Capitolo settimo
There ain't nothing you can say
To scare me away
I got history too
And it's never to late
Share a secret today
I reciprocate
Baby I got you
So hurt with me
I'll hurt with you
Baby you know we can hurt together
I've been where you've been
I've seen what you've seen
So hurt with me
We can hurt together!
(“We can hurt together” – Sia)
Fortunatamente le
donne e i bambini della famiglia Medici erano al sicuro a Pistoia, perché a
Firenze, al contrario, le cose andavano sempre peggio. Lorenzo, alla fine,
aveva preso una decisione piuttosto drastica e ne stava parlando con Giuliano.
“Che significa che
vuoi che lasciamo il Consiglio dei Priori?” esclamò il fratello, sconcertato.
“È l’unica cosa che
possiamo fare” replicò Lorenzo, “ma vorrei che tu lo comprendessi e che fossi
d’accordo con me, non voglio costringerti a ritirarti solo perché lo farò io.”
Giuliano lo fissò,
poco convinto. Sì, Lorenzo stava chiedendo il suo parere, ma in realtà aveva
già deciso… e quelle che stava dicendo non sembravano parole sue, era come se
stesse ripetendo qualcosa che qualcun altro gli aveva detto per convincere
anche se stesso.
“Lorenzo, io non ho
problemi a ritirarmi dal Consiglio dei Priori” rispose Giuliano. “In fondo ne
sono entrato a far parte solo da pochi mesi e, comunque, spesso vado a Genova
da Simonetta e non partecipo alle riunioni. Quello che mi preoccupa è che
questa non mi sembra davvero una tua decisione. Mi sbaglio, per caso?”
Lorenzo apparve molto
a disagio: come sempre il fratello gli leggeva dentro e a lui non poteva
nascondere niente.
“Hai ragione, è stato
Bernardi a suggerirmi questa scelta, ma sono stato io a decidere” replicò. “La
maggioranza dei Priori ha votato contro la nostra famiglia e le nostre
proposte, lo hai visto anche tu: hanno scelto Ardinghelli, che sia lui a
guidarli, allora! Vedremo se saprà trovare soluzioni migliori di ciò che
proponevamo noi.”
Giuliano scrollò il
capo, ancora meno convinto. Da una parte pensava che Lorenzo avesse ragione e
che i Priori meritassero di farsi guidare da un ottuso come Ardinghelli che
pensava soltanto ai propri profitti; dall’altra, però, era ancora più
preoccupato perché quel Bruno Bernardi non gli piaceva, non gli era piaciuto
dalla prima volta in cui era entrato nella loro casa al servizio di Lorenzo
quale nuovo contabile. Inizialmente aveva pensato che il suo rifiuto nascesse
dal fatto che Bernardi veniva a prendere il posto del povero Francesco Nori,
morto durante la congiura per difendere Lorenzo, e che lui non fosse pronto a
vedere un altro nel ruolo che Nori aveva svolto tanto bene per tanti anni… poi,
però, aveva capito che era proprio Bernardi a non piacergli. Era falso,
subdolo, fingeva un’umiltà e una remissività che di certo non possedeva e
quegli occhi da pazzo fanatico nascondevano chissà quali idee folli.
Insomma, Bernardi gli
era addirittura più antipatico di Jacopo, almeno quello aveva sempre
manifestato apertamente la sua ostilità per la famiglia Medici, invece questo
patibolare individuo chissà che cosa aveva in mente?
Ad ogni modo,
Giuliano non poteva fare altro che restare al fianco di Lorenzo e seguirlo
nella sua idea. Se si fosse rifiutato, il fratello avrebbe potuto allontanarsi
e a quel punto Bernardi avrebbe avuto ancora più influenza su di lui.
“Come ti ho detto, io
non ho problemi a lasciare il Consiglio dei Priori” disse dunque il giovane
Medici. “Del resto, entro pochi giorni tutti i Priori torneranno in ginocchio a
supplicarci di ritornare sui nostri passi, sono pronto a scommetterci:
Ardinghelli è un incapace e mi farò delle belle risate quando lo vedrò col suo
naso a becco e l’umiliazione dipinta in viso chiedere perdono e implorare il
nostro ritorno!”
“È appunto questo che
voglio” ammise Lorenzo. “A quel punto, pur di farci rientrare nel Consiglio, i
Priori accetteranno senza discutere tutte le nostre proposte.”
I due fratelli si
accordarono per annunciare il loro ritiro nella riunione del giorno successivo
e, per il momento, la cosa finì lì. Il vero problema era che Lorenzo e Giuliano
si erano messi d’accordo su questo punto, ma non ne avevano fatto parola con
altri…
Il giorno seguente al
palazzo dei Priori erano tutti presenti: la famiglia Pazzi era intervenuta al
completo e c’erano sia Nicomaco e Pirro sia Antonio, finalmente ristabilitosi
dalla sua malattia. Poveretto, non sapeva cosa l’aspettava!
Lorenzo si alzò in
piedi per prendere la parola dopo aver scambiato uno sguardo d’intesa con
Giuliano.
“Messeri, è stato un
grande onore per me e mio fratello servire come membri dei Priori, come già
nostro padre e suo padre prima di lui” esordì, prendendola alla lontana. “In
tutto questo periodo, nonostante le nostre divergenze, abbiamo sempre avuto un
intento comune: servire Firenze come meglio potevamo. Tuttavia è ormai chiaro
che il pensiero della famiglia Medici non è più in accordo con quello di questa
maggioranza su quale sia il modo giusto di servire Firenze.”
Nel salone calò un
silenzio agghiacciante. Nessuno, a parte Giuliano, sapeva dove sarebbe andato a
parare Lorenzo e questo faceva serpeggiare una certa ansia tra i presenti.
Jacopo appariva
visibilmente innervosito come accadeva ai bei
vecchi tempi quando si scagliava regolarmente contro ogni proposta di
Lorenzo; Nicomaco pareva trasformato in una statua di sale; Pirro e Antonio si
guardavano sconcertati; perfino Ardinghelli sembrava a disagio e il
Gonfaloniere Petrucci aveva l’aria di uno che si sarebbe voluto trovare in
qualsiasi altro posto fuorché lì.
“Alla luce di tutto
ciò, con grande tristezza, io e mio fratello Giuliano annunciamo il nostro
ritiro” concluse Lorenzo, e a quel punto successe di tutto. Anche Giuliano si
alzò in piedi e, annuendo, si avvicinò al fratello: entrambi tenevano la toga
rossa da Priore in mano e andarono a consegnarla al Gonfaloniere per rendere
effettivo il loro ritiro. Sì, un po’ come quando un poliziotto consegna
tesserino e distintivo, era anche un effetto
scenico!
Nel salone del
Palazzo dei Priori esplose il caos. Chi protestava, chi si alzava in piedi, chi
applaudiva, chi addirittura imprecava… Antonio e Pirro erano rimasti attoniti,
ma anche Tommaso Peruzzi e Messer Nicomaco, che facevano appunto parte dei
Priori, parevano completamente sconvolti per la decisione di Lorenzo e
Giuliano.
I due fratelli
Medici, senza dire altro, passarono davanti ai loro ex-compagni per uscire dal
Palazzo.
Erano appena usciti
quando anche Jacopo Pazzi si alzò in piedi, il suo sguardo che saettava gelido
per tutto il salone. Non disse una parola ai nipoti né a nessun altro e,
chiaramente infuriato, lasciò il proprio posto e si incamminò a lunghi passi
verso l’uscita, non si sa se per inseguire i Medici o per quale altra ragione.
Antonio ebbe
un’orribile sensazione di déjà vu:
non era andata allo stesso modo il giorno in cui, ormai cinque anni prima, lui
era stato al suo primo Consiglio dei Priori e Jacopo era uscito inferocito dal
salone dopo che Francesco gli aveva votato contro? Cosa stava succedendo?
Perché le cose tornavano a mettersi tanto male?
“Messer Pazzi,
aspettatemi!” esclamò il giovane Orsini, correndogli dietro preoccupato. Dal
canto suo, Pirro non sapeva bene cosa fare: seguire Antonio oppure raggiungere
il suo padrone Nicomaco che, in mezzo agli altri Priori, sembrava potesse avere
un collasso nervoso da un momento all’altro? Decise in fretta che sarebbe prima
andato a prendere il suo padrone e poi, insieme a lui, avrebbero cercato di
raggiungere Antonio Orsini prima che potesse commettere qualche sciocchezza,
perché era chiaro che il ragazzo era del tutto fuori di sé! E infatti Antonio era
in preda all’ansia mentre inseguiva Jacopo fuori dal Palazzo dei Priori. I
pensieri più spaventosi gli attraversavano la mente: e se avesse deciso di
raggiungere Lorenzo e Giuliano e far loro del male? Era chiaro che l’exploit di Lorenzo alla riunione che si
era appena conclusa lo aveva fatto infuriare e sarebbe potuto succedere di
tutto… li avrebbe potuti picchiare o sfidare a duello? Ma no, non doveva
pensare cose tanto orrende di Messer Pazzi! Lui non era più l’uomo di allora,
era pentito e non avrebbe più fatto del male a nessuno, tanto meno ai Medici, Messer Pazzi era una brava persona, un cavaliere d’altri tempi come il suo
antenato Pazzino de’ Pazzi.
Sì, comunque, ad ogni
buon conto, Antonio correva per raggiungerlo il prima possibile e aveva il
cuore in gola.
Appena giunse nella
piazza antistante il Palazzo dei Priori, il giovane Orsini trovò che vi regnava
il delirio. Qualche genio aveva avuto la bella idea di uscire sul portone e
annunciare a chiunque passasse che i fratelli Medici si erano appena ritirati
dal Consiglio dei Priori (chissà perché aveva ritenuto necessario scatenare il
panico tra la folla?) e la gente era praticamente impazzita.
“Perché, Messer
Lorenzo, perché?”
“Vi prego,
ripensateci!”
“Senza i Medici sarà
la catastrofe!”
Perché, grazie a Dio,
gli allarmisti e i complottisti ci sono sempre stati e sempre ci saranno.
Insomma, queste
erano, più o meno, le esclamazioni di una folla sbigottita e caotica, pronta a
supplicare Lorenzo e Giuliano di ripensarci, magari di ritornare dal
Gonfaloniere e di dirgli che era stato tutto uno scherzo, tanto per
movimentargli un po’ la giornata!
Jacopo, però, non era
con Lorenzo e Giuliano, anzi, si stava dirigendo verso la parte opposta della
piazza, per raggiungere la carrozza che aveva accompagnato fin lì lui e
Antonio. Era chiaro che voleva solo tornarsene a casa al più presto, ma… era
possibile che si fosse dimenticato di
Antonio?
Il giovane era
allibito.
“Messer Pazzi,
aspettatemi!” esclamò.
Jacopo, sentendo la
sua voce, si voltò verso di lui e fu come se si fosse appena risvegliato da uno
stato ipnotico. Sì, a quanto pareva era rimasto talmente scioccato dalle parole
di Lorenzo al Consiglio dei Priori che aveva addirittura finito per
dimenticarsi di Antonio! Si fermò e lasciò che il ragazzo lo raggiungesse prima
di salire in carrozza con lui senza una parola.
Nicomaco e Pirro
uscirono dal Palazzo dei Priori appena in tempo per vedere quest’ultima,
edificante scena: Jacopo che prima pareva aver dimenticato l’esistenza di Antonio
e poi, come per un ripensamento, lo aveva fatto salire con sé in carrozza. Nel
frattempo ovunque era il delirio e lo stesso Tommaso cercava di parlare con
Lorenzo e Giuliano, chiaramente per convincerli a cambiare idea, ma i due
fratelli non sembravano intenzionati ad ascoltarlo.
“Padrone, che volete
fare? Qui la situazione non è sicura, la gente sta impazzendo e sarebbe meglio
andarsene” suggerì Pirro, “a meno che non abbiate anche voi qualcosa da dire ai
Medici per fargli cambiare idea.”
“Ma no, figuriamoci
se stanno ad ascoltare me, non ho certo tutta quest’importanza tra le famiglie
di Firenze” replicò Nicomaco che, ad ogni buon conto, si guardava attorno
preoccupato. C’era talmente tanta confusione e le persone erano così esaltate
che, magari, qualcuno poteva pure riconoscerlo e rimettere in piazza tutta la
storia di Clizia e della punizione che aveva ricevuto dal fattore Eustachio. No
no, la cosa migliore era andarsene da lì il prima possibile. “Hai ragione tu,
in piazza presto ci saranno dei tumulti ed è meglio prendere la carrozza e
tornare alla villa.”
E così Nicomaco,
tenendosi il più scostato possibile dalla folla, si avviò verso la sua carrozza
che lo attendeva ad un angolo della piazza, seguito da Pirro che continuava a
guardarsi intorno con una certa curiosità.
“Beh, magari se
qualcuno impazzirà sul serio e comincerà a menar botte sarà uno spettacolo
divertente” commentò il ragazzo, ma Nicomaco, ormai giunto alla carrozza, lo
afferrò per un braccio ed entrò dentro assieme a lui, al sicuro da tutto e da
tutti!
E in quel momento,
mentre la carrozza li portava alla villa e Pirro cercava di guardare fuori dal
finestrino nel caso qualcuno avesse veramente dato di matto, Nicomaco capì
quanto tenesse a quel ragazzo e quanto, per lui, fosse importante e molto più
prezioso di un qualsiasi servitore. Gli prese la mano per attirare la sua
attenzione e Pirro lo guardò con quella sua aria allo stesso tempo buffa e
insolente che gli era sempre piaciuta tanto.
“Padrone, che avete,
siete impazzito pure voi?” chiese scherzando il ragazzo, ma Nicomaco non aveva
nessuna intenzione di scherzare.
“Me l’hanno detto in
tanti che ero impazzito quando mi sono preso quell’ossessione per Clizia, ma tu
sei stato l’unico a non giudicarmi, l’unico che mi è rimasto al fianco e che ha
cercato di aiutarmi, anche se alla fine stavi per rimetterci anche tu” gli
disse, guardandolo fisso negli occhi. Era da tanto che voleva fargli quel
discorso e lo aveva sempre rimandato ma, dopo quello che aveva visto quel
giorno a Firenze, dopo l’alzata d’ingegno dei Medici che avevano lasciato i
Priori e il caos in cui avevano gettato la città, Nicomaco non voleva più
sprecare tempo. “So che ti avevo promesso soldi e protezione, ma so anche che
mia moglie Sofronia ti aveva offerto ancora di più per tradirmi e tu le hai
risposto picche. Tu sei stato l’unico a non ridere di me e a rischiare in prima
persona per aiutarmi nella mia attrazione morbosa ed è per questo che ho voluto
portarti via con me quando ho lasciato tutto il resto.”
Pirro non capiva bene
dove Nicomaco volesse andare a parare e ancora meno capiva perché gli dicesse
cose del genere proprio ora, quando i problemi erano ben altri.
“Padrone, queste cose
le so già e essere fedele a voi è stata sempre una mia scelta, non c’è bisogno che
mi ringraziate e poi lo sapete che non son fatto per le smancerie!” ribatté
quindi, cercando di sdrammatizzare.
“Lo so, ma adesso la
città è in grave pericolo e io potrei non avere altre occasioni per dirti…
tutto quello che provo per te” buttò fuori l’uomo, stringendo a sé il
servitore. “Io ti ho portato con me perché ti volevo vicino, perché mi sono
reso conto che con te mi sento bene, che sono felice e sereno come non mi era
mai capitato prima. Non è la follia che mi aveva colto per Clizia, credimi, capisco
bene la differenza: quella era solo un’attrazione morbosa, un desiderio che mi
bruciava il sangue, ma quando sto con te è diverso, è come se… è come se fossi
davvero me stesso, al posto giusto. Non è che non ti desideri, Pirro, ma il
desiderio non è la cosa più importante, quello che conta è averti accanto,
perché solo con te mi sento davvero completo e in pace. Io ti amo, ti amo
davvero, Pirro, e oggi ho cominciato a pensare che potrei non avere altre
occasioni per dirtelo e per godere quello che possiamo ancora insieme. Firenze
ha i nemici alle porte…”
Pirro era ancora più
sbalordito, ma non sapeva se fosse per le parole del padrone, per come lo
stringeva o… per come reagiva lui stesso, che sembrava accogliere e accettare
tutto quasi con gioia!
“Non pretendo niente
che tu non voglia, Pirro, proprio perché ti amo e quindi non voglio farti del
male” riprese Nicomaco, sempre abbracciando il ragazzo. “So che nessuno si è
mai occupato di te, che ti sei dovuto sempre arrangiare, ma ora ci sono io, io
mi prenderò cura di te, ti proteggerò, sarò felice di fare tutto quello che
posso per vederti contento e per farti innamorare di me.”
Dette queste parole, Nicomaco baciò Pirro, prima delicatamente poi sempre più
profondamente, stringendolo a sé, felice di godersi il sapore e il tepore di
lui, soddisfatto perché il suo amato non aveva respinto il suo bacio ma, quasi
istintivamente, vi si era abbandonato e lo aveva assecondato docilmente.
Eh sì, quella giornata era iniziata proprio
strana e stava proseguendo in modo anche più bizzarro per tutti i nostri
protagonisti!
Fine capitolo settimo