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Autore: My Pride    10/11/2022    2 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family in versione vampiri
» 02. Until sun goes down
Respirare era diventato opprimente, e si accasciò col capo contro il muro sudicio alle sue spalle, abbassando le palpebre. Sentiva la gola secca e le labbra riarse, come se la sua pelle fosse ormai incartapecorita, ed era certo che, se si fosse sfilato uno dei guanti della sua uniforme, le sue dita sarebbero apparse lunghe e scheletriche.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Until sun goes down Titolo: Until sun goes down
Autore: My Pride
Fandom: Batman
Tipologia: One-shot [ 2192
parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent (Bat-Family menzionata)
Rating: Giallo
Genere: Generale, Azione, Sovrannaturale
Avvertimenti: What if?, Slash, Vampire!AU
May I write: 1. Bamboccio || 3. "Non sapevo te ne intendessi" || 4. Sanguinare


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Intorno a lui c’era così tanto rumore che aveva la sensazione che i suoi padiglioni auricolari stessero per esplodere, e anche premere forte i palmi contro le orecchie sembrava perfettamente inutile.

    Damian voleva mettere a tacere quelle voci, cercare di scacciarle mentre brusii e grida si accavallavano le une alle altre senza sosta, ma tutto ciò che riusciva a fare era starsene rannicchiato in un angolo completamente al buio, nascosto dal resto del mondo e persino da se stesso. Aveva trovato riparo lì a Coventry prima che sorgesse il sole, strisciando senza forze nella metropolitana ormai in disuso da anni nel tentativo di riprendere fiato, ma aveva avvertito la pressione della luce solare anche sotto strati e strati di calce e cemento, con quelle voci che si facevano beffe di lui e gli ricordavano la sua inesperienza, facendolo sentire come uno stupido bamboccio che non conosceva il mondo.

    Quanto tempo era passato? Ore? Non sarebbe potuto tornare indietro fin quando non sarebbe calata la notte, ed era piuttosto provato dalla pattuglia della sera precedente per sperare che il suo riposo diurno stabilizzasse il suo corpo. I suoni del mondo circostante ne erano una prova. In altri momenti sarebbe riuscito a tenerli fuori e a insonorizzarli, ma in quel momento, privo di nutrimento e ferito dalla battaglia, tutto ciò che poteva fare era solo sopportare. Solitamente rientrava alla villa col resto della famiglia e rimanevano chiusi nella caverna fino alla sera sotto ordine del padre, che sfruttava le tarde ore diurne per essere Bruce Wayne. Essendo il più anziano del clan con millenni alle sue spalle, riusciva a sopportare molto più di tutti loro la luce del sole, per quanto non si facesse mai vedere senza i suoi occhiali scuri per nascondere le iridi innaturalmente azzurre, al punto da apparire bianche. Era cieco e si affidava per lo più alla sua eco-localizzazione per spostarsi, ma durante la notte era il combattente migliore della Justice League e persino Superman, che teoricamente era un potente alieno che traeva i suoi poteri dal sole stesso, a volte se ne teneva alla larga. Aveva vissuto per secoli, visto il mondo cambiare sotto i suoi occhi finché un cacciatore non gli aveva gettato dell’acqua santa in faccia e lo aveva privato della vista, aveva continuato a prosperare e messo su il proprio clan, diventando così potente da essere temuto da Ra’s Al Ghul stesso, un vampiro che si vociferava avesse visto nascere persino il mondo stesso. Suo padre era il vampiro più potente che conoscesse… e Damian, in quel momento, invidiava tremendamente la sua capacità di adattamento.

    Respirare era diventato opprimente, e si accasciò col capo contro il muro sudicio alle sue spalle, abbassando le palpebre. Sentiva la gola secca e le labbra riarse, come se la sua pelle fosse ormai incartapecorita, ed era certo che, se si fosse sfilato uno dei guanti della sua uniforme, le sue dita sarebbero apparse lunghe e scheletriche. Nessuno della famiglia avrebbe potuto uscire per andare cercarlo – per quanto suo padre resistesse, girare per la città avrebbe indebolito anche lui e sarebbero stati entrambi in pericolo – e tutti loro erano ben lontani dall’essere rintracciabili sui radar della Lega per ovvi motivi, quindi doveva solo cercare di resistere. La sera sarebbe arrivata in fretta… doveva convincersi di questo. Sapeva che Jason e Dick sarebbero stati i primi se solo sarebbero potuti uscire ma, nonostante avessero sorpassato la soglia dei trecento anni, erano ben lontani dal non diventare cenere a distanza di poche ore dall’esposizione.

    Damian trasse un lungo e doloroso respiro, cercando almeno di strapparsi un lembo del mantello per fasciare la ferita mentre le voci finalmente cominciavano a zittirsi. Il taglio sul suo braccio faticava a rigenerarsi, e i suoi occhi erano troppo offuscati per riuscire a vedere qualcosa; aveva sete, il suo corpo stava ormai cercando di tenere attivo il suo cuore fittizio con la poca forza vitale che ancora possedeva, e le sue sinapsi sembravano completamente scollegate dalla sua corteccia cerebrale, cosa che gli impediva di restare vigile, concentrato e soprattutto razionale. Era quasi ironico pensare che, dopo essere sopravvissuto per più di centodieci anni nella Lega degli Assassini, aver bevuto l’acqua di Lazzaro al posto del sangue ed aver passato i successivi sette anni alla Corte di suo padre… avrebbe probabilmente trovato la propria fine in una sudicia metropolitana di Gotham. Che orribile scherzo del destino.

    I suoi riflessi indeboliti ci misero troppo tempo per accorgersi dei passi che risuonarono nella metropolitana, e Damian sollevò debolmente le palpebre per cercare di mettere a fuoco la figura che si stava avvicinando. Blu e rosso danzavano davanti ai suoi occhi stanchi, come un lampo che sembrava conficcarsi nel suo cervello, e con le poche forze rimaste si ritrasse e snudò le zanne, sibilando verso quella sagoma che, sussultando, parve sollevare entrambe le braccia verso l’alto.

    «D, calmati… sono io».

    La voce di Jon lo colse impreparato, e Damian annaspò. Tra tutte le persone che si era aspettato – persino qualche assassino umano che svolgeva i compiti diurni della Lega, lo ammetteva –, il figlio di Superman era proprio l’ultimo a cui aveva pensato. Lui e Jon erano diventati amici dopo un avvicinamento piuttosto burrascoso – Damian aveva provato ad ucciderlo perché lo riteneva una minaccia, cosa che suonava piuttosto ironica –, ma solitamente i kryptoniani come lui cercavano di tenersi il più lontano possibile dal terreno del clan. Non perché fossero in pessimi rapporti, ma l’aria e lo smog di Gotham sembravano appesantire la luce solare e renderla quasi dolorosa persino per esseri che in realtà se ne cibavano.

    «Come… come hai fatto a trovarmi?» chiese Damian in un fil di voce, tossendo quella che ebbe tutta l’aria di essere polvere prima che un liquido nero sgorgasse dalle sue labbra, macchiando il mento e il collo nel colare verso il basso. Si era anche rannicchiato di nuovo nella penombra, quasi non volesse farsi vedere in quella condizioni. Si sentiva stanco, sfatto, lontano dal ragazzo grande e grosso che incuteva timore ai propri avversari.

    «Il tuo cuore», replicò Jon, e gli occhi di Damian si ingigantirono per la confusione.

    «Cosa?» chiese, cercando conferma su quanto aveva appena sentito. Stava cominciando ad immaginare le cose? Era arrivato al punto in cui non riusciva più a distinguere la realtà dalla finzione? Per quanto ne sapeva, Jon non era nemmeno lì.
La sagoma di Jon, però, si avvicinò ancora, inginocchiandosi davanti a lui nonostante gli avesse mostrato nuovamente le zanne in un gesto inconscio, soffiando. «D… calmati. Va tutto bene». La sua voce era calda, una carezza sulla pelle che non sembrava infastidirlo. «Voglio aiutarti, non ti farò del male. Bruce ha mandato un segnale di soccorso dicendo che l’edificio di Maschera Nera era esploso e che tu eri disperso… la Lega ti stava cercando. Ho sentito il tuo battito e sono volato subito qui».

    Damian scosse la testa, cercando di scacciarlo. Era tutto un delirio del suo cervello, niente di ciò che stava dicendo quel finto Jon poteva essere in qualche modo vero. «È impossibile». Sputò ancora un po’ di quel liquido nero, chiudendo gli occhi. «Il mio cuore non batte».

    «Non sapevo te ne intendessi più di me». Il tono di Jon era impassibile, eppure suonava anche dolce e comprensivo, e Damian trattenne il fiato nel sentire la mano di Jon poggiarsi sul suo petto. Poteva avvertire la gabbia toracica premere contro quelle dita, la divisa ormai floscia contro le ossa sporgenti. «Il tuo battito è debole, ma costante. È… un suono leggero, come lo sbattere delle ali di un pettirosso. Anche se ho letto parecchie dicerie su voi vampiri, in realtà tutti voi avete un battito. Ma il tuo si sta indebolendo…»

    Nonostante le poche forze, Damian lo spinse via quanto possibile e premette la schiena contro il muro, quasi sperasse che lo risucchiasse e lo facesse sparire. «Mi sto consumando. Non… posso uscire, non ho con me le mie sacche di sangue, non…»

    «Mordi me».

    Damian spalancò le palpebre, fissando il volto di Jon con gli occhi letteralmente fuori dalle orbite. Quelle parole erano davvero uscite dalle sue labbra? «Non posso», soffiò, e per la prima volta gli parve davvero di sentire la paura in tutte le sue membra. Come poteva anche solo chiedergli una cosa del genere? Ma Jon sembrava serio, tanto che si era aperto la zip della felpa e Damian deglutì alla vista della vena pulsante della carotide. Sembrava così invitante, così deliziosa, così… «No!- esclamò Damian in preda al panico, cercando di strisciare via da lui con le poche forze che aveva. «Potrei dissanguarti, io… potrei non controllarmi». Distolse lo sguardo da quel collo candido, quel collo dalla pelle dura come l’acciaio che sotto le sue dita sarebbe stata come semplice burro, sentendo le sue zanne fremere. «Vattene. Resisterò».

    A parole sembrava facile, ma sentiva che non avrebbe resistito ancora a lungo; trasformarsi in pipistrello avrebbe aiutato a diminuire il consumo di energia e lo avrebbe fatto resistere, ma non riusciva a concentrarsi e a focalizzarsi su quella forma minuta. Il suo corpo era arrivato al limite… e se ne rese conto anche Jon, poiché gli afferrò un polso e Damian temette che potesse spezzarsi nonostante non avesse messo nessuna pressione in quel tocco.

    «Sta’ zitto e mordimi, D. Non ti lascerò morire qui sotto». Nel vedere lo sguardo spiritato di Damian, quegli occhi completamente rossi e iniettati di sangue, Jon provò a sorridergli rassicurante e gli offrì nuovamente il collo, voltando il capo di lato. «Ho fiducia in te. Fallo».

    Gli attimi che si susseguirono furono i più lunghi che Jon avesse mai passato. Il cuore di Damian, per quanto debole, sembrava suonare come un tamburo nelle sue orecchie e sovrastava i rumori e le voci al di fuori di quella metropolitana, persino il suo continuo deglutire era così forte da risultare soffocante. Non era affatto spaventato da ciò che stava per accadere… lo era piuttosto al pensiero che il suono che stava cominciando ad ascolare in quel momento erano le ossa di Damian che si consumavano attimo dopo attimo.

    «Fallo, D», lo spronò ancora Jon, abbassando le palpebre per carezzarsi il collo e sporgersi ancora. Sentì Damian trattenere il fiato, i suoi movimenti impercettibili, poi il suo respiro gli sfiorò il collo, un alito gelido che lo fece rabbrividire un po’ prima che la lingua guizzasse fra quelle labbra sottili e aride.

    Fu a quel punto che il mondo parve fermarsi. Damian sentì le zanne palpitare nella sua bocca e, seppur avesse cercato di resistere, le affondò senza ripensamenti nel collo di Jon, roteando gli occhi all’indietro nel bearsi del gemito che scappò dalle labbra del suo migliore amico; sentì quella pelle cedere sotto i suoi denti affilati, si fece spazio in essa e inspirò a fondo l’odore ferruginoso del sangue che sgorgò a fiotti da quei due fori perfetti, con i brividi che serpeggiavano lungo la colonna vertebrale che sporgeva attraverso i vestiti. Cominciò a succhiare, ingoiando quanto più sangue possibile mentre avvolgeva un braccio intorno ai fianchi di Jon, sentendo la forza tornare nelle sue membra e rinvigorire i muscoli; avvertiva il sapore sulla lingua e nel palato, era così intenso da fargli venire il capogiro e ne avrebbe voluto ancora e ancora, sempre di più, sentendo nello stomaco il desiderio di continuare a succhiare senza sosta fino a quando quel corpo che stringeva non fosse stato prosciugato anche dalla più piccola goccia di sangue.

    Damian aveva spalancato gli occhi e sentiva la potenza di quel sangue scorrere come un fiume impetuoso dentro di lui, ma fu il gemito doloroso che gli giunse alle orecchie che lo fermò, sfilando le zanne da quel morbido collo così in fretta che il suono osceno che ne susseguì e l’odore del sangue quasi lo fecero vomitare. Aveva davvero desiderato prosciugare Jon al punto di vista da ridurlo in fin di vita? Dio, era un mostro. Quei fori non smettevano di sanguinare e si sentì male, ma l’unica cosa che fece Jon fu portarsi una mano al collo per coprirlo col palmo della mano e voltarsi verso di lui con un sorriso stanco ma soddisfatto.

    «Stai meglio».

    Quella di Jon non fu affatto una domanda, e Damian si rese conto del perché solo quando si accorse che la sua uniforme, per quanto completamente imbrattata, era tornata a calzargli aderente contro la pelle, le sue labbra non erano più secche ma rosse di sangue e gonfie, e persino i suoi capelli sembravano aver riacquistato un po’ di vigore. Era diverso dal sangue sintetico che beveva o dalla frutta che solitamente rosicchiava: era caldo, vischioso, un sapore che gli inebriava i sensi e che lo gettava in una sorta di oblio, ma fu nel leccarsi le labbra per assaporare ancora quel sangue che si rese davvero conto di quanto aveva fatto, e non riuscì a guardare negli occhi il suo migliore amico per quelli che parvero minuti interminabili.

    Damian non lo disse, ma il “Grazie” che aleggiò fra loro li accompagnò per tutto il tempo e Jon rimase al suo fianco fino al calar della notte
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per l'iniziativa #MayIWrite indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom
Sono assolutamente consapevole che sia raticamente passata una vita da quando ho scritto questa storia (il may I write c'è stato a maggio e noi siamo a, beh, novembre. Meglio tardi che mai insomma, eh?)
In realtà questa è stata la prima storia che ho scritto della saga, anche se le sto postando in ordine (almeno per il momento, perché so che finirò per fare i miei soliti casini), e qui vediamo non solo che Jon conosce ovviamente il segreto di Damian, ma è anche stato in grado di trovarlo sentendo addirittura il suo cuore. Gli vuole così bene che è riuscito a fare qualcosa che in circostanze normali non sarebbe riuscito a fare
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti

A presto! ♥



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