizio, il vero inizio, della mia vita.

***

Mirzam Sherton
Nocturne Alley, Londra - 19 agosto 1967

    “Benvenuto signor Sherton… In che cosa posso servirla?”

Borgin si era avvicinato con le solite movenze inquietanti, io lo squadrai con la mia migliore occhiataccia, volevo che fosse subito chiaro che non ero lì, da solo, per farmi truffare da lui.

    “Devo fare una commissione per i miei genitori e venderle qualcosa… e avrei anche un po’ di fretta…”

Consegnai la lista degli acquisti e Borgin, annuendo, se ne andò nel magazzino, seguito dal mio fido Doimòs, promettendo che sarebbe ritornato subito e invitandomi intanto a dare un’occhiata in giro. Io non vedevo l’ora di liberarmi dell’ultimo ricordo delle mie passate follie e del debito che avevo con mio padre e soprattutto di uscire da lì, andare alla Gringott e cambiare del denaro magico con del denaro babbano: volevo fare una sorpresa a Sile per i suoi diciassette anni, anche se erano ormai passate alcune settimane dal suo compleanno. Purtroppo, tra i miei allenamenti con Stenton e i suoi impegni con la famiglia, non eravamo più riusciti a vederci dalla fine della scuola, ci eravamo scritti tutti i giorni, ma non era la stessa cosa: a Inverness, mi ero divertito a giocare a Quidditch e a conoscere gli altri ragazzi della squadra, ma quando pensavo a lei, e lo facevo spesso, il tempo non passava mai, mi ritrovavo a contare apatico i giorni che ci separavano. Avevo bisogno di tenerla tra le braccia e dal tono delle sue lettere, anche lei aveva nostalgia di me. E ora, ormai privi entrambi della Traccia e liberi di muoverci rapidamente e senza problemi, avevo in mente qualcosa di davvero stravagante da fare con lei. Mio padre, intuendo che stavo architettando qualcosa, mi aveva detto che non mi avrebbe accompagnato l’indomani a Londra e, stranamente imbarazzato, mi aveva consegnato le chiavi di Essex Street, nel caso avessi fatto troppo tardi: era il suo modo per dirmi che, qualsiasi cosa stessi combinando, avevo recuperato la fiducia che avevo perso un anno prima e che non si sarebbe impicciato, da parte mia dovevo solo evitare di metterlo in imbarazzo e ricordarmi che la casa, babbana, richiedeva un comportamento particolarmente discreto. Mi sentii un po’ a disagio e sperai che non avesse capito che l’appuntamento era con Sile, avevo paura che potesse equivocare e restarci male: non avevo progettato nulla che potesse metterlo in difficoltà con Donovan Kelly. Alla fine avevo preso la chiave, l’avevo ringraziato e mi ero smaterializzato con la Magia del Nord, raggiungendo Londra in metà del tempo.

    “L’Essenza di Corno di Alcalas è terminato, mi spiace, dovrei averlo per la fine della settimana prossima…”
    “Non si preoccupi, Borgin, passerà mio padre per quello… Doimòs porta tutto a Essex Street, poi aspettami davanti alla Gringott…”

L’elfo di mio padre fece un inchino e si affrettò a smaterializzarsi con gli acquisti, Borgin mi fece strada, invitandomi nel suo studiolo nel retrobottega.

    “Vorrei rivenderle un certo anello, signor Borgin …”
    “L’anello dei McMillan? Lei capirà, sono articoli difficili da trattare, soprattutto in negozi come il mio, è un anello senza particolari poteri, io non vorrei che ci rimettesse…”
    “Questa è la cifra minima che intendo ricavarne, signor Borgin, se l’affare le interessa, bene, altrimenti … la mia lista di gioiellieri e antiquari è molto lunga ed io ho molto tempo…”
    “La cifra che richiede è considerevole…”
    “Sa bene che è molto meno di quanto ci ha già guadagnato, Borgin: non intendo rimetterci che i miei soldi, quelli che gli son stati pagati da mio padre li rivoglio tutti…”
    “E se le proponessi uno scambio? Se viene di là con me, troveremo di certo qualcosa che le aggrada…”
    “No, m’interessano solo i soldi.”
    “D’accordo, ma proprio per l’antica amicizia che mi lega a suo padre… altrimenti non potrei accollarmi un oggetto così impegnativo… Abbia la bontà di aspettarmi, vado a recuperare i galeoni…”

Lo seguii di nuovo nel negozio, sbuffando, mancava meno di un’ora all’appuntamento con Sile davanti al Ghirigoro e dovevo ancora affrontare quei dannati folletti della Gringott. Mi guardai intorno, c’erano i più viscidi oggetti di origine oscura che avessi mai visto: all’ennesima testa di elfo impagliata, girai i tacchi e sollevai la tenda che immetteva nel “sancta sanctorum” di Borgin, là dove un anno prima avevo trovato l’anello di cui volevo liberarmi. Mi chiesi se anche il mio anello avesse qualche potere malefico che non avevo scoperto, forse non me ne dovevo liberare troppo in fretta. Mentre riflettevo su quale fosse la scelta migliore, e se non fosse il caso di chiedere un parere a mio padre, notai una strana bacheca, contenente un sacchetto di pelle chiuso con una pesante catena dorata: non c’era scritto niente, a parte un numero, 666, secondo la numerologia satanica, il numero della “Bestia”. Sorrisi, al pensiero di quanto fossero stupidi i babbani. Presi il sacchetto, andando contro tutti gli ammonimenti di mio padre, per capire cosa contenesse: Borgin mi raggiunse proprio mentre stavo armeggiando per sciogliere la catena.

    “Che cosa nasconde qua dentro, Borgin?”

Il vegliardo s’incupì, l’espressione furtiva lasciò il posto a un misto di paura e pietà.

    “Nulla che meriti l’attenzione di un uomo come lei, Sherton: mi vergogno profondamente di tenerle…”
    “Lei che si vergogna di qualcosa, Borgin? Suvvia… Questa sì che sarebbe una novità…”

Finii di allentare la catena e rovesciai il contenuto sul morbido cuscino porpora nascosto nella bacheca: monete.

    “Qui ci sarà un migliaio di galeoni d’oro Borgin: perché si vergogna?”
    “Non sono galeoni, signore…”

Mi si era avvicinato, aveva gettato un panno nero sulle monete e rapidamente le aveva raccolte e rimesse nel sacchetto senza toccarle direttamente con le mani: nel farlo, una moneta era caduta e sembrava indeciso se piegarsi a prenderla oppure no. Lo feci io al suo posto e mi fermai a rimirarla: non era un galeone, ma una moneta falsa, che riluceva di uno strano colore dorato, venato da orride screziature rosso sangue.

    “Non so se ne ha sentito parlare, Signore, queste sono le monete dell’Iscariota…”
    “Quelle non erano più di trenta, Borgin, qui ce n'è un migliaio!”
    “666 per l’esattezza: me le ha portate un mago straniero, qualche sera fa, dice di averle trovate in Albania… io non le volevo, ma poi… mi sono ritrovato convinto… ne conosce il potere, no?”
    “Io non ho idea di cosa stia parlando Borgin...”
    “Già, ora non se ne può parlare più… Lo sa, Sherton, perché certi maghi odiano i Mezzosangue e i Sanguesporco? Perché temono la meschinità nascosta nel loro sangue impuro? Secoli fa, durante la Caccia alle Streghe, questi “Maghi a metà”, mossi da ignoranza, paura, o solo avidità, sono andati a denunciare gli altri maghi e le altre streghe alle autorità babbane, per quattro soldi… Per queste monete, signor Sherton: monete false, patacche, che avevano in sé il seme dell’odio… 666 streghe e maghi hanno perso la vita dietro la denuncia di quegli infami… Ma non è finita qui: quando gli impuri traditori prendevano queste monete, non si accorgevano che erano monete segnate, monete fatte proprio con la magia, monete capaci di rivelare ai babbani l’ubicazione delle nostre comunità, indirizzando la caccia nei “punti giusti”… Non più “una moneta per una vita: ogni moneta, alla fine, è costata al mondo magico la vita di decine e decine di maghi, streghe e persino bambini, morti nei roghi dei villaggi e in altri modi brutali e inumani... ”
    “Salazar! È una storia orrenda, Borgin! Chi diavolo vorrebbe conservare in casa una cosa del genere, oggi? Perché ha speso tanti galeoni per quest’orrore? Dovrebbe gettarli nella prima fogna che incontra... ”
    “Si fanno comprare, signor Sherton, a distanza di secoli, hanno ancora intatto il loro malefico potere… in realtà non costano che pochi galeoni, e hanno ormai un valore puramente storico, avviserò il ministero e loro le conserveranno in qualche museo della magia: finiranno di far danni… inoltre fanno parte della nostra storia, una storia che alcuni proprio al Ministero vorrebbero che dimenticassimo… dal mio punto di vista queste monete andrebbero regalate ai babbanofili, invece, perché non dimentichino e si pentano…”

Guardai per l’ultima volta quel gruzzolo osceno poi completai la vendita dell’anello destinato a Bellatrix Black, senza altri ripensamenti: ebbi giusto il tempo di correre alla Gringott a cambiare un po’ di denaro ed entrare nella più bella gioielleria di Diagon Alley per ordinare l’anello che avevo deciso di far realizzare apposta per Sile dal mastro folletto presso cui si servivano da secoli gli Sherton, una lega di oro e platino, su cui s’incastonavano delle acquemarine con gli stessi riflessi dei suoi occhi. Non vedevo l’ora di riabbracciarla, quell’orrenda storia raccontata da Borgin stava facendo riemergere in me ricordi dolorosi e pensieri che cercavo da sempre di far tacere in me: Sile era l’unica capace di placare i miei demoni, l’unica capace di salvarmi.

*

Mirzam Sherton
74, Essex Street, Londra - 19 agosto 1967

    “Insomma, mia piccola strega, li hai istigati a dovere, colpendoli nelle loro debolezze…”
    “Che Serpeverde sarei se non lo facessi?”
    “Sei meravigliosa…”

Eravamo di ritorno dal nostro giorno di “libertà”, culminato in una cena in un bel ristorante italiano di cui a volte avevo sentito parlare mio padre con notevole entusiasmo: sebbene i sapori fossero per me inconsueti, non potei che trovarmi d’accordo con lui. O forse i miei sensi erano talmente rapiti dalla donna che stava dividendo con me quell’esperienza strana e straordinaria, da non essere in grado di esprimere giudizi sensati. E ora eravamo di fronte alla mia casa babbana, al 74 di Essex Street: avevo il cuore che mi batteva forte in gola, la guardai chiedendole se era davvero sicura, ricevetti una tacita conferma. Mi chinai per scoccarle un bacio sulle labbra, erano a dir poco irresistibili: mi vergognavo ad ammetterlo, ma quando avevo ricevuto la spilla da Caposcuola, avevo subito iniziato a fantasticare su quanto ci sarebbe stata utile quella stanza per passare del tempo in pace da soli, ore e ore a baciare ogni singolo centimetro della sua pelle, a giocare con i suoi capelli, a inseguire le linee del suo corpo, a perdermi in lei. Sile intuì, come sempre, i miei pensieri si fece rossa in viso e si staccò da me, la solita aria insolente sulla faccia: entrammo, mentre attivavo gli incantesimi dissimulanti e trasfiguravo i nostri vestiti babbani in abiti magici, lei si guardò intorno, la vidi interessata al quadro di mia nonna, ai fregi corvonero che dominavano tutta la casa, l’antica casa dei Meyer. La feci accomodare in salotto, completamente arredato, per volontà dei miei genitori, alla maniera babbana, mentre il resto della casa, le camere e la sala da pranzo avevano i tratti caratteristici di una dimora magica. Sile si sedette sul divano, io accesi e ravvivai il fuoco, andai al mobile in cui mio padre nascondeva un mangiadischi babbano e l’accesi: per la stanza si librò la musica di Mick Jagger, ennesimo tributo all’amore che provavo per lei.

    “Salazar, Mirzam, anche il disco!! Non mi sarei mai immaginata che saresti arrivato a tanto per me… mi hai regalato un compleanno bellissimo!”
    “In ritardo, mi spiace… però Londra, hai ragione, è bellissima, una volta imparato a tollerare la puzza dei babbani!”
    “Non fare lo schizzinoso! Non solo hai imparato che esistono i Rolling Stones, ma sei addirittura riuscito a procurarti dei biglietti e mi hai portato a un vero concerto babbano: non so se sei più folle o più meraviglioso…”
    “D’accordo, lo ammetto… Piacciono anche a me… e quella canzone, Yesterday, è favolosa... ”
    “Ahahahah… Mirzam, ma Yesterday è dei Beatles: dobbiamo ripassare gli attuali gruppi rock inglesi, mi sa…”
    “Affare fatto: il primo settembre battezzeremo la stanza del Caposcuola con i tuoi dischi, Sile…”
    “Ma sei pazzo? Gli altri ci appenderebbero per i piedi, se lo scoprissero, Mirzam!”
    “Mmm… Solo tu, sarebbe evidente che la colpa è solo tua: Sile Ailis Kelly, colei che traviò l’erede di Hifrig Sherton!”

Scoppiammo a ridere e l’abbracciai e la baciai con passione, fino toglierle il respiro. Nel tentativo di prendere aria, si staccò appena da me, lasciando scoperto il collo: mi ci fiondai, le tracciai una scia di baci sulla pelle, ridisegnando con le labbra tutti i dettagli della sua runa e strappandole un gemito che mi fece perdere del tutto la ragione. La fissai negli occhi, per capire cosa volesse davvero, anche se con difficoltà, avrei trovato la forza di lasciarla andare: ma non fu un NO quello che lessi nel suo sguardo. La sua mano si chiuse intorno alla mia, le dita andarono a disegnare rapide e bramose la mia pelle, sorrisi al suo sorriso malizioso: era un sollievo avere a che fare con una ragazza con le rune, c’erano gesti, sconosciuti ai più, che costituivano un linguaggio segreto, e permettevano di trasmettere pensieri, emozioni e desideri anche se non si aveva ancora il coraggio di esprimerli a parole. Le mie mani scivolarono sulla sua schiena, sganciando e allentando i numerosi nastri che tenevano il suo corpo stretto in un magnifico abito slytherin: volevo farlo senza magia, assaporando ogni centimetro di pelle conquistata, mentre i suoi baci mi tempestavano le tempie, il viso, il collo e scendevano sul petto facendomi perdere quel poco di senno che a fatica avevo ritrovato. La presi in braccio e salimmo fino al secondo piano, nella mia stanza, tra sussurri e risate ebbre che cercavano invano di mascherare l’emozione mista a terrore puro che entrambi provavamo in quel momento. E alla fine chiusi la porta alle mie spalle: la luna filtrava dalla finestra, illuminando d’argento la sua pelle ormai completamente nuda, i capelli sparsi sulle lenzuola come una danza di gabbiani. Catturai la sua estasi nei miei baci e mi persi nel calore della prima e unica donna della mia vita.

***

Mirzam Sherton
74, Essex Street, Londra - 20 agosto 1967

Non avevo dormito per tutta la notte, perso nella contemplazione della mia Sile che dormiva aggrappata a me, i capelli che le velavano appena il viso, il naso e le lentiggini che amavo tanto.  Speravo di non svegliarla, ma non potevo fare a meno di baciare tutto ciò di lei che era a portata di labbra: alla fine non riuscì più a fingere di dormire, scoppiando in una risata contagiosa.

    “Ti amo…”

Lei seguì con la punta delle dita il contorno dei miei occhi, il naso, le labbra, le morsi giocoso le dita, poi mi rituffai sulle sue labbra.

    “Ti ho messo nei guai con tuo padre, vero? Dovevo rispedirti a casa prima di mezzanotte… come Cenerentola…”
    “Gli ho detto che avrei passato la notte a casa di un’amica fidata, non è la prima volta che sto da lei… anche se è la prima volta, che è una bugia…”
    “Non lo dici solo per non farmi preoccupare, vero? Ti assicuro che io sono pronto a parlargli anche adesso, Sile, lo sai… voglio urlarlo al mondo che stiamo insieme… ”
    “Solo per poterti prendere più spesso certe libertà, non è così?”

Mi guardò maliziosa, mentre le sue mani giocavano e scendevano lungo il mio corpo, io le rubai un altro bacio sul naso, ma era il momento di essere seri.

    “Io non mi accontento delle “libertà”, ti voglio tutta… sempre…”
    “Ma cosa cambia se viviamo un altro anno, sereni, come l’anno scorso? Senza la pressione di tutti, solo tu ed io, e i nostri pensieri e… ”
    “D’accordo, ma sarebbe meglio non nasconderci, soprattutto dopo stanotte, anche perché non credo che le nostre famiglie abbiano motivi per opporsi…”
    “Tu un anno fa eri convinto di volere Bellatrix Black…”
    “Non è un po’ tardi per questi dubbi su di me, Sile? Un anno fa ero un ragazzino che viveva nei sogni e non si accorgeva di desiderare qualcosa d’inesistente, ora sono un po’ più grande, ti ho detto ciò che provo e ho scoperto che coincide con quello che provi tu: queste non sono più favole, questa è realtà ed io sono pronto a viverla… Ora studieremo per i MAGO, ci diplomeremo, sistemerò la mia casetta a Inverness e se lo vorrai anche tu, andremo a vivere insieme, chiaro e lineare, senza nessun dubbio, almeno non per me…”
    “Magari tuo padre vorrebbe qualcuna più nobile per te…”
    “Magari tu cerchi solo una scusa, Sile: mio padre già ti vuol bene come se fossi un’altra sua figlia, forse perché sei di Doire come mia madre, o perché ami il Quidditch o perché mi hai prestato certi libri…”

Le porsi il Canzoniere di Petrarca e un libro di poesie moderne inglesi, Sile arrossì.

    “Tutti dicono che è tanto…. temibile… invece tu lo descrivi come uno che muore d’amore per sua moglie e per voi…”
    “Mettimi alla prova, Sile, e ti dimostrerò di non essere da meno… e non avere paura di lui, non ce n’è motivo… Puoi conoscerlo quando vuoi, anche adesso…”

Le presi la mano e la baciai.

    “Guarda Mir… c’è un gufo…”
    “Forse è di mio padre, se ha capito che sei sparita e che sei con me vorrà frustarmi!”

Ridendo, mi cinsi un lenzuolo ai fianchi e andai alla finestra: capii subito che non era un gufo di famiglia, incuriosito, sciolsi il messaggio dalla zampina e aprii il messaggio. Mi si annebbiò la vista di colpo, mi sbiancai, Sile, al mio fianco si fece avanti per sapere che cosa stava accadendo.

    “Ci sono problemi? Chi sono quegli uomini, Mirzam?”
    “Nulla Sile, per favore, vestiti che ti riaccompagno a casa o dove vuoi…”
    “Mirzam…”
    “ Ho bisogno di parlare con Rodolphus, forse lui sa che cosa vuol dire questo messaggio…”
    “Rodolphus? Che cosa c’entra? Questa è la foto di due babbani…”
    “Il messaggio… credo sia di un amico di Rodolphus: è da un po’ che vorrebbe parlarmi, ma io avevo altro da fare, evidentemente ho sottovalutato l’argomento…”
    “Mirzam… fammi un favore: non andare… soprattutto se è coinvolto Rodolphus, tu non andare… lui muore d’invidia per te, si finge tuo amico, ma non lo è… ti prego, fidati di me, non andare…”
    “Starò attento, Sile, non temere… ma questi due uomini… li cerco da una vita, Sile… voglio sapere da quell’uomo come trovarli…”
    “Perché?”
    “Perché voglio mettere una pietra sul mio passato ed essere finalmente libero di vivere con te una vita nuova…”
    “Allora vai da tuo padre e confidati con lui… Fatti aiutare da lui…”
    “Non questa volta, Sile, quel giorno era compito mio difendere mia madre…”



*continua*




NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti, recensito ecc ecc.

Valeria



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