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Autore: Afaneia    09/12/2022    1 recensioni
[Fanfiction scritta in occasione dell'Advent Calendar organizzato dal gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia. Prompt: Contatto d'emergenza]
Risponde al telefono prima ancora d’esser sveglio del tutto, allungando alla cieca la mano nel buio verso il comodino.
Genere: Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma)
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Resti qui se dormo?

 

Risponde al telefono prima ancora d’esser sveglio del tutto, allungando alla cieca la mano nel buio verso il comodino. Non è abbastanza lucido per dire pronto, ma con uno sforzo inumano, accostando l’orecchio al telefono, mormora: «Mh?»

«Scusi il disturbo. Parlo con un certo Maxie?»

È una voce distaccata e professionale, forse solo un po’ dispiaciuta d’aver chiamato a quell’ora. Rovesciandosi sulla schiena, Max si ripara col braccio gli occhi dalla luce del telefono e cerca di sbirciarne l’ora. Le tre e quarantaquattro del mattino. Non ha neppure le forze per chiedersi cosa possa esser successo a quest’ora per dover telefonare, di tutto il mondo, proprio a lui.

«È Max» borbotta nel ricevitore.

«Prego?»

La necessità di articolare una risposta più complessa lo restituisce alla sua mente, almeno un pochino. «Mi chiamo Maximilian… Max. Maxie mi chiama solo…» Prima di riuscire ad articolare quel nome, d’improvviso è perfettamente sveglio. Si solleva a sedere sul letto stropicciandosi gli occhi. «Mi scusi, chi parla?»

«Chiamo dall’ospedale di Ciclamipoli. Abbiamo trovato il suo numero nei contatti d’emergenza del telefono di Ivan. È ricoverato qui da noi. Lo conosce?»

Ivan, contatti d’emergenza. Ci sono troppe cose che non tornano in questa storia, ma di certo non è al telefono che potrà schiarirsi i suoi dubbi. Max scivola fuori dal letto e cerca a tentoni l’interruttore della luce sulla parete.

 

Odia guidare di notte. Non che gli piaccia in generale, ma di notte, con la sua miopia galoppante e i riflessi dei fari altrui che gli baluginano sugli occhiali e lo abbagliano, è specificamente una tortura; perciò, quando può evitare, preferisce far guidare altri. Ma altri stanotte non ce ne sono: quando sale in macchina, coi capelli arruffati in una coda e le mani intirizzite dal freddo, Max fende la notte come se fosse l’ultimo essere vivente rimasto al mondo. La strada e i lampioni gli scivolano accanto come spettri nel buio.

All’ospedale lo introducono da una chirurga che dopo la sala operatoria non è ancora scesa a cambiarsi, ha l’aria stanca, greve, ma non sembra angosciata. Max le stringe la mano senza dir nulla perché è alquanto sicuro che la sua faccia parli per lui già abbastanza eloquentemente.

«Ah, è lei il contatto d’emergenza. È venuto in fretta» commenta la dottoressa senza troppe cerimonie, ma gentilmente. «Lo stiamo mandando su proprio adesso. L’intervento è andato bene. È stato molto fortunato: se avesse aspettato ancora mezz’ora a venire in ospedale, non ci sarebbe più stato nulla da fare…»

Max la ferma con un gesto supplice della mano. Si sente ancora più frastornato di prima, e queste informazioni, al momento, non lo stanno aiutando: lo stanno terrorizzando. Il terrore, in questo momento, è inutile e controproducente. «Aspetti un momento. Al telefono non mi hanno detto di che si tratta, perciò…»

«Oh! Mi spiace» s’interrompe la chirurga. «L’hanno svegliata a quest’ora senza dirle niente, eh? Le avranno fatto paura per niente… la tranquillizzo subito. Era una torsione testicolare, ma siamo riusciti a intervenire in tempo.»

Max rimane un po’ frastornato alla notizia. Ha bisogno di pensarci un momento; la dottoressa, prendendo per ignoranza la sua perplessità, si affretta a colmare le sue lacune: «Si tratta di una torsione del funicolo spermatico, che porta il testicolo a ruotare su se stesso. In questo modo s’interrompe l’afflusso di sangue…»

«Sì, so di che si tratta» la interrompe Max un po’ meno gentilmente di quanto avrebbe voluto, solo perché lo infastidisce quando cercano di spiegargli qualcosa che sa già perfettamente.  «Mi pareva solo un po’ strano, alla sua età. Ne ho sempre sentito parlare nei bambini.» 

La chirurga lo guarda con occhi nuovi. «Lei è un collega?»

«No» si affretta a specificare Max che di medicina ha dato solo qualche esame, su insistenza di suo padre, prima di virare decisamente verso la geologia e la biologia. «Solo… m’informo. Posso vederlo?» chiede per cambiare argomento.

«Ormai devono averlo portato in stanza» risponde la dottoressa gentilmente. «Terzo piano, settore chirurgia.»

Passa tra i corridoi in religioso silenzio: i pazienti dormono, presume, anche se a far silenzio è solo lui – infermieri e infermiere camminano e parlano nei corridoi, entrano nelle stanze, portano carrelli e medicine. Gli indicano un’ultima stanza: è una camera doppia, ma uno dei due letti è ancora vuoto.

Ivan dorme ancora pesantemente nel letto vicino alla finestra. Max gli si avvicina in punta di piedi: ha l’aria cerea, un po’ sbattuta, ma non sofferente. Non rimane che da aspettare: Max trova una scomoda sedia in un angolo, ci si appollaia sopra e rimane in attesa.

Quando Ivan si sveglia, sta albeggiando. Max s’accorge d’essersi appisolato, semincastrato tra lo schienale e il bracciolo della poltrona, e si tira su di scatto quando lo sente borbottare qualcosa. Non si sveglia subito del tutto: per un po’ passa dal sonno alla veglia, frastornato, e lo guarda senza forse riconoscerlo. Max lo osserva senza parlare.

«Acqua» gracchia a un tratto Ivan con una voce bassa e fioca che Max non gli ha mai sentito, e Max riempie dalla brocca che hanno lasciato sul tavolino un bicchiere di plastica e gli accosta la cannuccia alla bocca. Dopo aver bevuto, Ivan sembra più lucido, e questo getta tra di loro un grande imbarazzo.

«Sei venuto.»

«Già» risponde Max macchinalmente; ma subito dopo, poiché non pensa che gli capiterà una situazione migliore di questa per porre la domanda che lo assilla dal momento in cui il telefono lo ha svegliato nella notte senza doversi abbassare a chiederla direttamente, aggiunge: «Presumo che Ada e Alan non abbiano risposto.»

Ivan aggrotta faticosamente la fronte. «In che senso?» chiede mentre si sistema con certo sforzo sui cuscini. Max tende d’istinto la mano per aiutarlo, ma chissà perché si trattiene. Ivan sorride ugualmente del suo gesto con mezza bocca.

«Niente. Pensavo solo che avranno telefonato prima a loro che a me.»

«Loro non sono nei miei contatti d’emergenza sanitari» risponde Ivan come se fosse la cosa più naturale del mondo aver escluso i suoi luogotenenti e aver incluso lui: se non fosse un’espressione un po’ abusata, forse Max ne resterebbe senza fiato.

«Ah» risponde per non dover affrontare direttamente la questione che questo pone, nell’aria, tra di loro: perché abbia preferito lui a loro, perché lui sia qui e loro no. Ma Ivan le sue domande gliele legge negli occhi: Ivan è trasparente e sincero come un libro aperto, e a volte Max ha l’impressione che per lui anche gli altri siano lo stesso, perscrutabili e leggibili.

«Non mi andava l’idea che loro mi vedessero così» risponde distendendosi.

Max rimane in silenzio per un po’. «E io sì?»

«Con te è diverso» risponde Ivan chiudendo gli occhi. «Resti qui se dormo?»

Max non fa in tempo neppure a rispondere: Ivan è tornato a distendersi. A poco a poco il suo respiro si fa più regolare e pesante, lento, e Max è certo che stia dormendo di nuovo. Evidentemente è ancora stanco dopo l’anestesia.

Non gli rimane altro da fare.  Max torna ad appollaiarsi sulla sua poltrona come un gufo, ripiegando contro il corpo le gambe magre, si sfila gli occhiali e prova a dormire ancora un po’. Per chiedersi se con te è diverso sia da intendersi come un complimento o un’offesa, decide, avrà tempo quando sarà sorto il sole.
   
 
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