La mano. 
Il cuore che batte.
Le dita che premono appena. E tremano.
Gli occhi di ghiaccio lo guardano, lo sfidano e poi per un momento il ghiaccio si scioglie.

Quella stessa mano, quello stesso tremore di dita, quello stesso scintillio che scioglie i ghiacciai con un battito delle lunghe ciglia bionde…  ma in un giorno diverso, in una vita diversa. Una vita in cui c’era il tempo di sedersi sotto un albero a leggere, nel sole di agosto, e scordarsi di girare le pagine guardando i raggi sui suoi ricci color del grano. Proprio come un angelo in un affresco o una fanciulla in una poesia antica. 
–Ti sei distratto?
Albus era arrossito: –No, io…
Gellert gli si era avvicinato mentre lo fissava negli occhi. Ecco, la gola che si annoda, i pensieri si accalcano nella testa, si scontrano e confondono e non li sta più seguendo, è impossibile. Una mano che si allunga e Albus non reagisce e il libro gli viene strappato dalle mani.
Gellert guarda velocemente la pagina, poi torna agli occhi di Albus, con sfida: –Allora quale è l’ultima frase che hai letto?
–Ma ormai mi hai distratto tu, non vale!
–Secondo me lo eri da prima.
–Ma che dici!
–Non c’è nulla di male, perché non lo ammetti?
–E’ solo che…
–A cosa stavi pensando?– Gellert aveva ammiccato e Silente si era sentito arrossire.
–Niente!
Aveva cercato di riprendersi il libro, per nascondercisi dietro, ma Gellert aveva fatto resistenza. Era diventata una piccola lotta, entrambi tiravano il volume e poi i loro sguardi si erano incrociati di nuovo. Avevano riso, sentendosi sciocchi e cercando di nasconderlo. Avevano riso entrambi continuando a lottare per il volume, tirando, spingendosi, e continuavano a guardarsi e poi quelle mani. Quella di Gellert sul petto di Albus, quella di Albus sul petto di Gellert, cercando di allontanarsi mentre le altre due mani, strette entrambe sul libro, li tenevano uniti. E poi gli occhi.
Gli occhi li avevano uniti, quello sguardo, il tremore. Il libro dimenticato, le mani si erano serrate sulla stoffa delle vesti. Era stato un secondo di quelli che durano un’eternità, Albus si era chiesto se non avesse capito male, se poteva davvero osare tanto. 
Le ciglia di Gellert si erano abbassate, solo un brevissimo attimo, e risollevate. I suoi occhi di ghiaccio sembravano fuoco in quel momento, aveva guardato le labbra di Albus e di nuovo i suoi occhi e Albus allora aveva piegato un poco il collo, avvicinandosi a lui, e poi entrambi si stavano sporgendo l’uno verso l’altro. Il respiro era già spezzato prima ancora che le loro labbra si sfiorassero. Si mossero continuando a guardarsi, quasi spaventati da quanto stava accadendo. Un braccio che si piega, il busto che si sporge in avanti. Ancora più vicini, finché non ci fu più nulla tra loro.

Il respiro spezzato.
Il respiro di entrambi, mentre le mani di entrambi tremano. Intorno a loro non si sente più niente, è come se la folla radunatasi per l’elezione e l’intera città di Bhutan fossero scomparse. 
Per un breve attimo è la speranza che scompaia anche tutta la storia, tutto il tempo, tutto l’accaduto e che intorno a loro ci sia di nuovo la brughiera di Godric’s Hollow in un’estate di fine ottocento. 
Non è così. C’è solo il vuoto ora intorno a loro. Un piano senza più colori, un cielo plumbeo, il silenzio. La mano di Albus sul petto di Gellert, la mano di Gellert sul petto di Albus, e nient’altro. 
Non più la voglia di baciarsi, non più la voglia di uccidersi. Solo un ultimo sguardo, e poi Albus si volta. 
Non si è distratto questa volta. Senza dire nulla raccoglie il pendolo del voto che avevano stretto, ora spezzato. Non c’è più nulla tra loro.