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Autore: Kim WinterNight    25/11/2022    0 recensioni
[Segue le dinamiche della serie "You're my flavor", ambientata presumibilmente nella seconda metà del 2022.]
A volte basta soltanto morire tra le braccia giuste per ricominciare a vivere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mike Patton, Roddy Bottum
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'You're my flavor'
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Yen







That’s all I need

 
 
 
 
 
 
You're the sin that I've been waitin' for
The hands around my throat
It's all I can think about
The smell of sweat and blood
 
 
Sudore freddo infradiciava i palmi delle sue mani mentre aspettava.
Mike aspettava di rivederlo dopo tanto – troppo – tempo, dopo il periodo più difficile della sua vita, dopo ciò che erano stati un’eternità prima.
E tutto ciò a cui riusciva a pensare erano le sensazioni che ricordava, sbiadite ma in qualche modo vivide.
Quelle stesse sensazioni a cui un tempo non si era sottratto – ma quello era stato un altro Mike, quella gli pareva un’altra vita, perfino un universo che non gli era mai appartenuto.
A volte si guardava dall’esterno, critico, cattivo con quel se stesso che gli aveva impedito di vivere.
Ma adesso aspettava Roddy e l’unica cosa a cui pensava era la voglia morbosa di riabbracciarlo, nonostante non fosse certo che ci sarebbe riuscito.
Non era più lo stesso Mike, quello espansivo, stronzo, impulsivo.
Ora si sentiva come un bambino che affogava nelle sue stesse paure.
L’agorafobia l’aveva allontanato da tutti – perfino da se stesso.
Poteva farcela, in fondo. Sarebbero stati soltanto loro due, quelle erano state le condizioni che aveva posto.
Soltanto lui e Roddy, in una stanza grande, arieggiata, piena di finestre e vie d’uscita.
Non era claustrofobico, ma temeva di avvertire l’impellente necessità di allontanarsi e scappare da Roddy, perché il Mike che era diventato aveva paura delle persone.
Ci stava lavorando, le cose andavano meglio, ma ogni nuovo incontro dopo la risalita era una prova da superare per lui.
Chiuse gli occhi e i ricordi sbiaditi fecero nuovamente capolino dietro le sue palpebre – lui e Roddy avvinghiati, i loro gemiti estatici, i loro corpi che sapevano di sudore, dolore, disperazione.
Sospirò. Si erano desiderati così tanto…
Roddy aveva sempre rappresentato quel peccato a cui Mike non aveva mai trovato la forza di sottrarsi, quel desiderio ammorbante e ossessivo, quella creatura capace di catturarlo e attirarlo irrimediabilmente.
Istintivamente indietreggiò quando udì la porta aprirsi. Appoggiò la schiena alla parete alle sue spalle e guardò dritto di fronte a sé, notando che Roddy non accennava a richiudere l’uscio.
Anche lui aspettava.
Era in attesa di un suo segnale, il volto indecifrabile e il corpo massiccio che si stagliava in controluce.
Mike deglutì e si sentì dannatamente stupido, anche se sapeva che non ce n’era alcun motivo. Non era colpa sua, non stava facendo niente di male e doveva soltanto ricordarsi di respirare.
Avere paura non significa essere deboli, si ripeté mentalmente mentre accennava un sorriso.
Roddy fece un passo avanti, ma ancora non chiuse la porta. «Ehi» mormorò.
«Puoi chiuderla» disse Mike, la voce incredibilmente capace di essere udita.
«Come vuoi tu.» Roddy eseguì con calma, senza compiere movimenti eccessivamente bruschi – come se si trovasse di fronte a un animale ferito e temesse di farlo scappare da un momento all’altro.
Mike avvertì una punta d’irritazione invaderlo e non riuscì a trattenersi. «Smetti subito di comportarti così» affermò. «Non voglio compassione, era una delle condizioni.»
Roddy rimase fermo vicino alla porta chiusa e lo fissò in silenzio, le mani in tasca e l’espressione pensosa. Era invecchiato come tutti quanti, i suoi tratti da uomo maturo parevano quasi impossibili da accostare a quelli armoniosi del giovane ragazzo che Mike aveva conosciuto tanti anni prima. Ma i suoi occhi – quelle profonde pozze blu – erano sempre gli stessi, perfino più intensi e segnati dal tempo e dalle dure lezioni che la vita gli aveva impartito.
Mike avvertì nuovamente le mani sudare e un diffuso calore pervadergli il corpo.
Gli faceva strano provare quella sensazione, ma la riconobbe e riuscì a catalogarla con un sospiro: aveva voglia di toccarlo.
«Vuoi che mi comporti come se niente fosse successo?» gli domandò Roddy in tono pacato – quella sua voce profonda gli era mancata, se ne rese conto e processò l’informazione con il cuore che accelerava appena i suoi battiti.
«Non posso ignorare quello che ho passato, la merda da cui sto riemergendo, ma sì. Non voglio compassione» ripeté Mike, annuendo appena.
Roddy attese ancora qualche istante, poi si mosse lentamente nella sua direzione.
Mike si appiattì contro la parete, non sapendo cosa aspettarsi ma allo stesso tempo desiderando che quella distanza tra loro cessasse di esistere.
L’altro si fermò a pochi centimetri da lui e cercò i suoi occhi, le mani ancora affondate nelle tasche e le labbra appena incurvate in un sorrisetto.
Mike stava letteralmente bruciando dentro, ma non era più lo stesso di un tempo e non riusciva a prendere l’iniziativa come avrebbe fatto in passato – erano lontani quei giorni in cui avrebbe sovrastato Roddy, lo avrebbe assalito e non gli avrebbe lasciato alcuna opportunità di replica.
Ma adesso era totalmente diverso, era lui che aspettava, era lui che desiderava di essere preso e trascinato nuovamente alla vita.
 
 
I would feed you all my pleasures
Just to drown in all of yours
Have you heard of me?
Are you hurting me?
 
 
«Hai saputo?» chiese Mike con il fiato corto, gli occhi ancora immersi in quelli di Roddy.
Il tastierista sollevò una mano e se la passò sul viso. «Di te? Ho sentito qualcosa.»
«Sei incazzato perché abbiamo saltato il tour? Non ti biasimo.»
Roddy scosse il capo e delicatamente gli sfiorò una guancia.
Quel contatto bruciò sulla pelle di Mike e gli mise addosso una voglia dannata di sottrarsi. Non lo fece, perché dentro di sé c’era qualcosa che lo calamitava verso quel tocco leggero – era stato un istante, ma aveva rivoluzionato tutte le sensazioni che stava provando.
Mugolò senza controllo, ricercando disperatamente quella carezza, rincorrendo le dita di Roddy con la propria guancia, stringendogli il polso con la mano sinistra per impedirgli di abbandonarlo.
Roddy non si mosse, non lo lasciò, gli rimase accanto.
Mike respirava forte, sentiva gli occhi bruciare, il corpo sopraffatto dalle emozioni e da stimoli che credeva dimenticati.
Se ne stava aggrappato a Roddy e si sentiva sempre peggio – smarrito, solo, bisognoso di provare quello di cui si era lasciato privare per anni.
«Ti prego…» Mike lo disse, ma non aveva neanche idea di quale fosse la ragione per cui lo implorasse in quel modo.
Si sentì avvolgere, abbracciare, stringere con forza e delicatezza, e tutto quello che stava provando fu troppo.
Troppo per il suo cuore.
Troppo per la sua mente.
Troppo per i suoi polmoni.
Tutto faticava a funzionare in lui, neanche un pensiero razionale si formava nella sua testa.
E tutte le sue fragilità, insicurezze, domande, debolezze, angosce si disciolsero in lacrime rumorose, singhiozzi fastidiosi, sussulti inopportuni e si infransero nella camicia di Roddy – come se in qualche modo si riversassero impietosi nel suo cuore.
Il tastierista accolse tutto senza fiatare, prese il suo corpo tremante tra le braccia e lo sorresse.
«Non riesco a… Roddy, ti prego… respira per me» boccheggiò Mike, ormai non riusciva più a capire se la sua fosse ansia, paura, disperazione o tutto quanto insieme.
Roddy lo trascinò gentilmente con sé fino a raggiungere il divano addossato a una delle pareti, lo aiutò a sedersi e si accomodò al suo fianco.
Non lo abbandonò neanche per un istante, abbracciandolo e carezzandogli delicatamente i capelli, permettendogli di sommergerlo di lacrime e di portarlo con sé in quel baratro che aveva tentato in tutti i modi di tenere per sé per un sacco di tempo.
«Sto da schifo, cazzo» sputò Mike frustrato.
«Posso andarmene quando vuoi. E tu puoi fare lo stesso» lo rassicurò Roddy, la voce appena incrinata.
«Non so nemmeno io cosa voglio. Come mi sento. Sto di merda.»
«Tutto questo mi fa male» ammise Roddy.
E Mike si accorse che faticava a trattenere a sua volta un moto di commozione.
Cercò faticosamente i suoi occhi e li trovò lucidi, sfuggenti, come se Roddy volesse sottrarsi al suo sguardo per non fargli intendere che anche per lui quello era un momento difficile.
«Voglio solo… sentire qualcosa. Sentirmi. Sentirti.» Mike parlava e i suoi occhi erano torrenti in piena, così come le disperate parole che abbandonavano la sua bocca.
Roddy lo strinse forte al petto e gli baciò una tempia. «Farò qualsiasi cosa. Lo sai.»
E Mike lo sapeva eccome, non avrebbe mai dubitato di lui, non era mai successo. Aveva spesso messo in discussione se stesso, ma Roddy era sempre stato una certezza senza eccezioni.
 
 
Let me savor what I'm waiting for
A chance to make me choke
You're all I can think about
The taste is red in rust
 
 
Mike si morse le labbra fino a farle sanguinare, non trovando la forza per compiere quel passo che desiderava fare in maniera straziante.
Il gusto del proprio sangue, il dolore della carne lacerata, il brivido che gli percorse la schiena lo fecero sentire vivo.
Affondò con il viso nell’incavo del collo di Roddy e trattenne il respiro per un attimo. Inalò il suo profumo – era sempre quello, lo riconobbe e lo trovò incredibilmente familiare – e lasciò che il proprio fiato si infrangesse sulla sua pelle calda.
Lo sentì sospirargli tra i capelli e si morse ancora il labbro, scosso dall’ennesimo singhiozzo.
Sapeva di essere un disastroso pasticcio di lacrime, sangue e dolore, ma mai come in quel momento si sentiva vivo e desiderava esserlo.
Roddy gli prese delicatamente il viso tra le mani e lo guardò dritto negli occhi, con quel suo solito fare rassicurante e calmo che ormai Mike aveva imparato ad associare al passare inesorabile del tempo – da giovane gli aveva sempre dato l’impressione di essere più insicuro e incontrollabilmente emotivo.
Con un dito Roddy raccolse quella che doveva essere una piccola goccia di sangue, la trasportò via dal suo labbro e se la impresse addosso, macchiando la propria camicia candida.
Mike pianse ancora più forte e Roddy non riuscì a trattenersi a sua volta, gli occhi inondati dalle sue medesime gocce salate.
Si abbracciarono stretti – stavolta Mike ricambiò e si aggrappò a lui con tutte le poche forze che sentiva di avere – e piansero come non si erano mai concessi di fare in una vita intera.
Quelle di Mike erano lacrime trattenute per anni, ma non erano poi così amare come si aspettava – in fondo all’anima sentiva che c’era anche qualcosa di positivo, forse semplicemente la gioia e la gratitudine per essere ancora vivo e capace di provare emozioni come quelle.
Capace di abbracciare quell’uomo meraviglioso e rendersi conto di quanto irrimediabilmente lo amasse.
Gli ci era voluta una profonda crisi interiore per arrivare a quella consapevolezza, ma ora gli pareva talmente chiara da domandarsi come avesse fatto fino a quel momento a non accorgersene.
E quando le labbra di Roddy si fermarono lievi sul suo viso e asciugarono il frutto del disastro che era, Mike le ricercò e le volle sentire ancora e ancora, fino ad accoglierle sulle proprie e farsele scorrere dappertutto.
Con le dita si aggrappò alla stoffa candida della camicia del suo tastierista, mentre il loro contatto si approfondiva e si intensificava.
Più Roddy lo baciava, più Mike piangeva. Era un’inquietante consequenzialità dei fatti, ma nessuno dei due poteva né voleva frenarla.
A Mike sembrava quasi di soffocare, stava provando troppe emozioni e non era in grado di gestirle; ma non poteva lasciar andare Roddy, non ora che il sapore di sangue e lacrime bruciava sulle loro lingue che si avvinghiavano, non ora che finalmente poteva toccarlo e tenerlo incollato al cuore.
Non ora che lo amava così tanto da non riuscire quasi a respirare.
Quello non era più lui, non lo stesso Mike che aveva preferito rovinare tutto in passato pur di sfuggire alle emozioni, non quel ragazzino che aveva voluto divertirsi e approfittarsi dei sentimenti più puri che gli fossero mai stati dedicati.
 
 
Can I hold you in my mouth
Until I fade into this form?
Can you cover me?
Will you breathe for me?
 
 
Voleva disperatamente continuare a baciarlo e lasciarsi baciare, anche se il fiato gli mancava e la testa gli girava, anche se rantolava nella sua bocca, anche se Roddy cercava di tranquillizzarlo carezzandogli la schiena e i capelli.
Mike era un fiume in piena e voleva continuare a sgorgare, a sommergerlo, a divorarlo.
Senza smettere di piangere, soffrire, morire dentro.
Si scostò soltanto per trascinarsi Roddy addosso, per abbandonarsi contro la spalliera del divano e pretendere che gli stesse il più vicino possibile.
Era tutto quello che voleva e a cui non riusciva più a fare a meno.
Voleva lasciarsi soffocare da quei baci bollenti, sentire il suo sapore e custodirlo tra le labbra, sulla lingua, sui denti.
Non si riconosceva più e non gli importava, aveva smesso tempo addietro di ricercare se stesso perché semplicemente non sapeva più chi era davvero.
E Roddy era quella creatura con cui poteva davvero esprimersi, di cui non aveva mai avuto paura, per cui aveva tante volte perso la testa senza esserne consapevole.
Lo premeva contro di sé e si lasciava invadere la bocca, lo accoglieva in quel modo naturale e doloroso, se lo faceva scivolare fino in fondo all’anima – quell’anima che gli disegnava sentieri tortuosi sulle guance, ancora.
Quello era il primo vero contatto umano che stava sperimentando dopo aver cominciato a risalire la china, il primo tanto profondo e destabilizzante, il solo capace di fargli davvero male.
Da sempre era stato convinto di sapere cosa fosse il dolore unito al piacere – sesso rude, morsi sulla pelle, segni indelebili e grida strazianti – ma no, non ne aveva avuto realmente idea fino a quel momento.
Baciarlo e lasciarsi baciare in quel modo accresceva la sua sofferenza, perché se da un lato Mike voleva allontanarsi, dall’altro non desiderava altro che continuare.
Ogni schiocco sensuale lo faceva sussultare, ogni carezza sul viso lo induceva a singhiozzare, ogni mugolio gli toglieva il respiro.
Era dolore fisico, ma soprattutto era la sua mente a dolere – troppi pensieri, poca capacità di rimanere lucido e catalogarli.
A braccia aperte accolse quelle sensazioni scomode e le rese sue, perché finalmente lo stavano riportando alla sua perduta umanità.
Si concesse un grido strozzato mentre continuava a tenere Roddy ancorato a sé.
Non riconosceva più quali fossero le proprie lacrime e quali quelle di Roddy, voleva soltanto ingoiare tutto e portarlo nel cuore.
 
 
As the knife goes in, cut across my skin
When my death begins
I wanna know that I was dying for you
I died for you
As the knife goes in, cut across my skin
When my death bеgins
I wanna know that I was dying for you
I died for you
 
 
Mike aveva l’impressione di poter smettere di respirare da un momento all’altro.
Non riusciva a calmarsi, a domare la ferocia con cui la sua lingua cercava quella di Roddy, non sapeva come smettere di soffrire e come impedire a quelle fitte di dolore di pungergli la pelle – ovunque.
Le mani del tastierista erano lievi su di lui, sapeva quanto fossero soffici e calde le sue dita, sapeva quanto potevano farlo godere.
Ma in quel momento no, Roddy lo coccolava, tutto andava in contrasto con la disperazione da cui Mike si sentiva divorato.
Nonostante lui fosse agitato e faticasse a placare il suo tumulto interiore, Roddy se ne stava addossato a lui e lo riempiva di piccole attenzioni – lo aveva sempre fatto, ma in quel momento ogni cosa stava assumendo un significato diverso.
Mike si sentiva sopraffatto e un pensiero lo colse alla sprovvista: potrei morire per potermi sentire così ancora.
Sorpreso da se stesso, finalmente liberò Roddy dalla morsa in cui lo stava intrappolando e portò le mani sulle sue guance – erano umide di pianto, ormai neanche il tastierista cercava più di nascondere le sue condizioni emotive.
Entrambi respiravano forte, a fatica, distrutti da quel contatto prolungato che li aveva coinvolti per un tempo incalcolabile.
Occhi negli occhi, si specchiavano l’uno nell’altro, e a Mike sembrava incredibile essere nuovamente insieme a quell’uomo che in un modo o nell’altro aveva sempre fatto parte della sua vita.
Anche quella volta, nel momento più difficile che avesse mai affrontato, Roddy Bottum era lì per lui.
Aveva lasciato tutto per raggiungerlo.
Aveva rinunciato a tutto per riabbracciarlo e rassicurarlo.
Anche lui sacrificherebbe la sua vita per me, considerò Mike con il cuore che gli sussultava impazzito nel petto.
Roddy gli lasciò un lieve bacio sulla fronte e si distese sul divano, attirandolo a sé per non interrompere l’abbraccio.
Faceva male stare così vicino a lui, Mike soffriva ed era terrorizzato, ma allo stesso tempo si rendeva conto che non voleva rinunciare al lusso di essere nuovamente umano.
 
 
I don't know what has happened yеt
A surge of panicked zeal
Worry when it's not effect
This game is fine by me
All the words for retribution
Only add up to revenge
Overpower me
And devour me
 
 
Mike deglutì e parlò, riuscendoci nonostante la gola gli bruciasse. «Non so cosa sia successo, io…»
Roddy lo teneva stretto, continuava ad accarezzargli i capelli e a lasciargli di tanto in tanto piccoli baci sul viso. «Non è successo niente, va bene così.»
«Ero nel panico, non sapevo come fermarmi…» proseguì Mike in tono lamentoso – un po’ si vergognava, ma non poteva che essere onesto con Roddy, glielo doveva e lo doveva anche a se stesso.
«Non giustificarti. Non vuoi essere trattato diversamente dal solito, lo hai detto tu. Il Mike che conosco non si giustifica mai. E quando vuole qualcosa, se lo prende senza chiedere.»
«Non sono più sicuro di essere il Mike che conosci.»
Roddy cercò il suo sguardo e lo lascio affogare nelle sue profonde pozze blu, mentre con le dita tracciava piano il profilo del suo zigomo. Non disse niente, si limitò a scrutarlo e a leggergli dentro come probabilmente soltanto lui era sempre riuscito a fare.
A parte Trevor, ma quello era un altro discorso. Lui e Trevor erano cresciuti insieme, avevano imparato a conoscersi giorno per giorno e non si erano feriti a vicenda. C’erano semplicemente sempre stati l’uno per l’altro senza bisogno di pretendere qualcosa l’uno dall’altro.
Ma Roddy aveva sofferto a causa sua, tantissimo, eppure era ancora lì pronto a soffrire ancora e a custodire il dolore di entrambi come fosse un bene prezioso.
Per lui andava bene, e Mike sapeva che non erano soltanto parole.
Con un sospiro cercò di scrollarsi di dosso il dolore, ma quello rimase lì e non accenno a diminuire.
«Perché fa così male?» esalò, chiudendo per un attimo gli occhi.
Quando li riaprì, quelli di Roddy erano ancora pronti ad accoglierlo, un po’ più limpidi e sereni di prima. «Cosa?»
«Essere umano.»
Il tastierista sorrise amaramente. «Me lo chiedo spesso, Mike.»
«Non hai mai trovato una risposta?»
L’altro negò con un cenno del capo. «Mai. E credo che non esista una spiegazione.»
«Che merda» commentò Mike, accostandosi nuovamente a lui e lasciando andare il capo contro la sua spalla.
«Lo so. Ma insieme si soffre meglio» replicò Roddy, le dita ancora una volta intrecciate alle ciocche dei suoi capelli.
Mike non rispose per alcuni istanti, non sapendo bene cosa dire. Poi le parole sgorgarono da sole, senza che potesse controllarle: «Sto da schifo qui con te, cazzo se sto male».
Roddy si irrigidì appena e le sue carezze si fermarono di botto. «Mi dispiace…» disse soltanto.
«Ma sto anche bene, è… strano. Non voglio più smettere di provare queste cose, qualsiasi cosa significhi.» Si spinse più vicino a Roddy e strofinò le labbra sul suo collo. «Non smettere di toccarmi.»
«Sei sicuro?»
«Sì. Anche se è una sensazione del cazzo, tu non smettere.»
Roddy sospirò e ricominciò a prendersi cura di lui, cercando invano di lenire il male che continuava a sopraffare e divorare Mike.
Quanto ti amo, Roddy Bottum…
Uno dei pensieri più strani che avesse mai formulato, ma ciò che lo terrorizzava maggiormente era la consapevolezza che non si trattasse soltanto di un pensiero, ma di una cruda e spietata verità.
 
 
Show me all the deaths are the same
Show me you'll remember my name
Show me all the deaths are the same
You will remember my name
 
 
Mike si scostò e si tirò indietro per cercare nuovamente il contatto visivo, il corpo che tremava appena per la miriade di sensazioni che lo stavano scuotendo.
Con la mano sinistra risalì lungo il braccio di Roddy e raggiunse il suo viso, fermandosi per godersi la sensazione dei propri polpastrelli sulla guancia resa ruvida dalla barba.
Ebbe un sussulto – l’ennesimo – e i suoi occhi bruciarono ancora, anche se stavolta le lacrime non li abbandonarono. Forse le aveva semplicemente finite tutte.
Si sporse verso Roddy per baciarlo e il dolore si fece ancora sentire, intervallato però da confortanti ondate di calore. Ora che si era calmato, le sensazioni non erano più confuse e insopportabili come poco prima.
Le stava provando per la seconda volta in quella giornata e andava già meglio, nonostante la gola gli si stringesse e il peso sul petto non si fosse ancora deciso a lasciarlo in pace.
È questa la morte?, si domandò Mike con un sospiro che si infranse sulle labbra di Roddy.
Voleva saperlo, sapere se fosse possibile sentirsi così tanto male e bene in contemporanea – a lui non era mai successo, ma non era sorpreso che stesse vivendo con Roddy quella prima esperienza.
Con lui era sempre riuscito a provare emozioni inedite, era sempre stato il tastierista a confonderlo e fargli perdere il controllo.
Gli aveva mostrato cosa significasse amare, odiare, piangere, soffrire, ridere – appartenere a qualcuno.
Mike si fermò e si fece nuovamente indietro, portandosi le dita alle labbra. Davvero baciare quell’uomo lo stava distruggendo e riportando in vita senza mezzi termini? Davvero le braccia di Roddy erano capaci di cullarlo e infliggergli dolore? Davvero sentiva l’impellente necessità di lasciar sgorgare parole aliene da quella gola che non smetteva di serrarsi?
Si morse le dita per non parlare, continuando a fissare l’altro negli occhi.
«Mike.» Roddy pronunciò il suo nome con estrema dolcezza.
«Ho bisogno di…»
«Fai quello che ti senti» lo rassicurò il tastierista, afferrando gentilmente la sua mano sinistra per impedirgli di torturarla come stava impietosamente facendo.
Disperatamente, Mike strinse i denti e strizzò gli occhi. Poi le parole fluirono senza che potesse fermarle, così tanto crude e reali, come mai le aveva immaginate.
«Ho un casino di problemi, un cazzo di caos in testa… a volte ho avuto difficoltà a ricordarmi perfino il mio nome, ci credi? Ero una merda con le gambe, faticavo a riconoscermi e a camminare. Sono stati mesi assurdi, ma non voglio parlarne. Ho solo… ho solo dovuto finire in quelle condizioni per capire quanto cazzo tengo alla mia vita.»
«È successo anche a me» replicò pacato Roddy. «Non ho passato ciò che hai passato tu, però sai che ho vissuto tempi bui. La droga, la disperazione…»
Come poteva Roddy parlare con tanta semplicità di problemi così grandi e soffocanti? Mike lo ammirava, in un certo senso, perché ora sentiva il bisogno di dire tante cose ma ciò non significava che facesse meno male.
«La dipendenza» mormorò Mike. «La solitudine. L’autodistruzione.»
«Le conosco» sussurrò Roddy a sua volta, stringendogli forte la mano per rassicurarlo.
«Ho sempre bisogno di farmi male. Sempre. Anche adesso.»
«Siamo tutti un po’ masochisti, Mike.» Il modo in cui Roddy pronunciava il suo nome gli faceva venire la pelle d’oca. Le lettere prendevano una forma sensuale ed eccitante nella sua bocca, scivolavano come carezze sulla sua lingua e affondavano nelle profondità dei timpani di Mike fino a raggiungere anfratti del corpo e dell’anima che non credeva di possedere.
«Mi fa stare da schifo la sola idea di dirti queste cose, di dirti che ci tengo. Che in qualche modo ho bisogno di te, di farmi distruggere da te. Di sentirmi amato e di amarti.» Mike fece una pausa e deglutì a fatica. «Guarda a che cazzo di punto sono arrivato!» esclamò con una risata amara. «Io che ti guardo e ti dico cose sdolcinate, chi l’avrebbe mai immaginato?»
«Sdolcinate?» Roddy rise appena.
Mike ricambiò piano e scrollò il capo. «Per i miei standard, sì.»
L’altro si sporse per lasciargli un bacio sulla fronte e sospirò contro la sua pelle. «Ci sono cose che sono cambiate in tutti questi anni. Siamo cambiati noi e la vita ci ha modificato. Però c’è qualcosa che non si è lasciato distruggere e che ha resistito.»
Mike sentì il cuore battere più forte, una marea di emozioni che non riusciva a capire se lo facessero sentire bene o male – si sarebbe mai abituato a quella confusione mentale?
«Sono i miei sentimenti per te. Tanto mi conosci e sai che io a differenza tua sono sempre stato sdolcinato.» Roddy cercò gli occhi di Mike e gli carezzò una guancia. «Ogni volta che mi scopavi io ti ho amato, ogni volta che ti lasciavi abbracciare io ti ho amato, ogni volta che mi ignoravi e mi ferivi io ti ho amato. E questo non è mai cambiato. Ti amo, Mike Patton, perché non hai mai finto con me. Sei sempre stato sincero, schietto, non hai mai voluto compiacermi o prendermi in giro. Non mi hai mai promesso qualcosa che non potevi darmi. Non hai mai cercato di apparire diverso ai miei occhi. Ti sei semplicemente lasciato conoscere, pian piano, a modo tuo. E ogni dettaglio che mi hai permesso di scoprire è lì, me lo tengo stretto e lo custodisco perché non posso darlo per scontato.»
Mike sentì ancora una volta le lacrime bagnargli le guance. «Cazzo se sei sdolcinato» sibilò, asciugandosi il volto con il dorso della mano destra.
Roddy continuò a tenere le dita intrecciate alle sue e gli occhi immersi nei suoi. Gli rubò un bacio a fior di labbra e mormorò: «Ti amo, sono grato a questo fottuto mondo che tu ne faccia ancora parte».
 
 
I wish this pain could last forever, forever
I wish this kill could make me suffer for good
 
 
Le parole di Roddy facevano male da impazzire, ma forse per la prima volta in vita sua Mike poteva sentirle incidersi con cruda violenza nella sua anima, nel cuore, nelle ossa, nelle viscere.
Se l’uomo di fronte a lui aveva ancora il coraggio di pronunciare una tale dichiarazione d’amore nei suoi confronti dopo le ripetute sofferenze che gli aveva causato, doveva essere tutto vero.
Mike riprese a baciarlo con più trasporto, con ardore, con disperazione e lo spinse a distendersi supino sul grande divano.
Le lacrime grondavano dalle sua ciglia e facevano bruciare i suoi occhi, ma non gli importava.
Voleva che quel dolore durasse per sempre, non c’era qualcosa che desiderasse di più.
Così si spinse oltre, cominciò a spogliare Roddy e a esplorare quel corpo che tante volte aveva usato e dato per scontato, trattandolo ora come il bene più prezioso.
Voleva morire tra quelle braccia forti, perdersi in quel petto caldo e villoso, assaporare il sudore e farsi soffocare dall’odore di sesso – l’aroma di tutto l’amore che voleva dare e ricevere, senza esclusione di colpi.
Non si sarebbe più fermato, nascosto, trattenuto.
Voleva morire stretto a Roddy fino a imparare nuovamente a vivere.
Voleva soffrire e annegare nel suo tastierista fino a trovare il modo per non sentire più dolore.
Non era più alla ricerca di regole, di giochi, di opportunità di dominio.
Desiderava soltanto sentire – emozioni, sensazioni, brividi, dolci parole, gemiti strozzati, preghiere, dichiarazioni d’amore.
Voleva ingoiare tutto quanto e custodirlo dentro sé fino alla fine dei suoi giorni, perché troppo a lungo se ne era privato senza una reale ragione.
 
 
As the knife goes in, cut across my skin
When my death begins
I wanna know that I was dying for you
I died for you
As the knife goes in, cut across my skin
When my death begins
I know that I am dying for you
I died for you
 
 
Se doveva morire, non voleva più rischiare che accadesse in solitudine.
Aveva temuto di non farcela, aveva vissuto momenti davvero bui, aveva realmente avuto una paura fottuta di non sopravvivere.
Adesso, anche se ogni tocco di Roddy era come una coltellata e ogni suo bacio una spina che lo pungolava sottopelle, non si sentiva più solo, spaventato, perso.
E quando i suoi occhi tornarono a incatenarsi a quelli blu e profondi di Roddy, non ebbe più paura di dirgli quello che da sempre si era tenuto per sé, si era vergognato di provare, si era rifiutato di accettare.
Prima di possederlo per la prima volta dopo tanto tempo, gli prese il viso tra le mani e appoggiò la fronte alla sua. «Dio, quanto cazzo ti amo…» esalò.
La reazione di Roddy fu devastante.
Mentre si inarcava verso di lui per intensificare il contatto tra i loro corpi, le sue iridi si fecero liquide e colme di lacrime.
Pianse per tutto il tempo – mentre si stringeva a Mike e lo accoglieva nelle sue profondità, mentre i gemiti spezzavano il silenzio, mentre le spinte si facevano più insistenti e devastanti.
E Mike si sentiva morire, stava davvero male ma non voleva lasciarlo. Quel calore era fondamentale affinché sopravvivesse, quel dolore gli stava insegnando a essere umano forse per la prima vera volta, quelle lacrime gli comunicavano che anche lui poteva trasmettere qualcosa che non fosse sofferenza a chi lo circondava.
Roddy si lasciò amare e lo amò con tutta l’anima, tenendolo stretto fino all’ultimo e ripetendo il suo nome in dolci sussurri.
Mike sapeva che insieme si stavano imbarcando in qualcosa di complicato, difficile e perfino bizzarro, ma entrambi ne erano coscienti ed erano maturi abbastanza per sopportarlo.
Sapeva che Roddy stava accettando di morire e rinascere con lui – per lui – e che non si sarebbe mai tirato indietro.
Sentiva tutto quanto e non riusciva a far altro che ubriacarsene.
Possedeva l’uomo sotto di sé con il dolore nel cuore, lo baciava con la sofferenza nell’anima, gemeva con l’inadeguatezza a tagliare la sua carne come il più affilato dei coltelli.
Ma allo stesso tempo la vita gli scorreva nelle vene, la gioia gli colava dagli occhi, l’amore trasudava dalla sua pelle e si riversava in Roddy.
Un fiotto caldo, sporco, meraviglioso da cui il tastierista si lasciò investire e soffocare.
Il suo respiro era talmente irregolare da farlo quasi spaventare, ma Mike semplicemente assecondò i movimenti del proprio petto e si diede tempo per riprendere fiato e ricominciare a vivere.
Proprio lì, tra le braccia di Roddy, riuscì a rilassarsi e lentamente il dolore lo abbandonò.
Gli diede tregua.
Lo salutò con un’ultima tagliente carezza, permettendogli finalmente di chiudere gli occhi e assaporare una piccola goccia di pace.
 
 
 
 
 
 
§ § §
 
 
 
 
Scrivere questa storia è stato doloroso.
Ho sentito ogni singola emozione e sensazione descritta, ho provato il disagio di Mike e mi ci sono immedesimata e immersa senza remore.
Non ho tanto da aggiungere, solo: vorrei essere il suo Roddy per un istante, semplicemente per abbracciarlo e fargli capire quanto lui sia importante.
Avevo semplicemente bisogno di scrivere ciò che avete letto e sicuramente “Yen” degli Slipknot, con il suo testo e le sue atmosfere evocative, mi ha aiutato a buttare fuori tutto.
I riferimenti che ho fatto riguardo ai loro trascorsi hanno un senso nella story line che ho creato, ma possono anche essere lasciati da parte – appaiono in tante mie storie passate, ma potete anche immaginarli senza averle lette.
Grazie a chi ha letto, grazie a chi dovesse commentare, ma soprattutto grazie a Mike perché ha trovato la forza per rinascere ♥
  
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