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Autore: Shichan    15/11/2022    1 recensioni
Shouto è destinato a diventare re e la tradizione vuole che chiunque desideri corteggiarlo abbia un mese intero per farlo senza che lui possa cacciarlo via. Allo scadere del tempo rifiuta, uno dopo l’altro, tutti i pretendenti che Enji sceglie per lui perché non crede nel matrimonio combinato.
Hitoshi, nonostante detesti la nobiltà e la famiglia reale, ha un valido motivo per corteggiare il principe perciò accetta quando gli si presenta l’occasione.

[Royalty!au, TodoShinso; scritta per il BBI12]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hitoshi Shinso, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N/A: siamo arrivati all'ultimo capitolo <3 Qui potete trovare il bellissimo gift che questa storia ha ricevuto al BBI12 grazie a Rota che ha claimato questa fic e le ha dato amore 



La “casa sul lago”, come con Natsuo e Fuyumi l’hanno sempre chiamata fin da bambini, è stata per loro un luogo in cui passare l’estate, almeno fin quando le cose sono andate bene. Da quando sono cambiate, però, ci sono tornati raramente e quasi mai insieme. Natsuo, da un po’, ha del tutto smesso di andare e le visite di Shouto e Fuyumi si sono fatte rare e piuttosto brevi. 

È stato strano recarsi lì con Hitoshi, preparando lo stretto necessario in poco tempo e percorrendo il tragitto in carrozza per mezza giornata. Così come ha provato un sentimento a metà tra la nostalgia per qualcosa di conosciuto e l’estraneità di quel paesaggio invernale, dopo averlo visto così tante volte in estate. Hitoshi si colloca in quel luogo come un’irregolarità, eppure gli è bastato un giorno e mezzo - compreso quello del loro arrivo - per ritagliarsi i propri spazi come se vi fosse sempre appartenuto. È così che Shouto lo ha visto scegliere silenziosamente una poltroncina del salotto piuttosto vicina al camino, dove la sera si siede in posizioni discutibili e poco nobili, ricordandogli più un gatto acciambellato che una persona. A Shouto non è neanche sfuggito il modo in cui Hitoshi sembra aver in un certo senso trovato la sua dimensione, abbastanza da ammorbidirsi non soltanto negli atteggiamenti ma anche nel modo di parlare con lui. 

Non può fare a meno di pensare, anche ora che lo sta aspettando per la passeggiata al lago che gli ha promesso, che forse se fossero riusciti a trovare prima questo equilibrio…

«Non avrò fatto aspettare il futuro re, vero?» sente pronunciare dalla voce di Hitoshi, inquadrandolo a pochi passi. Fino a una settimana prima avrebbe letto più derisione che intento giocoso nella sua voce; ora, invece, riesce persino a rivolgergli un sorriso senza dover fingere: «Sì, la pena è già stata decisa.» ironizza di rimando. Vede Hitoshi alzare un sopracciglio, ma l’espressione sul suo viso tradisce il fatto che lo trovi divertente e voglia stare al gioco.

«Oh no. Quale sarà mai?»
«Mi reputi così generoso da dirtelo subito?»
«Ah.» si finge stupito Hitoshi, anticipandolo nell’uscire all’esterno: «Che tiranno.»

Shouto scuote appena la testa, lasciando cadere quello scambio quasi complice. L’esterno della tenuta è meno curato del giardino reale e, senza dubbio, la sua visita improvvisa non ha aiutato i preparativi della servitù. A cominciare dal suo averne richiesto lo stretto indispensabile. Nel vedere quel paesaggio tanto diverso, per un momento al loro arrivo Shouto si è chiesto se non abbia fatto un’altra scelta sbagliata, al pari dell’uscita notturna in pieno inverno per andare alla serra. Finora, però, Hitoshi non ha commentato la cosa. 

«Il paesaggio» prende parola Shouto quando sono a una manciata di passi dalla tenuta «è diverso da quello che volevo mostrarti, quello con cui sono cresciuto.» ammette, sbirciando con la coda dell’occhio il profilo di Hitoshi. Lui non sembra particolarmente deluso da quello che vede, ma Shouto non ne è sicuro. La cosa che riesce a vedere con chiarezza, però, e che lo aiuta a sentirsi meno in colpa è la rilassatezza nella postura altrui, una che ha visto in rarissime occasioni. 

«Descrivimelo, allora. Quello a cui sei abituato.» lo incalza Hitoshi, quasi come se incoraggiasse un bambino. Shouto continua a camminare, facendogli un cenno per indicare la propria sinistra: il lago, ormai in vista, non è ancora ghiacchiato forse perché per la media questo è un inverno appena più mite del solito. Hitoshi lo segue, aspettando in silenzio, e non fa domande neanche quando Shouto si ferma in un punto imprecisato vicino alla riva. Né quando si siede a terra, premurandosi solo di togliere la mantella indossata prima di uscire, sistemandola perché entrambi non debbano stare a diretto contatto con il terreno. 

«Siamo sempre venuti in estate,» comincia a raccontargli «all’inizio della stagione, soprattutto. Ne approfittavamo, credo, perché la maggior parte dei fiori c’erano ancora e mia madre e Fuyumi stavano ore a passeggiare lì. Forse è quando mia madre le ha insegnato il linguaggio dei fiori, ma non ricordo bene.» ammette, lasciando vagare lo sguardo sulla superficie d’acqua. 

«All’inizio dell’estate qui non fa troppo caldo, quindi mia madre ci portava per farci passare del tempo all’aperto senza che fosse per le lezioni con la spada, nel caso mio e di Natsuo. Una volta, dall’altra parte del lago» dice, indicandogli un punto leggermente più a destra rispetto a loro «c’era una radura… non direi proprio un boschetto, ma a me sembrava molto più grande. Io e Natsuo ci andavamo ogni tanto, per giocare senza che ci fossero Fuyumi o mia madre. “Per fare giochi da maschio”, diceva mio fratello. A pensarci ora era solo un semplice nascondino.» ammette con un mezzo sorriso. 

«La radura non c’è più?» sente chiedere a Hitoshi.
«Solo qualche albero. C’è stato un incendio un paio di anni fa.» spiega brevemente. Hitoshi offre soltanto un «Mh.» e Shouto immagina di poter continuare. Si prende comunque qualche attimo, prima. 

«Di sera il cielo è talmente vasto, senza costruzioni intorno, che pensavo le stelle fossero il doppio. Fuyumi ha continuato a cercare di convincermi che fossero sempre le stesse per mesi.» confessa, lasciandosi scappare una nota divertita nel tono di voce, senza reprimerla come farebbe di solito. Con la coda dell’occhio vede Hitoshi sorridere e lo sente sbuffare prima di dire: «Eri un moccioso fastidioso.»

Shouto sta per ribattere quando sente pronunciare alle proprie spalle uno «Shouto-sama» e, nel voltarsi, individua subito uno dei pochi, fidati servitori che li ha accompagnati. Con un cenno della testa lo invita a parlare e quello non si fa attendere: «È arrivato un messaggio da parte di vostra madre. È un invito sia per voi che per il vostro ospite per domani pomeriggio. C’è anche un messaggio di vostra sorella.» riporta, senza dirne il contenuto, non prima di averne il permesso.

«Cosa dice?»
«Che era stato recapitato al palazzo reale e ha pensato di mandarvelo, visto che vi trovate vicino alla casa di vostra madre.» replica il servitore, premurandosi di aggiungere un «Cosa volete che risponda?»

Per un lungo momento Shouto rimane in silenzio, incerto. Parlare di sé con Hitoshi è un conto, specie se con la possibilità di scegliere cosa dire e cosa tenere invece per sé; portarlo a conoscere sua madre, che è al tempo stesso la parte più vulnerabile di lui e il più grande segreto della famiglia reale è tutt’altra questione. Senza contare le implicazioni di un incontro ufficiale tra la regina e l’attuale corteggiatore del principe. Shouto non sa se la sua espressione lo tradisca ma sente, del tutto inaspettata, la mano di Hitoshi sul proprio braccio per richiamare la sua attenzione: «Vai.» lo incalza «Non morirò per essere rimasto un pomeriggio da solo.» assicura, in un tacito invito a non preoccuparsi di cosa dice l’invito e a non portarlo in un momento così privato. Vorrebbe dirgli che non è quello che pensa, il problema, o meglio che ne è solo parte. Vorrebbe avere lì Izuku, o Fuyumi, perché quando si tratta di sua madre e di tutto quello che significa per lui sono gli unici di cui si fida. Anche se forse, in fondo, lo hanno già consigliato senza che se ne rendesse davvero conto.

Per uno che non ti fa sentire nulla credo sia riuscito comunque a smuovere qualcosa, per farti condividere la cosa a cui tieni di più con lui.

Sospira, portando lo sguardo sul servitore: «Fai sapere a mia madre che saremo lì, domani.»

*

Hitoshi si è dimostrato più che disponibile a incontrare sua madre, tenendoci a precisare più di una volta come Shouto non debba sentirsi costretto. Ha provato a spiegargli quanto complicato possa essere ma, alla fine, Shouto ha promesso di raccontargli meglio dopo l’incontro. Hitoshi, da parte sua, è stato… una sorpresa, da quando sono stati accolti da sua madre. Shouto non sa se e quanto l’altro sia curioso di sapere qualcosa di lei oltre quello che può semplicemente osservare, ma è stato così gentile nei suoi confronti che lui non può che essergliene grato. 

«Lo so, forse queste tradizioni ormai dovrebbero essere lasciate da parte.» sente dire a sua madre. Sono seduti a un piccolo tavolo rotondo, sistemato nella stanza vicino alla grande finestra che dà su un balcone piuttosto ampio. L’ambiente è riscaldato, di certo più adatto ad accogliere gli ospiti rispetto al giardino, visto il cielo plumbeo. Rei li ha ricevuti in un abito sobrio sul blu, sulle spalle uno scialle bianco; i capelli acconciati in uno chignon, ha abbracciato Shouto appena lo ha visto e si è presentata a Hitoshi subito dopo, intrattenendolo come una perfetta padrona di casa. Hitoshi sembra persino sincero nel suo interesse per lei, anziché semplicemente educato. 

«Ma non posso che ringraziare chi sta corteggiando mio figlio.» continua con un un sorriso benevolo, alternando lo sguardo tra lui e Hitoshi per un momento, tornando a soffermarsi su quest’ultimo nel chiedere: «Non ti fa penare troppo, vero?»

Shouto occhieggia l’altro e non gli sfugge il sorrisetto sghembo di Hitoshi prima di sentirgli dire: «Molto, a dire il vero. Il principe non è facile da capire, senza contare che i primi giorni si è preso gioco di me cercando di spaventarmi parlandomi della sala torture.» rivela, senza alcuna pietà. Sua madre sembra combattuta tra il mostrarsi divertita o stupita, ma prima che Shouto possa correggere il tiro della conversazione - non molto distante dalla verità, in effetti - Hitoshi lo anticipa parlando di nuovo.

«Mentirei se dicessi che siamo riusciti subito a parlare, ma vostro figlio è capace di scusarsi quando è nel torto e di fare il primo passo verso qualcuno. Di prenderne le difese, anche se significa andare contro quello che pensano tutti gli altri. Riesce a vedere oltre, e nell’artistocrazia è davvero raro. È molto più di quello che mostra,» lo sente affermare «anche se non è semplice accorgersene subito.»

Shouto è sorpreso da un giudizio tanto lusinghiero nei suoi confronti - va molto meglio tra loro, ma non hanno ancora mai avuto un momento di sincerità come questo. Ci sono sottintesi, ma niente di più. Il modo in cui le sue parole fanno sorridere sua madre, però, gli fanno venire voglia di ringraziarlo dal profondo del cuore. Decide di rimandarlo a dopo, a quando saranno alla tenuta e lascia scivolare il silenzio tra di loro; sorseggia il tè, con tutta calma, uno sguardo su sua madre: si prende il suo tempo per osservarla mentre ha l’espressione serena e gli occhi puntati fuori dalla finestra, a guardare un cielo che promette pioggia con la stessa rilassatezza di chi adocchierebbe una bella giornata pregustandosi una passeggiata all’aria aperta. Sarebbe bello avere più occasioni come quella, anche se sono lontane dall’essere la normalità.

Quando sua madre distoglie lo sguardo dalla finestra la vede soffermarsi su Hitoshi, e solo allora nota che l’altro sembra incuriosito da uno degli oggetti sul mobile in legno alla loro destra. Shouto gliene dà atto: è un vecchio cimelio di cui ormai è difficile trovare altri esemplari, qualcosa di molto vicino alle moderne clessidre ma dalla forma più eccentrica e che - da quanto ne sa - ha sempre richiesto una lavorazione più precisa e più lunga.

«Puoi guardarlo più da vicino, se vuoi.» lo invita sua madre, intuendo la natura del suo interesse. Shouto la vede rivolgersi a lui e la anticipa, muovendo la sedia per alzarsi e prenderlo, mentre la sente dire: «Sii gentile, Touya, lo prenderesti tu?»

*

È stato Hitoshi a rifiutare l’invito a cena, ma Shouto sospetta lo abbia fatto per lui più che per reale stanchezza come ha invece assicurato a sua madre. Il viaggio di ritorno alla tenuta è stato breve ma silenzioso, come anche il rientro e il tempo passato a tavola insieme. Shouto si è abituato ad avere uno scambio, con l’altro, eppure gli sembra di aver fatto dieci passi indietro - ha pensato sarebbe stato più facile spiegare se gli avesse mostrato, invece adesso si ritrova senza sapere come mettere insieme le giuste parole. 

È convinto la serata sia destinata a finire proprio così: con i silenzi dietro cui si è nascosto per troppo tempo, lasciando che fossero sempre gli altri a salvarlo, capendolo senza bisogno di alcuno sforzo da parte sua. Relegando tutti quelli che a comprenderlo facevano fatica al ruolo di persone delle quali poter fare a meno. Per questo quando sente Hitoshi sedersi al suo fianco, abbandonando il suo solito posto sulla poltrona, Shouto porta d’istinto lo sguardo su di lui. L’altro mantiene il proprio sul fuoco del camino e si limita ad accostarsi a Shouto fino a far toccare le loro spalle. Avverte anche le loro dita sfiorarsi, ma sembra del tutto casuale.

«A volte mia madre è lucida.» pronuncia in appena un sussurro «Ma altre non si ricorda di me e di Natsuo. Ci scambia per mio fratello. Crede che lui sia–» si interrompe bruscamente sentendo la mano di Hitoshi stringere la sua. Lo guarda, aspettandosi di trovare ancora il suo profilo e invece l’altro ricambia il suo sguardo e in quell’espressione c’è qualcosa che Shouto non gli ha mai visto mostrare. La preoccupazione si mescola così bene al desiderio di essere di conforto da rendere pressoché impossibile a Shouto capire quale sia il più forte o se ci sia addirittura dell’altro. 

«Non devi raccontarmelo perché ti senti obbligato.» pronuncia Hitoshi in un mormorio deciso: «Ho visto come la guardi, il modo attento con cui ti occupi di lei anche quando sai che non vede te. È... tremendo. Ed è privato. Il fatto che tu me lo abbia mostrato, nonostante tutto, mi dice quello che ho bisogno di sapere di te.» assicura. Shouto lo sente stringergli la mano con più forza, quasi volesse ribadire il concetto e si sofferma proprio sulle loro mani, mentre cerca di assimilare quelle parole che gli tolgono di dosso un peso più grande di quello che pensava di avere sulle proprie spalle. Ce ne sono tanti altri, ma già disfarsi di uno è più di quanto sperasse. 

«Mi dispiace di aver usato le voci che avevo sentito sulla tua famiglia per provocarti.» sente dire a Hitoshi mentre lo vede abbassare lo sguardo, mortificato come non si è mai mostrato: «Pensavo che i segreti di una famiglia come la tua, per quanto grandi, nascondessero qualcosa di più superficiale. Non è una scusa sufficiente, ma è la verità.» confessa. Shouto vorrebbe dirgli una miriade di cose - di averlo subito etichettato come un nemico, di averlo creduto uno tra i tanti a desiderare più un titolo che una persona. Oppure di sua madre, di come gli manca da morire; di Touya, il cui fantasma l’ha distrutta al punto da farle ignorare la realtà mentre si rifugia in una mente spezzata. Di come non dice a Fuyumi di sentirsi orfano, o a Natsuo di andare con lui e condividere quel peso. Di come, a volte, vorrebbe scappare e diventare nessuno. E infine di quando pensa che se non riescono ad amarti nemmeno i tuoi genitori, è difficile credere che possa riuscirci qualcun altro.

La verità, però, è che ora non è pronto o forse è solo troppo stanco per lasciarsi andare a tutte quelle parole, per mettersi a nudo così tanto. Perciò sospira, piano, e lascia finalmente scivolare le dita tra quelle di Hitoshi, ricambiando la sua stretta con un gesto intimo e silenzioso. È l’unico atto di coraggio che può gestire, ora.

Sentire la mano libera di Hitoshi contro il suo collo per guirarlo fino a farlo poggiare con la testa contro la sua sua spalla, sussurrando un semplice «Riposati.» è tutto ciò di cui ha bisogno, per adesso.

*

«Devo dire che continua a sfuggirmi il tuo concetto di romanticismo, sai?» Hitoshi lo punzecchia, una nota d'ironia bonaria nella sua voce mentre cammina al suo fianco, percorrendo l'ormai poca distanza rimasta per raggiungere la loro meta.

Il rientro dalla tenuta vicina al lago è stato confuso. O almeno, Shouto ha sempre pensato che, avvicinandosi, sarebbe stato più semplice essere in compagnia di Hitoshi. In un certo senso non può negare che lo sia. Tuttavia non ha mai pensato che sarebbe diventato difficile capire quale sia la giusta distanza da mantenere, o come interpretare gesti che non si sono mai rivolti prima.

Hitoshi non lo tocca mai in modo inopportuno e i contatti tra loro passano per lo più inosservati, dal momento che Hitoshi è discreto. Eppure passare dalla totale assenza a ora, con l'altro più che ben disposto a sfiorargli la mano o a prenderla nella sua ogni volta che ne ha l'occasione, confonderebbe chiunque.

Non è necessariamente un male. Shouto mentirebbe se dicesse di essere indifferente alla cosa o a Hitoshi stesso - ma a questo punto è un sincero interesse o è soltanto essere riuscito a mostrarsi a qualcuno ed essere stato accettato?

«Non che mi lamenti, essere presentato al migliore amico è un passo importante. Pensavo venisse prima la dichiarazione, ma...» lo sente scherzare con leggerezza, senza reale intenzione di metterlo in difficoltà. Shouto suppone che l'altro non immagini quanta verità ci sia nelle sue stesse parole: lui vuole presentarlo a Izuku ed è un grosso passo per lui.

«Izuku vuole conoscerti» rivela e non è una bugia «e penso andrete d'accordo.» aggiunge, entrando per primo nella stanza dove di solito accoglie Izuku quando vuole che nessuno li disturbi mentre parlano. Hitoshi è subito dietro di lui e, nel vederli entrare, Izuku si alza dalla poltroncina dove era seduto. Lo vede rivolgere a entrambi il sorriso amichevole che per Shouto è la norma, ma Izuku lo estende anche all'altro. Shouto sospetta che, a dispetto dell'incurvarsi di labbra affabile sul viso di Hitoshi, nemmeno lui se lo aspettasse.

«Dovete essere l'amico d'infanzia di cui ho sentito parlare.» rompe per primo il ghiaccio, facendo un passo verso Izuku «Io sono Hitoshi, del casato Aizawa.» si presenta. Shouto vede l’espressione di Izuku mutare dalla sorpresa a un sorriso mite e non si stupisce di sentirlo rispondere: «Non c’è bisogno di tutta questa formalità. Abbiamo probabilmente pochi anni di differenza e la mia famiglia non è nemmeno tra le più influenti… senza contare che devo ad Aizawa-san tutto quello che so del combattimento con la spada.» confessa. Shouto nota quasi subito il modo in cui lo sguardo di Hitoshi perde quel qualcosa di costruito, facendosi più morbido. Lui e Shouto non hanno ancora mai parlato nel dettaglio di Aizawa Shouta, ma il poco che ha sentito è bastato all’erede dei Todoroki per capire quanto quell’uomo sia importante per Hitoshi. 

«Conosci Shouta-san? Ti ha allenato lui?» domanda Hitoshi, quasi incredulo. Izuku scuote la testa: «No, non personalmente.» afferma «Ma è stato lui a presentarmi al mio insegnante, anche quando ormai aveva deciso di non avere più allievi dopo l’ultima battaglia a cui ha partecipato anni fa.» spiega e Shouto sa che quest’argomento non si esaurirà presto, vista l’adorazione di Izuku per quell’eroe di guerra. Soprattutto se anche Hitoshi si mostra così interessato da fare domande.

A Shouto non dispiace restare lì ad ascoltarli in silenzio.

*

«Izuku mi piace.» dichiara Hitoshi quando si sono ormai congedati dalla cena e stanno ingannando il tempo nella stanza in cui hanno passato il pomeriggio. Shouto ha pensato a come, forse, sarebbe considerato più naturale invitarlo nei propri alloggi, ma… probabile sia meglio così. Gli basta sentire la persona da cui si sente più attratto man mano che la fine del corteggiamento si avvicina apprezzare una di quelle a cui Shouto è più legato.

«Izuku piace a tutti.» pronuncia di rimando, con l’orgoglio di chi non potrebbe immaginarsi il contrario, non quando si parla di Izuku. Invece non si aspetta di sentire Hitoshi, seduto di fianco a lui, chiedergli a bruciapelo: «Anche a te?»

Shouto lo cerca con la coda dell’occhio, notando come Hitoshi stia ancora guardando verso il fuoco acceso nel camino. Eppure, nonostante l’abbia posta come una domanda casuale, Shouto non può fare a meno di chiedersi se ciò che l’altro intende davvero non sia è per Izuku che rifiuti ogni pretendente?

È una domanda difficile a cui rispondere, per tante ragioni: perché Izuku è una parte di lui, indice della stessa fragilità rappresentata da sua madre; perché Shouto, di questa cosa come di molte altre, non ne ha mai parlato con nessuno; perché se lo dicesse, Hitoshi come reagirebbe?

«È il mio migliore amico.» comincia Shouto, quasi senza rendersene conto: «Forse, a un certo punto, sono stato… non so. Non direi innamorato, non nel modo che intendono tutti. Ho pensato un sacco di volte che sarebbe stato tutto molto più semplice se fossi riuscito a innamorarmi di lui e se anche Izuku avesse provato per me quel tipo di sentimento.» confessa, sentendo lo sguardo attento di Hitoshi su di sé. Shouto immagina sia per questo che il silenzio gli è sempre apparso come una conveniente forma di fuga o, semplicemente, il modo più facile di nascondersi e proteggersi. Perché parlare lo fa sentire come se dovesse vergognarsi di ciò che dice e di ciò che prova.

«Non lo so. Si può amare qualcuno in un modo che non ti fa desiderare certe cose, anche se quella persona non ha legami di sangue con te? È stupido?» si lascia sfuggire, pentendosene quasi subito. Cosa si aspetta di sentirsi dire, dopotutto? Se non ne ha mai parlato neanche con lo stesso Izuku è perché lui per primo, in fondo, è consapevole di quanto sia difficile tanto spiegare quanto capire quello che prova. E in ogni caso Hitoshi dovrebbe essere l’ultima persona a cui chiederlo. 

Hitoshi non dice nulla, ma lo vede muoversi e per un attimo Shouto pensa che si stia alzando per andarsene. Si sorprende lui stesso della sensazione di vuoto che lo coglie all’altezza dello stomaco e della velocità con cui lo investe un’ondata di sollievo quando, invece, Hitoshi si limita a sistemarsi fino a stare sdraiato sul divanetto dove si sono accomodati. Lo ha fatto altre volte quando erano alla “casa sul lago”, ma c’è più naturalezza nel modo in cui ora poggia la testa sulla coscia di Shouto. Glielo lascia fare, in silenzio, studiandone i lineamenti mentre Hitoshi non lo guarda.

«Al ricevimento per il compleanno di tua sorella hai sentito che non c’è un’alta opinione di me tra gli aristocratici. Non mentono quando dicono che sono stato raccolto dalla strada e, chiaro, la cosa li infastidisce. La maggior parte di loro, almeno.» inizia a raccontare Hitoshi senza che lui abbia chiesto niente. Shouto capisce, però, che forse si tratta delle parole che già una volta Hitoshi ha provato a pronunciare e che Shouto stesso ha interrotto in quell’occasione, pensando che l’altro volesse offrirgliele quasi come merce di scambio, magari sentendosi obbligato. Capisce di doverlo lasciar parlare, stavolta. 

«Mio padre non ha una grande fama. Ha rubato per le strade da che ho memoria fino a quando non lo hanno arrestato. Ho imparato da lui il peggio e ho finito col vivere nell’unico posto che conoscevo, ossia i vicoli meno trafficati. Questo finché Shouta-san non mi ha preso con sé, come chiunque farebbe con un randagio. Solo che addomesticare un cane è molto più facile che addomesticare una persona.» commenta con una punta di sarcasmo nella voce. Shouto non è granché stupito dal suo racconto, ma solo perché le voci e le informazioni di Hawks lo avevano preparato a uno scenario simile. Ciò non significa, però, che non avverta dispiacere per l’altro.

«Shouta-san mi ha accolto in casa sua, si è preso cura di me. Ero come un animale: nessuna educazione, mangiavo con le mani, non sapevo leggere quasi nulla e di sicuro non scrivevo. Contavo, perché il figlio di un ladro deve sapere quanto ruba. Lui mi ha insegnato tutto quello che so e mi ha persino adottato ufficialmente. Non ha figli e sa bene che ora tutto quello che ha diventerà mio, quando io non mi sono ancora sdebitato per nessuna delle cose che ha fatto per me.» ammette, amareggiato. Shouto si ricorda di quando Hitoshi gli ha rivelato, uno dei primi giorni, di essere lì per ricambiare il favore di qualcuno e ora capisce meglio. Rifiutare di corteggiare il principe non avrebbe messo Aizawa e il suo figlio adottivo in buona luce. E per quanto in condizioni normali Enji non avrebbe mai scelto qualcuno con il passato di Hitoshi, deve essere stato impossibile ignorare il fatto che ad averlo adottato fosse stato il migliore amico - nonché ex compagno d’armi - del più grande eroe di guerra che la generazione del re abbia conosciuto. 

È probabile che Hitoshi non glielo stia raccontando perché amareggiato o per lamentarsi di un destino avverso; tuttavia Shouto allunga una mano, piano, fino a sfiorargli i capelli. Osa, vedendo che Hitoshi non si scosta, e li accarezza. L’altro lo guarda per qualche istante, ma quasi subito incurva le labbra in un sorriso morbido prima di sistemare meglio la testa sulle sue gambe e spostare lo sguardo sul fuoco, di nuovo. 

«Puoi immaginare come va a finire questa storia.» riprende Hitoshi, nel tono sarcasmo misto ad amarezza: «Shouta-san non si è mai sposato e, a un certo punto e senza apparente motivo prende in casa un ragazzino dalla strada. Hanno persino avuto il coraggio di insinuare che lo avesse fatto per una perversione, per portarsi quel ragazzino al letto.»

Shouto non ha bisogno di guardarlo per percepire la sua amarezza ma, allo stesso tempo, nella loro posizione si ritrova inevitabilmente a farlo. L’espressione di Hitoshi gli ricorda, per un momento, quella di un bambino mortificato. Shouto può solo immaginare come debba essersi sentito, in debito con una persona che lo ha accolto e la cui reputazione è stata invece macchiata dalle malelingue che lo hanno sfruttato come un’arma. 

«Perciò» lo sente riprendere a parlare, ritrovandosi gli occhi di Hitoshi puntati nei suoi «se mi dici che è quello il tipo di affetto che hai per Izuku, io ci credo.»

Shouto lo guarda e fa scivolare lentamente la mano che si era fermata tra i suoi capelli, fino a sfiorargli - esitante - la guancia. Si tratta di una carezza leggera, data con il dorso delle dita. Non sa se aspettarsi di vedere Hitoshi scostarsi o fissarlo sorpreso, ma non avviene nessuna delle due cose; lo vede socchiudere gli occhi e inclinare appena il viso verso la sua mano. A Shouto ricorda l’atteggiamento di un gatto.

«Ogni tanto penso che tu lo faccia di proposito.»
«Cosa?»
«A mandarmi segnali ambigui.» replica Hitoshi, ancora a occhi chiusi «Ma poi penso che non sembri il tipo. Forse ti viene solo naturale.» aggiunge, sollevando le palpebre per guardarlo. Shouto vorrebbe rispondere, ma non è pronto a farlo. Forse dovrebbe e basta perché, razionalmente, è improbabile lo sarà mai.

Hitoshi si muove, puntellandosi sui gomiti per tirarsi su a sedere. Shouto ha poco tempo per badare all’assenza di peso sulla propria gamba, la sua attenzione attirata dalla mano di Hitoshi che si posa sulla sua guancia. Distrattamente, quasi, avverte le dita dell’altro sfiorargli il lobo e quel semplice gesto - che potrebbe persino essere casuale - lo fa sentire in imbarazzo. Al tempo stesso, però, per la prima volta si aspetta qualcosa.

Hitoshi non dice niente, prima di poggiare le labbra sulle sue. La sua mano è calda contro la sua pelle e il bacio è delicato, un tentativo di non tirare troppo la corda. Shouto lo sente restare immobile, prolungare quel contatto per qualche secondo appena prima di scostarsi. Sta per dire qualcosa ma Hitoshi lo guarda e si apre in un sorriso timido, si lascia scappare uno sbuffo che somiglia all’accenno di una risata nervosa.

A Shouto sembra di vederlo sorridere per la prima volta.

*

Manca poco meno di una settimana. Shouto sa che, al più tardi, lui e Hitoshi dovranno parlare di cosa si sta creando tra loro - o, forse, c’è già - e che sarebbe meglio per entrambi non farlo davanti a tutti quelli che saranno presenti nella sala del trono. Eppure sembra la cosa più difficile del mondo, specie in momenti come questo, quando è sera e si ritrovano a salutarsi prima di andare a dormire. 

Quando Hitoshi lo ha baciato, Shouto lo ha riaccompagnato nella sua camera; non si sono detti nulla, ma il silenzio non era scomodo. Si sarebbe aspettato più imbarazzo il giorno seguente, ma Hitoshi ha passato il tempo con lui come se ormai fossero entrambi una presenza naturale l’uno per l’altro, una quotidianità assodata - e Shouto non sa se sarebbe in grado di abituarsi di nuovo all’assenza. Forse è anche per questo che si è lasciato accompagnare da Hitoshi, stasera, fino ai suoi alloggi. Non si è minimamente opposto quando l’altro ha insistito per farlo, anche se era consapevole che di fronte alla porta ci sarebbe stata l’esitazione che c’è adesso. 

Il corridoio è deserto. Già una volta Hitoshi gli ha chiesto, perplesso, come mai non ci fossero più guardie vicine agli alloggi dell’erede al trono. Così Shouto gli ha spiegato che è stato uno dei cambiamenti operati da Hawks, la cui unica spiegazione data a Shouto è stata un divertito mettere delle guardie davanti alla tua porta è come consegnare all’intruso una mappa con una x così da aiutarlo a trovarti meglio. Al di là della strategia, al momento Shouto sente un peso del tutto diverso per la mancanza di persone lì oltre loro due. 

La porta della camera alle sue spalle è semichiusa, una mano ancora mollemente poggiata sulla maniglia. Si schiarisce la voce, con l’idea di augurargli la buonanotte e togliere entrambi da questo imbarazzo; le parole, però, gli muoiono in gola nel sentire le dita di Hitoshi sfiorare le sue fino a intrecciarle in un gesto gentile. Shouto ricambia ancora prima di rendersene conto. 

Le dita di Hitoshi giochicchiano con le sue, tradendo un nervosismo che Shouto non gli ha mai attribuito e che, soprattutto, è difficile individuare quando non trapela dall’espressione altrui. Sente che le proprie sono fredde, ma le muove piano fino a carezzare goffamente il dorso della mano di Hitoshi con il pollice. 

«Sarebbe sconveniente se entrassi, giusto?» lo sente mormorare, senza muovere un passo. Persino Shouto sa che ci sono un’infinità di cose che potrebbero succedere dietro una porta chiusa, molte delle quali non devono accadere nella complessa situazione in cui si trovano loro. Tuttavia una parte di lui vuole che Hitoshi resti lì con lui.

«…Non posso farti restare.» mormora in risposta, sperando che suoni esattamente come lo intende - voglio stare ancora con te ma non posso farlo come forse lo vuoi tu. E si aspetta due diverse reazioni ma non di sentirlo sbuffare divertito e con una punta di imbarazzo nella voce, mentre pronuncia un: «Non era quello che intendevo.»

Shouto avverte il viso accalorarsi ma decide di fare finta di nulla. Hitoshi fa un passo in avanti e Shouto uno indietro; lascia che varchi la soglia di camera sua ma nota come l’altro non si chiuda la porta alle spalle, limitandosi ad accostarla. Quando rialza lo sguardo su Hitoshi lo ritrova con il viso molto più vicino al suo, le punte dei loro nasi a sfiorarsi per un attimo prima di annullare (lui? Hitoshi? Forse entrambi) la distanza tra loro. Shouto si aspetta che non sia troppo diverso dal loro primo bacio, ma si ricrede quasi subito: il primo è breve, sì, tanto da fargli rimpiangere il sentire Hitoshi allontanarsi dalla sua bocca. L’altro però lo bacia di nuovo, nello stesso modo per due, tre, quattro volte. È come se volesse assicurarsi di poterlo fare senza sentire Shouto ritrarsi. E quando ne è certo, forse perché l’unica cosa che Shouto fa è stringergli di più la mano, Hitoshi gli prende il labbro inferiore tra i denti, con un fare che Shouto non sa se sia giocoso o provocatorio. Sa solo che per un secondo appena trattiene il respiro, d’istinto, e l’attimo dopo un braccio di Hitoshi è attorno alla sua vita e la sua mano libera poggia contro la schiena di Shouto. 

«Tutto bene?» gli sussurra Hitoshi, praticamente sulle labbra; Shouto non si fida della propria voce perciò annuisce in un movimento quasi impercettibile, ed è lui a baciarlo stavolta. Se ne è sorpreso, Hitoshi non fa nulla che lo lasci intendere. Anzi stringe di più la presa attorno ai suoi fianchi e gli sfiora le labbra con la punta della lingua finché Shouto non le schiude e ricambia un bacio ora del tutto diverso. È la prima volta che bacia qualcuno così - o che lo fa in generale - e gli piace come Hitoshi lo stringe o come a un certo punto si allontana dalla sua bocca per dargli prima un bacio distratto sulla guancia e poi uno sul collo, azzardando persino a mordicchiargli la pelle. 

Shouto gli porta una mano al viso, osservandolo fin quando non incrocia il suo sguardo e lo bacia, di nuovo, perché anche se fa del suo meglio non saprà mai esprimere con le parole tutto quello che a gesti gli viene molto meglio. 

Perde del tutto la cognizione del tempo; sono la mano di Hitoshi sul petto e la leggera pressione che fa, a portarlo ad allontanarsi un po’, confuso. Vorrebbe non sembrare preoccupato di aver fatto qualcosa di sbagliato come, invece, è abbastanza certo gli si legga in faccia. Almeno a giudicare dal sorriso che Hitoshi gli rivolge - è appena accennato ma c’è una tenerezza che Shouto non ha avuto modo di osservare così da vicino e con la piena consapevolezza che fosse rivolta a lui, prima di ora. 

«Non fare quella faccia» gli sente dire in un mormorio, come se a dispetto del loro essere soli non volesse farsi sentire da altri: «resterei, ma non posso e se non faccio uno sforzo di volontà ora dubito di riuscire ad andare a dormire.» ammette Hitoshi con un sorrisetto colpevole. Shouto sospira, piano, e annuisce prima di sussurrare un: «Buonanotte.»

Hitoshi si sporge appena in avanti e gli posa un altro bacio sulla guancia, per poi lasciar andare piano la sua mano e uscire dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Shouto guarda il punto in cui l’altro è stato fino a qualche attimo fa; ormai c’è un’unica verità, tra loro, e almeno da parte sua Shouto non ha modo di continuare a scappare.

*

Ogni singolo servitore, così come anche Hawks e sua sorella, sembra non avere di meglio da fare nei giorni successivi se non ricordargli quanto vicino sia quello della scelta. Shouto vorrebbe dir loro di smetterla ma sa che, dopotutto, ignorare quanto poco rimane di quelle quattro settimane di corteggiamento non aiuterà nessuno. Tantomeno lui. 

In un modo o nell’altro dovrà confrontarsi con Hitoshi - in privato o davanti all’intera sala del trono. Vorrebbe poter avere la certezza di star facendo la scelta giusta e di saper usare le parole corrette. In fondo, per riuscirci, basterebbe essere qualcuno di diverso da se stesso. 

*

Se si sofferma a pensarci, Shouto può sentire la voce di un Izuku del passato dirgli di stare attento e spaventarsi per quanto pericoloso è considerato quello che sta facendo. O che conta di fare a breve.

La camera di Hitoshi è in un’ala del castello che comprende diverse stanze in cui sono accolti gli ospiti della famiglia reale, siano essi soliti fermarsi lì come Izuku o più casuali. Al momento quella accanto alla stanza dell’erede degli Aizawa è vuota e Shouto vi è entrato, attento a non farsi notare troppo da qualche servitore di passaggio. 

La tradizione del regno vorrebbe che la scelta del principe fosse resa nota solo ed esclusivamente durante la cerimonia ufficiale. Shouto non ha mai mancato di seguire questa regola, non solo perché nella quasi totalità dei casi tutti sapevano già che sarebbe stato un rifiuto, ma anche perché Shouto non aveva mai interagito con un corteggiatore al punto da sentire l’obbligo morale di avvisare la persona delle proprie intenzioni con un certo anticipo. L’unica eccezione - Momo - aveva comunque compreso la sua scelta ben prima e non c’era stato alcun bisogno di spiegargliela. 

Con Hitoshi, però, è diverso. Perché è la prima volta che Shouto non vuole rifiutare un pretendente. Tuttavia non vuole doverglielo dire davanti a tutti, con le fredde parole di un rito antico e un linguaggio ormai pressoché in disuso. Per questo si è intrufolato nella stanza accanto a quella di Hitoshi: per poter passare dai balconi quasi comunicanti.

Scivola fuori dalla finestra che dà sull’esterno, occhieggiando alla propria sinistra: la distanza è ancora quella che ricordava, quasi irrisoria se non fossero a parecchi metri dal suolo. Le luci accese all’interno illuminano anche parte del balcone, sebbene fiocamente, suggerendogli che forse si tratta di quella del comodino. Proprio come è sempre stato, invece, quella parte di giardino che non affaccia sull’ingresso principale non ha guardie fisse e la zona dei balconi, in generale, si trova in un punto abbastanza celato dall’oscurità da non far preoccupare Shouto di poter essere visto da qualcuno affacciato alla finestra a quell’ora. 

Si arrampica con facilità, le gambe semi piegate e una mano contro il muro, stringendo appena gli occhi abituarsi al buio quasi totale, non avendo potuto accendere alcuna luce nella stanza che sta sfruttando per quella visita fuori programma. Inspira, lentamente, e si mette in piedi sul parapetto. Evita di indugiare troppo e allunga una gamba, assicurandosi un buon appoggio sull’altro parapetto; si dà quindi uno slancio, scavalcando definitivamente. La mano trova un appoggio anche sul balcone appena raggiunto, ma lo slancio lo porta a scendere quasi subito dal parapetto in modo non del tutto silenzioso.

Non si aspetta le tende della finistra del tutto aperte e, di conseguenza, di essere visto subito da Hitoshi. Se non altro l’espressione altrui, a dir poco stupita, lo fa sorridere e lo aiuta a dimenticare per qualche istante quanto stupido debba sembrare lì dove si trova. 

Vede Hitoshi alzarsi dal bordo del letto dove era seduto e andare ad aprire la finestra; si fa subito di lato per farlo entrare, mentre Shouto lo sente chiedere: «Cosa ci fai sul balcone a quest’ora– no, aspetta. Come ci sei arrivato?»

«Ho scavalcato.» replica Shouto con un’alzata di spalle, visto che è l’unica risposta logica possibile. Hitoshi, invece, sembra incredulo: «In che senso hai scavalcato?» gli domanda allibito. Prima che Shouto possa rispondergli, però, l’altro alza una mano per interromperlo, aggiungendo un «È una domanda retorica.» con una punta di sarcasmo che a Shouto non dà nemmeno più fastidio, ormai.

Una volta che sono del tutto dentro, Hitoshi chiude la finestra senza esitazione e gli prende le mani nelle proprie. Shouto lo osserva, mentre lo sente mormorare un quasi distratto «Fuori si gela.» e «Bastava bussare alla porta.» con le sopracciglia aggrottate. Shouto prova un istinto quasi irrefrenabile di posargli un bacio leggero sulla fronte e questo gli ricorda che non è lì solo perché passare da un balcone all’altro è divertente.

«Ti devo parlare e… per tradizione non dovre vederti prima di domani.» gli fa presente, consapevole di aver infranto regole antiche quasi quanto il regno. Anche Hitoshi lo realizza quando sente quelle parole e annuisce piano, facendo un cenno verso una sedia posta non troppo distante dal letto. Shouto nota una camicia poggiata con cura sullo schienale, mentre Hitoshi fa per muoversi in quella direzione, forse per toglierla così da farlo accomodare. Lo trattiene prima che la raggiunga, scuotendo appena la testa nel momento in cui l’altro gli rivolge uno sguardo dubbioso.

«Siediti.» lo invita Shouto, accennando al letto «Preferisco stare in piedi.» assicura. Vede Hitoshi dapprima indugiare e poi poggiarsi sul bordo del materasso. Gli rivolge un sorriso che Shouto non riesce a decifrare mentre gli dice: «Non mi pare un buon segno.» per poi rimanere in completo silenzio e in attesa. 

Shouto si sarebbe dovuto preparare un discorso, ma l’ultima volta che ha pensato con calma a cosa fare si è scusato con un biglietto e un fiore, neanche fosse un bambino. Ogni conversazione che li ha in qualche modo avvicinati è stata casuale, a volte forzata dagli eventi. Se fossero andate diversamente Shouto sospetta sarebbero state molto più fallimentari. Perciò anche se ora trovare le parole gli sembra impossibile - o, almeno, trovare quelle giuste -, potrebbe andare meglio di quanto crede. Spera.

«Non volevo dirti queste cose per la prima volta davanti a tutti domani, durante la cerimonia.» inizia con una confessione. Hitoshi lo guarda e non dice nulla; Shouto non sa se questo renda tutto più facile o più difficile. Cosa è opportuno dire? Le grandi storie nei libri parlano di plateali dichiarazioni d’amore, di sentimenti potenti e improvvisi come un’esplosione. Shouto non si sente così. Non crede, quando guarda Hitoshi, di amarlo come se anziché quattro settimane avessero avuto a disposizione quattro anni. E crede che nemmeno Hitoshi lo ami come il regno e le tradizioni si aspettano che accada, da un giorno all’altro. Lui non ha idea di come dire una cosa del genere senza che suoni incredibilmente sbagliata.

«Si aspettano da me che io ti rimandi a casa o ammetta di amarti tanto da voler passare il resto della mia vita con te.» dice, cercando di non spostare lo sguardo da quello di Hitoshi: «Ma ti conosco da quattro settimane.» obietta, stringendo appena i pugni lungo i fianchi. Vede la mano di Hitoshi fare lo stesso, quasi a riflettere il suo gesto, con il bordo del materasso. È qualcosa che potrebbe passare del tutto inosservata, se Shouto non cercasse anche il minimo segno in Hitoshi che possa tradire i suoi pensieri e suggerirgli come aggiustare il tiro delle proprie parole. 

«Per me è impossibile decidere adesso se possiamo stare insieme tutta la vita.» cerca di essere più chiaro. Ora, a poco più di vent’anni, dopo aver visto dei genitori ottenere solo infelicità da una promessa prematura, come potrebbe fare lo stesso errore a cuor leggero o credendoci davvero?

«Però,» dice, nel tono l’urgenza di chi teme di non avere abastanza tempo prima che l’altro lo cacci via dalla stanza o, peggio, gli dica di non aver mai avuto intenzione di scambiare quel tipo di promessa con lui: «non voglio farti andare via.» confessa. È il primo dei due ad abbassare lo sguardo, ma non per codardia. Lo fa per respirare un attimo, per muovere qualche passo fino a essergli davanti e potersi inginocchiare come l’etichetta gli ha insegnato a fare - non è granché, ma è qualcosa che conosce nel mezzo di una situazione imprevedibile.

La voce di Hitoshi lo raggiunge prima che Shouto, tornando a guardarlo, possa riprendere a parlare: «Ti stai inginocchiando per farmi una proposta?» domanda, perplesso, e a Shouto sembra di riconoscere un accenno di imbarazzo in lui. Si guardano per un attimo, in cui Hitoshi decide di aggiungere un «Dopo avermi appena rifiutato.»

«Non ti ho rifiutato.»
«Sembrava di sì.»
«Sto cercando di–»
«Non ti sto fermando.» lo interrompe Hitoshi, fissandolo dritto negli occhi, bisognoso di qualcosa che forse necessitano entrambi ma che vuole venga da Shouto.

«Resta.» gli dice in un mormorio, cercando le sue mani con le proprie: «Dirò agli esponenti del regno che non posso giurare di sposare qualcuno che conosco appena, ma che voglio passare più tempo con te, conoscerti di più. Mio padre può concederlo. Me lo deve. E… E posso farti vedere che non ho molto oltre il titolo reale e tante questioni famigliari disastrate, ma è quello che ho. Voglio che tu possa vederlo e decidere se vuoi stare con me.» ammette, sentendo di star perdendo fiducia nel rendersi conto di quanti problemi ci si debba sobbarcare - anche indirettamente - nell’accettare quella sua proposta. Hitoshi, però, gli stringe entrambe le mani quasi a spronarlo ad andare avanti con il suo discorso. 

«Mi piaci.» confessa, sentendosi vulnerabile più di quanto si sia mai concesso di essere se non di fronte a poche, fidate persone: «Sul serio. Anche se mi hai fatto una pessima prima impressione e non sono la persona più facile da capire.»

«Un eufemismo.» lo sente commentare divertito «E la tua dichiarazione è terribile. Potrei raccontarlo in giro e ridicolizzarti davanti a tutti.» gli fa presente Hitoshi, ma è difficile crederci quando una delle sue mani scivola via da quelle di Shouto e gli accarezza il viso con tenerezza. Shouto lo sente sfiorargli la cicatrice e sospira, piano, socchiudendo gli occhi. Avverte Hitoshi muoversi e poco dopo le sue labbra sono su quelle di Shouto, in un contatto che dura pochissimo ma lo fa sentire comunque impacciato come un ragazzino.

«Posso dare la mia risposta?»
«Non era questa?» azzarda Shouto, sentendo l’altro sbuffare contro le sue labbra: «Arrogante.» commenta Hitoshi, intrecciando le dita delle loro mani e tirandolo appena verso di sé. Shouto glielo lascia fare - così come ha lasciato che Hitoshi conoscesse quello che lo rende fragile e che potesse disporne come voleva. Ha scommesso, contro ogni insegnamento di Hawks e contro ogni buon senso.

Potrebbe andare molto meglio del previsto.

   
 
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