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Autore: Keeper of Memories    16/12/2022    4 recensioni
Dal testo:
"Soppesò la situazione per alcuni istanti.
«In cosa consisterebbe questo lavoro, dunque?» chiese, riportando lo sguardo sulla giovane.
«Alla fine di quest’anno, si terrà un evento nella città di Philadelphia. Un prezioso opale verrà esposto per un breve periodo durante una festa, prima di essere donato a un membro di una famiglia di reali europei. Il committente vuole quell’opale.»
«Mi state chiedendo di rubare!»
Natalia distese la sua espressione, dipingendo un dolce sorriso innocente sul suo volto fanciullesco.
«Mi è stato detto che le vostre mani sono molto abili. È corretto?»
Francis sorrise serafico. «Lo sono, in più modi di quanti possiate immaginare.»"
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Quattro persone assoldate da quattro misteriosi committenti; quattro incarichi che li vedranno nemici, poiché la posta in gioco è troppo alta per lasciar correre. Chi ne uscirà vincitore? Ma soprattutto, chi sono questi misteriosi committenti?
[Human!AU]
[FrUk] [Ameripan]
Genere: Azione, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Londra, marzo 1873
 
Per l’ennesima volta, Arthur Kirkland prese il suo orologio da taschino dalla raffinata giacca che indossava per l’occasione e lanciò uno sguardo scocciato alle lancette sottili. Un gesto totalmente inutile, considerando che il salotto in cui si trovava era già dotato di un orologio perfettamente tarato ma, come sempre, difficilmente l’impazienza fa ragionare lucidamente.
Ripose l’orologio da taschino e si lasciò sprofondare sulla poltrona imbottita, leggermente infastidito. Il suo ospite era in ritardo di cinque minuti, e lui odiava i ritardi.
I passi di Dylan sul pavimento scricchiolante lo destarono dai suoi pensieri. Si sedette in maniera composta e si lisciò accuratamente i vestiti eleganti, in attesa che la porta venisse aperta.
«Sir Von Bock» disse Dylan, annunciando il suo nuovo ospite, nonché potenziale cliente.
L’uomo che entrò poteva avere all’incirca la stessa età di Arthur, capelli biondi pettinati con cura e delle ottiche piuttosto spesse sul naso. Fece un breve cenno del capo al suo ingresso nella stanza e, alla luce del caminetto, Arthur poté osservarlo meglio; indossava una divisa militare scura, all’apparenza molto semplice, ma la qualità delle rifiniture e del tessuto non lo trassero affatto in inganno.
Questo qui è ricco.
«Prego accomodatevi» disse Arthur, accennando al divano di fronte a lui «gradite del tè? O qualcosa di più forte?»
«Del tè andrà benissimo, grazie» rispose in un ottimo inglese, sedendosi dove gli era stato indicato. Aveva un forte accento, forse dell’Est Europa, forse scandinavo, Arthur non ne era certo.
A un suo cenno, Dylan sparì oltre la porta del salotto.
«Vi chiedo perdono per il ritardo, Sir Kirkland» aggiunse l’ospite con molta educazione «Ci sono stati degli… impedimenti lungo il tragitto.»
«Nessun disturbo. Mi sembra di capire che avete fatto molta strada Sir Von Bock. Ma ditemi, a cosa devo l’onore di cotanta fatica?»
Vennero interrotti brevemente da Dylan, che servì loro il tè.
«Il lavoro che sto per offrirvi è qualcosa che solo voi potete fare, stando alla persona a cui faccio da tramite» rispose lo straniero, bevendo un sorso dalla tazzina in ceramica orientale.
«Avete la mia totale attenzione. Procedete.»
«Alla fine dell’anno corrente, si terrà un evento oltreoceano, nella città di Philadelphia. Una gemma di rara bellezza, un’opale per la precisione, verrà donato a un membro importante della famiglia dell’attuale zarina, Maria Aleksandrovna. Non vi tedierò con i dettagli politici della faccenda, sappiate solo che il mio committente vuole quella gemma, prima che finisca in mani russe. Questo dovrà necessariamente accadere durante tale evento.»
Arthur bevve un sorso di tè, prima di iniziare a parlare.
«Il lavoro che mi state proponendo è molto complicato, senza nemmeno contare che mi state chiedendo di lasciare la città e andare oltreoceano… sarò sincero con voi, sono molto propenso a rifiutare la vostra proposta.»
«Il committente ha previsto una risposta del genere, per cui vi chiedo gentilmente di ascoltare cosa ho da offrirvi come ricompensa.»
Dietro le spesse ottiche, gli occhi di Van Bock si ridussero a due fessure. Ad un cenno di Arthur, proseguì.
«Come sta vostro fratello?» chiese con molta tranquillità, posando la tazzina vuota sul tavolino accanto a sé.
«Mio fratello?» chiese Arthur accigliato.
«Si, vostro fratello. Non intendo quello che quest’oggi si è finto parte della servitù e probabilmente ci sta origliando da dietro la porta. Parlo di quello più giovane, che soffre di problemi respiratori.»
Arthur impiegò ogni energia in suo possesso per non scattare verso il suo “cliente” e strozzarlo a mani nude. Ci riuscì quasi del tutto in realtà, se non fosse stato per il lieve tremore della mano che reggeva la tazzina e inevitabilmente faceva traballare il liquido al suo interno, tradendo un certo nervosismo. Decise che posare la tazzina a sua volta sarebbe stato l’ideale.
«Mi state minacciando, per caso?» chiese freddamente.
«Tutt’altro. Ho una proposta al riguardo.»
«E come fate a sapere tutte queste cose, se mi è concesso?»
«Ho fatto le mie ricerche. Inoltre, vi chiedo di non insultare la mia intelligenza, siete chiaramente un uomo scaltro che fa un lavoro pericoloso. Sono piuttosto sicuro che questa non sia la vostra casa e quelli che indossate non siano i vostri vestiti, così come il vostro servitore non è un servitore. La somiglianza è notevole, devo dire.»
«I miei complimenti per l’acume, tuttavia non credo di aver ben inteso cosa volete propormi.»
«Cure mediche, sir Kirkland. I migliori medici europei, per la precisione.»
«Per mio fratello?»
«Esattamente.»
Gli occhi di Arthur saettarono tra la porta, il suo interlocutore e la tazzina sul tavolino accanto a sé. Se la proposta di questo straniero era valida, suo fratello avrebbe avuto una possibilità, se non per guarire, almeno per migliorare. Tuttavia, sapeva troppo poco dell’uomo che aveva di fronte e fidarsi, soprattutto nel suo campo, portava il più delle volte a un destino orribile.
«Mi è concesso del tempo per riflettere sulla vostra proposta?» chiese circospetto, scrutando con attenzione ogni movimento dello straniero. Von Bock sembrava perfettamente a suo agio, non vi era alcun tipo di minaccia nei suoi modi.
«Certamente. Fare delle ricerche sulla mia persona richiederanno tempo, senza dubbio», rispose lo straniero incurvando le labbra in un leggero sorriso «Se decidete di accettare tale proposta, chiedete di me all’hotel Langham. Vi lascerò i dettagli in una lettera, incluso il necessario per il viaggio.»
 
Non appena il misterioso cliente uscì dalla porta, Arthur si buttò di peso sul divano, allungando le gambe per starvi più comodo.
«Cosa ne pensi?» chiese ad alta voce, perfettamente conscio di non essere solo.
Dylan entrò silenziosamente nel salotto, la presenza tradita solo dallo scricchiolio dei cardini arrugginiti. Si sedette sulla poltrona che prima occupava Arthur, beandosi nel calore del camino scoppiettante.
«Sinceramente? Gli pianterei un coltello in gola e basta. Per sicurezza.»
«Mi sembra di sentire Allistor» mugugnò sconsolato Arthur, massaggiandosi le tempie con le dita.
«Beh, sa troppe cose… e quello che ha detto sembrava effettivamente una minaccia.»
«Vogliamo però buttare un’occasione del genere? Conor peggiora con il passare dei giorni e non potremo permetterci le medicine ancora per molto.»
Dylan tacque, Arthur riusciva a leggere l’incertezza e la paura sul suo volto.
«Cosa suggerisci di fare?» chiese infine. Sapeva che suo fratello aveva ragione.
«Abbiamo bisogno di informazioni su questo misterioso europeo e sull’importante evento di cui parlava» spiegò, indugiando in un sospiro «Chiama anche Allistor, due occhi e due orecchie in più ci serviranno.»
«Perché devo chiamarlo io?» protestò Dylan contrariato.
«Perché non ho ancora capito se mi odia o è solo un brontolone» sbuffò Arthur, alzando gli occhi al cielo «almeno con te ci parla.»
«È nostro fratello! È ovvio che non ci odia.»
Lo sguardo genuinamente sorpreso del fratello fece sorridere Arthur.
«Oh, Dylan. Sei così ingenuo che a volte mi chiedo davvero come tu faccia ad essere ancora vivo.»
«Ho giusto qualche fratello che mi guarda le spalle» rispose questo ridacchiando.
Il sorriso di Dylan durò però solo qualche secondo, poi i suoi occhi tornarono a fissarsi su Arthur con insolita serietà.
«Gli parlerò io. Però non mi hai spiegato una cosa, Artie…»
«Ti spiego tutto quello che vuoi quando la smetterai di chiamarmi così» lo interruppe Arthur, lanciandogli un’occhiataccia.
«Va bene, va bene. Ma supponiamo di scoprire che questo lavoro è affidabile. Cosa facciamo dopo?»
Arthur si alzò, avvicinandosi al camino. «Semplice, andrò nelle Americhe.»
«Allora verrò con te.»
Arthur scosse la testa. «Conor ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto.»
«Ma-»
«Niente “ma”. Se dovesse finire male, è bene che ci rimetta solo io. Ho bisogno che qualcuno rimanga qui con Conor, e di Alistor non mi fido.»
«Tanto sei tu che comandi…» bofonchiò Dylan, contrariato.
 
I due fratelli rassettarono il salotto e si cambiarono d’abito, sparendo nei vicoli londinesi prima che i proprietari dell’abitazione si accorgessero della loro presenza.

 
***********
 
 
Veracruz, maggio 1873
 
Francis Bonnefoy odiava svegliarsi presto la mattina per cui, potendo, tendeva a non farlo per principio. Quella mattina purtroppo gli andò male: venne svegliato di soprassalto da una secchiata gelida, che lo fece sobbalzare dalla sedia su cui si era addormentato la sera precedente. Il faccione di Gabriel, il proprietario della sua bettola preferita, occupò il suo campo visivo.
«Il conto questa volta l’ho pagato…» biascicò in uno spagnolo poco convinto.
Non capì esattamente cosa quell’energumeno messicano gli avesse appena detto, non tanto per la lingua, che aveva imparato a comprendere egregiamente, quanto per il mal di testa pulsante che minacciava di fargli esplodere il cervello. La tequila aveva fatto il suo lavoro, intuì.
Gabriel dovette ripetergli almeno tre volte che qualcuno chiedeva di lui prima di riuscire a comprenderlo, una giovane donna che non aveva mai visto.
Francis guardò sconsolato l’ora, realizzando fossero solo le dieci di mattina.
Troppo presto.
Si alzò in maniera impacciata, riuscendo miracolosamente a non far cadere nulla dal tavolo gremito di bottiglie vuote. Scorse brevemente il suo riflesso pietoso sul vetro.
«Se è di una signora che stiamo parlando, non posso certo presentarmi così!»
 
Diversi minuti dopo, Francis seguì Gabriel in una delle tante sale del locale, una di quelle che, nelle nottate migliori, ospitava la bisca clandestina più grandi della zona portuale di Veracruz. Gli attuali avventori, tuttavia, erano solo due, se si escludeva Francis stesso: una giovane donna dai lineamenti delicati e un vecchio dall’aria seria.
Al suo ingresso, la donna sollevò il capo, rivelando due splendidi occhi blu e una folta capigliatura bionda sotto l’elaborato cappellino, dello stesso colore ceruleo dell’elegante abito da giorno.
«Capitaine Bonnefoy?» chiese, in un francese con un forte accento dell’est Europa.
Francis fece un breve inchino. «Esattamente. Con chi ho il piacere di conversare?»
Fu in quell’istante che Francis capì. Lo capì dallo sguardo basso e deferente dell’uomo anziano e da quello gelido e leggermente disgustato della fanciulla che capì chi dei due comandava.
«Siete al cospetto di mademoiselle Natalia Arlovskaya» disse l’uomo anziano con voce rauca.
«Prego, sedetevi» aggiunse la giovane, indicando a Francis la sedia accanto alla sua «ho chiesto del tè, ma a quanto pare non è una bevanda così comune da queste parti.»
Francis dovette trattenersi dal ridere in faccia alla giovane. Non sarebbe stato educato.
«Mi dispiace mademoiselle, questo è il genere di locale che serve alcolici e poco altro. Dovrete guardare altrove per trovare una tazza di tè.»
La ragazza lanciò un’occhiata sprezzante nella direzione di Francis.
«Sono delusa, sapete? Nella vostra madre patria ho sentito decantare le vostre lodi, capitano. Eppure, davanti a me ho solo un maleodorante ubriacone.»
Il vecchio si schiarì la gola, sollevando lo sguardo nella direzione di Natalia, ma quest’ultima lo ignorò.
«Nella mia madre patria si dicono molte cose. Sfortunatamente, parlano tutte del passato» rispose con un sorriso cordiale. Non si aspettava così tanta schiettezza, non da una signorina europea almeno.
«Ora ditemi… Quale di queste storie hanno fatto intraprendere un lungo e tedioso viaggio per nave a una splendida fanciulla come voi?» proseguì, riempiendo di miele le sue parole.
«Quelle che parlano di un valoroso corsaro francese che coprì la ritirata della flotta di Napoleone III dal Golfo del Messico, sacrificando la sua nave nel processo.»
Gli occhi di Natalia si assottigliarono e la sua espressione si indurì ulteriormente. A quanto pare lo charme di Francis non aveva avuto effetto su di lei.
Un vero peccato.
«E così ho fatto, rimanendo perfino nel luogo in cui la mia adorata ciurma perì. Romantico, vero? Ora, se non c’è altro, mademoiselle…»
Francis fece per alzarsi, ma Natalia lo fermò con poche, semplici parole.
«Fermatevi. Sono qui per restituirvela.»
«Cosa?»
«Una nave completa di equipaggio… e forse anche un po’ di dignità.»
Francis si sedette nuovamente, osservano incuriosito la sua interlocutrice.
«Come potete prendervi gioco di me in questo modo…» disse con tono melodrammatico, scuotendo leggermente il capo «…sotto questa dura scorza da uomo di mare c’è un cuore che batte.»
«Non lo faccio, infatti» ribadì Natalia, oltremodo irritata «Sono qui per conto di qualcuno che vuole assoldarvi per un lavoro. Questa offerta include una nave dotata di equipaggio come ricompensa.»
«Non per mancarvi di rispetto mademoiselle, ma la Francia ha smesso di elargire lettere di corsa da un po’, ormai. Non ho più alcuna autorità sul mare, e di certo non voglio darmi al brigantaggio.»
«Non lo sarete, infatti. Ci sono tuttavia rotte commerciali altrettanto pericolose che richiedono un capitano con le vostre abilità. Non vi alletta l’idea di tornare alla vostra antica gloria?»
Francis lasciò scorre lo sguardo oltre l’elegante figura di Natalia, oltre la finestra alle sue spalle dove si scorgeva il mare, l’oceano e tutti i fantasmi in esso contenuti. Soppesò la situazione per alcuni istanti.
«In cosa consisterebbe questo lavoro, dunque?» chiese, riportando lo sguardo sulla giovane.
«Alla fine di quest’anno, si terrà un evento nella città di Philadelphia. Un prezioso opale verrà esposto per un breve periodo durante una festa, prima di essere donato a un membro di una famiglia di reali europei. Il committente vuole quell’opale.»
«Mi state chiedendo di rubare!»
Natalia distese la sua espressione, dipingendo un dolce sorriso innocente sul suo volto fanciullesco.
«Mi è stato detto che le vostre mani sono molto abili. È corretto?»
Francis sorrise serafico. «Lo sono, in più modi di quanti possiate immaginare.»
«Eccellente. Non avrete problemi di sorta, dunque.»
Con grande rammarico di Francis stesso, il volto di Natalia tornò alla solita espressione corrucciata. Scosse la testa, un po’ deluso.
«E se volessi accettare? Come arrivo nel Nord America?»
«Avrete il viaggio pagato, assieme a vitto e alloggio. Ad impresa compiuta, avrete ciò che vi ho promesso.»
«Accetto» rispose Francis, pensandoci qualche istante appena. Non aveva molto da perdere e un viaggio pagato per una meta a lui sconosciuta poteva rivelarsi interessante.






Noticine a piè pagina:
Salve! Questa è una doppia prima volta per me: è la prima volta che scrivo in questo fandom e la prima volta che scrivo questo genere.
Sarà un'avventura e un'impresa, ma le idee e la buona volontà non mancano.
Una piccola nota storica: la ritirata francese a cui Natalia e Francis fanno riferimento è realmente avvenuta, nel 1866. Un bel fallimento del ben noto Napoleone III.

Detto ciò, ringrazio infinitamente la meravigliosa Striginae, tanto per il supporto quanto per il brainstorming. Spero che l'attesa sia valsa la pena!
Grazie anche a tutti voi che avete iniziato a leggerla^^ Mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensate!
   
 
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