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Autore: Eneri_Mess    22/11/2022    4 recensioni
Otto anni non sono una vita. Anche se il tempo separa le strade, non è detto che queste non si incrocino di nuovo. Quando però la persona che hai lasciato indietro non è più la stessa, i sensi di colpa sono l’unica radice reale a cui aggrapparsi.
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«Perché sei tornato?»
Fissò quel ritaglio di realtà, come la fotografia di un ricordo sovrapposta a quello che sarebbe dovuto essere un tetto vuoto. Non lo era. Kacchan era seduto lì, con l’aria di qualcuno in attesa da un tempo indecifrabile, spoglio di emozioni se non di uno sguardo che aveva già deciso come la storia sarebbe andata avanti.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In the middle of our life'
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On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 10




 

Do you feel already dead
Like you have no reasons left?
Standing on the edge
And finally looking down
Like a candle in the night
Fighting just to stay alive
I know you still can't see
But hold onto me
You will be found

[Found - Citizen Soldier]



 

Il mondo era sospeso in quei lunghi minuti precedenti l’alba. 

Non era notte, non era giorno, non c’erano emozioni, non c’erano rumori, non c’era vita. Era il perfetto momento di tregua dalla realtà dove niente sembrava potesse accadere, o dove ci fosse un tacito permesso a chiudere gli occhi senza rimpianti. 

Izuku stava fissando i propri piedi e il vuoto sotto di sé seduto sul cornicione del tetto dove di solito si allenava . 

Wasuno, con le sue ombre blu e dimesse, restituì l’idea di essere in pausa dalla parte che recitava ogni giorno. La solita quiete con cui si descriveva il quartiere era più morbida, immersa nel sonno, col sapore di quei luoghi dove un tempo c’erano state speranze quanto gioie, ma che non vedeva un cuore umano da diversi anni. Il mondo stava ancora dormendo e i pensieri non erano che sfumature oniriche che di lì a breve avrebbero ripreso consistenza, peso e direzione. 

La mente di Deku, però, non vedeva sogni da molto tempo. 

Quella mattina non fu diversa. 

Era Lunedì. I minuti, le ore, i giorni continuavano la loro marcia, impietosi di chi rimaneva indietro, e Izuku non si sentiva che un passeggero legato a uno dei vagoni. Non avvertiva quella sensazione da tanto. Era conscio delle scuciture, degli strappi e dei buchi dentro di sé, riempiti negli anni con tutto quello che il tempo stesso gli aveva messo sulla strada, prendendo qualsiasi cosa arrivasse purché facesse smettere l’eco dell’abbandono. 

Aveva funzionato, fino a due settimane prima. 

E sarebbe tornato a funzionare. 

Kacchan era una parentesi. Era come un brutto incidente in macchina. Il volante che sfugge di mano, i freni che non funzionano, l’impatto contro un muro. Il dolore, le voci che si affollano, i sensi che si interrompono, si ripristinano, si interrompono di nuovo. 

Deku conosceva il dolore in molte delle proprie sfaccettature. Lo temeva come ci si allontana da qualcosa che non si vuole che accada mai, ma questo non lo aveva privato della capacità di affrontarlo e sopravvivere. 

Doveva solo farlo un’altra volta. 

L’ennesima volta. 

E poi lasciarsi trascinare dal tempo ancora, di nuovo. Ricominciare a raccogliere ciò che trovava lungo i bordi della strada. Vivere come aveva imparato a fare, anestetizzando il passato fino a riportarlo sotto una botola su cui avrebbe ripreso ad accatastare il presente. 

Avrebbe accolto l’inizio di quella settimana come un ritorno alla routine. Respirare, riprendere in mano l’agenda, buttarsi nel lavoro, allenarsi, mettere tutto se stesso nella ragione per cui non poteva fermarsi solo perché Kacchan era riapparso nella sua vita. 

Aveva delle priorità. C’era chi lo aspettava, chi contava su di lui, chi aveva bisogno di lui. 

E c’era Wasuno.

Kacchan era un capriccio e non poteva dargli niente di più dei rimpianti. Era una cicatrice che non smetteva di pulsare nei giorni malinconici. L’avrebbe coperta con una maglietta, con delle bende, nascondendola alla vista e pretendendo che non ci fosse. Avrebbe continuato a pizzicare perché c’era e così sarebbe sempre stato, Deku però sarebbe andato avanti. 

Io vorrei che tu non esistessi.

Anche se faceva male, Izuku si sarebbe rialzato. Anche se quella ferita si fosse riaperta, continuando a gocciolare e macchiando tutto il suo essere, lui avrebbe perseverato nel camminare. 

Aveva detto a Kacchan quel che voleva sentirsi dire e quel gioco era finito. 

La parentesi era stata chiusa. 

Era sopravvissuto di nuovo. 

«Deku.»

E quel soprannome ormai aveva un sapore diverso. 

«Ciao Gin.» 

Apparteneva ad altri. 

«Mi sono distratto e mi sono dimenticato di allenarmi. Ti va di fare un paio di salti? Fino al forno della signora Chikema? Così facciamo colazione.»

Lo disse con leggerezza, ricordando come dovesse suonare, senza bisogno di infonderci qualcosa di vero. Andava bene così per ricominciare. Il tempo stesso lo avrebbe portato di nuovo lontano, marciando e marciando, e la distanza avrebbe fatto il resto, avrebbe reso tutto meno tangibile, meno reale, meno doloroso. 

Kacchan non sarebbe apparso sul tetto quella mattina. 

E Izuku avrebbe ricominciato a respirare un’aria di nuovo spoglia del suo odore.  



 

Who am I?
Who am I, I'll tell you
Just a silhouette of who I was, the rest is dead
I'm not one to hold back blessings
But I gave too much now I'm hurting
I felt that I couldn't move on
I was stuck in place but the world kept turning

[Fake Smile - Munn]



 

* * *



 

«… ‘kugou! Bakugou!»

Riprendere coscienza fu più rumoroso che doloroso. 

«… te le tolgo quelle chiavi, cazzo…» 

«Bakugou! Cos’è successo!? Cosa-»

Nel toccarlo, le dita di Todoroki tastarono un punto doloroso e Katsuki si svegliò definitivamente, piegandosi su se stesso con un ugh involontario. Gli schiaffeggiò via la mano, aprendo gli occhi, per quanto riuscisse con le palpebre ancora gonfie. 

«… Cristo, datti una calmata» latrò, ma senza tutta la verve necessaria a imporsi. «Sto bene.»

Sono ancora fottutamente vivo

L’espressione sconvolta di Shouto gli disse il contrario, ma Bakugou non gli diede peso. Puntellò una mano sul letto e si tirò su, stringendo i denti per impedire ad altri gemiti di scappare. Dovette respirare di bocca per riuscire a mandare giù abbastanza aria e mettere a fuoco l’altro eroe. 

«Allora? Che ti serve? Perché sei venuto?» sbottò, cercando al contempo di pescare qualche pensiero coerente in mezzo a tutti i nervi che urlavano. Non c’era un centimetro di lui che non ruggisse dal dolore. 

«… sei serio?» 

Shouto fu lungi dall’assecondarlo, come dal credere che la situazione potesse essere normale nonostante Katsuki perseverasse nel farla apparire tale. 

Le sue spalle tese si afflosciarono e si lasciò cadere seduto sul bordo del letto, guardandosi intorno per constatare che ciò che aveva visto poco prima fosse ancora lì. Tracce di sangue. Un cassetto del comò per terra con il contenuto sparso. La luce del bagno lasciata accesa, un bicchiere spaccato sul pavimento e l’acqua che ancora fluiva dal rubinetto aperto. Era stato quel rumore ad attirarlo nella camera, ma era passato in secondo piano quando aveva trovato Bakugou riverso sul letto. 

«Cos’è successo?»

Bakugou sbuffò. 

«Non lo vedi? Ho fatto a botte.»

Sostenne il suo sguardo incredulo per qualche secondo, prima di indicare il bagno col mento. 

«Sto bene. Va a chiudere l’acqua.» 

Todoroki non si mosse. Era serio, ma nel fondo dei suoi occhi spaiati c’era qualcosa di tremulo che chiedeva delle rassicurazioni. 

«Chi ti ha curato?» 

«Che diavolo stai blaterando?»

Shouto fu rapido, o fu Bakugou ad avere i riflessi rallentati, e le sue dita raggiunsero la guancia dell’altro eroe prima che potesse fermarlo. Dal gesto, dai polpastrelli che premettero su un cerotto, Katsuki capì cosa intendesse. Per la prima volta, i suoi occhi abbandonarono l’ostilità per un’emozione più semplice. Era spaesato e non trovò un ricordo tangibile con cui riempire quel senso di disorientamento. 

«Chi c’era con te Bakugou? Dove sei stato?»

Ma Katsuki, tra un gemito e l’incertezza nel riuscire a stare in piedi da solo, raggiunse il bagno e lo specchio. 

«Cazzo» esalò in un sibilo. 

Aveva mezza faccia viola e gonfia. Il naso era messo male, ma, anche tastandolo, non lo sentì rotto. Non sentiva più nulla di specifico. Il dolore era una sottotrama, una specie di secondo respiro, come se fosse sempre stato parte di lui ma lo avesse scoperto soltanto in quel momento. 

Si concentrò, lasciando fuori i pensieri circostanziali, per quanto l’unico, bruciato all’interno della sua mente come un marchio a fuoco, rimanesse fisso. 

Io vorrei che tu non esistessi. 

«Bakugou…» 

«Non lo so, ok? Sarà stato qualche buon samaritano» replicò alla muta, quanto ripetitiva domanda. Tornò a guardare lo stato orrendo in cui versava. Aveva cerotti sparsi, addirittura dei punti, e bende, bende ovunque, a tastare anche sotto la maglietta. Ma ancora nessun frammento di memoria, né un flash, anche minimo, che gli accendesse il buio. 

Ricordava il club, l’arena, le urla, lo scontro, il proprio arrendersi. 

E poi Deku e la sua espressione rotta. 

Io vorrei che tu non esistessi

Seguiva solo un’oscurità spigolosa. Uno sprazzo vago di sé, quasi estraneo, che barcollava verso il bagno, assetato, col bisogno di pisciare, il rumore di qualcosa di rotto - guardò in basso ai resti del bicchiere, e anche dello spazzolino e delle tre cose insulse che teneva sul lavabo - e poi di nuovo solo il letto e il rumore confortante dell’acqua che scorreva, che portava via i pensieri e lo riconduceva all’oblio.

Non ricordava cosa fosse successo col comò e il cassetto in terra, ma il dettaglio di una figurina olografica, tra i vestiti, gli fece ingoiare un groppo amaro. Tornò a concentrarsi, ma l’ultimo ricordo era quello che stava vivendo. Shouto a scrollarlo, a farlo riemergere ancora una volta. 

Realizzò di non sapere neanche come fosse tornato indietro, a casa. 

Nello scostare Todoroki si fece male, ma raggiunse l’ingresso a mascella serrata, appoggiandosi a qualsiasi cosa quando avvertì l'equilibrio venire meno. Bestemmiò, tentando di convincere il proprio corpo che fossero due graffi, che fosse stato ridotto peggio, che non facesse davvero male

Io vorrei che tu non esistessi. 

Quasi crollò contro la meta, il muro di fianco all’ingresso, riprendendo fiato, ma senza mai smettere di muoversi. Accese il monitor del citofono e la telecamera esterna, riavvolgendo la parte registrata. Fu fissando i minuti andare a ritroso, insieme alla data, che finalmente si accorse che fosse Lunedì. 

Era stato fuori dai giochi per l’intera Domenica.

«Merda…» 

Alle sue spalle, Todoroki lo osservò in silenzio, per poi spostare gli occhi al display quando comparve quello che Katsuki stava cercando. 

«Chi è?» 

Bakugou si prese un momento per esaminare la figura incappucciata e vestita con una larga felpa nera, sneakers rosse, che teneva il se stesso di due notti prima, privo di sensi, mentre usava le sue chiavi di casa per entrare. Guardò l’orario sul display. Le quattro abbandonati di mattina. Digrignò i denti, reprimendo un ringhio, e si passò una mano tra i capelli sentendoli uno schifo, come tutto il resto. 

Non ricordava nulla, ma non avrebbe fatto differenza.

Io vorrei che tu non esistessi

Premette il tasto cancella sul display. 

«Non è nessuno» rispose senza tono, voltandosi e tornando sui propri passi. «Qualcuno a cui devo aver fatto pietà» aggiunse con il sapore di bile sulla lingua, la bocca dello stomaco a bruciargli. 

Non c’era più urgenza. La registrazione non gli aveva detto niente di più di quello che già poteva sapere o immaginare. Non cambiava nulla. 

Io vorrei che tu non esistessi

«Dannazione…» sibilò, prima di perdere l’equilibrio e accasciarsi contro il bancone della cucina.

Le mani di Todoroki corsero a sostenerlo. Per una volta, la prima forse, al di fuori del lavoro, delle missioni in cui erano tornati a pezzi, Bakugou non lo scacciò per quel gesto. Prese invece un respiro, tremulo, che lo fece di nuovo imprecare, per poi tirarne su un altro, altrettanto sgretolato. 

Katsuki era svuotato. Quel buco dentro di lui non era più niente di diverso da quello che sarebbe potuto apparire. Una rovina senza più echi, senza più liquami di sentimenti compressi, dimenticati e lasciati ad agonizzare per anni. Niente da raccogliere, niente in cui annegare. Una notte senza stelle, senza profondità, infinita. Sabato aveva dato fondo a qualsiasi cosa fosse rimasta, come un carburante dal fumo nocivo, ma ultima risorsa per arrivare all’alba. 

Tuttavia, quell’alba non era riuscito a intravederla. Non c’era più alcuna linea dell’orizzonte a cui tendere.  

Quando Shouto si ritrovò le dita di Katsuki a stringergli la camicia, e la sua fronte bollente nell’incavo del collo, il respiro come un refolo caldo contro la gola, rimase immobile a registrare che stesse succedendo davvero. Attese qualche istante, prima di chiudergli le braccia intorno e restare così. 

«Cristo…» esalò Bakugou, mordendosi il labbro, assaporando un sapore salato che da anni non sentiva più. Odiò tirare su col naso. «Se lo dici a qualcuno ti ammazzo, hai capito?» 

Todoroki assentì, strusciando la guancia contro la sua tempia, restando in silenzio. Una domanda, o una parola, e sarebbe finita. 

Per quanto fossero stati intimi nei mesi passati, quell’abbraccio toccò corde ben diverse da quelle che avevano esplorato con il corpo. Vibrò della malinconia, piccola, dei delicati petali blu a ricordargli che, qualsiasi cosa ci fosse stata tra di loro, si era chiusa. 

Quell’abbraccio, però, apriva uno spiraglio su una soglia altrettanto importante, forse più di ciò che era cominciato con lo sfogare l’attrazione e la tensione.

In Katsuki c’era qualcosa di spezzato. Shouto lo sentì anche senza bisogno di spiegazioni, come se glielo stesse premendo contro il petto, rendendolo consapevole del bordo tagliente. Rendendolo partecipe di quel dolore. 

Il momento non sarebbe durato in eterno, lo sapeva, per questo, quando Bakugou prese un altro respiro profondo, più stabile, Todoroki si rilassò. Bisognava rimetterlo in piedi. 

«Ti preparo un caffè.»  

Katsuki si allontanò di un passo, guardando altrove, e poi un altro, appoggiandosi alla cucina, le spalle basse, ma Shouto non riuscì a interpretarle davvero come un segno di resa. 

«Fai una tisana… devo imbottirmi di antidolorifico» e nel dirlo si trascinò di nuovo in camera e in bagno, dai rumore che Todoroki sentì. 

Nonostante il silenzio, la tensione aveva già cominciato a depositarsi come uno strato di polvere, smettendo di essere un miasma tossico. L’atmosfera acquisì una dimensione più distesa, famigliare.

L’odore dell’infuso nell’aria, la tv accesa su un canale informativo random per dare spessore al vuoto di parole, i lamenti simili a ringhi di Katsuki nel sistemarsi sul divano e nel rimestare i blister dei farmaci che teneva nella propria cassetta del pronto soccorso. 

Del tutto casuale, fu una notizia alla televisione a dare il la a Bakugou, a riportarlo a intravedere dei binari da seguire. 

… secondo le ultime informazioni in mano alla polizia, gli incendi che hanno devastato i capannoni lungo il fiume potrebbero essere riconducibili a un regolamento di conti tra due gruppi yakuza, noti con i nomi di Shie Hassaikai e Loto Nero. Le attività recenti hanno visto un'impennata di traffici illegali nella zona, dal commercio di stupefacenti a… 

«Ohi, Scemo a metà. Cosa ne sai di questa merda?» 

Todoroki fu preso alla sprovvista, voltandosi a guardare la tv e cogliendo solo l’ultimo stralcio di informazioni del servizio. 

«Non molto.» Aggrottò la fronte, poggiando due tazze bollenti sul tavolino del salone. «Non sono crimini di cui ci occupiamo, non direttamente. Deve essere la polizia a richiedere una collaborazione… Le loro attività non sono come quelle dei Villain.»

«Grazie della spiegazione ovvia» sbuffò Bakugou, cacciandosi in bocca due pasticche, ma senza distogliere l’attenzione dal telegiornale. 

Gin aveva nominato rogne con l’Hassaikai, la mattina di Sabato.

Protettore di Wasuno e Sesto Comandante del Loto Nero erano stati invece i titoli con cui Deku era stato apostrofato dall’arbitro sul ring.

Quei dettagli emersero dalla cenere nella sua mente. Un altro tassello di un puzzle completamente annerito, ma che tenne in mano, cercando di valutarne il peso. 

Era un indizio. 

Era la possibilità di un’altra strada da percorrere per raggiungere Izuku. 

Io vorrei che tu non esistessi

Katsuki si passò le dita sul petto, massaggiandolo, mentre la sua testa usciva dal torpore della sofferenza fisica grazie all’azione degli antidolorifici.

Rivide il volto di Deku sovrastarlo e percepì nitido il ricordo del sangue, nelle sfaccettature sensoriali di olfatto, vista e gusto, delle grida che componevano l’audio di quel momento, tutto un aggrovigliarsi nel formare una tela, una trappola per solleticare i sensi di colpa. Ma Bakugou dissezionò quel garbuglio in maniera decisa, lasciando solo il fotogramma di Izuku. 

Della sua espressione alla fine del loro match. Di uno sguardo che si fissò dentro di lui e che divenne il suo nuovo obiettivo. 

Un cellulare squillò, ma si mescolò al rumore di fondo che era diventato l’ambiente intorno a Katsuki.   

«Devo scendere un attimo» disse Todoroki, alzandosi. «Torno subito.» 

Bakugou lo ignorò. Non lo sentì neanche. 

Fece scivolare la testa indietro, sulla spalliera del divano, e chiuse gli occhi. 

Deku era una figura spettrale al centro di quel buco nero che si portava dentro. Non importava non avere più una prospettiva verso cui muoversi, non se Izuku gli aveva dato un motivo in più per raggiungerlo. 

Doveva riorganizzare le proprie mosse. 



 

Say what you say, push me away
Fuck my head up, beg me to stay
How could I be better off without you?
When I'm not better off without you
Lie that you're done, like you gon' run
Like you don't love, I'm calling your bluff
Say the water's too rough
But I won't leave you when you're sinking

[What's Left of You - Chord Overstreet]



 

* * * 

 


Si stava approssimando un’altra alba. 

Sfumata di rosa e lilla, il velo ultimo della notte, con del giallo ad aprire la strada al sole imminente. 

«Sei in ritardo.»

Deku non poté ammirare il cielo. Il suo mondo si ridusse a un’unica porzione di spazio, come un capogiro improvviso, rovesciando tutto il resto e lasciandolo rigido e immobile. 

«… perché sei tornato?»

Fissò quel ritaglio di realtà, come la fotografia di un ricordo sovrapposta a quello che sarebbe dovuto essere un tetto vuoto. Non lo era. Kacchan era seduto lì, con l’aria di qualcuno in attesa da un tempo indecifrabile, spoglio di emozioni se non di uno sguardo che aveva già deciso come la storia sarebbe andata avanti. 

L’Hero si alzò, sicuro sulle proprie gambe, infilandosi le mani in tasca. Sul suo viso c’erano i segni del loro ultimo incontro qualche giorno prima, ma portati con la stessa disinvoltura con cui Bakugo indossava il proprio costume da eroe. 

Anche se si avvicinò di alcuni passi, non sembrò intenzionato a cercare un contatto se non quello degli occhi. E Izuku faticò a non abbassare il proprio. 

«Non posso smettere di esistere.» 

Fu come se il cielo stesso lo avesse ascoltato. Il primo raggio di sole superò la barriera dell’orizzonte e li illuminò in una linea diagonale. Accese i colori. Il biondo dei capelli di Katsuki e i suoi occhi rossi. Deku se ne sentì quasi bruciato.

Bakugou ghignò, diventando ancora più reale, più lui, più di quanto già non fosse, annullando qualsiasi illusione potesse ancora tentare di irretire e alimentare le grigie speranze di Deku. 

«Apri le orecchie, idiota. Non posso smettere di esistere perché diventerò l’eroe numero uno.» 

Fece un passo in avanti e Izuku sentì una morsa allo stomaco. 

«Diventerò così famoso che troverai la mia faccia e il mio nome ovunque ti girerai.»

La distanza tra loro era sempre meno. 

«Hai capito, merDeku? Perfino i muri parleranno di me. Anche in questo buco dimenticato che è Wasuno.»

Erano uno di fronte all’altro. Centimetri, respiri, palmi di mano, ma non era una misura fisica quella che contava. 

«Perché sei tornato?»

Izuku lasciò che la voce fluisse, non gli importò che tono avesse. Suonò patetica nella sua testa, un’ultima catena a tenere quel che restava di qualcosa che non sarebbe più dovuto essere. 

Io vorrei che tu non esistessi

«Credi che il solletico che mi hai fatto mi abbia spaventato, mezzasega?» 

Bakugou sbuffò esasperato, inclinando la testa per guardarlo come avrebbe fissato qualcosa di piccolo e petulante - ma che riempiva ogni angolo della sua mente. 

«Ti sei accorto di avermi riportato a casa dopo avermi fracassato di botte o eri ancora fatto? C’è un limite all’incoerenza, ma tu sei proprio un cazzo di caso uma-»

«Sono stato chiaro nel rispondere alla tua ultima domanda!» replicò Deku, parlandogli sopra e riuscendo a indurire i lineamenti del viso, nonostante il tremore nelle braccia rigide e nei pugni serrati. «Io non ti voglio nella mia vita!»

Bakugou raddrizzò le spalle e la testa. In ultimo alzò anche il mento, imponendosi su quell’occhiata astiosa, senza smettere di fissarlo. Sulle sue labbra si aprì un sorrisetto. 

«Che parole avevi usato tu? Ah, sì.»

Si avvicinò di un ulteriore passo, invadendo il suo spazio vitale.

«Flash news, Deku: io sì. Voglio farne parte.» 

Finché non riuscirò a chiederti scusa come si deve. 

A rimediare.

A salvarti da te stesso.

Non era ancora il momento, o quei pensieri avrebbero avuto una loro dimensione sonora. 

Gli strati da grattare erano tanti e c’era una questione più urgente in cima alla lista. Bakugou tornò serio e lo guardò apertamente, riuscendo anche a sovrapporre a lui quell’Izuku fuori di sé che aveva incontrato nell’arena. Un fantasma che si nascondeva nelle ombre del suo volto, sopito ma presente. 

«Non puoi farlo, Kacch-» iniziò Deku, arrestandosi sull’ultima sillaba. Si tirò indietro, rischiando di incespicare nei propri passi, mentre perdeva la fermezza sulla propria agitazione. 

Guardò ovunque, misurò il pavimento con gli occhi, il cornicione, i tetti limitrofi, e non trovò un appiglio su cui posare lo sguardo che non fosse di nuovo Katsuki. 

«Vuoi sentirmi dire che ti odio!?» sbottò, gesticolando con l’insano bisogno di avere qualcosa tra le mani da spaccare. «Non ti è bastato quello che ti ho detto!? Non ti è bastato abbandonarmi!?»

Lo schiocco del palmo sulla bocca non fu abbastanza rapido da fermare le parole. Izuku abbassò lo sguardo, spalancato, scioccato da ciò che si era lasciato sfuggire. 

Bakugou, al contrario, respirò ogni sillaba, riempendocisi i polmoni e depositandole nel posto a cui appartenevano. Al centro dei suoi sensi di colpa, come la prima candela accesa a rischiarare l’oscurità. 

«Odiami, Deku. Non ti biasimo. Però non sono qui per quello» cominciò piano, spoglio di qualsiasi orgoglio o arroganza. Un tono che cinque, otto anni prima non si sarebbe potuto permettere, che non avrebbe saputo usare. Riuscì a fare breccia nella tensione di Izuku e a riportare la sua attenzione su di sé. 

«Non te ne sei accorto, ma Sabato notte, mentre mi picchiavi, avevi quella faccia…»

«Di cosa stai parlando!? Quale faccia!?»

«Quella di uno che chiede aiuto, Izuku.»



 

And I know you're searching
For a little bit of light

[Hero - Tommee Profitt ft. Mike Maine]



 

Se il tempo si fosse potuto fermare, e schernirli per come stessero riducendo otto anni di allontanamenti e silenzi in un insieme di ore sparse in due settimane, lo avrebbe fatto in quel momento. 

Deku era spiazzato. 

Katsuki gli lasciò qualche istante per metabolizzare, preparandosi alla negazione che sarebbe seguita. 

«No

Disperato. Un suono che l’Hero aveva ascoltato tante volte, ma che risuonò ugualmente con lo schiocco di una frusta. 

«Non è vero! Smettila di fare come ti pare! Smettila!»

«Se avessi voluto cancellarmi dalla tua vita, non avresti più usato quel cazzo di nomignolo, Deku. Te l’ho dato io, cos’è, te lo sei dimenticato!?»

C’erano delle incrinature sui muri eretti da Izuku, poteva vederle. Poteva sentirle. 

«È l’unica cosa che sei riuscito a lasciarmi!»

«E tu non l’hai buttato via, come invece ho fatto io con te. Sei stato migliore di me, mentre io ti ho riposto da una parte e sono andato avanti. Ti ho ignorato. Sono quasi arrivato a dimenticarti.» 

Izuku sembrò incerto sulle ginocchia per un secondo. Non si era aspettato un’altra verità così trasparente, un’ammissione tanto limpida. Strinse le dita sulla stoffa della maglietta, all’altezza del petto, cercando un punto fermo, come se il cemento sotto i suoi piedi fosse diventato di colpo troppo morbido. Dischiuse le labbra, ma senza suono. 

Bakugou perseverò nell’avanzare in quella breccia. 

«Non ho intenzione di andarmene questa volta. Non ti lascerò indietro.»

«… tu non vuoi capire… questo… non si può cancellare…» 

Deku levò lo sguardo ma non parve in grado di dare alla vista un punto nitido su cui focalizzarsi. Di mettere a fuoco Katsuki.

«Non sai niente di quello che è successo…»

La sua voce viaggiò sulle schegge che l’eroe aveva appena prodotto con una manciata di parole, uscendo spezzata. 

«Non sai chi sono diventato… cosa ho fatto… chi sta soffrendo per colpa mia…»

«Non me ne frega un cazzo. Io resto.»

Fu l’ultimo colpo. 

Fu l’ultimo colpo perché un rumore, purtroppo familiare, li interruppe. Si irrigidirono entrambi, per poi voltare lo sguardo nella stessa direzione. 

Nel momento più sbagliato, Gin arrivò sul tetto col fiatone e il viso madido di sudore. Guardò appena l’eroe, come se sapesse già di trovarlo lì, e si focalizzò completamente sul suo capo.

«Deku… abbiamo un problema.»

Tre parole, ma si rivelarono la doccia di realtà che servì a Izuku per ristabilire una parvenza di equilibrio e scivolare via dalla presa invisibile di Katsuki.

Qualcosa ruggì dentro quest’ultimo - Non ignorarmi! - e si esternò in un guizzo agli angoli degli occhi e nel serrare la mascella, snudando i canini. Ma non si intromise, nonostante la tensione che sentì sfociare come un torrente per aver sfiorato l’obiettivo. Fu fastidioso notare i movimenti incorporei con cui Deku spostò l’attenzione da lui alla donna, lasciando riemergere in superficie una sfumatura di autocontrollo. L’Hero restò in silenzio, valutando la gravità della questione. 

«… cos’è successo?» il tono di Deku su incerto, slavato dalle emozioni.

«Confine est. Uno scontro con l’Hassaikai. Ci sono dei feriti.» 

Izuku sembrò svegliarsi. Imprecò, per poi farfugliare qualcosa tra sé, frugando con lo sguardo la confusione che si portava dentro. Guardò Bakugou stanziato dietro di sé e diede l’idea di essere incastrato nella decisione da prendere. Ma non ce ne fu motivo. 

Katsuki aveva già scelto.

Voglio fare parte della tua vita.

La sua promessa di restare l’aveva esternata. Quello sarebbe stato il primo passo per metterla in pratica.

«Andiamo.» 

L’Hero gli sfiorò la spalla, portandosi al suo fianco. Deku trovò i suoi occhi e le sue intenzioni, prima ancora che le mettesse a parole. 

«Non starò qui ad aspettare, ma non ho intenzione di immischiarmi» chiarì, per poi aggiustare il tiro, alzando il mento. 

«Non muoverò un dito finché non sarà necessario l’intervento di un eroe.» 



 

  Now the vultures are flying
The sun's coming up
But the steel around your heart
is starting to rust

Let me be your hero
(I'll carry you through)
Let me be your hero
(I'll lay it all down for you)

[Hero - Tommee Profitt ft. Mike Maine]



 

* * *



 

La sera stessa. 


«… Bakugou?»

«Evita di congelarmi, cretino.»

Todoroki abbassò la mano destra. I cristalli di ghiaccio si bloccarono a qualche decina di centimetri dai piedi di Katsuki, creando subito una lieve condensa nell’aria tiepida della stanza. 

«Che cosa stai facendo…? Qui?» formulò Shouto, incerto su cosa volesse sapere prima. 

Bakugou tornò a dargli le spalle e a fare quello che stava facendo: frugare nei cassetti del suo soggiorno. 

«Mi avevi dato le chiavi di casa tua perché potessi venire quando mi pareva» replicò Katsuki ironico - quasi allegro, constatò sgomento Shouto - senza degnarlo di un’occhiata. Chiuse un cassetto e passò a ispezionare due ante, aprendole insieme. «Non mi sembra che tu di solito ti faccia problemi a entrare e uscire dal mio appartamento. E io non ti ho invitato a farlo.» 

«Cosa stai cercando?» Todoroki cambiò argomento, ricordandosi di avere ancora in mano la sacca della palestra, che poggiò a terra, ma senza abbandonare l’aria circospetta. Erano passati a malapena tre giorni da quando aveva trovato l’altro eroe pesto di botte e con una crisi il cui motivo gli era ancora oscuro. Quel Bakugou che gli stava rovistando in casa sembrava inaspettatamente rinato. 

Katsuki bofonchiò qualcosa di incomprensibile, chiudendo al contempo uno degli sportelli con irruenza per troncare la propria voce. Vedere Bakugou così leggero negli atteggiamenti lo rincuorò, ma Shouto non poteva ignorare il campanello d’allarme che lo stava mettendo in guardia. 

«Se mi dici cosa ti serve ti dico dove trovarla. Senza che metti tutto a soqquadro.»

«Hai ampliato il tuo dizionario.»

Todoroki lo guardò meno collaborativo. 

Bakugou richiuse l’ennesimo cassetto con uno sbuffo, voltandosi verso di lui, le mani sui fianchi. 

«Mi servono le chiavi dell’ufficio di Endeavor. Mi ricordavo fossero qui» e col pollice indicò il mobile che aveva appena cercato di sventrare. 

Dopo un iniziale sbattere di palpebre perplesso, Shouto corrugò la fronte, cercando un indizio nell’espressione blanda e troppo ricca di menefreghismo di Katsuki. 

«Le ho spostate.»

«Fantastico» ribatté l’altro, alzando il palmo. «Cacciale fuori così tolgo il disturbo.»

«No.»

Non ci fu bisogno di mettere a parole quello che Todoroki voleva in cambio. Bakugou sbuffò con forza dalle narici, valutando i pro e i contro. Non molti a suo favore, ma non perse altro tempo a discutere o con preamboli inutili.  

«Primo, non mi farai domande.» 

Dettare le condizioni fu il suo modo per capitolare. Che avesse iniziato a contare dal dito medio fu un’altra questione. 

«Secondo, non ti far saltare in mente di immischiarti. Per nessun motivo e in nessun caso.»

«Non mi stai invogliando a darti le chiavi.» 

«Terzo» sottolineò Katsuki a voce ferma per ignorare l’interruzione, levando l’ultimo dito. «Mi coprirai qualsiasi cosa succeda. Sarai il mio contatto di emergenza.» 

Shouto fu preso in contropiede e seppe di dover pensare alla svelta.

Il suo intuito aveva compreso cosa quelle affermazioni comportassero, ma la sua mente perseverò nel tendersi per voler raggiungere il quadro nascosto da Bakugou. 

«Prendere o lasciare. Un altro modo per entrare nell’ufficio di Endeavor lo trovo.» 

«Va bene» accettò Todoroki con una vena di astio e frustrazione, ma anche qualcosa che gli fece correre il sangue per quell’ultima richiesta. «Accetto, ma ho due condizioni anche io.»

«Non è negoziabile.»

Todoroki si strinse nelle spalle, prima di fare un gesto plateale e indicargli la porta. 

«Allora mentre tu vai in Agenzia, io chiamo mio padre per avvertirlo che qualcosa nel suo ufficio ti interessa particolarmente.» 

«Che stronzo!»

«Hai iniziato tu.»

Sulle labbra di Bakugou si aprì un ghigno nel mormorare un’imprecazione. 

«Falla breve, che vuoi?»

«Mi manderai un messaggio ogni giorno. Scegli tu il contenuto, non mi importa. In più, mi risponderai quando sarò io a contattarti. Se mi ignorerai o non avrò tue notizie entro sei ore, verrò a cercarti.»

Tornarono a scrutarsi come due lupi che non avevano gradito l’invasione del territorio l’uno dell’altro. Sorprendentemente, il primo a rinunciare fu Katsuki, infilandosi la mano in tasca e tirandone fuori il cellulare. Due secondi e quello di Shouto squillò per una notifica. 

 

Oggi | 23:02
God Dynamight
🖕🖕🖕

 

«Preparati a riceverli tutti i giorni e fatteli andare bene.» 

Shouto roteò gli occhi, mettendo via il telefono. Si voltò e andò in cucina, per tornare con un portachiavi tra due dita, da cui pendevano alcune chiavi, una pennetta USB e una tessera magnetica. 

«Andiamo?» 

Bakugou neanche ci provò a dirgli che non era stato invitato. 



 

* * *



 

La notte intorno all’Agenzia di Endeavor era pacifica come la presenza rassicurante del palazzo prometteva. Ad accogliere i due fu un lungo fischio e una Hero che non poteva mascherare del tutto i propri capelli fiammeggianti.

«Wow, addirittura il figlio del Capo! Era lui il tuo passepartout!?»

«Non era previsto» replicò a denti stretti Bakugou, abbassandosi la mascherina quando fu davanti all’ingresso. 

«Burnin’... cosa fai qui?» Todoroki fu l’unico davvero sorpreso. 

«Qualcuno» e la donna assestò una gomitata nel fianco di Bakugou, facendolo imprecare, «mi ha pregata per un favore eeeenooormeeee. Si è presentato da me con due casse di birra ultra pregiata, ma, se spera che basteranno per quello che mi ha chiesto, sta fresco!»

«Ce la fate a fare meno casino e a muovere il culo!? Voglio andare a dormire. E non ho pregato nessuno

«Perché sei venuto a cercare le chiavi da me se hai contattato la senpai? Anche lei può entrare nell’ufficio di mio padre.»

Nel mentre, avevano varcato la soglia, si erano fatti riconoscere dalla sicurezza robotica e si erano avviati verso gli ascensori. 

«Oh, non ti ha detto quello che ha in mente!» ridacchiò l’eroina, fissando con un sorriso da stregatto Dynamight, messosi in un angolo a imprecare per conto proprio intanto che risalivano i piani, mai troppo velocemente. «Lo vedrai a breve. Poteva chiedermi solo un favore e già non sarà in grado di ripagarlo.»

«Taci. Non lascio debiti in giro.» 

Il ding di arrivo, con tanto di voce pre-registrata, riecheggiò per l’ambiente semivuoto. Burnin’ fu così gentile da aggiungere un extra al proprio favore inventandosi una scusa con quelli del turno di notte per giustificare la loro presenza, mentre Bakugou e Todoroki si avviavano alla porta dell’ufficio di Endeavor. 

Una volta che furono tutti e tre dentro, Katsuki non perse tempo a buttare via definitivamente mascherina e cappello da baseball per avviare subito il computer. 

«Vedete di non toccare nulla che non serva. Se il Capo noterà qualcosa e farà domande, io risponderò» li mise in guardia l’eroina, senza perdere il proprio entusiasmo, quasi auspicasse un’eventualità del genere. 

«Seh, seh. Facciamo una cosa veloce» latrò Bakugou, scostando la poltrona girevole gigante e invitando Burnin’ a sedersi con un gesto secco. 

«Che signore che diventi quando ti serve qualcosa» celiò lei, sprizzando quel suo buon umore ricattatorio insieme a qualche scintilla dei propri capelli fiammeggianti. Una volta che iniziò a digitare sulla tastiera, accompagnandosi da sola con un motivetto a labbra unite, immettendo password, aprendo determinati programmi e pagine di browser, finalmente Todoroki mise insieme i pezzi. 

«Ti serve un alias per andare sotto copertura?» 

«No, sono qui per vedere le foto di te che Endeavor conserva nel pc» ringhiò Bakugou, lanciandogli un’occhiataccia dall’altro lato della poltrona. «Quando fai così non capisco come faccio a tollerarti.»

«Che sagome che siete!» berciò Burnin’, ridendo sgraziata, ma senza mai smettere di digitare. «Avete mai pensato di fare coppia anche fuori dal lavoro?»

Entrambi si tapparono la bocca e lei stirò un sorrisetto mefistofelico. 

«Scherzavo» ma non lasciò margine per rilassarsi. «Lo so già quello che combinate, siete così ovvi. Solo il Capo non se ne è accorto. Che tenero.»

Todoroki arrossì appena, anche mantenendo la propria maschera di serietà. 

«Basta con le chiacchiere inutili.» 

«Certo, certo, come desidera God Dynamight» scherzò Burnin’, ma terminò di digitare e si aprì davanti a loro uno schedario con file di finte carte di identità prive di foto. Cliccò sulla ricerca e si scrocchiò le dita. 

«Allora, chi ti serve di diventare? Un avvocato? Un manager? Un impiegato delle pulizie? Di recente ho aggiunto qualcosa di più hot come gigolò o poledancer. Non si sa mai!»

«Basso profilo. Qualcuno che passi inosservato.»

Burnin’ increspò le labbra con un mmmh meditabondo, aprendo la lista dei filtri e iniziando a includere o escludere varie opzioni. 

«Lo sai che la tua presenza grida tutto meno che non guardatemi da un chilometro di distanza?» 

«Fai troppo casino per passare per una persona qualunque» si aggiunse Shouto, parafrasando involontariamente la senpai e lanciando al collega un’occhiata che voleva sottolineare una constatazione, ma che Katsuki prese in pieno come una provocazione.

«Ha parlato il bastoncino di zucchero! Fate silenzio o vi ammazzo!»

«Come volevasi dimostrare» ridacchiò la donna, avviando una nuova ricerca. I risultati si dimostrarono ancora parecchi, ma tutte le professioni altisonanti erano sparite dall’elenco. 

«Vediamo… abbiamo nettezza urbana, classico disoccupato, custode, tuttofare per i forni notturni, guardia di sicurezza per depositi esplosivi… ah ah, questo lo avevo inserito pensando proprio a te!»

«Leva qualsiasi riferimento alla sicurezza.»

«Vaaa bene… quindi. Stagista per un giornale o blogger? Ti potrebbe servire per infilarti in qualche party o società losca. No? Poi, tolettatore per animali dello zoo… no, direi di no. Uh, questo invece era stato pensato per te, Shouto: modello alle prime armi! Se mai volessi provare altro nella vita!» 

Todoroki replicò con un Grazie di circostanza. 

«Guarda questo, Bakugou: barman! Che ne dici? Tutti parlano sempre con l’oste! È una miniera di informazioni e posso insegnarti a miscelare due o tre cocktail! E in livrea staresti uno schianto!»

«Non ho tempo di imparare» tagliò corto l’Hero, levandole il mouse e scorrendo la lista da sé. Burnin’ si mise comoda, dondolando appena nella poltrona dove sembrava una bambina rispetto alla stazza che la occupava di solito. 

«Immagino tu sappia dove ti vuoi infiltrare, sì? Questi avranno un target lavorativo… O hai deciso di impiegare le tue ferie per qualche esperimento sociale?»

«Niente domande.»

«Shouto, di preciso, cosa ci trovi in lui? È solo bravo a letto o delle qualità ce le ha?» chiese Burnin’ senza neanche cambiare tono, ma fissando Todoroki sinceramente incuriosita. Quest’ultimo si strinse nelle spalle. 

«Eccolo. Potete finirla di fare salotto. L’ho trovato.» 

«Vediamo, vediamo…»

L’eroina si riavvicinò alla scrivania, consultando la scheda. 

«Autista, eh? In effetti è un lavoro che passa abbastanza in sordina…» commentò, facendosi seria, mentre anche Shouto si chinava per leggere i dettagli. «Bisogna aggiungere tutti i documenti relativi alla guida e ai mezzi guidabili. Questo alias è un po’ vecchiotto, era stato pensato per una missione di Endeavor - tipo dieci anni fa? - e il cv è pieno di esperienze che un ragazzino di ventitré anni non potrebbe aver fatto.»

«Togli il superfluo. Mi basta la certificazione base. Scrivi che ho lavorato per privati e aggiungi un brutto incidente e una degenza in ospedale di qualche mese, con annessa perdita di lavoro.»

«Wow! Hai le idee chiare o stai improvvisando?» 

Bakugou fece schioccare le dita, provocando un paio di scintille. 

«Poche chiacchiere. Mi serve questa roba al più presto.» 

«Allora vammi a prendere una birra mentre ti aggiusto il tuo nuovo curriculum!»



 

Venti minuti più tardi - e una bottiglia in mano a testa - stavano rileggendo da capo, per l’ultima volta, vita morte e miracoli del neonato Inoshiro Kaji

«Ricapitolando» Burnin’ si stiracchiò nel dirlo. «Hai avuto il sangue caldo fin dalle medie, finendo in più di una rissa, e sei stato arrestato due volte al liceo per aver mandato in ospedale dei compagni. Sei stato poi reintegrato nella società tramite servizi per la comunità, facendo principalmente consegne. A diciotto anni hai preso la patente per continuare con questo lavoro, finché non sei stato assunto come autista da una piccola azienda. Un giorno hai avuto un colpo di testa e hai tentato di derubare un manager. Nella fuga sei finito falciato da un camion. Quattro mesi di ospedale, quattro di riabilitazione e ora elemosini lavoretti qui e lì, sempre come autista… sei stato pizzicato un paio di volte in fight club clandestini, ma sei sempre riuscito a dartela a gambe nella confusione generale. Hai un comune quirk esplosivo di piccola gittata - questa poi, vorrei vedere come ti limiterai!»

C’era più una curiosità deliziata che vero scetticismo nella sua voce, quando concluse di leggere il background dell’alias.

«Sicuro che questo ti suoni come basso profilo? Perché mi sembra ci siano tutte le basi per una vita da criminale.» 

Katsuki si scolò le ultime due dita di birra rimaste, ghignando. 

«È perfetto.»

Burnin’ fece spallucce. Todoroki si fece venire più di una ruga in mezzo alla fronte, ma non aggiunse nulla. 

«Allora andiamo avanti. Step due: Shouto scattagli quattro foto contro quella parete lì. Davanti, dietro e due per ambo i profili. A mezzobusto.»

Una volta caricate le immagini sul pc, la donna lanciò un secondo programma che iniziò ad analizzarle e marcare di punti la figura di Bakugou, soprattutto il viso, realizzando un modello 3D molto fedele. 

«Non che si possa fare granché per rendere la tua faccia da schiaffi meno riconoscibile… per cominciare, potresti tagliarti i capelli o aggiungere delle extension… tipo così.» 

Qualche click alle opzioni e nelle fotografie il taglio cambiò più di una volta, mostrando diverse possibilità. Todoroki tossì un paio di volte, nascondendo un sorrisetto divertito su alcuni tagli particolarmente audaci. Katsuki non ci trovò nulla per cui ridere. 

«Falli neri e basta.»

«Uuhh… emo style? Attento alla ricrescita!» 

Pochi secondi e il Bakugou scocciato delle fotografie li fissò con una zazzera appena intinta nell’inchiostro di china. 

«… Contento tu. Vuoi cambiare anche gli occhi? Ho delle lenti a contatto programmabili per il colore e che possono registrare fino a un’ora con un comando vocale predefinito. Tu dici Surprise, motherfucker e parte il rec. È ottimo per-» 

«Lascia perdere, non mi serve. Rendimi meno riconoscibile. Deturpa la faccia come se il camion lo avessi preso frontalmente.»

Burnin’ lo fissò scettica, inclinando la testa. 

«E come pensi di spiegare quella faccia liscia come una pesca? Stai per infiltrarti in una di quelle sette di guarigione miracolosa?»

Katsuki si premette le dita sugli occhi, rovesciando la testa all’indietro. 

«Puoi farlo e basta senza fare domande?» 

«Se lo chiedi per favore… Intanto dammi il cellulare, devo installarti i programmi di criptazione. Le credenziali si genereranno sullo schermo una volta sola per un minuto al primo riavvio, vedi di ricordartele perché se no finirai a usarlo come fermaporta. Dimenticati i backup. Se venisse inserita una password errata tutti i dati verranno cancellati. Quindi se hai delle foto compromettenti di Shouto salvale ora.»

«Senpai-!» 

«Seh, capito. Installa e via.»

Burnin’ collegò il cellulare al computer e fece partire un nuovo programma.

«Avrai installata la vpn dell’Agenzia. Se farai gli accessi ai nostri database o a quelli della Polizia, oltre alle tue credenziali base, il sistema ti chiederà anche un codice extra che ti darà un ingresso fantasma per circa un’ora. Vedi di fare ricerche mirate, perché non potrai riaccedere se non dopo tre ore. Niente screenshot o copia e incolla delle informazioni.» 

«Chiaro» replicò Katsuki, rispondendo con un’occhiata annoiata a quella contrariata con cui Todoroki continuava a fissarlo. «Niente perdita di dati sensibili nel caso qualcosa vada storto.»

«Non ti dico che il cellulare potrebbe autodistruggersi… ma quasi!» rise Burnin’ senza smettere un attimo di digitare e sistemando più cose insieme. «A proposito, per il resto del mondo, Bakugou Katsuki dove sarà?»

«Santa Monica, California.» 

«Quindi finalmente le tue ferie avranno un senso! Era il posto dove sei stato per quel tirocinio?» 

«Hai finito?» sbuffò Dynamight. «Quanto manca?»

«Stai calmo, surfista. Dovrai pazientare comunque fino a domani a pranzo per avere i documenti completi. Ma in quanto a Picasso dovrei esserci, che dici? Forse è più un Goya

Dallo schermo, il volto digitalizzato di Bakugou era attraversato da più di una brutta cicatrice e ustione. Chiunque lo conoscesse, con un leggero sforzo, avrebbe potuto ancora dire chi fosse. Tuttavia, a un occhio esterno… 

L’eroina alzò il palmo e Katsuki le diede il cinque.

«È perfetto» ribadì, guardando il suo gemello dai capelli mori passato in un tritacarne. Inoshiro Kaji, un nome di merda, ma si sarebbe abituato presto. «Girami il modello 3D per mail.»

«Che ci devi fare? Va bene, va bene, niente domande» sbuffò Kamiji, alzando gli occhi al soffitto. «Allora questo è quanto: entro domani mattina l’alias diventerà a tutti gli effetti una persona reale. Ti ho creato una casella di posta sul cellulare dove riceverai le comunicazioni burocratiche e un botto di finte email giusto per riempirla se qualcuno dovesse riuscire a ficcanasare - ma in quel caso, abort mission, chiaro? Se bucano il sistema di sicurezza di questa Agenzia siamo fottuti e - Shoto, copriti le orecchie - Endeavor ci inculerà tutti.»

«Sarà fottuto chi ci proverà tramite il mio cellulare. Altro?»

«Oh, , una montagna di altre cose e protocolli che ti manderò a breve per email. Leggiteli stanotte come favole della buonanotte mentre io finisco qui. Devo renderti credibile al mille per mille!» 

«Grazie.»

Burnin’ si bloccò dal digitare e si voltò a fissarlo a bocca larga, per poi cercare Shouto con lo sguardo. 

«È davvero qualcosa di importante! Oddio, ma devo preoccuparmi?»

«Benvenuta nel club» replicò Todoroki, con del livore a rosicchiarne il tono piano.

Bakugou roteò gli occhi. 

«E questa chi te l’ha insegnata, Scemo a metà? Smettila di tenere il muso e andiamo, devo passare in un konbini

Nel dirlo, riprese tutte le proprie cose, bottiglie di birra incluse per buttarle nel primo cestino fuori dall’ufficio di Endeavor.

«Ehi, ehi, ehi! Aspetta un attimo!» 

Burnin’ saltò in piedi, avvicinandosi con irruenza. La differenza di altezza tra loro era variata molto dalla prima volta che Katsuki aveva messo piede in quell’Agenzia per un tirocinio all’epoca della Yuuei, ma questo non aveva mai impedito alla donna di guardarlo dall’alto in basso, fosse anche usando il proprio quirk. 

«Se ti fai ammazzare vengo a bruciarti il culo, intesi?»

Bakugou ghignò. 



 

* * *



 

«Se mia madre dovesse passare a mollarti della verdura o qualche diavoleria, dille di smetterla di preoccuparsi.»

«E quali parole dovrò usare di preciso?» 

Bakugou arrestò di colpo la camminata, facendo in modo che Todoroki lo urtasse, non fermandosi in tempo. 

«Vedi di farti passare l’incazzatura verso di me.»

«No.»

«Non era una richiesta» ringhiò Katsuki, voltandosi a guardarlo. Constatò come Shouto mostrasse ancora la stessa espressione ostile da quando la storia dell’alias si era concretizzata. Era come un fottuto cane che gli stava mordendo l’orlo dei pantaloni. 

«Hai intenzione di non dire niente ai tuoi?» cambiò discorso Todoroki, o meglio, lo peggiorò. «Se dovesse succederti qualcosa, dovrò riferirgli che mi hai impedito di sapere cosa stessi combinando?»

«Quanto sei melodrammatico, Cristo.»

Bakugou riprese a camminare, arrivando davanti al market ventiquattr’ore che stava cercando. Entrò senza guardarsi intorno, prese un cestino e puntò direttamente al reparto che gli serviva. 

«Allora?»

Todoroki gli era di nuovo alle calcagna. Katsuki finse indifferenza, quasi di non conoscerlo, almeno dai gesti con cui frugò tra i prodotti da bagno, buttando tutto il necessario nel cestello. Inclusa la tinta nera.

«Allora cosa, Ghiacciolo Caldo?»

«Cosa dovrò dire ai tuoi?»

«Gli parlerò io domani mattina, quindi stai a cuccia.» 

La risposta provocò l’effetto contrario. Shouto si indispettì maggiormente, sembrando nell’espressione sempre più simile a un bambino. Un bambino corrucciato che si stava preparando a salutare qualcuno senza sapere quando lo avrebbe rivisto. 

Raramente i palmi delle mani sudavano a Todoroki, ma quella notte si ritrovò a strusciarseli nervosamente sui pantaloni. 

«Katsuki.»

Bakugou si fermò, ma senza voltarsi. Escluso il sonnacchioso commesso in cassa, erano solo loro e qualche telecamera. L’ultimo momento in cui il mondo avrebbe potuto ricercare l’Hero Dynamight per molto tempo sarebbe stato in quelle registrazioni di sorveglianza e nello sguardo dell’altro eroe al suo fianco. Ciò che si dissero, tuttavia, rimase impresso solo a Shouto. 

«Chi hai incontrato in quei vicoli a Wasuno?» 

Bakugou si lasciò sfuggire l’inizio di una risata che finì ad avere la consistenza di uno sbuffo ironico, di autocommiserazione. 

«Anche se te lo dicessi non farebbe differenza. Non sapresti nulla di più di quello che sai ora.» 

Nonostante l’insensibilità che componeva la frase, Todoroki trovò qualcosa di molto diverso nel tono. C’era della stanchezza - dell’arrendevolezza - che gli rubò un battito in più nel petto. Percepì anche del tepore in mezzo alle sillabe, un calore lieve, lo stesso che aveva provato il giorno in cui aveva riallacciato i rapporti con sua madre. 

Speranza?

«Te lo dico in breve, una volta per tutte.» 

L’Hero guardò di fronte a sé, ma Shouto capì subito che non stesse rivolgendo l’attenzione a niente di presente. 

«Ho perso qualcosa molto tempo fa. Sto andando a recuperarlo.» 

«Bakugou, io posso-»

Non finì la frase perché la vista gli venne oscurata. Il cappellino da baseball di Katsuki gli era appena stato infilato a forza in testa con una risatina. 

«Mi sono stufato di portamelo appresso. Tienimelo finché non ritorno e vedi di non perderlo, è un ricordo della California. E dagli una lavata, non voglio ritrovarmi i tuoi capelli male assortiti tra i miei.»



 

I found a ghost of the past, a memory that last
Seems like yesterday that we had it made
But this is not the way that we had planned
And start to understand what happened

To all the times and all the places
I guess it's time, I need to face this
You're not here
But you've never been so close so that's why I say

That I won't let go, oh no, oh no
All the memories we hold, oh no, oh no
Teach me how to go on without you
And I swear I won't let go, oh no, oh no

[Won’t let go - Fivefold]





 

FINE
Prima Parte



 

Grazie della compagnia, lettori e commentatori ❤️

Sono a malapena sei mesi che sono finita dentro My Hero Academia e già chiudere una mini-long è tanto, tanto soddisfacente. 

Col senno di poi, si potrebbe dire che Wrong Heaven sia la macro introduzione a quella che sarà la “ciccia” in Right Hell. 

Avrei un po’ di note di cui mi piacerebbe parlare… tipo il ribaltamento di una battuta così importante in BNHA (quella di Izuku a Katsuki nella vicenda del primo cap contro il villain di fango), o il rapporto TodoBaku, o ancora di come io ami Burnin’ e mi sia divertita da matti a scrivere la parte con lei (ps: nel tempo libero lei si inventa tonnellate di alias, poi magari ne useranno 3 tutto l’anno…). 

Starei qui tre ore a riempirvi dei miei processi mentali e fangirlici. 

Vi lascio invece con i ringraziamenti e con una preview! 

 

Primo e secondo grazie vanno ad Aredhel e a OdeToJoy.
Ad Aredhel per tante ragioni che sa lei, ma soprattutto perché negli anni mi ha incoraggiato a iniziare sta serie… e mi chiedo se immaginasse che mi sarei infognata in questa maniera poco dignitosa. Ormai ci sono dentro UU/ 

A Ode, la Socia, perché a due ore dall’uscita degli spoiler di questa settimana riusciamo a far combaciare i nostri neuroni nello stesso istante. TVB. E ovviamente perché amiamo quel che facciamo UU plottare forte. 

Ai commentatori di questa storia: Claude1988, Evelyn Hope, Bunnysenzay, notheartbroken, aleinad93, soniacrivellaro, (in pvt) Europa91 e Fairy =)
Lo ripeterò fino a sgolarmi o a farmi dolere le dita: siete stati uno sprint immenso. Leggere i vostri commenti ha salvato più di una giornata (suono melodrammatica? chissene). 

Grazie anche a tutti i lettori silenziosi e a chi ha lasciato un kudos *love* Se vi va di battere un colpo in privato mi trovate su Twitter e IG come @/enerimess ;) 

 

E quindi… arrivederci con il seguito: On the right side of Hell

 
   
 
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