Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |       
Autore: elenatmnt    26/12/2022    2 recensioni
What If 3x01 in cui John non ha mai incontrato Mary e ancora si strugge per la morte di Sherlock quando lui ricompare.
Qualcuno che ama è morto e lui non ha potuto fare a meno di impedirlo. Una persona buona, pacata e gentile può mai diventare... un mostro?
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note di quella che scrive:

Questa storia partecipa alla Challenge del Gruppo “NON SOLO SHERLOCK – gruppo eventi multifandom”.
Sono nuova in questo fandom e posso solo dire di essere superfelice di essere qui! Con umiltà, pubblico la mia storia con l’obiettivo di condividere con voi la mia passione per Sherlock e per John.  
Buona lettura!!

P.S. se vi va di lasciare anche solo un piccolo commento per me sarà motivo di crescita oltre che di gioia.


……………………………………………………………………………………………..
 
QUESTO È IL MIO BIGLIETTO

PRIMA PARTE
 

Si potrebbe pensare che sarebbe stato più facile.
Si potrebbe pensare che quelli come lui siano abituati.
Si potrebbe pensare che nessuno chiederebbe mai ad un uomo in una bara di smetterla di essere morto… oh sì, lo si potrebbe pensare.
Eppure, lui lo ha fatto.

“Una volta mi hai detto… che non eri un eroe… ehm… a volte non sembravi umano. Ma ti voglio dire una cosa, tu eri l’uomo migliore, l’essere umano più umano che io abbia incontrato e nessuno mi convincerà che tu mi abbia mentito. Ecco… ero solo come un cane e ti devo moltissimo. E ti prego, c’è ancora una cosa, un ultimo miracolo Sherlock, per me. Non. Essere. Morto. Potresti farlo per me? Voglio che la smetti, smetti questa farsa”.

Una farsa, sperava.

La verità di ciò che rimaneva era solo rimpianto… e colpe.
Poteva evitarlo? Poteva salvarlo? Poteva incontrarlo ancora un’ultima volta, una sola misera volta, pochi avanzi di attimi strappati all’oscura signora solo per dirgli quanto gli volesse bene?

Un’illusione o forse un sogno.

Giù, nelle profondità delle sue viscere, nel bel mezzo di quella massa di roccia che era il suo cuore, lì prendevano vita i suoi incubi.
Un incubo.


“….Mmm…”
“Hey sveglia bell’addormentato…”.
“Mmm… ahi… la testa… dove…?”.
“Muoviti e alza il culo!”.
“Dove sono?”.
“Dai sgombera! E ringrazia chi preghi di solito, di avere un amico che ti salva le chiappe dalla prigione!” con uno strattone, l’agente buttò John fuori dalla cella.

Un tremendo mal di testa, la tempia destra gli pulsava come un tamburo di guerra e… sangue. Sangue rappreso. Iniziava a ricordare. Solo flash tumultuosi e confusi.
Barcollante fu riaccompagnato all’ingresso.
Le luci erano tremendamente accecanti e i rumori assordanti, voleva vomitare, voleva dormire, aveva solo bisogno di dormire e di buio.

“John!”
“G… Gregory?”.
“Per la miseria! Ma che combini? Vieni, andiamo fuori di qui”.

Non guardati di buon occhio, i due vecchi amici uscirono fuori dalla stazione di polizia.

“John, non puoi andare avanti così”.
“Così come?”
“Hai un buon lavoro, sei rispettato da tutti. Non capisco perché nel poco tempo libero che concedi di ritagliarti io debba venire a ripescarti in una cella e cancellare ogni traccia dell’accaduto per non comprometterti il lavoro. Ringrazia che all’ospedale non si siano ancora accorti delle tue bravate notturne!”.
“Mi dispiace…”.
“No John a me dispiace, è la quinta volta che ti arrestano per rissa e la cosa assurda è che non sei né ubriaco né fatto. Sei solo incazzato! E prendersela con i primi teppisti che ti capitano a tiro è da incoscienti oltre che da stupidi”.
“…Lo so… ti chiedo scusa…”.
“Non devi scurarti con me. Ma con te stesso, ti stai facendo del male. So che la morte di Sherlock non è stata facile da superare, anzi sono sicuro che tu non l’abbia mai superata. Ma ti prego, fatti aiutare. Distruggersi non ha senso, Sherlock non lo vorrebbe”.
“Sherlock è morto e questo è quanto”.
“Ma tu no. Torna a vivere, te lo meriti. Esci con una ragazza, con un ragazzo, trovati un hobby. Devi voltare pagina, sono passati due anni…”.
“Gregory… ti ringrazio per il tuo aiuto. Non eri in dovere di farlo, eppure, lo hai fatto e te ne sono profondamente grato. Ora, se vuoi scusarmi… devo andare a casa”.
 
***
 
Casa.

Com’è fredda e spoglia una casa, quando ad abitarla sono solo ricordi di un passato felice.
L’odore di lui persisteva nelle coperte fredde e disordinate; nella poltrona infossata; nelle sigarette nascoste da qualche parte nel soggiorno. Il tanfo aspro che ne rimaneva, era quello della morte che brutale aveva insinuato le radici nelle profondità della sua anima.
Oggetti, fori nei muri, carte, un laboratorio improvvisato in cucina erano il costante infausto promemoria che lui non c’era più e che non sarebbe mai tornato.

No, non poteva rimanere in quella casa.


Da due anni, un modesto e austero monolocale era diventato la sua nuova casa, l’ideale per una persona sola come un cane.
Sì, Gregory Lestrade lo tirava fuori dai guai con la polizia; ma le barriere che John aveva innalzato contro chi lo conosceva e le persone che in qualche modo avevano incrociato il suo cammino, erano così alte e massicce che alla fine si era ricreato la sua cuccia di solitudine.
L’inverno bussava gelido alle finestre, il sole era tornato a calare e le nuvole avevano trovato il loro consueto posto sotto il cielo di Londra, la città che lui tanto amava.

“Dio che mal di testa”.
Brontolava mentre si toglieva i vestiti, una doccia era ciò che sicuramente ci voleva per levarsi via la lordura di sangue rappreso sul volto, e merda di chissà quale entità dai vestiti.
“Sei un idiota John, un maledetto idiota”. Parlava da solo mentre infilava la roba in lavatrice noncurante di separare i capi, anche in questo era cambiato.

Almeno, il lavoro lo faceva rigare dritto, lo distraeva; quello lo faceva con la devozione degna della sua professione. John amava fare il dottore, curare la gente… salvare la gente. Era il suo modo di espiare colpe, se non tutte, almeno in parte. Motivo per cui si era fatto trasferire in Pronto Soccorso, lì c’era la vera battaglia, la battaglia che un dottore può affrontare.
Faceva straordinari e non sdegnava nemmeno i turni assurdi di ventiquattro ore filate, se avesse potuto, sarebbe rimasto in ospedale anche per dormire.

Tornare a casa? Quale casa? A fare cosa?

L’acqua gli scorreva addosso più ghiacciata che mai, e fanculo che fosse inverno e facesse freddo, nella gelida acqua lui dimenticava tutto. Spegneva i pensieri, anche quelli più persistenti.
Niente di niente.
La guerra, i feriti, la disperazione, la caduta…Sherlock…
Per qualche potere divino venivano accantonati per un solo istante e in quell’istante, la pace.


“Guarda in alto, sono sul tetto”.
“Oddio…”.
“Io non posso scendere quindi noi dovremo proseguire in questo modo”.
“Cosa succede?”.
“Ti devo delle scuse. È tutto vero”.
“Cosa?”.
“Tutto ciò che hanno detto su di me. Io ho inventato Moriarty.
“Perché dici così?”.
“Sono un impostore”.
“Oh Sherlock”.
“I giornalisti avevano ragione. Voglio che tu lo dica a Lestrade. Voglio che tu lo dica alla signora Hudson e a Molly. Devi dirlo a chiunque voglia ascoltarti: io ho creato Moriarty per scopi personali”.
“Ok smettila Sherlock. Ora basta, zitto. La prima volta che ti ho visto sapevi tutto di mia sorella giusto?”.
“Nessuno è tanto intelligente”.
“Tu si”
“… io ho fatto delle ricerche. Prima di incontrarti ho scoperto tutto il possibile per impressionarti era un trucco. Un semplice trucco.
“No, non… Dai smettila adesso”.
“No! Rimani esattamente dove sei. Non muoverti”.
“D’accordo”.
“Tieni gli occhi fissi su di me. Fallo, te lo chiedo per favore”.
“Fare cosa?”
“Questa chiamata è… è il mio biglietto. È così che le persone fanno, no? Lasciano un biglietto”
“Lasciano un biglietto? Quando?”
“Addio John”
“No, no, no! SHERLOCK!”.


“Noooooooooooooooo!”
Stesso incubo, stesso ricordo.
L’ennesima notte insonne era il risultato di un malsano tentativo di trovare un riposo tanto desiderato. Che amaro calice era diventata la sua vita!
Fradicio, completamente sudato, si strofinò la fronte col dorso della mano; respirò affannosamente come riprendendo fiato da una maratona che durava ormai da due anni; così allungando la mano verso la sveglia, poteva constatare senza stupore che erano le tre del mattino; cosa mai poteva fare se non contemplare il soffitto nel vano tentativo di abbandonarsi al sonno?

Assolutamente niente di niente.

O quasi.


***


Le strade di notte facevano paura.
Le strade di notte rappresentavano i vicoli del proprio inconscio, piene di mostri e angoli bui.
Le strade di Londra divennero sentieri melmosi e umidi, specialmente quando non fai altro che sguazzare nella merda.

E la pioggia, quella che un tempo gli faceva chiudere gli occhi e abbandonarsi al suono melodico che Madre Natura aveva racchiuso in essa e respirarne l’odore inebriante che solo il cielo di Londra conosce; ora le stesse gocce parevano la lordura di un cielo che rideva di lui e del suo dolore. Pece bollente e sudicia che lo marchiava di peccati che mai, nemmeno nei suoi pensieri più perversi, avrebbe osato pensare di commettere.

“Ehi bello! Di nuovo da queste parti, eh? Fa freddo, ti va di riscaldarmi?”.
“Non ho tempo per le smancerie”.
“Su amore. Non mi dai nemmeno un bacio?”.
“Vuoi guadagnarti i tuoi soldi?”
“Certo che sì bello”.
“Allora sai che fare”.

Amore.
Sesso.
Istinto gli si addiceva meglio. Una bestia sarebbe stata più cortese.
Buono, gentile e premuroso, lui lo era un tempo e forse lo era ancora.
Poteva un uomo avere due vite? Poteva veramente un uomo essere due entità?
Di giorno Jekyll, di notte Hyde e in preda ai suoi impulsi più bestiali, negli angoli più lugubri e lerci della città, nello squallore disumano, John Watson, o quello che restava di lui, consumava ciò che un tempo chiamava… amore.

“Hai finito presto bello. Che cosa c’è? Non sai trattenerti?”
“Vattene via puttana!”.

La strattonò, John, sì proprio lui, la tirò via fino a farla cadere a terra, le aveva messo le mani addosso. Lui che non avrebbe sfiorato una donna nemmeno con una piuma, lui che le rispettava come angeli sulla terra.

“Sparisci, non farti più vedere!”
“Sei pazzo schifoso. Sei solo un pazzo”.

La vide andare via spaventata, spaventata da lui.
Ed era rimasto solo, nel buio, nella pioggia; maschera perfetta per il vigliacco che nasconde le lacrime.


***


“Dottore faccia qualcosa, la prego salvi mia figlia” erano le urla di un padre.

Nella norma, tutto nella norma. Non era né la prima né l’ultima volta che si ritrovava tra le mani la vita di qualcuno. Che fosse un bambino, una donna, un anziano; per John non faceva alcuna differenza. Salvare; lui doveva prendersi quella vita, doveva strapparla alla morte. Era quasi un gioco, una partita a scacchi con l’Oscura Signora.

“Pressione settanta su quaranta”.
“Frequenza centocinquanta”.
“Il respiro sembra bilaterale, vene del collo nella norma nessuna compressione. È un’embolia polmonare. Flebo di streptochinasi. Portatela in sala operatoria, presto!”.

John dettava ordini, nervi saldi, nessuna emozione. Non quando era Jekyll.
Uscendo dalla sala operatoria non incontrava i famigliari, lasciava sempre quel compito a qualcun altro, specialmente quando li salvava. Non cercava meriti, o gratificazioni, voleva solo salvare vite.

“Mi scusi? Lei… lei è il dottor Watson?” si sentì chiamare.
“Si, sono io” voltandosi, John non ebbe il tempo di riconoscere la figura, che subito si trovò le braccia dell’uomo in una stretta debitrice.
“La ringrazio dottore, lei è un sant’uomo. Ha salvato mia figlia. Grazie, grazie, grazie”.
“Ho… ho fatto solo il mio dovere…” ne uscì un tono imbarazzato, che di certo fu trascurato dal padre che abbracciava il salvatore della propria figlia.
“Dio la benedica dottore. Dio la benedica!”.
John si distaccò con la massima discrezione e mantenne la sua integrità nonostante non si sentisse a suo agio in quell’abbraccio.
“Vada da sua figlia. Ha bisogno di lei” disse con cortesia e un accennato e forzato sorriso. Si voltò veloce come un fulmine e andò via quasi scappando.

Macabro, solitario, silenzioso, il connubio perfetto per un eremita; per tutti era un tipo strano, ad ogni modo poco importava se poi alla fine, salvava delle vite.

Dio.

Non ci aveva mai creduto. In verità, per un po’ lo ha fatto, finché non si è ritrovato pezzi di compagni tra le mani, carni dilaniate dalle bombe per una guerra di cui non capiva il senso; reduce di quelle esperienze brutali, John cominciò a non credere in Dio. A dimenticarsene.
Eppure la cappella dell’ospedale era il suo posto sicuro. E poiché non c’era mai nessuno, si concedeva il lusso di parlare ad alta voce.

Con sé? Con Dio?

Chissà. Lui parlava.

“Mi hanno detto ‘Dio ti benedica’. Mi benedici, Dio? Benedici una pecora nera? Un demone travestito da santo? Tu sai chi sono, tu sai che faccio. Merito misericordia? Oppure sono già a buon punto per il traguardo all’inferno? Io non salvo nessuno. Lo capisci? Credi io salvi vite perché sono buono? No, non è così, salvo vite perché le voglio sottrarre a te. Hai capito? Sottraggo vite a te.
La morte è solo una messaggera, non è a lei che è rivolta la mia collera ma a te. A te che ti prendi il meglio dalla vita, dagli uomini, da tutti noi. Mi hai sottratto l’unica persona che mi ha fatto ricominciare a vivere, mi hai sottratto l’unica persona che… che io abbia mai…”.

Una frase destinata a rimanere senza una conclusione.
Chi aveva ancora voce in capitolo erano le lacrime, loro sì che sapevano come parlare.


***


“Come va John?”.
“Bene”.

Entrambi bevvero un sorso di caffè, se non altro quell’azione giustificava il vuoto imbarazzante del silenzio tra loro.

“Sei stato gentile a unirti a me per un caffè durante la tua pausa”.
“E tu sei stata gentile ad avermelo offerto, Molly”.
Ancora un altro sorso, scandito da un’occhiata a qualcosa di estremamente inutile nella stanza ma diventato improvvisamente interessante.
“E tu invece?” continuò lui, smorzando il silenzio.
“Bene. Solite cose”.
“Ottimo” forzò un sorriso.

Il tempo sembra non passare mai quando si vive qualcosa di non piacevole, o in quel caso, imbarazzante.

“Ora, Molly, devo proprio andare, la mia pausa è finita” affermò guardando l’orologio.
“Oh sì. Certo, capisco”.
“È stato un piacere rivederti” disse alzandosi dalla sedia e facendo il primo lungo passo per andarsene via il più in fretta possibile.
“Ti manca vero?” tanto si era mosso velocemente, tanto si era bloccato.
“Di cosa stai parlando, Molly?”
“Sherlock. Ti manca”.
“Lui… io … insomma. Si, un po’ mi manca”.
“Anche a me”.
“Già”.
“Vuoi parlarne John?”.
“Di cosa dovrei parlare?”.
“Di lui”.
“Non capisco cosa dovrei dire”.
“Io... ecco. So che è stato difficile John, e so che tu più di tutti hai sofferto. Quindi se vuoi sfogarti o se…”.
“Sherlock sì è ucciso. È morto. Cosa vuoi che dica?”.
“Puoi dire quello che vuoi”.
“Quello che voglio? Voglio che non proviate compassione per me, voglio che mi lasciate in pace. Voglio dar fuoco ai miei ricordi e cancellarlo, dimenticare una volta per tutte l’immagine di lui che si lancia dal tetto. Voglio Dimenticare Sherlock Holmes!”.
“Oh John… mi dispiace tanto…”.
“No Molly. Non dispiacerti. In fin dei conti la morte di Sherlock mi ha ricordato una cosa importante: sono solo un morto che cammina”.

Andò via senza aggiungere altro.
Lei non meritava quell’astio, lei la dolce dottoressa innamorata di Sherlock non meritava quelle parole; non Molly.
Un altro passo velenoso lo aveva avvicinato all’inferno.


***


Non accendeva luci a casa; John preferiva crogiolarsi nella penombra e bazzicare nel poco bagliore di luce fioca che proveniva dai lampioni delle strade e filtrava dalle finestre.

Ci aveva provato a bere, non faceva per lui.
Alcol e droga? Nemmeno quello.

Una consuetudine era accendere il pc e fissare la pagina vuota del proprio blog che bramava di essere scritta, ma come la ripetizione di un evento ciclico, la pagina rimaneva irrimediabilmente bianca.
Sapeva scrivere bene, altroché se sapeva farlo.

Raccontare attraverso le parole era una specie di dono, un dono morto insieme a Sherlock.
“A chi vuoi prendere per il culo?” si disse continuando a fissare la luce bianca. “Non hai scritto per due anni e non scriverai stasera”.
Mise la mano sul portatile e buttò giù lo schermo.


“Chissà John. Magari stasera è la volta buona”.


John Watson balzò dalla sedia, in una foga di movimenti sconnessi, riuscì solo ad alzarsi ed indietreggiare, dire che aveva visto un fantasma sarebbe stato un eufemismo.

Quella voce. Quel tono. Quell’ironia.

Lui.

Poteva essere solo lui.

“Sh…she… Sherlock?!”.



 
CONTINUA…

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: elenatmnt