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Autore: StagTree    26/12/2022    2 recensioni
“Bucky,” dice, e gli scappa una risata debole dalle labbra, nello spazio tra i denti, e un breve sorriso che gli preme gli occhi alle guance: non c’è giovinezza che possa paragonarsi a quella di Steve Rogers, e se scompare dietro la sua magrezza e bontà d’animo, allora è il mondo a non meritarlo, non il contrario.
questa storia partecipa al “Secret Santa Challenge” indetto dal forum “Writing Games – Ferisce Più la Penna”; per Ashla
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ashla cara:) buon natale! mi sono sparata the winter soldier (mai visto prima – ma steve mi piace) e ho cercato di fare del mio meglio. perdonami il ritardo …

 

https://feriscelapenna.forumfree.it/?t=79380044

 

https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=848029

 

 

 

please don’t get answers from eyes,

you know that mine can’t lie,

quite as well as yours

 

 

 

“Bucky,” dice, e gli scappa una risata debole dalle labbra, nello spazio tra i denti, e un breve sorriso che gli preme gli occhi alle guance: non c’è giovinezza che possa paragonarsi a quella di Steve Rogers, e se scompare dietro la sua magrezza e bontà d’animo, allora è il mondo a non meritarlo, non il contrario.

Ma questo già lo sa, Bucky – quello è il suo nome – da quando nemmeno se ne poteva rendere conto. Steve lo dice di nuovo, si lascia incantare dalle luci della fiera come una falena: “Bucky,” Bucky, cantilena, cantilena – e fa cenno di no con la testa.

E Bucky risponde, “Cosa?”

Ma non è scontroso, e Steve si distrae a contare le stelle dietro le montagne russe: “Mi mancherai.”

Mentre la gente ride e gli passa accanto, è tutto sfumato, e fa fatica, Bucky, a prendere coscienza dei propri piedi e posizione sul mondo, gravità e leggi della fisica e altre cose che non è destinato a capire. E malgrado questo, Steve continua, “Mi mancherai, Bucky – quello è il suo nome, oppure è anche quella una sfumatura, una nota a pie di pagina; da come lo pronuncia, è Steve che l’ha deciso per lui, in ultimum – Vorrei poter venire con te. Combattere al fronte insieme.”

Il sorriso gli si spegne, e all’improvviso tutto è reale. “Ci sono altri modi in cui puoi aiutare, qui.”

Steve preme il viso in una smorfia infelice, e volta tutto il corpo verso di lui. La vicinanza fa calore, o è forse la sua passione per gli ideali e le utopie. “Tu non sarai qui.”

“Tornerò,” e Bucky sa che è una bugia, o non di certo una promessa, o non di certo – una certezza, e come fa, comunque? A guardarlo negli occhi e sentire tutto il suo entusiasmo spegnersi, e cercare in lui la culla di una speranza.

Steve è onesto – lo dice per entrambi: “Non puoi saperlo, questo,” e si forma tra loro la vicinanza fisica di un litigio, di una discussione familiare.

“Steve,” Bucky assapora il suo nome sulla lingua, la fa passare tra i denti, sulle labbra, “Cristo, smettila.”

“Ma non posso mollare adesso, non posso! Non così.”

“Non c’è altro da fare, Steve.” Ma si rassegna – e gliela invidia – non avrà mai la sua stessa fermezza nella voce. Gli stringe una spalla – gliela stringe, davvero, con tutta la forza che gli riesce, fino a che Steve non si lamenta e gliela lascia.

Steve, Steve – andiamo, alzati: quei figli di puttana non ti toccheranno più. Sei piccolo, lo sai, Steve?

“Mi spiace,” dice, Bucky, e forse gli spiace per davvero, “Ma è meglio così.”

Il peluche per Dolores vacilla inerme in una morsa di ferro, e Steve lo guarda, per un momento – poi torna alle stelle, e alle bancarelle degli hot dog, alle montagne russe e le risate e i vestiti corti, le caviglie scoperte.

Si congeda con una scusa: “Si sta facendo tardi comunque,” dice, cercando orme nella polvere, “Torniamo a casa.”

 

 

 

E’ uno Star Bucks: Steve Rogers, nel suo mal vivere, o non vivere, non ha mai acquisito un gusto particolare per il caffè. O per meglio dire – o così gli è stato spiegato, per quanto poco sia tendente a crederci – non ne capisce nulla, non più di tanto.

“E’ parecchio diverso da quello a cui eravamo abituati.”

Bucky si guarda intorno: non è la sua prima volta, ma ogni volta sembra la prima volta, nel bene o nel male. Glielo concede – dice: “Già,” e guarda la condensa uscire dal suo bicchiere.

La pausa per Steve è accusatoria, e scarta una ciambella dai tovaglioli prima di mettere le mani avanti, e dire, “A me piace,” prima di parlare di Tony Stark e del suo apparente dissenso; non è un argomento felice e se lo ricorda troppo tardi.

Si schiarisce la voce e, “Comunque,” vira, “Non aspettare troppo tempo prima di berlo, o non è più buono.” E’ vero: la panna montata si è già sciolta, quasi tutta.

“Sembra una schifezza,” Bucky dice.

“Non lo saprai mai se non lo provi,” Steve dice.

Ed è vero – lo è: Bucky allunga le mani da sotto il tavolo e cinge il bicchiere con i palmi, con il palmo, e ne registra il calore, e la mancanza di; Steve lo osserva e candidamente sorride – dà un morso alla ciambella e parla con la bocca piena, dimostrando familiarità, malgrado tutto. “Sai, mi manca il gusto delle vecchie ciambelle. Erano più grandi, pure il buco.”

Bucky sorride, e ripete, “Pure il buco,” ed è di fatto un’acerba presa in giro. Nel loro mancato, smarrito vivere, il mondo li ha graziati di una seconda possibilità. Sei cresciuto, Steve, e tutto il tuo buon cuore ti ha portato fino a questo punto, sacrificare tutto ciò a te più caro per benevolenza dell’umano, compassionevole coi deboli, idealistico, ingenuo. Non sei cambiato, Steve; non più di tanto.

E Steve lo nota: “E’ tanto che non ti vedo sorridere così,” e perché Steve Rogers è rimasto Steve Rogers, non vi è esistenza paragonabile all’incredibile e puro essere di Capitan America, nella sua sincerità e stima dell’amore per il prossimo. E’ questo che ti rende diverso da loro: non è l’onestà che porta il pane a casa.

“Ultimamente non ho avuto motivo per farlo,” Bucky risponde, scorza d’ironia.

“Lo capisco,” dice, Steve, ed è vero – si guardano negli occhi e scava più profondamente di quanto Bucky stesso potrà mai fare. Ma l’invidia non lo inacidisce più, “Ma possiamo ricominciare, insieme.” Tu non sarai qui.

Ne beve un sorso, poi, Bucky, del suo espresso con la panna montata. Sospira nel bicchiere: “Insieme,” dice, abbracciandone l’accoglienza torbida, ricordandosi di momenti lenti, movimenti, del cielo stellato e dita che si sfiorano per sbaglio.

 

  
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