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Autore: pampa98    17/10/2022    1 recensioni
[Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it]
~ Thorin/Bilbo x Edward/Stede x Crowley/Aziraphale x Nandor/Guillermo ~
Lazslo, stufo delle continue incomprensioni tra Nandor e Guillermo, approfitta di un libro di incatesimi trovato per casa per spedirli in un luogo in cui saranno costretti a chiarirsi. Purtroppo, il suo piano non va come previsto e finisce per rinchiudere in quel giardino sospeso nel tempo anche altre creature estranee alla vicenda.
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: “Giardino”


Note: Questo è il mio primo crossover ed è anche la OS più lunga che abbia mai scritto 🙈 L’idea mi è venuta girando su Tumblr, dove queste quattro coppie vengono spesso associate e, sfruttando il fatto che una di queste serie contiene elementi sovrannaturali e molto fuori dalle righe, ho pensato che da lì avrei potuto trovare il modo di unire tutti questi personaggi in un’unica storia.

Dal momento che tre di questi fandom hanno anche una sezione qui su EFP, do per scontato che chi legge questa storia li conosca abbastanza da poter capire cosa succede. Per What we do in the shadows, invece, vi lascio qualche informazione per contestualizzare meglio i personaggi.
Trama: Nandor, Laszlo, Nadja e Colin sono quattro vampiri che vivono in una casa di Staten Island insieme al famiglio Guillermo, che brama di diventare a sua volta una creatura delle tenebre.
Nadja e Laszlo sono sposati. Nandor è un vampiro ottomano e Guillermo è il suo famiglio, ma a un certo punto scopre di essere un cacciatore di vampiri.

Questa storia si colloca all’inizio de La desolazione di Smaug, dopo la prima stagione di Good Omens, a metà della prima stagione di Our flag means death e in un momento imprecisato dopo la seconda stagione di What we do in the shadows.

Introduzione finita, ora vi lascio alla storia. Buona lettura ❤



Il giardino della riconciliazione



 

Bilbo si sedette sotto un albero, inspirando a pieni polmoni l’aria fresca che lo circondava. L’erba e i fiori che riempivano il giardino di Beorn lo riportavano a casa e se chiudeva gli occhi poteva fingere di essere ancora nella Contea. In quel luogo respirava una serenità che dubitava avrebbe conservato a lungo, dal momento che il Dì di Durin incombeva su di loro e presto la loro compagnia avrebbe dovuto rimettersi in marcia.

«Posso sedermi?»

Bilbo spalancò gli occhi sentendo la voce di Thorin. Il nano gli stava sorridendo timidamente e lui gli fece cenno di accomodarsi. Da quando lo aveva salvato dagli orchi il loro rapporto era decisamente migliorato, eppure lo hobbit continuava a sentire un misto di disagio e timore – accompagnati da qualcos’altro a cui non osava attribuire un nome – ogni volta che si trovava in presenza di Thorin. Non sapeva mai con certezza quale fosse il modo migliore per approcciarsi a lui: il loro rapporto camminava in bilico su una fune sospesa sopra in cielo e ogni minimo soffio di vento avrebbe potuto farlo schiantare al suolo.

«Il Mutapelle non ci ha accolti troppo male, non è così?» disse Thorin e Bilbo gli fu grato di aver aperto la conversazione con un argomento neutrale.

«Già. Sembra una brava persona, anche se ha un aspetto piuttosto spaventoso. È come si dice, no? Non si dovrebbe giudicare un libro dalla copertina.»

Thorin annuì. «Non avevo mai sentito quest’espressione, ma in effetti devo concordare. E Beorn non è l’unico qui ad apparire diverso da ciò che sembra.»

Bilbo aggrottò le sopracciglia. «Oh. Ah, sì, certo!» esclamò poi, capendo a chi Thorin si riferisse. «Gandalf sembra solo un vecchio rimbambito, ma ha dimostrato di non essere tanto male come stregone. Personalmente, non gli avrei dato molto credito.»

Thorin rise. Era un suono basso e profondo, che Bilbo non ricordava di avere mai udito. Avvertì una stretta allo stomaco, come quando lo aveva abbracciato il giorno prima, e sentì il suo corpo andare a fuoco. Abbassò lo sguardo, focalizzandosi sui fiori attorno a sé. Notò una ghianda caduta a terra e la raccolse, rigirandosela un momento tra le mani prima di metterla in tasca: Beorn non avrebbe certo sentito la mancanza di un minuscolo frutto.

«Io non glielo darei tutt’ora, a essere onesti» rispose Thorin, con il volto ancora illuminato da un sorriso. «Non stavo parlando di lui, comunque.»

«Oh. Allora, ehm, di chi…»

Un’improvvisa folata di vento li avvolse, talmente potente che fece cadere Bilbo sulla schiena. La bufera durò solo pochi istanti, poi tutto tornò come prima. 

Thorin fu subito su di lui. Lo tirò per una spalla per rimetterlo seduto e percorse attentamente il suo corpo con lo sguardo.

«Mastro Baggins, stai bene?»

«S-Sì» rispose. Fisicamente stava bene, ma avrebbe voluto scavare una fossa nel terreno e seppellirvisi dentro. Proprio quando Thorin aveva iniziato a rispettarlo, si rendeva ridicolo facendosi mettere k.o. da un po’ di vento. «Scusami, va tutto bene. Devo… Devo aver preso troppo sole.» Si rese conto tardi che era una scusa patetica, ma ormai era fatta.

Si alzò e scosse i vestiti dall’erba, prima di avviarsi verso la casa di Beorn, dove sperava che le sue figuracce sarebbero state nascoste dalla presenza di altre tredici creature. Ma davanti a sé non trovò l’accoglievole casa del Mutapelle, bensì due tizi, umani a giudicare dalla stazza, che parlavano seduti sopra due barili. 

Il primo, un uomo biondo vestito con un elegante completo blu oceano, stava raccontando qualcosa al compagno, che lo fissava rapito. Bilbo storse il naso vedendo com’era conciato: aveva barba e capelli scuri striati di grigio, quasi più trasandati di quelli di Thorin, e indossava giacca e pantaloni scuri attillati sul suo corpo ricoperto di disegni.

«… E così, il burattino prese vita. Iniziò a muoversi e a parlare, e a ballare persino!» stava raccontando l’uomo biondo.

«Un burattino che balla? Da solo?» chiese il compagno.

«Esatto.»

«Oh, ma questo è fottutamente folle. E poi cosa succede?»

«Be’, come potrai immaginare, il povero falegname rimase scioccato davanti a questa scoperta. Ma aveva desiderato talmente a lungo un bambino che…»

«Voi due! Chi diavolo siete e dove sono i nostri compagni?» 

Bilbo si era incantato a guardare quei due individui, incuriosito dalla storia del burattino danzante, e non si era reso conto che Thorin, accanto a lui, aveva estratto la spada e la stava puntando in direzione dei due estranei. In effetti, non era il momento di ascoltare le favole: i loro amici erano scomparsi e dovevano ritrovarli al più presto.

I due individui sembrarono accorgersi solo in quel momento di loro e parvero sorpresi di trovarsi lì. L’uomo con la barba scattò in piedi, guardandosi intorno con fare sospetto.

«Ehi, dov’è finita la nostra nave?» esclamò.

«Oh, be’, sono sicuro che ci sia una spiegazione… Buttons! Lucius! Lucius, per l’amor del cielo, avevi detto che avresti trascritto la mia versione della fiaba! Frenchie!»

Il biondo cominciò a gridare una serie di nomi, girando intorno ai barili. Bilbo iniziò a guardarsi intorno a sua volta. La quercia sotto cui erano seduti lui e Thorin era svanita, ma non i fiori e i frutti che coloravano il giardino. Anche la casa di Beorn non c’era più, sostituita dai barili dei due umani, e Bilbo si rese presto conto che non riusciva a quantificare l’ampiezza di quel giardino. Il cielo era di un colore rosato come durante l’alba, con l’unica differenza che si estendeva per tutta la volta sopra le loro teste. Le montagne erano svanite e l’orizzonte stesso era avvolto da una strana nebbia. Si chiese se oltre quella avrebbero ritrovato il vero giardino di Beorn. Forse era stato il vento di poc’anzi a trascinarli lontani dai loro amici?  

«Smettetela di urlare!» sbraitò Thorin, riportando l’attenzione di Bilbo su di lui. Puntò la spada contro l’uomo biondo, che la guardò con un misto di preoccupazione e stupore. «Che ne avete fatto della casa del Mutapelle?»

«Ehi, vedi di abbassare quella spada!» esclamò l’uomo con la barba, estraendo a sua volta la sua – una lama molto sottile che Bilbo dubitava avrebbe potuto competere con la spada elfica di Thorin.

«Oh, Ed, ti prego! Non credo che sia il caso di arrivare a combattere» disse l’uomo biondo, avvicinandosi al suo compagno.

Bilbo lo imitò. Quello sconosciuto sembrava innocuo e, soprattutto, ragionevole e lo hobbit si sentì sollevato dalla sua presenza. «Ha ragione, Thorin. Credo che loro ne sappiano quanto noi.»

«La casa è sparita e sono apparsi loro, non lo hai notato?»

«Ma non è sparita solo quella» insistette Bilbo. «Guardati intorno. Questo non è il giardino di Beorn.»

Thorin aggrottò le sopracciglia, poi i suoi occhi si spalancarono, constatando che l’ambiente circostante era mutato. 

«Le montagne…» Thorin rinfoderò la spada, lanciando alcune imprecazioni in nanico. «Che cazzo è successo?»

Bilbo si strinse nelle spalle.

«Bene» disse l’uomo biondo, battendo le mani. «A quanto pare nessuno di noi ha idea del perché siamo qui.»

«Già» concordò Bilbo.

«Ottimo. Allora, direi per prima cosa di fare le presentazioni. Buongiorno, io sono Stede Bonnet, co-capitano della Revenge insieme al qui presente Edward Teach, più noto come Barbanera.»

«E lui è il Pirata Gentiluomo» aggiunse Edward, mettendo un braccio intorno alle spalle del suo co-capitano. Erano talmente diversi che Bilbo trovò assurdo che fossero in grado di collaborare o anche solo essere amici – ma dopotutto, anche lui e Thorin erano agli opposti e nonostante ciò lui sperava di star costruendo un buon rappporto con il Principe dei Nani. 

«Sicuramente avrete sentito parlare di noi» disse Edward, con un sorriso tronfio in volto.

«No» rispose all’unisono Thorin e Bilbo, smorzando subito il suo entusiasmo. 

«Oh, davvero?» chiese Stede. Sembrava sinceramente sorpreso che un nano e uno hobbit non conoscessero gli eroi degli uomini. «Ma voi due da dove venite?»

«Oh, io dalla Contea. Sono Bilbo Baggins, mentre lui è Thorin Scudodiquercia. Siamo in viaggio per, ehm…» Cercò lo sguardo di Thorin per capire se potesse rivelare la loro destinazione a quei due sconosciuti. Dopo un momento di esitazione, il nano annuì. «Per la Montagna Solitaria.»

Stede aggrottò le sopracciglia. «Contea… Montagna Solitaria… Temo di non conoscere questi luoghi.»

«Nemmeno io» disse Edward. «Però sembrano interessanti. Ehi, possiamo venire con voi? Appena recuperiamo la nostra ciurma, si intende.»

«Ciurma?» chiese Thorin, sospettoso.

«Sì. I nostri compagni di viaggio, insomma.»

«Anche noi dobbiamo ritrovare i nostri compagni.» Nonostante avesse capito che si trovavano tutti nello stesso problema, il nano continuava a fissare i due uomini come se volesse ridurli in cenere.

«Giusto, avevate nominato un certo… Bob?» si informò Stede.

«Beorn» lo corresse Bilbo. «Eravamo nel suo giardino e all’improvviso…» 

Fu interrotto da un urlo che fece scattare tutti e quattro sull’attenti. Thorin e Edward portarono subito le mani all’elsa delle loro spade, mentre Stede fece cenno a Bilbo di avvicinarsi a lui, al riparo da eventuali pericoli. Fidarsi di qualcuno che si era appena conosciuto in circostanze più che sospette non era una buona idea, ma lo hobbit era certo che quello Stede fosse una brava persona perciò gli si avvicinò senza esitazione. Sbirciando oltre la spalla di Thorin, notò due sagome fare capolino dalla nebbia. 

«Oh, lo sapevo, lo sapevo!» esclamò la prima figura, un umano biondo che indossava abiti molto simili a quelli di Stede. «Era solo questione di tempo.»

«Qual è il problema stavolta?» rispose l’altra, uno spilungone vestito di nero con capelli rosso accesso e due grossi cerchi neri al posto degli occhi.

«Col tuo modo folle di guidare ci hai spediti dritti in Paradiso. Oh, povero me!, avrò un altro richiamo.»

«Calmati, Angelo, non siamo in Paradiso. Io non ci posso entrare in Paradiso, ricordi? E te lo ripeto ancora una volta: la macchina è svanita. Esattamente come la strada che stavamo percorrendo. Qualunque cosa sia successa, non è colpa mia.»

«E allora mi spieghi dove angelo siamo?»

«Direi in un giardino» rispose capelli rossi, guardandosi intorno finché il suo volto non si fermò nella loro direzione. «Oh, guarda, c’è della gente là. Chiedilo a loro.»

Quando capelli biondi posò i suoi occhi su di loro, la sua espressione si rilassò in un ampio sorriso. 

«Buongiorno, gentili signori» disse, avvicinandosi. Almeno anche lui sembrava educato e di buone maniere, pensò Bilbo.

«Buongiorno» lo salutò Stede, sventolando una mano in aria. Continuava a sorridere e Bilbo si domandò se fosse un po’ tardo o solo estremamente cordiale.

«Perché ci sono tutti questi umani?» borbottò Thorin sottovoce. Bilbo trattenne un risolino: a quanto pare, gli elfi non erano le uniche creature che Thorin disprezzava.

«Non lo so» disse, stringendosi nelle spalle. «Però non sembrano cattivi, no?»

Thorin gli lanciò uno sguardo di sbieco.

«Devi imparare a essere più diffidente, mastro Baggins.» Sembrava un rimprovero, ma lo disse rivolgendogli un sorriso affettuoso. Bilbo si fissò sui nuovi arrivati per evitare di arrossire fino alla punta dei capelli.

Capelli biondi stava parlando con Stede e i due sembravano già essere diventati ottimi amici. Bilbo non si sorprese, anzi, vedendoli così da vicino iniziò a sospettare che fossero parenti. Si avvicinò lentamente a loro, desideroso di entrare nella conversazione ma consapevole di quanto fosse maleducato interrompere due persone che parlavano – il tempo trascorso coi nani stava rischiando di fargli dimenticare le buone maniere!

Per sua fortuna, fu Stede a introdurlo naturalmente nella conversazione.

«Loro due invece li abbiamo appena incontrati. Quello è Thorin e il nano qui presente si chiama Bilbo» spiegò, posandogli amichevolmente una mano sulla spalla. «Oh, vi chiedo scusa» aggiunse poi, con un’espressione mortificata in viso. «Vi ho offeso?»

Bilbo aggrottò le sopracciglia. «No» rispose. «Ma è lui il nano. Io sono uno hobbit.» 

Stede e capelli biondi si scambiarono uno sguardo incerto.

«Perdonatemi, potreste ripetere?» chiese Stede, chinandosi verso di lui.

«Hobbit. Un Mezzuomo, ecco» specificò, ricordandosi che al di fuori della Contea era quello il nome con cui erano conosciuti.

«Mh.» Capelli biondi si picchiettò il mento con l’indice. «Hobbit… Mi sembra di aver già sentito questo nome.»

«Io temo di no, invece.»

«Ma sì, certo! È il titolo di un romanzo di Tolkien. Crowley, caro, te lo ricordi?»

Capelli rossi sbuffò un infastidito “No.”

«No? Ma se è uno dei romanzi per ragazzi più importanti della Terra!»

«Ehm, temo siate in errore» lo interruppe Bilbo. «Non credo che esistano storie sulla mia gente, insomma, siamo piuttosto noiosi.» Lui aveva sempre sognato di scrivere un racconto sugli hobbit, e chissà che dopo la folle avventura che stava vivendo non avrebbe accumulato abbastanza materiale per un libro, ma fino a quel momento era piuttosto certo che la produzione di storie sulla sua gente fosse circoscritta ai confini della Contea.

«Non tutti» commentò Thorin, rivolgendogli una strana occhiata che Bilbo non ebbe tempo di interpretare poiché venne subito sostituita con il suo solito cipiglio. «A ogni modo, non siamo qui per parlare di libri, dico bene?» 

«Già» lo appoggiò capelli rossi. «Angelo, dovevi chiedere informazioni su questo posto, non parlare di idiozie!»

«Un’opera di Tolkien, un’idiozia.» Sospirò, chiudendo le palpebre come se stesse invocando la forza per non urlare contro al suo amico. «Va bene, sorvoliamo. Oh, noi non ci siamo ancora presentati però! Io mi chiamo Aziraphale e quel demoniaccio laggiù è Crowley.»

«Chiedi di questo posto, Angelo!»

«Sì, sì, ho capito, lo faccio! Dunque, il fatto è che noi eravamo a Londra, stavamo andando a cena al Ritz – lo conoscete?» Thorin, Bilbo, Stede e Edward scossero la testa. «Oh, be’, se passate da quelle parti ve lo consiglio. L’ambiente è incantevole, anche, ehm, alquanto romantico se siete interessati – lo siete?»

«Oh, basta con questi convenevoli!» sbottò Crowley. «Perché cazzo non siamo più a Londra? Cos’è questo posto? E soprattutto, dov’è finita la mia Bentley?»

«La vostra cosa?» chiese Bilbo, ma di nuovo venne interrotto da una voce sconosciuta. Iniziava a essere snervante quella situazione, quasi più di ritrovarsi la casa invasa da dodici nani affamati.

«Guillermo! Perché sei sparito, insomma? Devi rispondere quando ti chiamo. Guillermo! Guillermo! Guillermo!»

«Non c’è nessun Guillermo qui!» sbottò Crowley contro il nuovo arrivato.

L’umano – aveva denti strani, ma Bilbo pensò comunque che facesse parte di quella specie – si fermò di colpo e sembrò accorgersi solo in quel momento di loro. Aveva capelli e barba scuri come Thorin e indossava un assurdo mantello pieno di ricami dorati. 

«E voi chi siete?» chiese con uno strano accento.

«Buongiorno!» lo salutò Stede, che insieme ad Aziraphale sembrava il più divertito e rilassato in quell’assurda situazione. «Faccio il giro di presentazioni: io sono Stede Bonnet, lui è Edward Teach, lui è Thorin, lui Bilbo, lui Crowley e, per finire, questo è Aziraphale» concluse, soddisfatto di aver ricordato tutti i nomi. «E voi siete, buon uomo?»

«Il mio nome è Nandor l’Implacabile. E ora, scusatemi, ma devo trovare il mio famiglio.»

«Cos’è un famiglio?» chiese Bilbo.

«Ehi, perché stai cercando un demone?» chiese Crowley, avvicinandosi sospettoso a Nandor.

«Guillermo non è un demone» rispose lui. «È un banalissimo essere umano, se non consideriamo il fatto che è un cacciatore di vampiri. Voi lo avete visto?»

«No» disse Edward. «Ma hai davvero detto “cacciatore di vampiri”?»

Nandor annuì. Bilbo non aveva mai sentito parlare di vampiri, ma dal modo in cui Edward corse da Stede, tutto eccitato e allegro, immaginò che fossero delle creature che gli piacevano molto.

«Ehi, hai sentito? Qui ci sono dei vampiri. Non ho mai incontrato un vampiro, e tu?»

Il sorriso di Stede si smorzò leggermente, mentre posava una mano sulla spalla del suo amico. «Be’, a quanto so, i vampiri non sono reali. Credo – e spero.»

«Mh. Io però vorrei incontrarne uno.»

«Non so se sarebbe una buona idea, Ed. E se poi si nutrisse del tuo sangue?»

«Sarebbe fottutamente eccitante.»

«Vi dispiace piantarla con queste stronzate?» sbottò Thorin. Bilbo si rese conto che la sua pazienza era agli sgoccioli e non se la sentiva nemmeno di biasimarlo. «Siamo finiti in questo luogo assurdo che nessuno di noi conosce e non sappiamo nemmeno perché o da quanto tempo siamo qui. Il Dì di Durin incombe» aggiunse, puntando il suo sguardo su di lui. «Noi dobbiamo andarcene da qui e subito. Vieni, oltre la nebbia ritroveremo di sicuro la strada.»

«S-Sono d’accordo che dobbiamo andarcene, ma non possiamo farlo così» disse Bilbo, raggiungendolo per pararsi davanti a lui e bloccargli il passaggio. Thorin lo guardò come aveva fatto sulle Montagne Rocciose, ma Bilbo non si fece spaventare. «L’hai detto tu stesso, no? Non conosciamo questo luogo. Oltre la nebbia potrebbe esserci casa o un’orda di orchi pronti a tenderci un’imboscata.»

«Concordo con lui» lo supportò Aziraphale. «È pericoloso muoversi alla cieca.»

«Magari un piccolo miracolo potrebbe aiutare» suggerì Crowley. Si abbassò i cerchi neri per guardare il suo amico negli occhi e in quel momento Bilbo notò che aveva le iridi gialle come i serpenti. Trattenne un gemito, che invece Stede liberò.

«P-Perdonatemi» disse subito, ricomponendosi. «Ehm, siete consapevole che il vostro amico ha occhi… particolari?» chiese, rivolto ad Aziraphale.

«Sì, naturalmente.»

«È fottutamente incredibile! Come fai ad averli di quel colore?» chiese Edward, che a quanto pare trovava eccessivamente interessanti le cose più assurde.

Crowley nascose di nuovo i suoi occhi dietro i cerchi. «Fatti miei» rispose, sbrigativo. «Allora, Angelo, lo fai questo miracolo o no?»

Aziraphale annuì. Chiuse gli occhi, inspirò a fondo e schioccò le dita della mano destra. Un ottavo individuo, piuttosto in carne e con un maglioncino a quadri, comparve in mezzo a loro.

«Ops! Non volevo fare questo!» esclamò Aziraphale.

«Guillermo!» gridò Nandor, avvicinandosi al nuovo arrivato. «Come hai fatto a trovarlo?»

«Ehm, io non… Non ne sono molto sicuro…»

«Padrone?» disse Guillermo, sollevando lo sguardo verso Nandor. Bilbo fece un passo verso di lui per capire se avesse bisogno di aiuto, ma questi scattò in piedi all’istante. «Oh, meno male vi ho trovato. State bene?»

«No, non sto bene. Sono finito in un luogo sconosciuto insieme a degli strani tizi con piedi pelosi e occhi gialli, e tu non c’eri!»

«Poveretto» commentò Thorin, sarcastico. «Bene. Tu, umano biondo» disse, rivolgendosi ad Aziraphale, «portaci fuori da qui.»

«Ehi, nessuno ti ha insegnato le buone maniere?» esclamò Crowley, frapponendosi tra Thorin e Aziraphale. «Se vuoi qualcosa, devi chiedere “per favore”.»

«Tu prima però non glielo hai chiesto» gli fece notare Edward.

«Ma io sono io, che c’entra?»

«Senti, occhi inquietanti» disse Thorin, portando la mano all’elsa della spada. «Mi sono stufato di perdere tempo con voi umani. Il tuo amico ha fatto comparire una creatura qui, allora deve anche sapere come tirarci fuori.»

«Tanto per cominciare, nanetto, io non sono umano. Sono un potentissimo demone e potrei incenerirti in questo preciso istante se lo volessi.»

«Un demone?» chiese Edward, sempre più eccitato.

«Oh, io invece sono un vampiro» disse Nandor, infilandosi nella loro conversazione.

«Un cosa?» esclamò Thorin.

Anche Bilbo sarebbe stato curioso di scoprire qualcosa di più su questi vampiri, ma Stede gli diede un colpetto sulla spalla, invitandolo a raggiungere Aziraphale che stava parlando con l’amico di Nandor.

«Non credo sia saggio lasciarli da soli» disse, guardando con estrema apprensione la mano di Thorin stretta su Orcrist. 

«Non preoccuparti, stanno solo facendo amicizia» rispose Stede con la sua solita serenità. «Quel ragazzo, Guillermo, pare sappia cos’è successo.»

Bilbo non ebbe bisogno di altro per seguirlo. Salutò Guillermo, presentandosi a sua volta, e constatò che, proprio come gli altri due umani intorno a lui, sembrava molto gentile e educato – sebbene non innocuo quanto loro dal momento che portava alla cintura dei paletti di legno ben appuntiti.

«È stata la magia a portarci qui» spiegò Guillermo. Bilbo annuì e pregò che non fosse un qualche scherzo di Gandalf, perché quella volta non gliel’avrebbe fatta passare liscia. 

«Magia? Tipo, ehm, quella delle streghe?» chiese Stede, che sembrava quello più sorpreso tra loro.

Guillermo annuì. «Mi dispiace, è nato tutto da un mio litigio con il padrone.»

«Il padrone, cioè Nandor?» chiese Bilbo.

«Esatto.»

«Perdonatemi, ma non trovo giusto che al giorno d’oggi esista ancora la schiavitù» disse Aziraphale. «Dovreste emanciparvi. Se avete bisogno di un aiuto…»

«Grazie, ma non è così. Cioè… È una situazione complessa, ma non preoccupatevi, l’ho scelta io. Ora torniamo al nostro attuale problema.»

 

+ + +

 

«Quindi, questo Lazo avrebbe fatto ricorso alla stregoneria perché voi e il vostro padrone continuavate a litigare?» ricapitolò Aziraphale, dopo alcuni minuti di silenzio in cui tutti e tre avevano elaborato il racconto di Guillermo.

«Laszlo, e sì, più o meno è andata così» confermò, abbassando lo sguardo. «Purtroppo si è distratto mentre pronunciava l’incantesimo, anche se dubito che sarebbe riuscito a svolgerlo bene, è solo un vampiro dopotutto. Insomma, voi… voi siete stati un effetto collaterale. Sono davvero mortificato.»

«Non dovete esserlo» lo confortò Stede, dandogli una pacca di incoraggiamento sulla spalla. «Sono sicuro che è tutta colpa del vostro padrone.»

Guillermo si strinse nelle spalle. «Più o meno, sì.»

«E sapete se esiste un incantesimo per riportarci indietro?» chiese Bilbo. «Perdonatemi, non voglio essere scortese, voi sembrate tutte delle brave persone, ma preferirei non restare intrappolato qui per sempre.»

«Assolutamente. Laszlo e Nadja stanno cercando il controincantesimo, almeno spero» rispose e Bilbo notò che era piuttosto preoccupato. Forse non si fidava molto di questi suoi amici – non che ne fosse stupito, visto che era stata proprio la scarsa conoscenza della magia di uno dei due ad averli messi in quel pasticcio. «Tuttavia, ci… ci sarebbe un altro modo. Solo che è ancora più impossibile.»

«Niente è impossibile, mio buon amico» disse Stede. «Coraggio, quale sarebbe quest’altro metodo?»

Guillermo sospirò. «Be’, questo posto doveva servire a me e al padrone per chiarirci, quindi forse, se lo facessimo, torneremmo tutti a casa.»

«Oh, allora vi basta andare a parlare con lui, no?» suggerì Aziraphale.

«Non è così semplice. Il padrone non ammetterà mai che tiene a me. Sono stato stupido io ad arrabbiarmi: dopo tutti questi anni, dovrei sapere che è un caso perso.»

«Coraggio, non abbattetevi così» disse Stede. «Sono sicuro che troveremo una soluzione.»

«Il vostro buonumore è davvero invidiabile, Stede» disse Aziraphale.

«Già. Come fate a non essere nemmeno un po’ preoccupato?» esclamò Bilbo.

«Oh, io sono preoccupato, certo. La mia ciurma è abbandonata in balia di se stessa e io e Ed potremmo restare bloccati qui in eterno, senza cibo o acqua per sopravvivere; ma lasciarsi prendere dallo sconforto non sarebbe d’aiuto, giusto?»

Bilbo dovette riconoscere che aveva ragione. Lui più di tutti avrebbe dovuto saperlo: da quando aveva lasciato la Contea, non aveva fatto altro che lamentarsi e sospirare, continuando a pensare alla sua comoda casetta. Eppure non era stato con la paura e i tentennamenti che era riuscito ad affrontare con successo le sfide che gli si erano parate di fronte. Diamine, aveva affrontato troll e orchi, era sopravvissuto persino a quella strana creatura che aveva incontrato all’interno delle montagne! Non si era arreso quando era rimasto da solo e non lo avrebbe certo fatto adesso che aveva degli alleati e doveva affrontare un nemico ben più pacifico di Azog il Profanatore.

«E nemmeno la violenza lo sarebbe» disse Aziraphale, indicando alle loro spalle. Quando Bilbo si voltò, trovò ciò che temeva sarebbe accaduto: Nandor, Crowley, Edward e Thorin si stavano urlando contro, gli ultimi due avevano addirittura estratto le loro armi.

«Ed! Non mi sembra il caso, rinfodera la spada.»

«Crowley, caro, non litigare con i nostri nuovi amici.»

«Thorin» Bilbo si avvicinò a lui, imitando gli altri due che stavano allontanando i loro amici dalla mischia. Gli mise una mano sul braccio, dimentico per un momento che Thorin fosse un re e lui un semplice nessuno. «Metti via la spada. Sappiamo come uscire.»

Thorin lo guardò per un momento in cagnesco e Bilbo temette di aver frantumato il fragile equilibrio su cui posava il loro rapporto con tutte le volte in cui gli era andato contro in quel giardino magico; poi Thorin sbuffò e rinfoderò la spada.

«Bene» disse, incrociando le braccia sul petto. «Cosa dobbiamo fare?»

«Ehm, noi due niente. E nemmeno loro» disse, indicando il quartetto davanti a loro: Edward aveva accettato subito di interrompere la lite, mentre Crowley adesso stava discutendo con Aziraphale. «È una cosa tra Nandor e Guillermo.»

Quei due non si erano avvicinati come tutti gli altri, ma erano rimasti nelle loro posizioni, Nandor gongolante come se avesse vinto lo scontro e Guillermo che spostava continuamente l’attenzione dal suo padrone all’erba sotto i suoi piedi. Sembrava molto agitato e Bilbo non poteva biasimarlo: sapeva bene quanto fosse difficile instaurare un rapporto con una persona testarda e irascibile, ma Guillermo avrebbe dovuto riuscirci e in fretta – era evidente che sarebbe scoppiata una lotta sanguinosa se lui, Stede e Aziraphale si fossero nuovamente allontanati dai loro compagni.

«Guillermo» lo chiamò e quando i loro sguardi si incrociarono gli sorrise, incoraggiante. «Coraggio, andate a parlargli. Andrà tutto bene.»

Guillermo deglutì a vuoto e annuì. Prese un profondo respiro e raggiunse Nandor.

«Quindi, noi siamo bloccati in Mahal sa dove perché quei due hanno dei problemi personali? Sul serio?» esclamò Thorin.

«È un po’ più complicato di così, ma sei sulla strada giusta. Ora possiamo solo aspettare.»

«Aspettare, certo.»

«Non… Non credo che siamo qui da tanto, sai?» disse, cercando di tranquillizzarlo, anche se lui stesso temeva che il Dì di Durin si stesse avvicinando sempre di più. «Insomma… Porteremo a termine la missione, Thorin. Te lo prometto.»

Era la promessa più sincera che avesse mai fatto, sebbene sapeva che sarebbe stata difficile da mantenere se non fossero usciti da lì in tempo. Ma, come aveva detto Stede, farsi prendere dallo sconforto non avrebbe giovato a nessuno.

«Vorrei avere la tua stessa fiducia, mastro Baggins» disse Thorin con un sospiro. Spostò lo sguardo verso Nandor e Guillermo, che stavano parlando a qualche metro di distanza. Sembrava una conversazione tranquilla e Bilbo si sentì rincuorare: forse il suo padrone non era così senza speranza come Guillermo credeva.

«Ehm, scusateci.» Stede e Edward si affiancarono a loro – il primo sorridente come sempre, il secondo con le braccia incrociate sul petto e un’espressione scocciata in viso. «Ed avrebbe una cosa da dire.»

L’uomo lo guardò storto per un momento, poi si focalizzò su Thorin. Bilbo gli si avvicinò, pronto a trattenere la sua mano nel caso avesse deciso di sguainare di nuovo Orcrist.

«Allora…» cominciò Edward, lanciando continue occhiate di sottecchi a Stede. «Volevo scusarmi per averti insultato e anche per aver cercato di infilzarti.»

Bilbo si era perso quella parte, ma era grato che le sue intenzioni non si fossero tramutate in realtà. Sarebbe stato difficile spiegare a Balin e gli altri nani come mai il loro re fosse morto.

Quando calò il silenzio, fu chiaro che Edward aspettasse una risposta da Thorin, che fortunatamente non tardò ad arrivare.

«Scuse accettate.»

Stede annuì, soddisfatto. E poi il silenzio calò di nuovo tra loro. Bilbo sollevò lo sguardo verso Stede, che indicò con la testa prima Thorin e poi Edward. Bilbo annuì.

«Ora dovresti scusarti tu» sussurrò all’orecchio del nano.

«Io? E per cosa?» sbottò lui, facendo sbuffare sonoramente Edward.

«Non hai forse cercato di infilzarlo pure tu?»

Thorin strinse le labbra. Sapeva che aveva ragione, ma non intendeva ammetterlo, cocciuto e orgoglioso com’era.

«Veramente volevo tagliarlo a metà» borbottò poi.

«Peggio ancora! Forza, scusati. L’hai già fatto una volta e non mi pare ti abbia ucciso, no?»

Thorin sbuffò. «Per te era diverso.» Poi sollevò lo sguardo verso Edward e annuì. «Mi scuso per il mio comportamento.»

Pronunciò quelle parole a denti stretti e senza sforzarsi più di tanto di mascherarne la falsità; ma almeno le aveva pronunciate.

«È il massimo che otterrete» bisbigliò Bilbo a Stede. L’uomo annuì, dandogli una pacca di conforto sulla spalla.

«Perfetto, scuse accettate» disse poi, nonostante Edward non sembrasse del tutto convinto. «Amici come prima. Anche con voi, giusto?» aggiunse, rivolto ad Aziraphale e Crowley che si stavano avvicinando proprio in quel momento.

«Oh, naturalmente. Vero, caro?» 

Crowley annuì. «Allora, quei due come stanno messi?» chiese, indicando Nandor e Guillermo.

«Sembrerebbe bene» disse Stede e Bilbo si trovò d’accordo: Nandor stava dando delle pacche impacciate sulla testa di Guillermo, che sembrava molto felice.

«Forse sono riusciti a risolvere» disse.

«Bene. Allora possiamo andarcene, adesso?» disse Thorin, ritrovando finalmente il buonumore.

«Possibile» commentò Aziraphale. «Oh, ehm, se non dovessimo rivederci…»

Bilbo non riuscì a sentire la fine della frase. Aziraphale svanì in una folata di vento, che stavolta non fece cadere Bilbo solo perché Thorin riuscì ad afferrarlo in tempo. Pochi secondi e tutto si calmò. 

Davanti a loro sorgeva la casa di Beorn, da cui Bilbo sentiva provenire il vociare dei nani. In lontananza poteva scorgere le montagne, oltre le quali si trovava Erebor. Erano tornati nel loro mondo.
 

🌰
 

Bilbo si guardò intorno, ma non c’era traccia degli umani che erano insieme a loro. Sperò che fossero tornati tutti a casa sani e salvi.

«Riuniamoci agli altri, forza.» Thorin non gli diede il tempo di elaborare la mancanza di quelle persone che aveva appena conosciuto. Lo prese per mano e corse dentro la casa, trascinandoselo dietro.

«Siamo tornati!» esclamò, fermandosi bruscamente oltre la soglia, tanto che per poco Bilbo non gli finì addosso.

«Sì, lo vediamo» disse Gandalf, che era seduto a capo tavola e stava accendendo la sua pipa. Bilbo scorse le facce dei nani: nessuno sembrava essere in allarme né tantomeno felice di rivederli. Non erano stati via per giorni, d’accordo, ma almeno mezza giornata sì. Possibile che non si fossero preoccupati della scomparsa del loro re?

«Non ci stavate cercando?» chiese Thorin, sorpreso quanto lui.

«Perché avremmo dovuto?» chiese Balin. «Eravate qua fuori.»

«Ma se siamo stati via per delle ore!»

«Ore? Bofur vi ha visti dalla finestra solo dieci minuti fa» disse Fili, con Bofur accanto che annuì in conferma.

Bilbo e Thorin si scambiarono uno sguardo incredulo. 

«Quindi…» disse Bilbo, a bassa voce, «Anche lo scorrere del tempo era diverso?»

Thorin guardò fuori dalla finestra. «Sembra di sì. Il sole è alla stessa altezza a cui era prima.»

«Sentitevi liberi di sparire per altre ore, senza problemi» disse Gandalf, alzandosi. «Dopotutto, il tempo scorre più in fretta quando si è felici.»

Lanciò loro uno sguardo divertito, che Bilbo non riuscì a spiegarsi. Scosse la testa e decise che era il caso di andare a riposare. Si sedette sul suo giaciglio con le ginocchia contro il petto e ripensò a quanto era appena accaduto; di tutte le avventure che aveva vissuto in quelle settimane, quella era stata di certo la più strana e dubitava che avrebbe affrontato di nuovo qualcosa di simile in futuro.

«Stai bene?» gli chiese Thorin, sedendosi accanto a lui.

Bilbo annuì.

«Sembra che avessimo molto tempo per stare là» commentò il nano, quasi distrattamente. «Sono passati sì e no pochi minuti.»

«Non potevamo saperlo.»

«Già.» Fissò il suo sguardo su di lui. «Quegli strani umani… Ti stavano piacendo, vero?»

Bilbo si guardò i piedi. «Non… Non sembravano male» disse, cercando di restare sul vago. «Spero che stiano bene.»

Thorin annuì, poi si lasciò sfuggire una risata. «È stata l’esperienza più assurda della mia vita. Sono felice di averla condivisa con te.»

Bilbo arrossì. Aveva sperato che Thorin lo trattasse gentilmente fin da quando avevano lasciato la Contea, eppure il modo in cui gli parlava in quegli ultimi giorni superava la cortesia. Era dolce e, se non avesse saputo che era impossibile, lo avrebbe considerato persino affettuoso. 

Decise di non rimuginarci troppo sopra, dopotutto lui e Thorin non sarebbero mai diventati un noi, quindi meglio focalizzarsi su altro: l’amicizia che stavano coltivando; la missione che non era stata compromessa; i suoi nuovi amici, ovunque si trovassero.

 

🎈

 

«Uh, che vento! Dunque, stavo dicendo che se non dovessimo rivederci, vi auguro tutto il meglio… Oh, ma dove siamo?»

«A casa, finalmente» rispose Crowley. «La mia bambina sta bene, grazie a Satana!»

Aziraphale si guardò intorno. Era seduto al lato passeggero della Bentley, ferma a un semaforo. Fuori dal finestrino, Londra scorreva viva intorno a loro.

«Oh, sì, siamo tornati.»

«Cos’è quel muso lungo? Volevi restare bloccato laggiù per sempre?»

«No, certo» rispose Aziraphale, che tuttavia non riusciva a sentirsi pienamente felice. «Però non ho potuto salutare i miei amici.»

«Ci avrai parlato per cinque minuti, che razza di amici sarebbero?»

Aziraphale si risentì per il suo scetticismo, sebbene non potesse biasimarlo: Crowley non era particolarmente portato a fare amicizia.

«C’era un bel feeling tra di noi» rispose. «Comunque mi spieghi perché oggi sei così nervoso? Sei praticamente intrattabile.»

«Perché ho prenotato al Ritz per cena e vorrei riuscire ad arrivarci!»

«Va bene, caro, ma andiamo una volta a settimana al Ritz. Se una sera lo saltiamo o arriviamo più tardi, non sarà certo la fine del mondo. Ovviamente in senso metaforico» aggiunse. Avevano gia sperimentato l’Apocalisse e non ci teneva a vivere di nuovo quell’esperienza.

Il semaforo divenne verde e Crowley schiacciò l’acceleratore, facendo schizzare la macchina lungo le vie della città. Aziraphale si tenne saldamente al sedile: quell’aspetto del loro mondo non gli era affatto mancato.

«Stasera è importante, Angelo» disse Crowley. «Oggi sono esattamente seimilasette anni che ci conosciamo. Mi sembra un’occasione da festeggiare, non credi?»

Aziraphale fissò Crowley a bocca aperta. Aveva completamente dimenticato quella ricorrenza – non che l’avessero mai festeggiata prima di allora. Il pensiero che il suo compagno la considerasse un’occasione importante gli scaldò il cuore. 

«Oh, Crowley! Sei davvero dolce.»

«Non sono dolce, non dirlo neanche per scherzo.» E per cercare di enfatizzare le sue parole, iniziò a guidare in modo ancora più spericolato. 

 

 

«Tutto bene?»

Stede impiegò qualche secondo ad accorgersi di Edward accanto a lui, che lo teneva per la vita per farlo stare dritto. 

«Oh, sì, sì. Ehm, cosa…» 

«Ehi, come avete fatto il trucco dell’invisibilità?» esclamò Roach. 

Stede lo guardò, sbattendo le palpebre per metterlo a fuoco. Era seduto sul ponte della Revenge insieme al resto dell’equipaggio e il suo volto era illuminato dalle torce che tenevano in mano. Lui e Ed erano seduti su due barili mentre la nave si muoveva nel mare calmo. 

«Siamo tornati!» disse Ed con un grande sorriso che Stede ricambiò. Si guardò attorno, ma degli altri non c’era traccia. Sperò che stessero bene. Avrebbe voluto conoscerli meglio, sembravano brave persone – soprattutto Aziraphale e Bilbo, anche se era certo che pure i loro compagni avessero belle qualità, solo più nascoste.

«Davvero, capitano, dovete dircelo!» disse Frenchie.

«Scusate, dirvi cosa?»

«Siete stati inghiottiti da un tornado?» chiese Buttons.

«Smettila con questa storia, i tornado non inghiottono nessuno» disse Black Pete.

«Certo che lo fanno. Non hai mai visto i loro denti aguzzi?»

«Mi sa che li confonde con gli squali» commentò Lucius, prima di concentrarsi direttamente su di loro. «Il fatto è che siete scomparsi nel nulla per un paio di minuti buoni. Non eravate mai svanito raccontando la storia del burattino vivo, capitano: è forse un’altra vostra modifica alla fiaba originale? Se volete che la trascriva, però, dovrete spiegarmela bene perché non ci ho capito un cazzo.»

«Un paio di minuti?» esclamò Stede, guardando preoccupato verso Ed. «A me erano sembrate ore.»

L’altro si strinse nelle spalle.

«Allora?» insistette Black Pete. «Come avete fatto a sparire?»

«È un’abilità da co-capitani» rispose Ed, facendo l’occhiolino a Stede. L’uomo non riuscì a trattenere una risatina. 

«Ha ragione» confermò. «Non è un’informazione che possiamo divulgare liberamente, mi dispiace.»

Un mormorio di proteste si levò dalla ciurma, ma la loro attenzione fu presto direzionata verso Buttons, che insisteva sulla teoria del tornado, supportato dal gabbiano Karl.

«È stata un’avventura assurda, non è vero?» esclamò Edward. I suoi occhi brillavano, Stede non ricordava di averlo mai visto così eccitato. «Dovremmo rifarlo!»

«Sarebbe bello» concordò lui, che adesso che aveva appurato l’assenza di pericoli concreti in quello strano giardino non avrebbe nemmeno più dovuto mascherare la sua preoccupazione. «Chissà, magari Nandor e Guillermo avranno ancora bisogno del nostro aiuto per fare pace e un giorno ci troveremo di nuovo tutti là.»

Ed storse la bocca. «Potremmo anche andare solo noi due. Un’avventura folle e nostra. Che ne pensi?»

Stede rise. Appoggiò la testa sulla sua spalla e sospirò, felice. «La trovo un’ottima idea.»

 

🦇

 

Guillermo assistette in silenzio alla conversazione tra i tre vampiri, pregando in cuor suo che decidessero di sbarazzarsi di quel libro di magia nera. Certo, la strana avventura che avevano vissuto aveva portato il suo rapporto con Nandor a un livello superiore, ma solo perché l’incantesimo di Laszlo non era stato un completo disastro non significava che fosse una buona idea usare la magia senza possederne un briciolo di conoscenza. Inoltre, per loro due era stato un bene, ma avevano comunque coinvolto persone estranee ai fatti, per quanto gentili e disponibili – due di loro sembravano addirittura usciti da Il signore degli anelli. Sperò che stessero bene e che fossero tornati a casa anche loro. Appena Nandor gli aveva confessato di volerlo al suo fianco per sempre, Guillermo aveva avvertito che l’incantesimo si stava spezzando. Avrebbe voluto salutare tutti, ma non aveva fatto in tempo e di questo era molto dispiaciuto.

Alla fine, Colin Robinson riuscì a farsi affidare il libro. Meglio in mano sua che di Laszlo, ma Guillermo avrebbe comunque preferito che quell’oggetto svanisse dalla loro casa – ancora meglio, dalla loro città. 

«È un peccato che non abbiano affidato a me la magia, Guillermo. Io avrei fatto grandi cose con quel libro» gli disse Nandor mentre lo aiutava a entrare nella sua bara.

«Siete un vampiro, padrone. La magia lasciatela alle streghe.»

La menzione di quelle creature fece storcere il naso a Nandor. 

«Siete comodo?» chiese Guillermo, quando il suo padrone si fu sdraiato. 

«Sì, comodissimo.»

«Bene. Allora buon riposo» lo salutò, ma prima che potesse chiudere la bara, Nandor lo afferrò per un braccio, tirandosi su di scatto. Evitò il suo sguardo mentre cercava le parole giuste, che Guillermo attese trepidante.

«Ti troverò qui quando mi sveglierò, vero?» chiese e la preoccupazione che avvertì nella sua voce lo fece sorridere.

«Naturalmente.»

«Bene. Non mi piace non sapere se troverò la tua stanza vuota o no. Sei il mio famiglio, quindi devi restare con me, chiaro?»

«Sì, me lo avete già detto» gli ricordò Guillermo, anche se nel giardino magico aveva usato termini più passionali per esprimere la stessa richiesta.

Nandor annuì. Gli diede un colpetto sulla testa e si sdraiò di nuovo.

«Bene. Ora puoi andare.» 

Guillermo rimase fermo. Tentennò per qualche momento, poi decise di tentare. «Sapete, quando due persone si vogliono bene, si salutano con un bacio prima di andare a dormire.» E si indicò la fronte, per far capire che voleva averne uno.

«Non allargarti troppo, Guillermo. Chiudi la bara e vattene a fare qualunque attività noiosa tu faccia quando non ci sono io.»

Guillermo si strinse nelle spalle. «Come volete. Penso che come attività noiosa andrò a fare le valigie e tornerò da mia madre. Non mi vede mai e lei sì che apprezza la mia presenza.»

Nandor sbuffò. «Oh, insomma! Io volevo solo dormire. Perché devi sempre rendere tutto complicato?»

«Non mi sembra tanto complicato.»

Si guardarono in silenzio per alcuni secondi. Guillermo sapeva di stare chiedendo tanto, ma era stato Nandor stesso a dirgli che gli avrebbe dimostrato i suoi sentimenti più spesso in futuro. E infatti lo fece. Lo afferrò per il bavero della camicia e lo tirò dentro la bara, schioccandogli un bacio sulla bocca. Quando lo lasciò andare, per poco Guillermo non cadde a terra.

«Bacio dato, contento? Forza, ora fai il bravo e chiudi la bara.»

Guillermo obbedì. 

Rimase immobile con le mani posate sul legno per parecchi minuti, assorbendo il sapore di Nandor sulle sue labbra. Alla fine sorrise: non era il bacio che intendeva, ma non si sarebbe certo lamentato. 

 


 
   
 
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