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Autore: Knight_7    30/10/2022    1 recensioni
Nella mia mente ho sempre paragonato il movimento del respiro a quello delle onde.
Forse perché il mare è il primo ricordo che ho, oltre a una delle pochissime immagini nitide che conservo dei miei primi anni di vita.
L’oceano riempiva ogni mio pensiero all’epoca, perciò non mi sorprende che abbia finito per spazzare via tutto il resto nella mia memoria.
Ora che sono cresciuta è tutto diverso, certo…
Anche se ultimamente ho scoperto che l’immagine delle onde mi aiuta a inspirare ed espirare lentamente quando nel cuore della notte vengo svegliata dagli attacchi di panico.
Ma questo è successo dopo.
Molto dopo.
E forse per evitare che anche l’ultimo briciolo di sanità mentale che mi resta venga sommerso dalla marea, meglio ricordare tutto dall’inizio.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarisse La Rue, Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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La salita fu atroce.
 
Fu come precipitare in caduta libera, però verso l’alto.
Non ho idea di come il mio corpo sia riuscito a non sfracellarsi sotto il peso della velocità micidiale con cui venni rispedita sulla Terra dal mondo dei morti.
Certamente sarei morta d’infarto per il terrore, se non mi fossi ritrovata a stringere un paio di braccia per tutta l’interminabile durata dell’ascesa nell’oscurità.
 
E poi, all’improvviso, esplose una luce talmente accecante da ferirmi gli occhi anche con le palpebre serrate.
Ansimai con affanno, aggrappandomi a quel paio di braccia che non avevo smesso di stringere e iniziai a sbattere le palpebre, nel tentativo di abituarmi alla luce.
 
“Melody”
 
Sussultai al suono della sua voce e mi forzai a spalancare gli occhi in un doloroso impeto.
 
Mia madre era finalmente lì, davanti a me. Stringevo ancora le sue braccia e lei stringeva le mie, come avevamo fatto per tutto il tempo di quella salita infernale.
 
“Ma-mamma” balbettai, incredula, poco prima di scoppiare in lacrime.
 
Le gettai le braccia al collo e affondai il viso tra i suoi capelli, mentre lei mi strinse forte, accarezzandomi la schiena e sussurrandomi parole di conforto che faticai a capire a causa del volume dei miei gemiti.
 
“M-mamma m-mi dis-dispiac…” i singhiozzi mi strozzavano la gola, impedendomi di completare la frase.
 
“Shhhh, Melody, shhh” mormorava dolcemente lei, con le labbra premute sul mio orecchio.
“Siamo a casa, tutte e due… Siamo a casa”
 
Si allontanò per prendermi il volto tra le mani e appoggiare la sua fronte alla mia; il suo viso, esausto e zuppo di lacrime, mi sembrò la cosa più bella del mondo.
 
“è tutto finito, siamo insieme ora”
 
Restammo in quella posizione per non so quanti minuti, aspettando di tranquillizzarci.
A un certo punto riuscii a prestare attenzione all’ambiente che ci circondava: eravamo nella cucina del nostro appartamento nell’Upper East Side e, a giudicare dalla calda luce che entrava dalle finestre, doveva essere mattino presto.
 
“Cosa è successo? Come siamo tornate qui?” domandò lei, guardandosi attorno spaesata.
 
“Percy” affermai, sorridendo “Ce l’ha fatta… Deve aver trovato il ladro, la folgore e l’elmo… E ci ha salvate”
 
“Dove sarà adesso?” chiese con evidente preoccupazione.
 
“Sarà qui presto, me lo sento” risi, piena di orgoglio per il mio fratellino, che aveva appena salvato il mondo.
“Stai bene mamma? Ricordi cosa è successo?” le domandai, chiedendomi quanto la permanenza nell’Ade avesse influito su di lei.
 
“Io... si, penso di ricordare più o meno tutto” replicò lei, corrugando la fronte nello sforzo di elaborare i ricordi “Siamo scappati da Montauk per raggiungere il Campo ma… il Minotauro ci ha raggiunti e poi…”
Scosse la testa, senza riuscire a proseguire. Capii che rievocare il dopo fosse troppo per lei.
 
“Quanto arriverà Percy ti racconteremo ogni co…”
 
“CHE DIAMINE CI FATE VIVE NELLA MIA CUCINA?!”
 
Per alcuni istanti rimanemmo paralizzate per la sorpresa, poi mia mamma spostò lentamente il capo per guardare un punto alle mie spalle.
 
Sbuffai, senza avere dubbi su a chi appartenesse quella voce sgradevole.
 
Mi voltai e vidi uno sbalordito Gabe in piedi in mezzo al salotto, che ci guardava con bocca e occhi spalancati e l’immancabile lattina di birra in mano.
 
Mi domandai se io e mamma fossimo state troppo felici per accorgerci del suo ingresso nella stanza o se effettivamente Gabe fosse stato lì per tutto il tempo, troppo sconcertato dalla nostra inspiegabile apparizione per emettere un suono.
 
“T-tu… Oh, miseriaccia… I soldi dell’assicurazione sulla vita…” bofonchiò, genuinamente afflitto “Dovrò restituirli tutti… Tu dovresti essere morta!!” Esclamò con foga, massaggiandosi la testa.
 
Poi i suoi minuscoli occhi si spostarono su di me e la sua espressione affranta si fece ostile.
 
“E lei lo sarà presto, se non la cacci immediatamente da casa mia!” sbraitò, sputacchiando in ogni dove.
 
“Qualcuno deve essere cacciato, Gabe, hai proprio ragione” replicai in tono minaccioso, dirigendomi in salotto a grandi falcate.
 
“NON STO SCHERZANDO, SALLY!” esclamò Gabe, sussultando di paura, mentre mi avvicinavo pericolosamente “La voglio fuori di qui prima che arrivino i miei amici!”
 
“Tesoro” la mano di mia madre mi strinse un gomito con delicatezza, ma saldamente “Ti prego, non c’è bisogno di…”
 
“Tieni questa strega psicopatica lontano da me! Non voglio mai più rivedere le facce dei tuoi piccoli sgorbi. Sono stato fin troppo buono a crescere quel disgraziato buono a nulla per anni, e guarda come sono stato ripagato!”
 
“Di’ un’altra parola sua mio fratello e per uscire da questa casa userai la finestra!”
 
“Melody, andiamo in camera… adesso”
Scoprii in mia madre una forza che ignoravo quando mi trascinò fuori dal salotto, mentre io e Gabe ci urlavamo addosso insulti a vicenda.
 
Quando chiuse a chiave la porta della mia camera e si voltò verso di me con il viso stravolto, mi aspettai una ramanzina, così mi misi sulla difensiva:
 
“Basta, mamma, non ho più intenzione di ignorare tutto questo! Quel viscido bastardo deve fare le valigie in giornata, non ci sono più scuse che reggano ormai. Vedrai quando arriverà Percy…”
 
“Né tu, né Percy vi immischierete in questa faccenda” replicò lei con gelida fermezza “Sono io che ho scelto di sposarlo, io che l’ho fatto entrare nelle nostre vite… è responsabilità mia ed è giusto che mi occupi io di lui”
 
“Ma…” tentai di ribattere, tremando di rabbia: morivo dalla voglia di sbattere quell’energumeno fuori dalle nostre vite.
 
“Non voglio parlare di Gabe, Melody!” proruppe lei, sollevando le braccia “Sono stata prigioniera del Dio dei morti per giorni, ho avuto incubi terribili per tutto il tempo… Ho visto te e Percy…” la sua voce si ruppe e i suoi occhi si velarono “Ti prego… Ho solo bisogno di mia figlia in questo momento”
 
Si nascose il volto tra le dita ed emise un singhiozzo, facendomi sciogliere il cuore.
Capii che era arrivato il momento di mantenere la promessa che mi era fatta quando mi ero promessa di riportarla a casa: quella di amarla e rispettarla in ogni momento.
 
La canzoncina che emise la mia conchiglia mi parse più dolce del solito.
 
“Sono qui, mamma”
 
 
 
Dopo esserci sedute sul letto di Percy e aver versato qualche fiume di lacrime, aggiornai mia madre su tutto ciò che si era persa.
 
“E se Percy fosse ancora nei guai? Se Zeus avesse…” balbettò lei, alla fine del racconto.
 
“Sta bene, ne sono certa” La interruppi “Ha sconfitto il ladro, trovato la folgore e l’ha riportata sull’Olimpo. Se così non fosse, nessuna di noi due si troverebbe qui sana e salva… Dall’Empire State Building a qui saranno una decina di isolati. Massimo un’ora e sarà alla porta”
 
Lo affermai con tutta la convinzione di cui ero capace. Semplicemente doveva essere così. La mia mente non tollerava altre opzioni.
 
“Il mio bambino…” disse lei con dolcezza, tirando su con il naso.
 
“È il moccioso più coraggioso e sfrontato che si sia visto negli ultimi secoli” replicai, sorridendo con orgoglio, guardano lo skateboard scassato che giaceva nell’angolo della camera e le cartine delle caramelle che mamma aveva portato a casa dal lavoro sparse sulla scrivania.  
 
“A proposito di persone coraggiose e sfrontate” continuò lei, cercando il mio sguardo e poggiando il palmo sul mio ginocchio “Non avresti dovuto consegnarti ad Ade. È stato incosciente e insensato… La tortura peggiore è stata quella di infliggerti ciò che ha inflitto a me” disse, rabbrividendo al ricordo degli incubi.
 
Pensai a quanto avesse ragione; era stato un gesto insensato, completamente inutile anche. Ade aveva già un ostaggio e alla nostra causa non giovava di certo fornirgliene un altro. La verità era che mi ero consegnata ad Ade semplicemente perché non tolleravo il pensiero di abbandonarla per l’ennesima volta.
 
“Su questo posso rincuorarti…”
 
E le raccontai della perla che mi aveva portato l’orca, un evidente dono di Poseidone, di come stringerla tra le mani mi fosse sembrata una buona idea nel momento in cui Ade mi aveva incatenata, e soprattutto della bellissima visione che mi aveva regalato.
 
Mia madre arrossì “Ho sempre saputo che teneva a te, sai… e che  avrebbe aiutato te e Pery quando più ne avreste avuto bisogno”
 
“Non sei mai stata arrabbiata con lui?” Era una domanda che mi era sempre ronzata in testa, ma non avevo mai trovato il modo di chiederglielo “Si, insomma… Per averti abbandonata per ben due volte?”
 
Volse lo sguardo verso il cielo grigio di Manhattan che si stagliava oltre la finestra, scrutando chissà quali ricordi.
 
“Ho sempre saputo chi era, i suoi doveri e la sua natura. Non ho sognato nemmeno per un istante che saremmo rimasti insieme”
 
Mi sorprese quanto mi ferirono quelle parole.
 
“Ma gli sarò per sempre grata per avermi dato voi due”
 
“Lui non ti ha dato un bel niente, mamma. Io e Percy siamo qui solo per merito tuo”
 
Sorrise, passandomi una mano tra i capelli.
 
“Non hai mai voluto parlare di lui” disse, pensierosa.
 
“Solo perché non c’è molto da dire…” mi interruppi e sospirai, imponendomi di essere sincera “… O forse perché parlare di lui è come parlare delle parti di me che meno mi piacciono…”
 
Aspettai, nella speranza che replicasse qualcosa, ma rimase in silenzio. Voleva che continuassi.
 
“Io so che non sono…” la mia voce si ruppe, ma mi obbligai a ignorare quanto patetica suonasse la mia voce spezzata dal magone e proseguii:
“So di non essere docile, so che a volte mi comporto male e parlo senza riflettere… Con te più che con tutti… è una cosa che mi ha sempre fatto stare male, ma che non sono mai riuscita a controllare.
Ma ti giuro che ci lavoro… Io ci sto lavorando e ci lavorerò fino a che non…”
 
Feci una pausa per riprendere fiato e asciugarmi le guance bagnate.
 
“Tesoro” Mi prense il volto tra le mani e appoggiò la sua fronte alla mia, aspettando che mi calmassi.
“Tu sei la donna più coraggiosa, audace e determinata che io conosca. Non hai idea di quanto mi renda fiera il tuo carattere così forte” calcò la voce sull’ultima parola e serrò la presa sul mio volto.
 
“Poseidone aveva ragione quando mi ha descritto il tuo temperamento, quella volta sulla spiaggia. E sono certa che questo lo ha reso orgoglioso tanto quanto me.
Ma aveva ragione anche sul fatto che la tua è sia una virtù che una debolezza… La tua forza ti ha tenuta in vita fino ad adesso, ma rischia anche di farti perdere ciò che hai di più caro”
 
Allontanò il viso dal mio e prese le mie mani tra le sue.
 
“Sai, a volte è solo questione di prendere un respiro profondo… Valutare la situazione e capire dove è meglio incanalare le proprie emozioni…”
 
Respirare, valutare, incanalare.
Detta così sembrava un gioco da ragazzi.
 
“Magari quando a settembre tornerai a casa potremo… non so, parlarne con qualcuno…. Qualcuno che si occupa di questo genere di cose…” avanzò la proposta con insicurezza, visibilmente preoccupata di come l’avrei presa.
 
Soffocai una risata.
“Dici che a Manhattan ci sarà qualche psicoterapeuta specializzato in rapporti familiari complicati per chi ha vissuto esperienze di pre-morte?”
 
Ridacchiammo con gli occhi pieni di lacrime.
“E non ci sarà bisogno di aspettare settembre” proseguii “è da un secolo che non passo l’estate a New York”
 
Gli occhi di mia madre si illuminarono quando realizzò cosa volevo dirle.
 
“Oh, Melody… Staremo benissimo, vedrai. Ho un po’ di ferie da parte, potremo stare un po’ insieme, fare qualche gita, vedere la tua nuova scuola, tornare a Montauk per qualche giorno… Magari potremo iniziare a fare qualche guida…Ti piacerebbe prendere la patente?”
 
Le strinsi forte le dita della mano.
 
“A una sola condizione: io e te, mamma. E basta.”
 
Neanche a farlo apposta, si sentì la porta di ingresso spalancarsi e un intenso vociare si riversò nel salotto: era arrivato il club del gioco d’azzardo.
 
L’espressione di mamma si incupì: l’entusiasmo le aveva fatto dimenticare il puzzolente problema di 100 kili seduto in salotto a giocare a poker con i suoi amici cafoni.
 
“Si. Hai ragione, è arrivato il momento. Ma promettimi che non ti intrometterai. Io lascio che tu e tuo fratello combattiate le vostre battaglie senza lamentarmi. Questa è la mia”
 
La fissai a lungo, mordendomi il labbro, contrariata.
Infine sospirai, accettando la sua decisione.
 
“Posso almeno sbattere fuori l’allegra combriccola di disoccupati fannulloni che si giocano lo stipendio delle mogli a poker?”
 
Fu il suo turno di sospirare e arrendersi.
 
“Concesso” replicò con un mezzo sorriso “Ma cerca di non distruggermi casa”
 
Mi alzai, dirigendomi verso la porta.
 
“Melody” mi chiamò proprio quando appoggiai la mano sulla maniglia, facendomi voltare a guardarla.
“Ti voglio bene. E te ne vogliono tanto anche Percy, tuo padre, Chirone, Luke, Clarisse…Tutti noi ti conosciamo e facciamo in modo di amare anche quelle cose di te che tu odi tanto”
 
Un’ondata di sollievo mi avvolse in un caldo abbraccio e per la prima volta i miei difetti non mi parsero una motivazione valida per odiarmi così tanto.
 
“Anche io ti voglio bene, mamma. Grazie”
 
Cacciai indietro le lacrime e respirai profondamente a occhi chiusi, mentre la melodia della mia conchiglia cominciava a riecheggiare per la stanza.
Ma si interruppe pochi istanti dopo, quando spalancai la porta con forza e urlai:
 
“OKAY, GENTE, IL CLUB DEL POKER PER ASPIRANTI SENZATETTO CHIUDE PER SEMPRE! FUORI DAI PIEDI!!”
 
 
 
Quando Percy spalancò la porta dell’appartamento si trovò davanti a una scena alquanto bizzarra:
sul pavimento del salotto giacevano carte e gettoni da poker, lattine di birra versata e un tavolo rovesciato (colpa mia, mi era servito da incentivo per persuadere gli amici di Gabe a darsela a gambe).
 
Intanto, Gabe e mamma discutevano animatamente al centro della sala, mentre io me ne stavo in un angolo, appoggiata alla parete e in silenzio, cercando di trattenermi dal scagliare un altro mobile contro la figura di Gabe.
 
Ma non appena mio fratello fece la sua entrata, sia io che mamma ci dimenticammo di tutto e corremmo ad abbracciarlo.
 
“Percy! Oh, grazie al Cielo… Oh, il mio bambino” singhiozzava la mamma, piangendo di gioia.
 
“Sapevo che ce l’avresti fatta” gli dissi, mentre veniva stritolato dalle braccia di nostra madre “Hai salvato tutti quanti… Noi, il Campo, l’Olimpo…”
 
“Mi importa solo che voi siate a casa” rispose lui, sciogliendo l’abbraccio con mamma e prendendoci le mani “Ho avuto paura di avervi perso entrambe”
 
“Hai il coraggio di presentarti qui, teppistello” gracidò Gabe, avvicinandosi con fare intimidatorio “Prendimi il telefono, Sally, chiamo la polizia!”
 
“Gabe, no!” esclamò mamma, protendendosi verso di lui.
 
Rividi qualcosa di Ade nello sguardo perfido di Gabe, quando alzò minacciosamente una mano su mia madre, facendola sussultare.
 
Il mio cervello andò in black out e dimenticò tutto il bel discorsone fatto con mamma appena una mezz’oretta prima.
 
Mi lanciai in avanti, scansai mia madre e afferrai il polso della mano alzata di Gabe, poi, prima ancora che lui si rendesse conto di cosa stava accadendo, lo feci girare su se stesso e  piegare a novanta sullo schienale del divano, torcendogli il braccio sulla schiena.
Lui gemette in un misto di rabbia e spavento.
 
“Meglio se questo braccio non lo alzi per un po’ ” sibilai con odio al suo orecchio, iniziando a poggiare gradualmente il mio peso sul braccio piegato.
 
Quando sentii l’osso del gomito tremare per lo sforzo, i suoi gemiti si trasformarono in uno strillo di dolore, ma sapevo che non mi sarei fermata.
 
“MELODY”
 
La voce severa di mamma distolse la mia concentrazione.
Alzai lo sguardo su di lei; stringeva i pugni e mi fissava con espressione carica di rimprovero.
 
Ripensai a cosa mi aveva detto poco prima, riguardo al fatto che Gabe fosse una sua battaglia.
Quel verme l’aveva schiavizzata, umiliata, addirittura picchiata e solo gli Dei sapevano cos’altro…
Capii che vendicarsi di lui era una questione di… dignità. E io le stavo togliendo quel diritto.
 
Tutavia, ricambiai il suo sguardo con determinata ostinatezza. Per quanto comprendessi il suo pensiero, non c’era modo di sopprimere l’odio che stavo provando e di fermarmi.
Non esisteva.
 
Ma poi passò un secondo… Due, tre, quattro.
 
Respirare, valutare, incanalare.
 
Serrai la mascella e abbassai lo sguardo su Gabe, che strepitava e si dimenava inutilmente sotto la mia presa.
 
Esalai un respiro a pieni polmoni e serrai gli occhi, prima di fare un passo indietro.
 
Mollata la presa, Gabe si raddrizzò e prese a massaggiarsi il braccio, trapassandomi con lo sguardo da parte a parte. Ma, ovviamente, non accennò a volersi vendicare; aveva appena avuto la prova che contro di me non ci sarebbe stata storia.
 
Balbettò qualcosa di poco chiaro a proposito della polizia e qualche parolaccia che preferisco non riportare, prima di defilarsi velocemente in camera da letto.
 
Voltandomi, vidi che Percy aveva un’espressione sorpresa ma priva di biasimo; probabilmente non gli sarebbe dispiaciuto vedermi completare la performance.
Mi aspettai che sul viso di mamma persistesse lo sguardo di rimprovero che mi aveva rifilato prima, ma con sorpresa vidi un sorriso stanco illuminarle il volto.
 
“Sei stata brava, Melody. Sono fiera di te”
 
Scombussolata, cercai di ricambiare il sorriso. Ancora non potevo credere di esserci riuscita realmente.
E ancora di meno riuscivo a credere che stessi provando una sensazione di sollievo per non aver spezzato un osso a Gabe Ugugliano.
 
Improvvisamente, con un sonoro “PUF” e un breve lampo di luce, un pacco malconcio si materializzò sul divano.
 
“Ehm…” Esordì Percy, davanti alle facce sbigottite di me e mamma “Forse ho la soluzione al nostro problema”
 
 
 
Mentre lasciavamo che mamma prendesse la sua decisione, io e Percy scavalcammo la finestra della camera da letto per uscire sulle scale antincendio.
Da piccoli era il nostro posto preferito: la sera ci sedevamo spesso sugli scalini ad osservare i passanti, il traffico e i lampioni che iniziavano a illuminarsi.
“Secondo te la userà?” domandò lui, quando ci fummo accomodati fianco a fianco.
 
“Mi auguro di si… Divorziare in modo civile dagli ubriaconi violenti non è un’impresa semplice”
 
Riuscivamo a distinguere un vociare acceso proveniente dall’interno dell’appartamento, segno che mamma stava finalmente affrontando Gabe da sola.
Mi costava un certo sforzo starmene lì seduta ad ammirare la strada, tentando di ignorare ciò che stava accadendo in casa, perciò cercai di concentrarmi su Percy.
 
“Com’era l’Olimpo?” domandai, torcendomi le mani dal nervosismo.
 
Percy sospirò “Non saprei descriverlo con nessuna parola che conosco…”
 
“Hai visto nostro padre?”
 
Il suo sguardo si perse nel vuoto.
 
“Si, c’era anche lui. Abbiamo scambiato due parole ma niente di che… Credo che nessuno dei due si sia fatto un’idea precisa sull’altro”
 
“Gli hai fatto un gran favore ripristinando il suo onore. Sono sicura che lui abbia capito bene che tipo di eroe sei”


Lui annuì, senza commentare, e capii che non aveva voglia di continuare con l’argomento.
 
“Anche tu sei stata davvero grande. Scendere con noi negli Inferi, salvare Grover, sacrificarti per lasciarci uscire… Perfino Annabeth ha dovuto riconoscere quanto sei stata coraggiosa”
 
“Ammetterlo deve esserle costato un’ulcera”
 
Lui ridacchiò, prima di tornare serio.
 
“Annabeth non è la sola a doverti delle scuse… Non avrei dovuto parlarti in quel modo, la sera prima di partire per l’Impresa. So che stare qui con noi e Gabe non era facile per te”
 
“Anche io ti devo delle scuse, per averti lasciato qui. Sono stata tremenda sia con te che con la mamma, ma devi credermi, d’ora in poi mi impegnerò affinché sia diverso”
 
Lui annuì, sorridendomi con tenerezza.
 
“Chissà se riusciremo a passare tranquillamente il resto dell’estate al Campo”
 
“Se c’è una cosa che ho imparato dopo averci vissuto per cinque anni, è che al Campo il concetto di tranquillità è decisamente relativo” sogghignai, per poi incupirmi “Ma avrai modo di constatarlo da solo. È ora che io passi un po’ di tempo a Manhattan”
 
Percy mi rivolse un’espressione sbalordita.
“Che significa? Non torni con me al Campo?”
 
Scossi la testa “Dopo l’esperienza negli Inferi e Gabe, voglio stare vicino alla mamma. In più ho bisogno di riabituarmi un po’ alla città prima di iniziare la scuola a settembre. E poi… Credo di aver passato troppo tempo al Campo. È ora di cambiare aria”
 
Sembrò che Percy stentasse a credere alle mie parole, ma capii che la mia decisione non lo turbava minimamente.
 
“Goditi ogni minuto” gli consigliai con un sorriso, dandogli una leggera spallata “Sarà il periodo migliore della tua vita”
 
“Vorrei partire già nel pomeriggio” confessò, quasi con vergogna.
 
“Parti quando vuoi, Percy, non preoccuparti, penserò io alla mamma. Ho passato degli anni decisamente spensierati, rispetto ai tuoi, ora è arrivato il tuo turno”
 
“Ho paura che saremo sempre divisi, io e te, in un modo o nell’altro” ammise lui, con amara ironia.
 
“Io e te non lo saremo mai” affermai, prendendogli la mano.
 
Mentre ci scambiavamo un sorriso, la dolce canzoncina proveniente della mia conchiglia sfidò il caotico baccano del traffico di Manhattan.
 
“Devo dire qualcosa a Luke da parte tua?” domandò Percy per spezzare quel momento di tenerezza che iniziava a farsi troppo per lui.
 
Qualcosa nel petto mi si strinse dolorosamente.
“Digli solo che lo ringrazio”
 
Improvvisamente, ci accorgemmo che all’interno dell’appartamento le voci si erano spente.
  
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