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Autore: Gaia Bessie    03/11/2022    0 recensioni
Le domanda: ma non lo volevi anche tu, amare per essere amata, una ballata senza stonature, un cavaliere in armatura e tutte quelle cose lì?
Margaery sorride, ha una cicatrice frastagliata sul petto, lì dove dovrebbe trovarsi il cuore: certo che no, commenta piano, non sono mica sciocca – è cresciuta nella bambagia cotonosa di Altogiardino, ma mai nessuno è stato così folle o ingenuo da inculcarle che sia giusto e sensato, avere dei sogni. O, meglio, va bene sognare: potere, ricchezza e influenza (tutte le cose che puoi ottenere, ha sussurrato suo padre mentre le metteva la corona in testa, tutte cose che avrai).
[Sansa/Margaery, Sansa/Sandor. Accenni di Sansa/Loras e Margaery/Joffrey]
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Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Joffrey Baratheon, Margaery Tyrell, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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E lei che quando gioca non conta le carte, non fa attenzione ai punteggi – che a volte puoi essere astuta quanto vuoi, piccola Tyrell, ma niente conta più della forza: Margaery l’ha sperimentato sulla propria pelle il giorno in cui il mantello dei Baratheon l’è piombato sulle spalle, sfiorandole il collo come spada affilatissima.
Nonostante tutto, la testa è ancora lì, i pensieri anche. Lei ha imparato a girare con una regina di spine nascosta nella manica del vestito così che, anche quando la carta più inutile del mazzo, vince comunque: il re è finito tra le braci, quando Margaery cala sul tavolo la regina di spine.
Nascosto nella manica, su quei polsi gelidi e segnati dal gancio di un braccialetto mezzo rotto, il sei di narcisi.

 
Parte terza: Sei di narcisi
 
[Daffodils]

 
Sei orgogliosa, maestà, anche quando di orgoglio non dovresti averne – non che tu possa possedere niente, mia regina: Sandor Clegane non mente mai. Dice che la verità fa schifo quanto una prostituta anziana o del vino scadente ma, il giorno in cui sua maestà la regina lo convoca al proprio cospetto e a quello della propria corte, il Mastino non si tira indietro.
Le dice che non si opporrà alla volontà del re, che sarebbe sciocco o folle e lui non è niente di tutto ciò, magari qualcosa di meno che i cani volontà non ne hanno nemmeno un surrogato e nemmeno la presunzione di crearsela dalla polvere, ma quando Margaery Tyrell spalanca gli occhi slavati, angosciata, lui non ride. Non digrigna i denti, non ringhia, ma semplicemente mormora.
Pensi di essere l’unica a conoscere le regole di questo gioco, maestà?
La regina sospira, non ribatte: ha un abito così chiaro che lei stessa, seduta vicino a una finestra sottile come seta, sembra un sottile fascio di luce. L’ha fissata per così tanto tempo, la prima luce del mattino che si riverberava nelle stanze, negli angoli bui, che scandiva il momento in cui avrebbe potuto distaccarsi dal dolore sordo e pulsante della notte precedente che, alla fine, lei stessa ha abbandonato le spine per farsi fascio di luce.
«Andatevene» sibila la regina, senza guardarlo. «Così sia, se avete intenzione di obbedire come un cane: avevate l’occasione di tirarvi indietro».
«E lasciare la vostra dama alle guardie reali?» Sandor Clegane latra quelle parole, le tossisce ai piedi della regina. «Siete una stratega meno abile di come vi dipingono».
Margaery non lo dice – che pianificare, calcolare, tramare non serve a niente: ha provato ad averla vinta, ma Joffrey Baratheon le respira su quel suo cuore scoperchiato di graffi ogni notte quindi, alla fine, qualcuno che faccia sterpaglia della regina di spine esiste. Non ha chiesto d’esser salvata, di essere portata via, nascosta – perduta.
Passa le mattinate a intrecciare corone di rose smussate, papaveri, passiflore e narcisi. Il pomeriggio legge, gioca a carte, conta il tempo che passa e si scioglie in ombra tra le nuvole.
Poi, quando si fa sera, quando il vino non basta ad anestetizzarle i pensieri (non più del solito), si alza in piedi, nelle proprie stanze, e chiede d’essere aiutata a svestirsi. Qualche volta, insieme alla camicia da notte candida le cade sui capelli un petalo vecchio di ore e il pensiero, inesatto ma persistente, che forse stasera dormirà sogni meno opachi e martellanti del solito. Meno reali, quindi.
Non funziona mai e lo sa lei, lo sa l’ancella che le scioglie i capelli sulle spalle, lo sa Sansa Stark mentre mette a posto il mazzo con le carte di Altogiardino: non ha la forza di dirglielo, che hanno giocato e ormai tutto è perduto, ma si sforza di sorriderle anche quando Margaery non lo fa mai.
«Toccherà anche a te» le dice, casualmente. «Presto. Sapere che fa freddo anche in una stanza riscaldata, te lo immagini mai?».
Che ieri raccoglievamo narcisi e li intrecciavamo senza sapere che sono i fiori dei defunti, degli avidi e degli ubriachi: si dice che un uomo, in uno dei giorni in cui i draghi avevano cominciato a danzare, abbia perduto il senno bevendone il nettare – spremuto in una coppa di vino a basso prezzo, quel narciso germogliato tra le pietre di Approdo del Re lo condusse alla follia: quando soffia il vento, poco prima di una tempesta, si riesce a sentirlo. C’è qualcuno che maledice gli Dei, antichi nuovi e inventati, e si domanda perché la terra tremi anche se tiene gli occhi serrati: tu lo senti mai?
Sansa non le dice mai, pur urlandolo tra quei suoi pensieri bagnati di nevischio, che forse esser per sempre annebbiata dal vino o dalla follia sarebbe preferibile. Che non lo immagina mai, il contatto doloroso di pelle contro pelle, pelle che le mani del Mastino tireranno via come fossero l’ennesima maschera che hanno provato a dipingerle addosso.
Non lo immagina perché sente a ogni respiro il proprio viso staccarsi via, come riflesso incrinato in uno specchio e, quando finalmente si sfiora le gote come se temesse di non sentirle più sotto la punta delle dita, Sansa Stark si rende conto che la partita è finita e lei ha perso ancora. Il sei di narcisi, giallo come l’abito di Cersei Lannister il giorno in cui le comunica che farebbe meglio a vestirsi da moglie di un soldato e non da Lady decaduta, le brilla in mano come fuoco incandescente.
«Sia fatta la volontà di sua maestà» risponde, a ogni domanda. «Sono la sua più umile serva e sarò felice di eseguire il suo comando».
Così dice – sulle labbra, incastrate tra i denti come semi d’uva amarissimi, maledizioni: di tutti i peccati che segnano Joffrey Baratheon, il peggiore pare sia la fortuna e l’immortalità. E per quanto sia odiato e maledetto, si salva sempre (e tutti gli altri mai).
Margaery non lo dice ad alta voce ma, nel momento in cui Sansa Stark si rende conto che la partita è terminata e lei ha perso di nuovo, le sfiora il braccio con il dorso della mano: le dice che un mantello non conta come protezione, soprattutto se è quello dell’uomo che ti promette una vita sopportabile, amore, una famiglia. Se lo facesse, l’ultima sopravvissuta dei lupi di Grande Inverno le risponderebbe che non è così.
Che Sandor Clegane non mente mai – e, infatti, non le ha promesso assolutamente niente.
 
***
 
Smette di far caldo – nessuno lo dice ad alta voce (che non c’è più speranza né d’autunno né di primavera, ma è inverno quel che mastica i fiori di Altogiardino e ghiaccia il Mare Stretto): che il re ha una corona innevata ma, quando brinda al proprio regno, a sé stesso e al figlio che ha piantato in grembo alla regina come pugnale nel petto, non trema mai. Sciocco è chi non sa tremare, dice il Primo Cavaliere di sua maestà, sciocca sua grazia, la regina madre, sciocco il re, sciocca la regina quando si guarda attorno con quei suoi occhi slavati e tutto tace. Ma sciocco, più di tutti, il cane che morde la mano di chi lo nutre: Sandor Clegane s’inchina e giura fedeltà ma, nel momento in cui dovrebbe rifiutare una prigionia dolce a Sansa Stark, sostiene d’esser più duro di una lama d’acciaio e altrettanto affilata.
Joffrey non la vede – quella brace che respira scintille sotto la pelle, al pari dei capelli di Sansa Stark il giorno in cui dice così sia senza note, mentre il mantello dei Clegane le copre le scapole, le tira i capelli come fiamma assonnata. Non brucia più ma, le mani del Mastino sulle spalle, sono condanna pesante quasi quanto il riso del sovrano quando brinda alla propria salute (solo la sua: e sempre sia lodato).
Quel giorno, la corte è condita di risate, come miele nel vino poco annacquato servito agli sposi: Joffrey Baratheon brinda alla fine degli Stark, mentre sua moglie si fa aria con un ventaglio e, sul dito, un rubino brilla circondato da minuscole perline di fiume. Qualcosa che urla, al pari del figlio che regge in ventre, Lannister.
«Alla vostra, Mastino» Joffrey si volta, facendo cenno alla moglie di porgergli il calice. «Spero che la vostra nuova consorte sia un dono gradito per i vostri servigi passati, presenti e, soprattutto, futuri».
«Alla vostra» cinguetta Margaery Tyrell, prendendo tra le dita lo stelo dorato del calice. «Spero che il matrimonio vi sia lieve, Lady Clegane».
La sposa sorride – abito ceruleo, un grigio smorto come la pelliccia di un lupo, le maniche così lunghe che le coprono quasi le dita delle mani: e dicono che sarebbe strega, se avesse il marchio del sesto dito sulla mano, ma quando Sansa Stark si guarda in giro non urlano le vedove e non piangono i neonati e il re è in piedi a brindare e non crolla per terra come fosse pioggia di cenere.
Che il matrimonio ti sia lieve, ha detto la regina prima di bagnarsi le labbra di vino (già rosse), lì dove la vita non lo è stata mai – il re ride, cogliendo la battuta, svuota il calice tempestato di gemme. Poi non ride più.
«Maestà!».
C’è una corona di grida che circonda il sovrano – sua grazia, la madre del re, si strappa l’orlo della veste, calpestandolo con il piede, per correre verso quel figlio tanto amato, temuto, che le crolla addosso come se volesse rientrare nel ventre che l’ha generato.
«Fate qualcosa!» abbaia Cersei Lannister, guardandosi attorno, incontrando lo sguardo costernato di suo padre. «Non respira, aiutate il vostro re!».
Solamente il Primo Cavaliere muove un passo, circospetto, mentre il primogenito di Robert Baratheon si scava la gola a unghiate, il viso reso violaceo dall’ostruzione della gola (sua madre piange).
«Che nessuno lasci la sala» comanda, calmo, il vecchio leone. «Bloccate la porta. Voglio ai piedi della regina la testa di colui che ha osato attentare alla vita di sua maestà».
Ma le urla non si quietano, sebbene interrotte dal pianto silenzioso della regina madre – l’altra regina, la spinosa ragazza di Altogiardino, si è alzata in piedi, mortalmente pallida.
Il vestito verde chiaro è tinto di rosso che le scola tra le gambe e, sebbene Sansa sia pronta a negarlo, Margaery Tyrell sorride con aria trionfante.
 
***
 
«Non dire una parola» il Mastino latra, sottovoce, stringendole un braccio con quelle mani che se volessero potrebbero frantumare l'acciaio. «Mi hai capito? Qualunque cosa accada, non dire una parola».
Lei annuisce ma, mentre la gente si agita e il Gran Maestro annusa sospettoso la coppa del re, con le dita riesce a tirarsi via dalla gola un gemito: Margaery Tyrell ha perso il gusto di giocare, ha detto sottovoce Cersei Lannister mentre alla regina (vedova) veniva concesso il lusso non dovuto di andar via scortata dalle sue dame, ma questa volta non è riuscita a barare con il mazzo.
Ha lanciato un sei di narcisi sul tavolo, gialli come quelli che ha appuntato lei stessa tra i capelli di Sansa Stark, ha guardato suo marito cadere. Pensava che avrebbe perso ed, effettivamente, re di spine batte la regina, l’accoltella al ventre e nasce così l’ennesimo principe che non sarà mai – una macchiolina di sangue sulla sottana, non avrà mai nemmeno un nome: non sarà principe di spine, di rose, di pietra e sicuramente mai di narcisi.
Mi dispiace, vostra grazia, non c’è niente che io possa fare – lo sguardo di Cersei Lannister potrebbe spaccare le rocce, quando comincia a guardi attorno alla ricerca dell’assassino di suo figlio e non sa nemmeno che volto potrebbe avere.
«Lady Clegane» sibila, atona, senza nemmeno guardarsi intorno. Ha il vestito macchiato degli ultimi respiri di suo figlio. «Raggiungete la regina, assicuratevi che stia bene e comunicatele che, quando si sarà ripresa, dovrà fornire la sua versione dei fatti».
La mano del Mastino si allenta attorno al suo braccio ma, anche quando non la sfiora più, Sansa ha la sensazione netta e distinta che lui non l’abbia mai lasciata andare.
Non si guarda indietro ma teme che, a ogni suo passo, ne segua uno dell’uomo che ha giurato di proteggerla ancor prima del matrimonio – Sandor Clegane non dice una parola ma, quando la vede asciugarsi le lacrime con l’orlo della manica dell’abito nuziale, scuote il capo.
Ha perso l’ennesima partita senza aver cominciato a giocare: le regole sono molto semplici – il sei di narcisi perde sempre.
   
 
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