Serie TV > Doctor Who
Segui la storia  |       
Autore: Anonimadelirante    10/12/2022    2 recensioni
Il Dottore e la Donna più importante di sempre a zonzo per l’universo.
#1. A volte cade e cade e cade e lo spazio profondo non la inghiotte, ma la avvolge e un uomo che ride cade con lei e le stringe la mano e corre, corre, corre come un pazzo: «Pensa all'universo» le dice «Pensa a tutto quello che potresti vedere.» (#COWT8 @LdF)
#2. Comincia così, probabilmente.
Non tanto la storia di come decide che sposerà l’uomo da cui poi divorzierà dopo tre anni e dieci mesi di matrimonio, quanto piuttosto la cosa della cenere che scende piano dal cielo, come in lente volute di zucchero a velo.
(72 prompt in attesa di Natale @Feriscelapenna)
[post!4S | Donna!Centric | Donna&Doc]
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donna Noble
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

You will find your future 
in the ashes of our shared past

 

 

 

 

 

 


Piove cenere su Londra, a volte.
Succede d’inverno, sopratutto. Succede di più, dopo il divorzio.

 

 

 

 

 

 

Il giorno dopo quello in cui il nonno muore, Donna esce da casa per prendere un caffè – mamma singhiozza che è un’ingrata, che dovrebbe stare con lei, che dovrebbero vivere questo lutto insieme. Ci sono le sue amiche, però, non sarà sola, non davvero, e comunque lei tornerà nel giro di un paio d’ore e-- È inutile cercare di spiegarglielo, Donna lo sa, eppure ci prova. Finiscono ad urlare sul vialetto di casa, una pioggerellina leggera che vernicia l’aria come nebbia, brilla sulle foglie della siepe che il nonno ha potato solo il mese scorso.
(«Se tuo padre fosse qui--» comincia Sylvia e Donna strilla più forte: «Se il nonno fosse qui--» e quando poi esce Amanda ad abbracciare Sylvia e riportarla in casa e lei resta sola nel giardino, per la prima volta Donna si chiede se l’unica cosa che le accomuni non sia proprio questa: l’assenza dolente di uomini che hanno amato più di quanto non si amino a vicenda.
O almeno più dolcemente, meno amaramente, di quanto non siano capaci di amarsi fra loro.)

 

Quando la porta si chiude alle spalle di Sylvia, Donna piange, nella pioggia, e non c’è nessuno che possa testimoniarlo.

 

 

 

Non va al bar, alla fine. Si siede solo su una panchina e attende che spiova.
Infreddolita e stanca, i piedi che pulsano nelle scarpe zuppe, Donna Noble aspetta – ma aspetta cosa di preciso? – e chiude gli occhi, rovescia il viso all’indietro. Quando la pioggia si esaurisce, lascia il posto a gonfie volute di nebbia, così densa da sembrare lana cardata. È novembre, è Londra, non c’è nulla di strano, in questo – Donna non ha idea del perché qualcosa le sembri sbagliato, perché respira a fatica, perché per interi minuti secondi ore non riesca scollarsi dalla mente immagini di persone che soffocano, per strada, e suo nonno che dice Vai, vai con lui, non pensare a noi, ce la caveremo, ha bisogno di te, salva il mondo, bambina mia.

 


Ti prego, si scopre a pensare, ti prego torna da me. Ho proprio bisogno di un amico, adesso, ma non sta pensando a suo nonno. Sta pensando a--
Non arriva nessuno, ovviamente.

 

Quando torna a casa, sua madre l’abbraccia. La sgrida per non essersi portata l’ombrello, le prepara un bagno caldo, la stringe forte a sé come se non volesse lasciarla andare mai più, le dice Sei proprio una stupida e le bacia la fronte.
Chiusa in bagno, di nuovo sola, Donna si guarda allo specchio, i cappelli fradici, gli occhi rossi, il respiro scattoso, e fatica a riconoscere la persona che ricambia lo sguardo.

 

 

 

 

 

 

Per un po’, essere Donna Temple invece che Donna Noble era sembrata una buona soluzione alla propria vita. Shaun era-- dolce, per lo più. Un po’ goffo e molto allegro, si erano conosciuti a lavoro ed era sembrato… non come una sciocca ripetizione di una storia finita in tragedia, quanto piuttosto una sorta di riscatto. Quando  le aveva preparato il caffè – non in ufficio, quella sarebbe sembrata una coincidenza troppo terrificante persino a lei, ma a casa, la prima mattina che avevano passato assieme dopo la prima notte in cui aveva deciso di restare – glielo aveva raccontato. Di Lance, dei suoi tradimenti. Parlarne le aveva gonfiato una brutta emicrania sul retro della nuca, però, e annodato un groppo in gola e Shaun si era limitato a prenderle la mano e dirle: «Si arriva ad un certo punto della vita, Donna, in cui sono più gli amori passati che quelli futuri. Non voglio che accada anche a noi. Smettiamo di paragonarci alle nostre storie finite» ed era sembrato… giusto, in qualche modo, e molto semplice, soprattutto, e così Donna si era chinata a  baciarlo ed aveva bevuto il suo caffè in silenzio respirando piano attraverso il mal di testa.


Non aveva più pensato a Lance, poi. Non per molto tempo, comunque, e qualunque cosa avesse avuto voglia di raccontare a Shaun, del suo matrimonio fallito prima ancora di cominciare  e di quella giornata a cui non pensava mai, s’era persa nelle tante piccole e grandi incombenze della vita quotidiana. 


Così, sei mesi dopo, quando Shaun dice: «Sposiamoci» (e Donna non l’ha proposto per prima perché, checché ne dica sua madre, Donna impara dai propri errori) e lo dice così, come si dicono le cose semplici, senza inflessioni particolari del tono, tranne forse un filo di speranza teso nella voce, Donna non deve neanche aprire gli occhi. Si limita ad allungare una mano perché lui gliela stringa e sorride e dice: «Sì» con le palpebre abbassate.


Dura quasi quattro anni, e sono i quattro anni più semplici della vita di Donna.
(Non i più giusti, però.)

 

 

 

 

 

 

Nevica cenere dal cielo di Londra, il pomeriggio in cui Shaun si passa stancamente una mano sul viso e: «Donna?» dice. «Mi stai ascoltando?»
Donna sbatte le palpebre.
«Puoi tenere la casa» risponde, dando le spalle alla finestra (ed al cielo plumbeo e nuvoloso, ma perfettamente normale della città). «Non mi interessa. Torno a vivere da mamma e dal nonno. Prendo la planetaria ed il servizio da tè che ci hanno regalo per il matrimonio, però.»


Due mesi più tardi, dopo aver firmato le carte del divorzio, dopo essere uscita per l’ultima volta dall’appartamento che ha condiviso con suo marito per tre anni e dieci mesi, dopo aver salutato Shaun come si salutano i vecchi conoscenti – senza particolare entusiasmo, ma senza neanche nessun tipo di acredine – tira fuori tre tazze da uno scatolone e dice: «Nonno, hai voglia di un buon tè?»
Dentro la teiera, dimenticato arrotolato lì da quando la priorità era partire in viaggio di nozze, Donna trova quello stupido biglietto della lotteria che qualche idiota ha ben pensato di regalarle per le nozze.
Quando lo tira fuori, irritata, il nonno si schiarisce la voce e dice: «Perché non provi a riscuoterlo? Tenerlo lì non serve a niente.»
Donna non nota i suoi occhi lucidi ed il sorriso tremante.


Due mesi dopo aver ufficialmente smesso di essere Donna Temple, Donna Noble diventa ricca.

 

 

 

 

(È prima che Shaun le proponga di sposarlo, ma parecchio dopo la debacle di Lance, che succede. È in un raro pomeriggio assolato di fine dicembre che Donna-- dopo non saprà come spiegarlo. Non dirà nulla sua madre o alle sue amiche. Quando suo nonno le chiederà: «Come mai l’hai comprato?» lei tentennerà e penserà di dirgli È successa una cosa, non so cosa però, non esattamente, ma non lo farà.
Sorriderà e scuoterà la testa e sbufferà e dirà: «Non so, ho visto questo libro in una vetrina e ti ho pensato. Ho pensato dovessi averlo, ecco tutto.»
Per qualche ragione che Donna classificherà come le sue strane paturnie da vecchio, Wilfred Mott tirerà un lungo lungo sospiro angosciato.

 

 

La cosa è questa però. A metà pomeriggio, sta chiacchierando spensierata al telefono con la sua amica Penny, quando Donna vede… non lo sa, davvero. Vede qualcosa, ecco. Uomini che le ricordano qualcosa. Gemelli, forse. Uomini uguali che ridono, terribili, e la inseguono. Due, tre, quattro, cinque, a decine. Ed una vespa gigante, e creature impossibili ed un canto struggente e lo sguardo disperato di un uomo che non conosce ed eppure è così familiare, così amato, così--
Potrebbe essere un calo di zuccheri, però, perché la prossima cosa che sa è di essere a terra, a piangere tenendosi il viso fra le mani, la testa che scoppia, e che c’è qualcuno chino su di lei che domanda, dolcemente: «Va tutto bene?»
Ed è Shaun Temple, l’uomo con cui – pensa, così, all’improvviso, senza averci mai pensato prima – non le dispiacerebbe infondo passare il resto della sua vita.

 

 

Comincia così, probabilmente.
Non tanto la storia di come decide che sposerà l’uomo da cui poi divorzierà dopo tre anni e dieci mesi di matrimonio, quanto piuttosto la cosa della cenere che scende piano dal cielo, come in lente volute di zucchero a velo.)

 

 

 

 

 

 

 

A volte, sogna la voce di una ragazza che dice: Lo hai conosciuto. Davvero non lo ricordi? Lo vedi ogni tanto nei tuoi sogni, credo. Alto, magro, gran taglio di capelli. Davvero un bel tipo.
Donna prova a voltarsi, prova a chiedere E tu chi sei?, ma la voce le rimane bloccata in gola, il sogno sfuma, si sveglia sempre con un gran mal di testa.
E la vita va avanti, nel complesso.
Una bella vita, tutto sommato. Semplice, ordinaria.
Proprio la vita che ci si aspetta da Donna Noble, precaria di Chiswick, due importanti relazioni fallite alle spalle, una madre, un nonno, qualche amica su cui e con cui spettegolare al telefono.

 

 

 

 

 

Diluvia cenere sui tetti di Londra, in giornate come queste. Fine dicembre, anni dopo il calo di zuccheri che l’ha convinta di amare Shaun Temple. Ormai, Donna ha imparato ad ignorare la cosa. Sorride e va a lavoro e prende una due tre pastiglie di antidolorifici perché la testa la sta uccidendo – È il tempo, le sorride Mark, il suo vicino di scrivania. La cervicale è una brutta bestia, prova a sciogliere un po’ i nervi con gli esercizi del link che ti ho mandato. Mark è il tipo d’uomo che Donna apprezza, in genere. C’è qualcosa, in quelli come lui, dolci e allegri e poco impegnativi, che ha sempre trovato attraente. Diluvia cenere, però, oggi, ed anche se hanno tutti i maglioni e le calze di lana ed è quasi Natale, Donna sta morendo di caldo.
Caldo, pensa improvvisamente. Un caldo afoso, un’aria immobile, da attimo prima di una tragedia.
C’è qualcosa che non va in lei, è ovvio: guarda fuori dalla vetrata dell’ufficio e sta nevicando. Neve vera, acqua troppo fredda per essere pioggia e troppo poco per essere ghiaccio. Di certo, non cenere e lapilli. Mark s’infila il cappotto, si avvolge il collo in spire di sciarpa rossa, mette i guanti: «Buon Natale, Donna. Verrai al cenone di Capodanno dell’ufficio?» domanda, prima di uscire. Lei annuisce, le dita che tremano. Crede di sorridere, ma non ne è sicura: «Buon Natale, Mark» dice o sputa o sussurra, non lo sa neanche lei.
È il primo Natale che passano lei e la mamma da sole, senza il nonno, senza papà, senza Shaun, senza--
Mark le sorride, affabile e lontano: «Ci vediamo lì, allora.»

 


Quella stessa sera, la mamma chiede: «Perché quest’anno non hai prenotato una bella crociera? Non ti sono mai piaciute le festività.»
Sono quasi otto anni che Donna Noble non passa il Natale a Londra, ma quest’anno-- quest’anno Mark le ha chiesto se si sarebbero visti ad una stupida cena di lavoro.
(Più avanti si chiederà se in fondo non sia possibile descriverla così, la sua vita: una lenta infilata di decisioni stupide prese in funzione di stupidi uomini.)
Scrolla le spalle e sorride al piatto e dice: «Cambiamo un po’. Restiamo a casa. Perché non inviti Amanda e Lucille?»
«Tu odi Amanda e Lucille» le fa notare Sylvia. È vero, ma è vero anche che non le importa poi molto.
Fuori dalla finestra, continua a nevicare.

 

 

 

 

 

 

Sogna--

il caldo umido di certe sorgenti termali e donne con occhi disegnati sui dorsi della mani che sussurrano di Dei di roccia e di scelte che hanno cambiato il destino dell’Universo, e tu, Donna Noble, tu hai svoltato a sinistra quel giorno, sei stata tu. 

 

 


Sogna--

il cielo rossastro d’una città perduta e fumo scendere lungo le strade come nebbia avvelenata.

 

 

 

Sogna--

una pistola di plastica carica  d’acqua

(una voce sconosciuta, lontana, eccitata, amatissima, L’unica cosa a forma arma che mi piace!, e lei che replica: Questo perché sei un bambino!

e corse a perdifiato lungo il ciottolato di una viuzza, mano nella mano con qualcuno che strilla, elettrizzato: «Corri, corri, corri!»

 

Sogna--

lei che dice: «Non possiamo andare avanti» ed una grotta rossastra – no, non una grotta, ma il cuore d’un vulcano.
E quello stesso qualcuno di prima: «Non possiamo neanche tornare indietro.»

 

 

 

Sogna--

una scelta orribile ed un uomo che l’ha già compiuta una volta, una stessa scelta identica, e ne porta la ferita inguaribile impressa nello sguardo

 

 


Sogna--

di prendere la mano un uomo – alto e magro e triste ed impegnativo in tutti i modi che contano – e dire: «Non pensiamo a noi, adesso» e, insieme, di spingere una leva e

 

 


Sogna--

pietre e lava e lapilli e

 

 

Sogna--

di urlare: «Non andate alla spiaggia! State lontani dal mare! Andate sulle colline!»
e quello stesso uomo – triste e felicissimo e troppo magro ed entusiasta e distrutto – che non piange, non esattamente, ma la supplica con voce spezzata: «Non capisci? Come puoi essere così cieca, Donna? Non posso mai salvarli, non posso e basta!»


Sogna di piangere, singhiozzi che le sconquassano il petto, tutte le lacrime che lui ha già esaurito. Sogna di avere il capo cosparso di cenere, i polsi che tremano, il cuore spezzato e dire: «No, non tutti. Ma puoi salvare qualcuno. Solo qualcuno. Salva solo poche persone.»

 

 

 


Sogna una voce, bassa e roca ed affranta, ma in qualche modo lenitiva, consolatoria, dire: non sarà dimenticata, Cecilius. Oh, il tempo passerà. L’uomo andrà avanti e la Storia svanirà, ma un giorno Pompei sarà trovata di nuovo. Fra migliaia di anni. E tutti vi ricorderanno.

 

 

 

 

Si sveglia con le guance che bruciano, lacrime che le bagnano il viso, gusto di cenere sotto la lingua.

 

 

 

 

 

Sua madre dice: «Tu fai quello che vuoi, io voglio andare in Portogallo, dove avevamo detto avremmo passato le feste.»

 

 

 

 

 

 

La testa le palpita come una ferita infetta. Passa la giornata a guardare The Crown in TV senza avere idea del perché le sembra che manchino tutte le scene con la luna piena.

 

 

 

 

 

 

Sta arrivando, dice una voce, la voce di una ragazza, e se si voltasse, Donna sa che non troverebbe altro che questo: una ragazza, sui vent’anni, capelli biondi, vestiti sempre uguali. Gli occhi tristi di un cuore spezzato, e le labbra arricciate in un sorriso speranzoso. Sta arrivando da stelle lontane, Donna Noble. L’oscurità. E solo tu puoi fermarla.
Nei sogni, non si volta mai.

 

 

 

 

 

 

Sua madre, la valigia in mano, stretta in un cappotto leggero: «Ma sei sicura?» le domanda, il viso deformato da una smorfia di preoccupazione. «Sei sicura di non voler venire anche tu?»
Donna alza gli occhi al cielo, l’abbraccia: «Vai» dice. «Sarà divertente, vedrai. Sai che Amanda e Lucille non mi piacciono. Portami un souvenir.»

 

 

 

 

 

 

Prende mezza boccetta di sonniferi.

 

 

 

 

 

 

Sogna la neve, questa volta – neve vera, come quella che scendeva dal cielo di Londra l’ultimo giorno di lavoro – ed una canzone che le esplode il cuore di dolcezza, di malinconia, di--

 

 

 

 

 

 

Dopo cena, sua madre chiama, ed è la Vigilia e Donna quasi lancia il telefono contro il muro, quando vibra.
Risponde, invece. Sua madre sta già parlando: «È tutto il giorno che ti chiamo, dove sei stata? Cosa hai fatto? Oh, ma io lo so che c’è di mezzo un uomo, lo so, lo so, quel Mark dico bene? Ma ascoltami attentamente, Donna Noble, puoi scordarti che io--»
Donna appoggia il cellulare sul tavolo, piano, molto lentamente, e respira fondo.
Quando torna dal bagno, gusto di vomito in fondo alla gola, sua madre sta ancora parlando di feste ed Amanda< ubriaca e Lucille persa chissà dove con un locale.
«Comunque» termina, alla fine. «Non fa niente. Allora? Come va? Com’è passare il Natale a Londra? Ti sei ricordata perché lo odiavi?»
Potrebbe risponderle: Oggi mi sono svegliata alle sette di sera. Il mio cervello sembra sul punto di rompersi – mamma, sto impazzendo. Perché non ci sono disegnate vespe sulla copertina de L'assassinio di Roger Ackroyd? Perché dovrebbero, comunque?, ma invece trattiene il fiato e dice: «Non c’è male. Fa freddo, ma va bene. È molto tranquillo, qui.»

 

 

 

 

 

Quella notte, la testa fra le gambe ed un calore semplicemente insopportabile che le si irradia dal cervello fino ai bulbi oculari, Donna non sogna affatto.
Fissa il muro vuoto della sua camera e le sembra di vedere scarafaggi che camminano appena dietro di lei, appena oltre la coda dell’occhio.


(Si addormenta con le prime luci dell’alba. Prima di scivolare fra gli incubi, le sembra di sentire una voce che dice Gira a destra, ed il futuro cambierà, ed una che dice Donna Noble? Sei tu? Ascoltami, d’accordo? Ti prego. Devi dirgli che il Lupo Cattivo-- ed un’altra ancora, di nuovo quell’uomo tristissimo e felice insieme: oh Donna Noble, meravigliosa, fantastica, Donna. Per un breve e scintillante momento sei stata la donna più importante dell’universo.


Sì, vorrebbe rispondere. E guarda dove sono adesso.)

 

 

 

 

 

 

Non si ricorda quando, non si ricorda chi, ma ricorda che qualcuno, una ragazza, un giorno le ha detto: «Certo che sei speciale. Sei magnifica ed intelligente.»
E sa di aver risposto: «Nah, sono solo una precaria di Chiswick.»

 

 

 

 

 

 

Non ricorda quando, non ricorda con chi, ma sa di aver detto (pianto, supplicato): «Sarei rimasta a viaggiare con te per sempre.»
E sa che qualcuno le ha risposto (la voce spezzata dal dolore della perdita): «Lo so. Mi dispiace.»

 

 

 

 

 

 

È Natale a Londra e sono passati un po’ più di dieci anni da-- qualcosa, non sa cosa.
Quattro dal divorzio con Shuan, otto da quando si sono sposati, qualche mese dalla morte del nonno, quasi tredici dalla morte di suo padre (quasi quattordici da Lance). La testa sta per esploderle.
Prende un antidolorifico, e poi altri due in rapida successione.
Fuori, nevica.
(Il fatto è che la neve sta cantando – il che immagina, nell’economia generale del suo stato di salute mentale, non sia un grande passo avanti.)

 

 

 

 

 

 

È Natale a Londra e Donna Noble, ex-precaria di Chiswick, ora ricca con un lavoro part-time, sta impazzendo: ha l’impressione che il suo cervello sia lava, e che stia colando via dalla sua scatola cranica.

 

 

 

 

 

 

È Natale a Londra e arrivano gli alieni.

 

 

 

 

 

 

Succede, come ogni volta, che dove ci sono guai ci sia anche il Dottore.
(Donna questo lo sapeva già, anche se non lo ricordava fino all’istante in cui si è scoperta a formulare il pensiero.)

 

 

 

 

 

 

«Me lo merito» ammette il Dottore, dopo che Donna gli assesta il più glorioso schiaffo della sua carriera.
«Tu--» sibila lei. «Tu, omuncolo, sottospecie di marziano troppo magro, razza di imbecille patentato--»
«Donna» sospira lui, e si lascia spintonare contro la porta della TARDIS. Donna non trova le parole. È così… così arrabbiata, così disperata, furiosa, allibita, così-- così impossibilmente grata. «Come hai osato» gracchia, comunque.
«Lo so» dice lui. «Ma cosa avrei dovuto--»

Donna lo interrompe, un dito puntato verso il suo naso insopportabilmente appuntito: «Non permetterti mai più» comincia, ma sa, anche mentre lo sta dicendo, che il Dottore non le farà mai una promessa del genere. Raddrizza le spalle, allora, e respira lentamente dal naso: «La prossima volta» riformula. «Dannatissimo idiota, la prossima volta chiedimi cosa ne penso. Cosa voglio
«Saresti morta!» ribatte lui, improvvisamente alterato. Per essere un alieno di mille anni e passa, pensa Donna, a volte è così stupido, così infantile, così--
«Sì!» risponde.
«Non potevo lasciarti morire!»
--umano. La parola che trova è umano. Non è la parola che cerca. Non esattamente. Di certo, il Dottore descriverebbe quello stesso sentimento, quello stesso limite, quello stesso amore feroce e terrificante ed egoista e ridicolmente altruista insieme con altri termini, termini in lingue che Donna forse un tempo ha saputo o almeno ha compreso. Parole che possono essere scritte in musica, ad esempio, una canzone che ha lo stesso sapore della neve sulla lingua, lo stesso odore della polvere da sparo e dello spazio profondo, lo stesso aspetto del Big Bang, del Vesuvio che erutta, di ventimila persone strinate in un ultimo istante di terrore e quattro soltanto salve, sulle colline, lo stesso suono di vespe che affogano, strane palline di grasso antropomorfe che salutano, Babbi Natale robot che le sparano contro, un’imperatrice aracnide che urla di dolore. Parole che il Dottore le ha strappato dalla mente, come si gratta via il grasso dalle padelle. Gli tira un altro schiaffo.
«Ohi!» sbotta lui. E lei: «Ohi!» lo imita, o si imita, visto che il Dottore sta imitando lei – la lei che conosceva, la lei che ha cancellato. È complicato.
«Sì» ripete quindi. «Sarei morta. E cosa credi di avermi fatto, friggendomi il cervello? La prossima volta almeno chiedi il mio permesso, prima di uccidermi.»
«Io non--»
Donna lo guarda, il Dottore, il Dottore, quell’uomo troppo magro, troppo triste, troppo eccitato da cose assurde ed incomprensibili e pericolose, quell’uomo che avrebbe seguito… che ha seguito fino in capo all’universo e ritorno. Guarda i suoi occhi sgranati, la barba incolta, la camicia da vecchio prestigiatore: «Sei sempre» Donna gesticola, cambiando repentinamente discorso, poi scrolla le spalle: «Tu. Te stesso. La stessa faccia» riformula più volte, incapace di esprimere il concetto con esattezza.
«No» replica lui, aggrottando le sopracciglia. «Ho avuto un grosso mento, due grosse sopracciglia, e sono stato una donna.»
Lei sorride senza volerlo: «Una donna?» domanda, semi-benevola nonostante tutto. «Mi sarei divertita.»
Per un brevissimo istante qualcosa, sul suo viso, torna a raccontare gli anni che ha realmente: «Non credo» mormora.
«Io dico di sì» replica lei. «Ci sono sempre due modi per raccontare una storia, Dottore» aggiunge dopo un attimo, affettuosa. «Mi hai insegnato tu a scegliere quello divertente, invece che quello drammatico.»
«Ti saresti divertita» ammette lui, scuotendo la testa. «Mi sarei divertita. Con te» aggiunge, un sorriso reticente che gli arriccia le labbra. «Allora, assomiglio al vecchio Dottore, dici? Scortese e non rosso?»
Lei inarca le sopracciglia, ma non riesce a non sorridere: «Più che assomigliare direi che sei una goccia d’acqua» si stringe nelle spalle. «Sei proprio lui.»
Il Dottore sbatte le palpebre: «No.»
«Sì.»
«Oh, questo è-- be’, è davvero improbabile che succeda una cosa del genere» borbotta, facendo un passo indietro, più a sé stesso che a lei.
«Sì» sbuffa Donna, incrociando le braccia al petto. «Ti capita spesso di esserlo.»
«Cosa?»
«Improbabile.»
A questo, il Dottore (il suo Dottore, il suo migliore amico) scoppia a ridere, la testa rovesciata all’indietro: «Oh, Donna Noble, segretaria di Chiswick» esclama, allegro, coinvolgendola in un abbraccio. «Mi sei mancata.»
Potrebbe rispondere Anche tu, e sarebbe la verità, sarebbe la verità anche se non lo ricordava, ma invece lo allontana: «Ehi!» lo riprende, pizzicandogli un braccio. «Attento a dove metti le mani, Uomo dello Spazio!»
«Giusto» annuisce lui, pur senza smettere di sorridere. «Niente abbracci» ricorda. Poi, aggrotta la fronte: «Non mi sono piaciuti molto, gli abbracci, per un po’.»
«Questo è molto poco da te» risponde lei, sentendosi un po’ preoccupata, suo malgrado, retrospettivamente, per un amico di cui non ha mai visto il volto.
«Vero? Ero confuso. E stanco, e arrabbiato.»
«E dove sarebbe la novità?» rotea gli occhi, ma piano, scuotendo la testa. Lui – ovviamente – la ignora: «Ma ora sei qui, fantastica, meravigliosa, geniale Donna Noble, e--» il suo respiro s’inceppa, il suo sorriso si congela in qualcosa leggermente perplesso, cautamente preoccupato. «Ti ricordi di me. Come è possibile che il tuo cervello non ti stia colando dalle orecchie?»
«A me lo chiedi?» sbuffa Donna, un tantino irritata (e molto molto preoccupata).
Lui fa spallucce: «Da quando ci conosciamo, sei stata la risposta a tutte le domande che io mi sia mai fatto.»
«Ruffiano» lo rimbotta lei, scuotendo la testa.
Anche il Dottore scuote la testa – siamo d’accordo di non essere d’accordo, sembra dire, ma quando parla invece, cambia argomento: «Bene» si sfrega le mani. «Allora, cosa ne dici? Tutte queste coincidenze, io, te, Londra ed un’invasione a Natale. Come ai vecchi tempi.»
«Cosa ne dico?» ripete lei, sentendosi improvvisamente molto calma.
«Eh
«No.»
«No?»
«Mi hai tradita» gli spiega lentamente, come ad un bambino piccolo. «Non ti perdonerò mai per questo.»
«È giusto» ammette facilmente lui, la lingua fra i denti.
«Sì, lo è» replica lei, gli occhi ridotti a fessure.
Il Dottore alza un solo angolo della bocca, mite, mesto, dolcente comprensivo come solo lui sa essere, ed annuisce quasi a sé stesso: «Quindi non sei neanche un po’ curiosa?»
«No» ripete Donna, raddrizzando le spalle, fermissima.
«D’accordo.»

 

 

 

 

 

 

Il Dottore che si chiude la porta della TARDIS alle spalle e la neve che turbina attorno a lei.
È più che un dejavu.
È un ricordo.

 

 

 

 

 

 

«Dottore!» Strilla, il panico che la strozza alla vista dell’astronave che lentamente scompare, brontolando.
Lui spunta da dietro la porta appena socchiusa: «Urli sempre» le sorride, un po’ beffardo.
Lei potrebbe dire Te ne vai sempre, ma non sarebbe corretto, perché in fondo in questo tangente ha sempre rispettato i suoi desideri. «Hai sempre la stessa faccia» replica allora, piccata.
«Già» annuisce lui. «Questo è un problema. O, be’. Non proprio un problema, ma un-- una complicanza. Se puoi lasciarmi andare, vorrei capire perché--»
«Senza di me?» lo interrompe, marciando sicura all’interno della cabina blu dei suoi sogni e dei suoi incubi. «Non credo proprio, marziano.»
«Non vengo da Marte» replica lui, un sopracciglio molto-molto alto, mentre tira una leva, ma sta sorridendo.
«Sta’ zitto.»

 

 

 

 

 


«Devo andare» sospira il Dottore, quando è tutto finito.
Non intende andare-andare, correre via come fossero inseguiti da degli auto inferociti, ovviamente. Intende, be’. Intende andare. Cambiare. Rigenerarsi. Morire, in un certo senso. Donna lo capisce, davvero.
«Lo so» gli dice. «Ma questa volta non sarai solo.»
Lui fa una smorfia-sorriso delle sue, e si sbilancia verso di lei per darle una spallata affettuosa: «Solo perché per un po’ non te lo sei ricordata, Donna Noble» le dice solennemente. «Non significa che hai smesso di essere la donna più importante dell’Universo.»
Donna alza gli occhi al cielo, ma non ribatte. Se lo merita, decide. Solo per un paio di minuti ancora, di credere al Dottore. Di fingersi un po’ più che una segretaria part-time. «Solo perché non avevi nessuno a ricordartelo» ribatte dando un morso al proprio panino. «Non significa che tu abbia smesso di essere un imbecille.»
«Resterai in giro per farlo?»
«Non lo so» ammette lei. «È tutto diverso, adesso.»
«È vero» ammette lui.
Seduti con le gambe nel vuoto siderale della spazio profondo, la vista del pianeta verde e blu che chiama casa è dolce e straziante allo stesso tempo: «Cosa sono ora? Non sono più-- Donna» articola. «La Donna che ero quando ci siamo conosciuti, intendo. Umana. E non sono più il Dottore-Donna, Dio ce ne scampi e liberi. Di un idiota ne basta uno per universo. Ma ricordo-- ricordo, ora. Non sono più--»
«Vuoi sapere la definizione scientifica dell’ibrido che sei in questo momento? Potrei dartela – me la inventerei, ovviamente, sono molto bravo in questo, lo sai, mi conosci. Ma davvero vuoi saperlo? Non ti piacerebbe scoprirlo da te?»
Sta per rispondergli E come potrei?, ma si blocca. In realtà, ora sa, ora ricorda. Non sa esattamente in quale percentuale il suo cervello sia umano e in quale signore del tempo, ma sa con certezza in quale percentuale abbia importanza: zero. Ha rischiato di essere una Bennett, ed è stata una Temple e per un paio di magnifiche ore lunghe come una vita intera persino una McAvoy, ma la realtà è che non ha mai smesso, neanche quando non si ricordava cosa significasse, di essere Donna Noble.
Il Dottore – questo uomo ridicolo, saccente, con più volti di quanti lei ne abbia mai conosciuti, due cuori e troppi rimpianti – ha ragione. Può scoprirlo da sola.
Finisce in silenzio il panino, i piedi che dondolano nel vuoto, la Terra che caracolla placida lungo la propria orbita ad un paio di centinaia d’anni luce. E la spalla del suo migliore amico che le sfiora il braccio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N/A: scritta per la decima casella del calendario dell’Avvento del forum Ferisce la penna, ovvero la challenge “72 prompt in attesa di Natale” @Mari Lace & Sofifi, col prompt: cenere + citazione: “Today I woke up at 7p.m. My brain feels like it’s going to break.” (“Oggi mi sono svegliata alle sette di sera. Il mio cervello sembra sul punto di rompersi.”) da dominique di Ela Minus
Purtroppo solo cioccolata e biscotti, perché non sono riuscita ad inserire la Dystopia!AU (per quanto avessi un’idea, MA chissà, magari in futuro).
!!!!!!!!! [ inserire qui entusiasmo scioccato ed eccitazione travolgente per la reunion che ci aspetta nel 60° anniversario! ] !!!!!!!
TEN E DONNA DI NUOVO INSIEME OH SIGNORE BENEDETTO. Non so se il mio povero cuoricino reggerà!!!!!!!!! (Sono già impazzita in quei trenta secondi scarsi di teaser, le possibilità che sopravviva ad un’intera puntata sono molto basse, ad onor del vero.
— Era da secoli che volevo una scusa per scrivere una storia del genere, pertanto è macerata a lungo nel mio cervello e ad essere del tutto onesta non so bene come ne sia uscita, alla fine. (Maciullata ed un po’ goffa, certamente.) C’è una storia, su Donna, che è la mia storia Metacrisis!Donna di riferimento da sempre quando l’ho letta, anni fa, ed è t a b u l a r a s a @Elos. Se per purissimo caso ancora non è arrivata nel vostro radar, fatevi questo regalo di Natale e andate a recuperarla, fidatevi, davvero. Ora, io non l’ho riletta, prima di scrivere questa, ma sono certa che ci siano almeno un paio di paragrafi assolutamente derivativi da quel capolavoro. So, credits!
Also, non sono mai stata tanto sconvolta dalla morte di un attore quanto da quella di Bernard Cribbins, e questa storia la dedico a lui, che ha prestato il volto la voce le mani ad un personaggio che è stato per me come un nonno in carne ed ossa, ed ha guardato le stelle per il Dottore al posto di Donna per anni. Grazie, Bernard. Spero ci sia una TARDIS, dove sei ora, e che abbia voglia di viaggiare con te.
— «Ci sono sempre due modi per raccontare una storia, Dottore […] Mi hai insegnato tu a scegliere quello divertente, invece che quello drammatico» è una rielaborazione di una cit di John Green, che in Colpa delle stelle dice: “You have a choice in this world, I believe, about how to tell sad stories, and we made the funny choice.”
Gira a destra e il futuro cambierà è invece ovviamente il mio solito problema con Sense8 (1x08: Gira quel volante e il futuro cambierà), MA VOGLIO DIRE. Ci stava, dai. — Il finale è inesistente un po’ brusco, ma…. non ho voluto speculare troppo su cosa davvero succederà nello speciale perché non mi si tiene, davvero, ma non voglio farmi del male. Quindi aspetterò. Soffocando malamente ansie e teorie e timori e aspettative molto più alte di quanto sia sano. Sarà bellissimo, però. Torna Russell e io di Russell mi fiderei con la mia stessa vita. Qui lo dico e qui lo nego. Giusto per la cronaca, non credo proprio che Donna rimarrà companion del nuovo Dottore, anche se sarebbe magnifico. Credo che tornerà e se ne andrà con Tennant nel giro dello special. (Non credo che sarebbe neanche giusto nei confronti del sviluppo del personaggio di Donna Noble, perdonarlo così in fretta, BTW.) Una donna può sognare, però.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: Anonimadelirante