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Autore: Duchessa712    13/11/2022    1 recensioni
A lui piace quando recita il dolore e lei cerca di farlo più spesso possibile. Se lo soddisfa avrà risposte più facilmente.
[La storia partecipa alla challenge "Ispirazione artificiale" indetta da Legar sul forum Ferisce più la penna]
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Morgana | Coppie: Merlino/Morgana
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
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Marionetta

"Chi sono io?"
"Tu sei Morgana."
"Chi è Morgana?"
"Sei tu".

(Di ogni storia si dice abbia un inizio e una fine, ma Morgana s'è scordata tutto e la storia prova a strapparla da ghigni crudeli.

"E tu chi sei?"
"Io sono il tutto".

E Morgana gli crede perchè la sua storia è fatta solo di lui, inizia con la sua mano tesa che s'artiglia al suo polso e finisce nei suoi occhi cattivi velati di brina).

Morgana di sera beve infusi di lavanda e camomilla e di giorno intreccia ghirlande di margherite che lancia in dono al vento e si punge le dita con spine di rosa che non lasciano sangue nè cicatrice.

Le dona corone di tulipani e di steli e glieli pone sul capo con la devozione scanzonata d'un giullare, ma i suoi occhi sono sempre crudeli e gli steli hanno sempre le spine - ma non c'è sangue e non c'è cicatrice.

Morgana accetta i regali e si rimira davanti allo specchio, sorriso copiato dipinto sul viso (non sa nulla dell'amore e non sa nulla del dolore ed è questo, crede, che lo rammarica così tanto). Azzarda una giravolta, passi di danza goffi e impacciati, ma lui ride (divertimento ch'è crudele come sono crudeli i suoi occhi) e si mette a ballare con lei.

Le morde le labbra alla ricerca di sangue, gliele forza con la lingua e Morgana acquiesce e si piega, gli cinge il capo e se lo preme sul collo, lì dove c'è vuoto e silenzio assordante e sente la sua bocca incurvarsi in un ghigno. Si lascia prendere e continua a sorridere: è un gioco di muscoli e angoli, una smorfia che tira il viso in un taglio che va da un orecchio all'altro.

"Mia.", ringhia mentre le vezzeggia i seni e le mani scivolano giù ad aprire le gambe con prepotenza. "Solo mia".

"Tua.", concorda, la bocca schiusa in una recita di gemiti e grida, chè Morgana non conosce amore e non conosce dolore e non conosce piacere.

("Chi sono io?"
"Tu sei Morgana."
"Chi è Morgana?".
A volte è magnanimo: Morgana è una strega, una Regina, un'usurpatrice, un'amica, una traditrice, una sorella, un'assassina).

(Morgana è nata dalle acque d'un lago una notte senza luna e la prima cosa che ha visto è stata la sua mano tesa e poi i suoi occhi cattivi e il suo sorriso crudele. Morgana è nata senza nome e senza memoria e lui le ha dato entrambi e non le ha mai chiesto niente).

La sera le porta infusi di camomilla e valeriana per farla dormire tranquilla e Morgana li beve, acquiescente, perchè certe mattine si sveglia con qualcosa di acre incastrato in gola (lui la chiama stanchezza e Morgana una volta gli ha chiesto perchè la possa sentire quando non conosce altro) e le tisane la fanno sparire.

"Tu sei mia."
"Io sono tua.", annuisce, il viso storpiato in un sorriso. Una volta s'è guardata in uno specchio e s'è tracciata tutti i contorni del suo corpo: s'è sentita pesante e fragile insieme (lui l'ha aiutata a trovare le parole) e ha provato a togliersi la pelle con le unghie, ma non c'è stato nè sangue nè cicatrice. L'ha guardata con un sorriso indulgente e occhi di ghiaccio e le ha detto che non sarebbe servito a niente, chè lei è speciale e non conoscerà ferita alcuna - l'ha detto con il tono con cui le dice d'essere tutto.

Morgana si sveglia ed è certa d'aver visto cose che non sono - sognare, si chiama, ma le suona sbagliato, la lingua inciampa nel pronunciarlo - , cose che non ricorda mai, e lui le sorride regalandole un buffetto sulla guancia e le dice che passa troppo tempo sui suoi libri.

"Potrei uscire.", propone sempre, anche se lui non lo permette. "Non c'è nulla lì fuori per te.", le dice. "Non c'è nessuno. Ci sono solo io". Morgana risente la stanchezza in fondo alla gola e annuisce. A volte si dice che si calerà dalla finestra con una corda di lenzuola come le eroine nelle fiabe o che forzerà la porta con una forcina come quelle nei film, ma lui sembra intuire i suoi pensieri perchè le prende il polso - come ha fatto quella notte al lago - e la tira a sè, le dita nella carne della vita, i denti scoperti come artigli. "Tu sei mia.", sibila e Morgana, il viso contratto in una pantomima di dolore, sente i pensieri scivolare via come le cose che sogna e non ricorda.

(A lui piace quando recita il dolore e lei cerca di farlo più spesso possibile. Se lo soddisfa avrà risposte più facilmente.

"Qual è la mia storia?"
"C'era una volta una donna nata dalle acque d'un lago -"
"No, non questa. Chi ero prima di essere nel lago? Nessuno nasce da un lago."
"Qual è il tuo nome?"
"Morgana."
"E sai cosa vuol dire? Vuol dire nata dal mare. Dimmi, cos'è un lago se non un mare più piccolo?").

(Dopo averle teso la mano, ha intrecciato le loro dita - le unghie nella carne - e l'ha condotta via dalla foresta. Lei lo ha seguito, docile e vuota, fino alla sua casa, lasciandosi dietro uno strascico d'acqua.

"Chi sono io?", ha chiesto, la voce roca e la lingua pesante. Lui ha sorriso il suo sorriso cattivo e ha risposto: "Tu sei Morgana.", e Morgana ha saputo ch'era vero nel modo in cui lo sono i dogmi: astratto e indiscutibile).

Morgana s'è forzata per far brillare gli occhi vitrei, ha imparato a schiudere le labbra in grida silenziose, a battere le mani al momento necessario (Morgana non prova le emozioni e i sentimenti se li è provati tutti davanti allo specchio, in capo corone di spine, in gola la stanchezza).

Lui la guarda da oltre lo specchio, occhi cattivi e sorriso sinistro e le si avvicina con la lentezza del cacciatore che caccia la preda. Le forza le labbra e le gambe e lei cede, gioca al dolore e al piacere e lui ride una risata scheggiata, vetri rotti a far sanguinare il palato.

Morgana la sente rimbombare nel petto, pulsazioni scomposte d'un cuore di cenere.

A volte esce e la lascia sola e allora Morgana s'appropria della biblioteca, ch'è la stanza più bella e più grande di tutta la casa e contiene tutti i testi possibili e immaginabili. Chiude gl'occhi e si lascia guidare, i polpastrelli che sfiorano i dorsi dei libri fino a che a un certo punto si ferma. Non importa quante volte lo faccia, c'è sempre qualcosa di nuovo da trovare - Morgana non sa cos'è il tempo, non sa quanto fa l'ha tirata fuori dal lago, ma non è mai sembrato importante.

Ci sono libri d'ogni tipo: amori ostacolati finiti in tragedia, fiabe in cui tutti vivono felici e contenti, saggi sul mondo di fuori e sul passato.

A volte la sua ricerca dura istanti, altre vaga per ore, le palpebre chiuse e l'istinto a guidarla.

("La mia storia dov'è?", ha chiesto una volta.

Lui s'è premuto un dito s'una tempia. "Qui dentro, mia cara. È tutta qui dentro."

"E la tua? Dov'è la tua?"

"Ovunque, Morgana. Ovunque e dappertutto, dove nessuno sa vederla").

Oggi i libri sfilano lenti sotto le sue mani. Nessuno la tocca, nessuno la chiama. È come se cercasse qualcosa di preciso - cosa non lo sa, ma continua a cercare.

È uscito presto e non è tornato. Morgana ha visto le lancette completare lo stesso giro per due volte, ma non sa dar loro una quantità. Lui ha provato a insegnarle le ore e lei le ha imparate come s'imparano i dogmi.

Poi succede. Si ferma, piega le dita e lo tira fuori dallo scaffale.

Morgana legge sulla sedia, il suo solito posto accanto alla finestra. La luce sta scomparendo, gli uccelli si stanno ritirando per la notte, ma lei non riesce a posare il libro. È così presa da non accorgersi del veleno che le si insinua sotto la pelle.

Ma lo nota dopo, il veleno, quando gira l'ultima pagine e in un battito di ciglia il mondo si mette a fuoco, vivido e brillante come non è mai stato. Sente lo stomaco contrarsi e brontolare, le palpebre farsi pesante. Sente la testa scoppiare, immagini - ricordi - che la assaliscono impietosi e cruenti e sente quel qualcosa in gola e non si chiama stanchezza. Si chiama paura.

Morgana ricorda e trema e odia.

Lui torna ancora il giorno dopo e lo nota subito che qualcosa non va. Lo nota nel modo in cui lei si erge, nella luce che brilla negli occhi non più vacui, nel sorriso carminio che le incurva le labbra.

"Ciao, Merlino.", lo saluta e ride - la risata spezzata dei folli e Merlino si sente preda anziché predatore.

Valuta, per un momento, l'idea di negare, di far finta di nulla, ma ormai l'inganno è svelato e ciò che gl'importa è il perchè.

"L'ho trovato.", è la risposta. "Ho trovato il libro - pieno di inesattezze, naturalmente, ma sufficiente a farmi ricordare. L'hai nascosto bene, te ne do atto, ma mi hai lasciata sola per giorni".

Si maledice, Merlino, per non averlo distrutto prima, quel libro, l'assurdo racconto delle gesta del suo Re e dei suoi Cavalieri. Ma è che sono passati tanti anni e anche i ricordi iniziano a svanire e lui voleva tanto riavere il passato in una qualsiasi delle sue forme.

"È per questo che l'hai fatto? Mi hai riportata in vita per non sentirti solo?"

"Sei sempre stata una valida avversaria.", scrolla le spalle. "E prima anche una buona compagnia. Credevo avresti reso la mia attesa meno tediosa. Credevo mi saresti potuta essere utile."

"Nel riportare indietro lui? Se Artù non tornava, allora lo avresti costretto tu, giusto? E io sarei stata la cavia?"

"Eri la sola con cui avevo più probabilità di riuscire. La magia ci ha unito e una storia come la nostra lascia sempre dei segni."

"Ma qualcosa è andato storto."

"Eri senza memoria, senza cuore, sneza vita. Un cadavere capace di ragionare e -"

"E l'hai sfruttato. La tua vendetta, giusto? Plasmarmi come desideravi, fare di me una serva fedele, il mezzo su cui sfogare secoli di odio, solitudine e pazzia. Oh, Merlino, come sei caduto in basso!".

Non le risponde, non subito. La realtà è che non aveva pianificato così in là, non era mai andato oltre il riportarla in vita. Credeva si sarebbero combattuti nuovamente, che l'avrebbe uccisa una terza volta, e si sarebbe concentrato solo su Artù.

Solo che se l'è trovata davanti grondante l'acqua del lago, senza battito e senza respiro e senza memoria. Non conosceva nemmeno il suo nome. Le ha preso la mano e l'ha capito in quel momento che gli era mancata e che voleva tenersela.

Uno sfogo, sì. Una bambolina da plasmare. Qualcosa su cui esercitare il controllo quando questo gli sta sfuggendo da secoli, qualcosa da chiamare suo quando di suo non ha nulla dalla battaglia che s'è portata via il Re. Ma anche un modo per sfidare il destino: giocare con la vita e con la morte, prendersi la nemica che il fato gli ha assegnato e porla al suo fianco.

È stato bello finché è durato.

"E adesso cosa succede?"

"È il tuo piano. Dimmelo tu."

"Questo non era previsto".

Il respiro le trema nel petto, le lacrime le incrinano la voce. Non è cambiato, non fisicamente, ma è tutto sbagliato. S'è fatto cattivo, freddo come i suoi occhi e i suoi sorrisi.

"Non è giusto, Merlino."

"Nulla lo è mai, Morgana, altrimenti nessuno dei due sarebbe qui, ad aver passato quello che abbiamo passato."

"Ma possiamo porvi fine."

"E come?".

Le si è avvicinato, le sfiora i capelli, le cerca lo sguardo. Le prende le spalle e vi infila le unghie. Fa male - il dolore è sincero, ma così lo è l'orgoglio e oh, quanto è bella, Morgana, quando combatte e non cede!

"Nulla dovrebbe vivere tanto a lungo."

"Oh, mia cara, ma non lo sai? Io sono maledetto, il destino mi ha scelto e fatto suo. Ha deciso che non posso morire e me l'ha ricordato ancora e ancora".

Un singhiozzo le spezza il respiro. Oh, è bella quando piange, bella anche quando cade.

"Ma io sì. Son tornata di carne, Merlino. Son tornata mortale."

"No, sei tornata umana, ma nessun'arma mortale può ucciderti."

"Lo so".

Se la sente cadere tra le braccia, qualcosa d'appiccicoso che gl'imbratta i vestiti, ma è solo quando guarda in basso che vede la pozza di sangue, solo guardando lei che la vede vestita di rosso, solo guardandosi intorno che vede Excalibur in un angolo. (L'ha recuperta lui, qualche centinaio d'anni fa, quando gli serviva un ricordo del fatto che ne valeva la pena. S'era promesso di custodirla fino al ritorno del Re).

"Cos'hai -"

"È finita, Merlino. È finita per sempre".

C'è una ferita che le fora lo stomaco e Merlino si chiede quando se la sia procurata e si chiede come non l'abbia notato e come l'abbia ingannato e - e ha usato la magia, maledetta strega che non è altro! La magia per tenersi in piedi, per pretendere risposte, per far della sua morte uno spettacolo!

"Tutto può finire.", gli dice, un sibilo che lui coglie a malapena e quanto lo vorrebbe, Merlino, morire e riposare, una volta e per sempre!

"Morgana -"

"Tutto.", ma a morire, ancora, è solo lei.

   
 
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