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Autore: evil 65    29/10/2022    7 recensioni
La guerra per il destino della Terra di Mezzo è cominciata.
A vent’anni dalla creazione dei primi Anelli, Sauron ha dato il via ad una guerra di logoramento contro il popolo degli Elfi, distruggendo Eregiorn e costringendoli a rintanarsi nelle regioni del Lindon.
Malgrado i suoi migliori sforzi, Galadriel non riesce a contrastare l’ondata di morte che ha colpito il Regno. Tutto sembra ormai perduto… almeno fino a quando l’Oscuro Signore in persona non le propone un insolito accordo…
(Post Gli Anelli del Potere – Episodio 8)
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Galadriel, Sauron
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ebbene sì, ho deciso di farlo. Mi butto in una long con protagonisti l’Oscuro Signore e la Dama della Luce, ripartendo qualche anno dopo l’ottavo episodio della serie “Gli Anelli del Potere”.
Per motivi di trama – e conformità alla suddetta opera live action - modificherò alcuni eventi del canone letterario (aka Il Silmarillion) e ne integrerò altri, pur mantenendo intatti gli elementi fondamentali di questo meraviglioso universo. In poche parole, non aspettatevi fedeltà assoluta… anche perché la trama di questa storia si basa su una svolta narrativa di mia invenzione.
Detto questo, vi auguro una buona lettura! Ogni commento è apprezzato. 




Prologo

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Lacrime di Elfi nella neve caduta. Fiocchi pallidi si posarono delicatamente sul terreno fangoso, mescolandosi con il sangue dei soldati morenti e dipingendo la pianura di motivi scarlatti.
Era una mattina fredda quella che si levò quel giorno nel Lindon, in quello che sarebbe stato ricordato come uno dei giorni più cupi della sua storia millenaria.
Galadriel chiuse gli occhi, cercando di frenare l’ondata di ricordi che una simile visione le riportò alla mente. Memorie di un passato vecchio di secoli, quando aveva guidato interi eserciti contro le forze di Morgoth in persona, conducendoli al massacro.
Ora, più di mille anni dopo, la storia sembrava ripetersi davanti ai suoi occhi. Il concretizzarsi delle paure che l’avevano accompagnata dalla fine della Guerra dell’Ira, quando aveva fatto voto di trovare e uccidere il responsabile di tutta questa morte: Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor.
Il nome del Maia caduto risuonò nella sua testa come un eruzione vulcanica, tanto potente da farla vacillare.
“Cosa faranno…” le aveva sibilato, occhi infidi come quelli di un serpente “Quando scopriranno che Sauron vive… per causa tua?!”
“Tu morirai per causa mia!” aveva urlato lei. E piena di rabbia, aveva cercato di onorare il suo voto un’ultima volta, fallendo miseramente. E ora, il peso di quel fallimento gravava su di lei quanto le conseguenze del suo rifiuto.
Non potè fare a meno di domandarsi… tutta questa sofferenza era colpa sua? Perché si era rifiutata di sottostare alle macchinazioni del Maia caduto, quando egli le aveva offerto la possibilità di unirsi a lui? Di governare al suo fianco?
“Tu mi leghi alla luce, io ti lego al potere” le aveva detto, su quella stessa zattera in cui si erano incontrati faccia a faccia per la prima volta “Io solo vedo la tua grandezza. Io solo… vedo la tua luce.”
“Faresti di me una tiranna?”
aveva chiesto lei, con tono di sfida. Ma anziché mostrare esitazione o rabbia, lui le aveva risposto dolcemente con parole che negli anni successivi avevano continuato a tormentarla.
“ No… farei di te una regina. Bella come il sole, più forte delle fondamenta della Terra.”
E lei lo aveva rifiutato, scatenando la sua ira latente.
Nel giro di un anno, l’Oscuro Signore era riuscito  a riprendere il controllo delle Terre del Sud nel loro insieme, spodestando il suo servo ribelle e assoggettando gli Orchi di Mordor. E con altrettanta rapidità, aveva riversato le sue forze sull’Eregiorn, riducendolo ad una landa desolata e ricolma di cadaveri, tutto per recuperare gli stessi anelli che aveva contribuito a realizzare. Ora, sembrava che quella sorte sarebbe toccata anche al Lindon… ma la forza combinata degli Elfi continuava a resistere, e negli ultimi mesi erano riusciti a guadagnare terreno contro gli Orchi, portando ad una situazione di stallo.
“Ma per quanto ancora?” pensò Galadriel, cupamente, mentre il suo sguardo spaziava sui resti della guarnigione.
Dopo la fuga di Sauron, i mesi di pace che si erano susseguiti avevano fatto maturare in lei il desiderio di ritirarsi ad una vita tranquilla e lontana dal campo di battaglia… almeno fino alle voci dei primi assalti, quando gruppi di Elfi erano stati uccisi durante le loro traversate della Terra di Mezzo. Solo il primo, piccolo sasso di una frana che si era riversata su di loro prima ancora che potessero pensare a delle contromisure adeguate.
La quiete successiva alla sconfitta di Morgoth aveva reso gli Eldar incauti e compiacenti, proprio come Galadriel aveva sempre temuto. E nel momento del loro compiacimento, Sauron era stato abbastanza furbo da sfruttare tale debolezza a proprio vantaggio.
In groppa al suo pallido destriero, la Dama Nolde continuò a muoversi in mezzo al campo di battaglia, cercando di imprimere nella sua mente i volti di tutti coloro che avevano perso la vita nell’ultimo scontro. Erano a decine, con gli occhi spalancati in urla silenziose e i corpi sommersi dal sangue nero dei loro nemici, il cui aspetto grottesco non si era certo attenuato dopo la ricomparsa del loro vecchio padrone.
All’improvviso, un movimento in mezzo alla neve richiamò la sua attenzione. Un sussulto proveniente da uno di quei corpi, a cui seguì uno spruzzo di sangue.
Senza perdere tempo, Galadriel scese da cavallo e corse fino all’elfo moribondo, inginocchiandosi di fronte a lui.
<< Non sforzarti, soldato >> gli sussurrò in Sindarin, mentre gli porgeva una casacca in pelle di cervo << I soccorsi stanno per arrivare. >>
Ma l’elfo scosse la testa, rifiutando l’acqua offerta.
<< Temo che non arriveranno in tempo, mia signora  >> disse con voce flebile  << Sono stato colpito gravemente. Non riesco più a sentire il resto del corpo. >>
Lo sguardo di Galadriel spaziò verso il basso… e lì vi rimase bloccato, una volta scorto l’enorme buco vermiglio tra il costato e lo stomaco, più grande del manico di una lancia.
Chiuse gli occhi e imprecò una maledizione elfica. Un altro dei suoi soldati che non era riuscito a salvare… un altro membro del suo popolo che aveva trascinato in questa guerra per il proprio orgoglio.
“Smettila” rimproverò se stessa “Non sarebbe cambiato nulla. Con me al suo fianco, sarebbe diventato inarrestabile…”
Oppure, sarebbe riuscita a guidarlo verso un cammino più pacifico, lontano dalle sue idee tiranne.
Scosse la testa.
Sauron era una creatura malvagia e crudele, spinta unicamente dal desiderio di imporre la propria volontà sugli altri. Niente e nessuno sarebbe mai riuscito a cambiare la sua natura, non dopo che Morgoth aveva fatto un lavoro così eccellente nel deturparla.
<< Se possibile, mia signora… >> sussurrò il caduto, riportandola alla realtà << vorrei fare una richiesta. >>
Galadriel annuì lentamente. << Se è in mio potere, farò del mio meglio per soddisfarla. >>
<< Ponete fine al dolore. >>
Il cuore della Nolde mancò un battito.
Non le serviva essere una lettrice di mente per comprendere il significato dietro alle parole dell’Elfo. Lui… voleva che lei lo uccidesse prima della ferita.
<< Io… >>
Si fermò, incapace di parlare oltre.
Aveva già così tanto sangue elfico sulle mani. Come poteva aggiungere un’altra anima alla propria conta?
<< Io… non posso. >>
<< Per favore >> sussurrò il soldato << Non lasciatemi qui a morire da solo. >>
<< Non sarai solo >> disse lei, afferrandogli rapidamente una mano << Resterò con te fino alla fine. Te lo prometto. >>
E così fece, mentre osservava calde lacrime discendere dagli occhi dell’Elfo. E fu così che venne trovata dal resto della guarnigione, inginocchiata sulla neve fangosa, con le mani strette attorno alle dita di un cadavere.
<< Galadriel >> disse una voce familiare sopra di lei.
Alzando appena lo sguardo, gli occhi celesti della Dama incontrarono quelli caldi e preoccupati di un Elfo che non pensava avrebbe più rivisto, non dopo che aveva passato così tanti anni a chiedersi se fosse perito sul campo di battaglia: Celeborn, suo marito, il cui ritorno dalle terre dell’Est aveva rappresentato l’unico evento lieto negli ultimi vent’anni di conflitti.
<< Perché sei ancora qui? >> le chiese, posandole una mano confortante sulla schiena.
Galadriel lanciò una rapida occhiata verso il cadavere del caduto.
<< Devo aiutare a identificare i corpi >> sussurrò, mentre si rialzava lentamente in piedi, quasi fosse pronta a crollare da un momento all’altro.
Celeborn le offrì un triste sorriso. << Ce ne occuperemo noi… >>
<< La mia presenza renderà il tutto molto più semplice >> lo interruppe lei, bruscamente << Conosco molti di loro dalla nascita… >>
<< Galadriel! >>
La Dama sussultò, mentre il marito le posava ambe le mani sulle spalle.
<< Sei ferita >> disse, duramente << E devi riposare. Sono giorni che non mangi e non dormi. >>
Galadriel abbassò lo sguardo sul suolo ricoperto di neve, lo stomaco avvolto da una stretta spiacevole.
<< Ma io… >>
<< Un guerriero non può vivere solo di battaglie >> disse Celeborn, stancamente << Cibo e riposo sono essenziali quanto l’aria che respira. Vale per uomini, nani e orchi, e così anche per gli Eldar… te compresa. >>
La dama fece per controbattere, ma egli sollevò una mano per stroncare la protesta sul nascere.
<< Nessuno ti giudicherà, se sceglierai di tornare nel Lindon. Te lo prometto >> aggiunse, forse in un vano tentativo di sanare i suoi dubbi.
Ma per quanto la Nolde volesse restare, sapeva anche che di questo passo non avrebbe fatto altro che accrescere il malcontento della guarnigione e creare potenziali dissapori. Qualcosa che al momento non potevano permettersi.
<< Va bene >> cedette, per quanto detestasse l’idea di abbandonare la prima linea.
Celeborn sorrise e le baciò la guancia.
<< Ci rivedremo al sorgere della prossima luna >> disse, e Galadriel gli rivolse un debole sorriso.
Dopo tanti anni in cui erano stati separati, le manifestazioni d’affetto del marito si erano tramutate in una sensazione aliena e sconosciuta, ma non sgradita. Solo… bizzarra.
Con un balzo, la Dama risalì sul cavallo e cominciò a galoppare verso il Lindon… inconsapevole che qualcuno l’aveva osservata dai confini del campo di battaglia da quando vi aveva messo piede.

                                                                                               * * *

La fortezza di Dol Guldur sorgeva nelle profondità meridionali del Bosco Fronzuto, una cupa struttura in pietra nera che gettava un’ombra su tutto ciò che osava mettere piede nel grande accampamento di Orchi e Goblin edificato attorno ad essa.
Era stata costruita meno di cinque anni prima come base strategica per la guerra, e le conseguenze della sua realizzazione gravavano ancora sugli abitanti della foresta. Alberi, animali… tutti gli esseri viventi di quei boschi si erano allontanati il più possibile dalla struttura, quasi fossero consapevoli della malvagità che l’aveva edificata.
L’Orco ricoperto di fango e foglie  zampettò lungo le scale della torre principale ed entrò in tutta fretta nella Sala della Guerra, ove una figura imponente e corazzata era impegnata a leggere delle carte ammuffite.
L’inchino dell’Uruk fu rapido e sottomesso.
<< Sono tornato, mio signore. >>
<< Sì, questo lo vedo >> rispose una voce oscura e cavernosa. Bassa, eppure così potente da risuonare per tutta la struttura, come se la nuda pietra fosse nient’altro che una propagazione del suo stesso essere.
L’immensa figura volse un paio di orbite infuocate verso di lui.
<< Era lì? >>
<< Sì, Mio Signore >> fu la pronta risposta dell’orco << L’Elfo femmina era sul campo di battaglia. >>
Non avrebbe osato nominarla ad alta voce. Non dopo ciò che il suo signore aveva riservato all’ultimo orco che aveva “macchiato” la purezza della Dama Nolde con la sua “sporca lingua”.
Sauron ronzò soddisfatto e camminò fino alla creatura.
<< E cosa faceva? >> chiese, con tono colmo d’anticipazione.
L’Uruk tenne bassa la testa, troppo spaventato anche solo per poter deglutire.
<< Piangeva, mio signore >> disse << Per la perdita dei suoi soldati. >>
Il Maia rimase in silenzio, contemplando le parole del suo servo. Poi, con una delicatezza insolita per un essere della sua stazza, accarezzò la sua testa rugosa.
<< Portami un messaggero >> ordinò, più dolcemente di quanto l’Orco l’avesse mai udito << Ho come la sensazione che i tempi siano finalmente maturi per un negoziato... >>
  
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