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Autore: BellaLuna    29/01/2023    3 recensioni
Allydia Friendship | Accenni Stydia
Dal testo: "Sto provando a scrivere la nostra storia come posso, Allison.
Spero che basterà. Spero che, in qualche modo misterioso, possa arrivare a te. Ovunque tu sia.
Per sempre tua.
Con affetto,
Lydia"

[Questa storia partecipa alla To Be Writing Challenge 2023 indetta sul Forum della Penna.]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allison Argent, Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sto provando a scrivere la nostra storia come posso, Allison.
Spero che basterà. Spero che, in qualche modo misterioso, possa arrivare a te. Ovunque tu sia.
Per sempre tua.
Con affetto,
Lydia
 



Volevo solo dirti che...
 
 
§
 

Comincia con una giacca a vento nel corridoio della scuola.
Io ti noto girata di spalle, quasi piegata su te stessa, mentre cerchi di capire la rotazione delle classi e delle lezioni del giorno, per riporre i giusti libri nel tuo nuovo armadietto.
A guardarti, mi dai l’impressione di volerti fare piccolapiccola. Quasi invisibile.
Perché? mi chiedo.
Sei così bella, longilinea.
Le ragazze alte e belle come te di solito non si nascondono. Di solito prendono la ribalta. Vogliono un palco in cui brillare.
Tu no.
Eppure sei tu oggi la stella della scuola, la ragazza nuova di cui tutti parlano.
Di bocca in bocca la tua storia è già cambiata mille volte.
 
Losangelina?
Macché, hai visto com’è pallida?
Newyorkese!
Figlia minore!
Mmmh, no.
Unica?
Sportiva, sicuro!
Una ballerina, forse?
Guarda che gambe secche che ha...
 
Quel primo giorno, a spingermi verso di te è una forza d’attrazione che non mi spiego, e che – a ripensarci ora che so quello che so – poco sembra avere a che fare con la curiosità o con il desiderio di essere la prima, nella Beacon Hills High School, a svelare il tuo mistero.
(Probabilmente, era la Banshee dentro di me ad aver sentito il tuo richiamo, ad aver iniziato a cantare il tuo nome nel mio orecchio. Se si è trattato solo di un caso, Allison, mi spiace. Non avrei dovuto.)
“Bella giacca, dove l’hai presa?” ti chiedo, giusto per attaccare bottone.
Tu guardi la diretta interessata – verde, vintage, conoscendoti – e poi scrolli le spalle, a disagio.
“A San Francisco, mia madre lavorava in un negozio di abbigliamento...” dici.
“Oh, bene! Allora, tu sei la mia nuova migliore amica!”
È iniziato tutto così: io tu noi loro.
Una battuta stupida durante un intervallo. Jackson che mi afferra da dietro, tu che corrughi le sopracciglia notando il modo fin troppo possessivo con cui le sue mani mi stanno stringendo.
Mi guardi (va tutto bene?), ma sai anche che lui può vederti, può riconoscere il disagio che piega le tue labbra.
E allora io sorrido, e tu sorridi.
Sveglia.
Ti lascio un piccolo spiraglio aperto di me dalla quale puoi entrare.
Dolce, così innocente.
Sei perfetta.
Hai bisogno di una come me, mi dico, e a lezione di algebra ti faccio segno di occupare il banco alla mia sinistra.
“Ma c’era già seduto qualcuno?” mi chiedi.
“Sì, e allora?”
Hai proprio bisogno di me, penso.
Che ti insegni come camminare a testa alta in un posto come questo, a prenderti le cose che vuoi senza chiedere il permesso, come faccio io, mi dico.
Per questo, e per nessun’altra ragione al mondo, quel primo giorno di tanto tempo fa, ti lascio essere mia amica.

(“Com’era lei?” mi chiederà un giorno Malia, dopo che Scott avrà scritto le tue iniziali sulla superficie immacolata dello scaffale di una libreria.
“Stiles e Scott non ne parlano mai.” aggiungerà, di fronte al mio silenzio pregno di sgomento.
È l’ultimo anno di liceo e tu non ci sei e nessuno sa ancora pronunciare ad alta voce il tuo nome.
“Era unica.” dirò io, perché so che Malia non è tipa da demordere, e perché non voglio che, oltre Stiles, lei mi rubi anche te, perciò le concedo giusto questo pezzetto.
 È un pensiero cattivo, sciocco, ma è la nostra storia, Allie, lasciamela raccontare così.
Le dirò: “Lei aveva una luce che attirava a sé le persone, specialmente quelle che credevano di stare molto meglio nascoste nell’ombra.”
“E tu stavi nascosta nell’ombra?”
A quella domanda, non risponderò.)
 
Adesso guardo il telefono. Rileggo i nostri messaggi.
Vado a ritroso. Ottobre. Novembre, 2011.
In quei primi mesi di conoscenza, i nostri scambi comunicativi seguono tutti lo stesso schema.
Io che, dall’alto della mia esperienza di vita, ti chiedo: “Perché proprio Scott McCall?”
E tu che inizi a mandare baci e cuoricini e faccette innamorate.
Patetico, penso.
“È speciale” rispondi.
“Potresti avere di meglio” provo a convincerti io.
“Tipo?” incalzi tu, “Qualcuno come Jackson?” il tuo tono sarcastico spacca il mio schermo, si conficca dritto dentro il mio cuore.
(Sei sempre stata brava a prendere la mira e fare centro, Allie. Hai sempre saputo dove guardare per non perdere mai di vista il bersaglio. Touché.)
“No” vorrei scriverti io.
Jackson va bene per le ragazze come me, a cui piacciono le macchine sportive, gli addominali scolpiti – a cui piace fare le reginette a scuola e poi supplicare a letto, senza vergogna.
Jackson va bene per le ragazze come me che non sanno come amare e non farsi male.
Durante quelle prime conversazioni virtuali, non te lo dico.
Ti scrivo: “Esatto! Vedi? Stai iniziando a imparare, finalmente!”
“Ero ironica.” ribatti subito tu. “Jackson è uno stronzo, Lydia!!!” tanti punti esclamativi come a voler rimarcare l’ovvio.
Io non ti dico di no. E non ti dico nemmeno di sì.
Ti mando un’emoticon che sorride e che fa l’occhiolino.
Ti scrivo: “Però scopa da Dio. Ah-ah.”
Rido.
Mi nascondo dietro battute e finta spavalderia.
Niente di ciò è vero, comunque.
 
(Circa sei mesi dopo, dentro la tua macchina, parcheggiate davanti casa mia, proverai con le lacrime agli occhi a spiegarmi cos’è l’amore: il battito accelerato, il fiato spezzato in gola, l’attesa ripagata.
“Te la ricordi quella sensazione, Lyds?”
“No.”
“Come sarebbe no... Tu hai avuto dei ragazzi...”
“Non erano così...”
Scuoti la testa, provi ad abbozzare un sorriso – piccola, buona, Allison Argent, che cerca sempre di avere una parola di conforto per tutti, persino per quelli come me e prima che io possa volar fuori dalla tua auto, mi afferri le mani.
Mi guardi per bene, al di là del trucco, al di là delle battutine e della faccia spavalda.
Al di là della bella maschera che indosso.
Come ci riuscivi, Allison?
A leggermi come un libro aperto senza che io ti avessi mai fornito alcuna chiave di lettura?
“Voglio proprio esserci, allora! E voglio proprio che tu venga subito da me a dirmelo, quando ti succederà per la prima volta! Perché è bellissimo, Lyds! Bellissimo! Amare ed essere amati da qualcuno è una cosa bella... non... spaventosa, ok?”
Non dico ok.
Non dico niente.
Esco. Corro via. Da Jackson. Che non mi ama nel modo giusto. Ma mi ama. Io lo so.
È l’unico tipo di amore che conosco. Amare e fare male. Questo so.
Tu ti sei sempre fidata troppo di me, Allison.
Hai sempre creduto che potessi cambiare, essere una persona migliore.
Non ero una brava persona.
Tu, sì. Tu lo eri.
L’unica vera eroina della nostra storia.
L’unica vera eroina in una storia di soli mostri.)
 
Dopo quei messaggi, seguono omicidi, sequestri a scuola, e incontri ravvicinati con quello che, solo dopo, io e te scopriremo essere un’Alfa alla ricerca di un branco.
Durante quelle lunghe settimane deliranti, succede un po' di tutto: Jackson prova a manipolarti, di conseguenza io provo a manipolare Scott, di conseguenza tu soffri e io non so nemmeno come chiederti scusa.
(Scusami adesso, se puoi, Allison.)
Poi, a pochi giorni dal ballo d’inverno della scuola, il mio presunto ragazzo perfetto decide di scaricarmi.
Mi dice: “Voglio liberarmi dei pesi morti della mia vita, inclusa te. Oh, Lydia, che c’è? Non dirmi che ti stavi affezionando!”
A lezione di francese tu noti la mia faccia cerea, mi chiedi: “Che succede?”
Una volta a casa tua, ti racconto una versione meno umiliante della rottura.
“Jackson vuole una pausa” ti dico, seduta sul tuo letto, tu a gambe incrociate davanti a me.
“Perché?” chiedi.
Io faccio spallucce, come se non me ne importasse nulla.
E allora, tu ti tuffi su di me.
Dici: “Lydia, mi spiace tanto!”
Dinanzi al mio mutismo, questa volta sei tu ad aggiungere: “Lui non ti merita!”
“Lo so!” ti rispondo, e so che tu non mi credi, so che tu hai letto la mia verità tutta scritta sulle crepe della mia faccia, anche se non so come fai.
“Jackson è un idiota.” aggiungo, per nascondermi meglio, ma tu sospiri, mi prendi la mano, ci alziamo dal tuo letto.
“Usciamo!” dici. “Facciamo qualcosa di bello insieme!”
Mi stai attaccata come una zecca in quei giorni.
E io fingo di trovarlo fastidioso, ma tu sai che non è così.
Sai che apprezzo la tua amicizia anche quando, come punizione per i miei casini (“So che hai baciato il mio ex per far ingelosire il tuo, Lyds!”) tu mi trascini in giro per la foresta con un serial killer ancora in libertà, e lì inizi a parlarmi della tua famiglia, che è sempre più strana, dici.
Io sulla mia mi sbottono poco, genitori assenti, sai… liquido tutto così.
Però mia madre è una grande, aggiungo. E tu sorridi, e dopo le nostre passeggiate andiamo insieme a riempirci la pancia di Milkshake alla fragola.
Poi, arriva il ballo.
Tu mi porti al centro commerciale: devi aiutarmi a scegliere il vestito, Lyds! E devi ancora farti perdonare! Ho già in mente qualcosa, vedrai che ti piacerà!, dici, misericordiosa ed entusiasta, con le guance rosse e gli occhi scintillanti di sogni.
Dolce, innocente.
Sei perfetta.
“Sorridi, Lydia. Ricordi? Qualcuno potrebbe innamorarti del tuo sorriso...” hai già imparato come fare a rifilarmi le mie stesse battutacce.
“Qualcuno chi?” ti chiedo, seccata che tu e Jackson vi siate messi in combutta per rovinare i miei piani per il ballo –  Volevo liberarmi dei pesi morti, inclusa te. Cos’è, Lyds? Avevi iniziato ad affezionarti, forse?
Dalla cima delle scale mobili, tu mi indichi qualcuno con il mento.
Stiles.
(Oh, Stiles... Lo sapevi già da allora, Allison? O avevi solo provato a indovinare?)
In quel periodo, lo trovavo esasperante.
Stiles Stilinski che mi salutava ogni mattina, arrossendo, anche se io non lo degnavo di uno sguardo.
Stiles Stilinski che parlava troppo.
Stiles Stilinski che giocava male a Lacrosse.
Stiles Stilinski che dispensava sorrisi e gentilezze come fossero niente.
Stiles Stilinski che, anche se dava l’impressione di non essere mai attento in classe, aveva la media più alta, dopo la mia.
Patetico, pensavo.
Ecco un altro caduto sotto l’incantesimo delle belle gambe, dei bei capelli, delle belle tette di Lydia Martin.
Ecco un altro che crede di essere il protagonista di chissà quale ridicola commedia romantica.
Stiles Stilinski che, la notte del ballo d’inverno, mi dice: “Penso che tu sia bellissima.”
E poi: “Lydia, sono pazzo di te dalle elementari!”
E poi: “E penso di essere l’unico a sapere quanto tu sia incredibilmente intelligente! E quando smetterai di fingerti un’oca, probabilmente scriverai un geniale teorema matematico e vincerai il premio Nobel!”
Stiles Stilinski.
 
(Lo sapevi già allora, Allison?
Che il filo che collegava me a te, te a Scott, Scott a Stiles, Stiles a me e così via, era rosso come quello di un caso irrisolto?
Lo sapevi già? O hai dimenticato a prendere la mira, quella volta?
Non è possibile, vero?)
 
Il bosco.
Un ragazzo nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Il ballo.
Una ragazza sbagliata che aspetta il ragazzo sbagliato, che ama il ragazzo sbagliato e lo sa. Eppure – stupida, piccola, Lydia – non sa che farci.
 
*

Adesso, oggi, io da sola, controllo i messaggi che ci siamo scambiate dopo il ballo e il mio primo, indimenticabile soggiorno di due settimane in ospedale.
“Sono felice che domani torni a scuola!” scrivi tu, baci e cuori e gif di abbracci.
“Anch’io...” rispondo, provando maldestramente a imitare il tuo entusiasmo con qualche faccina sorridente.
Nemmeno dieci secondi dopo, tu scrivi: “Ti passo a prendere io! Ti porto quei Cupcakes al cioccolato che ti piacciono tanto!”
Ti mando un cuore.
Sgrano gli occhi.
Io i cuori non li mando mai.
Patetico, penso.
Mi mangio la pellicina del pollice.
Dovrei cancellarlo, forse?
Passano dieci secondi. Poi venti, poi trenta.
Trentaquattro, e tu mi mandi un altro cuore – viola, il mio colore preferito – e aggiungi: “Prego.” Un bacino.
Nei miei ricordi, io sorrido.
E poi penso: mi sto affezionando troppo.
E poi penso a Jackson – Devo liberarmi dei pesi morti come te. Cos’è, Lyds, ti stavi affezionando, forse?
E poi penso a mio padre – genitori assenti, però mia madre è una grande, sai?
E poi penso: Mi sto affezionando troppo. Non va bene.
E purtroppo, di nuovo, non so che farci.
 
*

Quando torno a scuola, sono la pazza che è scappata dall’ospedale correndo nuda per i boschi.
Gli occhi di tutti sono su di me.
Tu mi prendi a braccetto, mi guardi e sorridi – mascheri tensione e apprensione così bene, da ingannare quasi persino me.
Io: la ragazza che non sa dire grazie, che non sa dire scusa, che non sa come chiedere aiuto.
Tu: che mi leggi ognuna di quelle cose sul viso e ancora oggi non so nemmeno come fai – facevi, scusa, a volta mi dimentico.
M stringi il braccio. Mi dici: “Coraggio! Ti guardano solo perché hanno notato i chili che hai perso dopo quella corsa nel bosco, ricordi?”
Io alzo il mento.  Cammino sui miei tacchi alti. Ancheggio. Sorrido.
Questa scuola è ancora il fottuto regno di Lydia Martin, dopotutto.
 
*

Ricordo che i primi giorni va abbastanza bene. Riesco quasi – quasi, che parola ridicola – a sentirmi di nuovo me stessa.
Fino a quando Jackson non mi sbatte contro il muro, io che ero solo venuta a fare pace, e lui invece mi dice: “Tu e qualsiasi... sostanza letale... scorra dentro di te, mi avete rovinato! Tu hai rovinato tutto!”
Quel giorno, piango come una stupida chiusa in bagno.
Non amo farmi vedere così.
Vulnerabile.
Debole.
In quei giorni, mentre tu e Scott inseguivate Derek e i suoi nuovi adepti, sarà Stiles a scoprirmi. Mi vede piangere da sola in macchina. Io gli chiudo il finestrino in faccia. Lui non se ne va.
“Non voglio che qualcuno mi veda piangere!” gli urlo contro, e lui dice: “Non ti dovrebbe importare!”
“Perché?”
“Perché penso che tu sia bellissima quando piangi.”
Stiles se ne accorge per primo che qualcosa in me non va, che sono diversa (ovviamente, diresti tu, ridendo compiaciuta, provando poi a far ridere anche me), ma sei tu la prima a cui confesso ogni mio più piccolo, sporco segreto.
Dopo che finalmente inizio a mettere insieme i tasselli del puzzle della verità: i lupi mannari, Peter, i cacciatori, il Kanima.
E poi anche dopo.
Quando tu e Scott vi lasciate. Quando Jackson parte e se ne va – dopo che io gli avevo detto di amarlo ancora, nonostante tutto.
Patetica, penso.
Ma tutto inizia da prima.
Tutto inizia il giorno del funerale di tua madre.
Mi aiuto di nuovo a ricomporre il quadro della memoria cercando tra i nostri messaggi.
Eccoli: tu che mi chiedi, quasi timida, “Puoi venire?”
Io che ti rispondo: “Sono già qui. Aprimi.”
Quel giorno, sotto la pioggia, ti ho tenuto per tutto il tempo la mano.
Tu non piangevi già più. Ma tremavi forte, scossa dalla rabbia e dall’odio che avevano iniziato a prosciugarti le lacrime, per aprire solo aridi crateri dentro di te.
Forse i primi, purtroppo non gli ultimi.
Quando la cerimonia è finita, e tutti sono andati via, tu mi hai stretto le dita ancora più forte.
Mi hai bisbigliato piano: “Ti prego, non andartene.”
Sono rimasta.
Abbiamo dormito insieme quella sera, e poi quella dopo ancora, abbracciate l’una all’altra come due sorelle, come due bambine.
Entrambe spezzate, entrambe sole. Entrambe convinte che saremmo potute cadere a pezzi, se solo avessimo lasciato quella presa.
“Meno male che ci sei tu con me, Lydia.” dicevi.
Avrei voluto almeno stringerti la mano un’ultima volta, prima di lasciarti andare.
Prima di dirti addio.
E invece, come pensavo, sono solo crollata, e la Banshee, – questo non-mostro, questa creatura di morte che abita dentro di me e che sono io, sono io anche se non voglio, anche se non lo dico – ha solo potuto urlare il tuo nome al vento.
 
*

Ma a questo – alla Banshee, a te che muori e te ne vai – ci arriveremo dopo.
Torniamo un po' indietro.
Estate 2012.
L’estate del 2012 è solo nostra.
È l’estate del riproviamo a fare finta di essere adolescenti normali.
Funziona? Assolutamente no.
Ma è quell’estate che tutti i muri – tutte le bugie – fra di noi alla fine crollano.
Adesso, Lydia Martin non è più una pazza, adesso Lydia Martin sa tutto: che i mostri e i cacciatori esistono anche nella vita reale, che i lupi possono risorgere dalla loro ceneri, proprio come le fenici.
Che ha fatto un patto con la morte, Lydia.
È nata per fare patti con la morte, Lydia, ma ancora non lo sa.
Ancora, nell’estate calda e piena di possibilità del 2012, ancora io non lo so, Allison.
Ma dopo che tu mi hai raccontato tutta la tua storia – e quella di Scott, di Stiles, di Derek, e di tutti gli altri – nell’estate 2012, io decido di raccontarti la mia.
La storia delle mie origini.
La storia di mio padre.
La racconto in terza persona, ti va?
Perché così mi viene meglio. Così è più facile.
(Scusami, Allison. Non so farlo in altro modo.)

 
*
 
C’era una volta una bambina speciale di nome Lydia Martin.
È così bella, così intelligente, le piacciono i numeri e i pastelli colorati.
Le piacciono le storie che sua nonna le racconta la sera.
“Ariel...” la chiama, poi dice: “Scusa, Lydia, è un nostro segreto, vero? Tu sei una bambina speciale, vero?”
La piccola Lydia pensa che sua nonna la scambi per la Sirenetta – sua nonna confonde sempre i nomi, è anziana, è normale – così dice va bene, perché la Sirenetta in fondo le piace, le assomiglia, pensa.
Poi una sera – nessuno è in casa eccetto loro due, la piccola Lydia e nonna – Lorraine urla fino a quasi strapparsi le corde vocali, fino a far tremare tutti i vetri dell’abitazione.
Lydia si tappa le orecchie, chiama nonna, nonna, quella non le risponde.
Prende il telefono di casa, compone a memoria il numero di mamma.
Lei accorre.
Lydia chiede: “Che cos’ha?”
“Un attacco.”
Un attacco è l’unica risposta che avrà mai da sua madre.
Lydia vorrebbe chiederle Un attacco di cosa? Un attacco da chi? Che cos’è un attacco? Ma a cinque anni, il mondo è formato solo dai silenzi degli adulti, quindi lei non chiede, si tappa le orecchie.
Nonna Lorraine non torna più a trovarla.
Qualche mese dopo, Lydia sente i suoi genitori urlarsi contro in soggiorno.
Suo padre è arrabbiato: “Quella vecchia matta di tua madre ci sta costando un occhio della testa!” grida.
“Sei un tirchio! Un ingrato!” gli risponde sua madre. “Lei ti faceva comodo, però, no?! Quando badava alla bambina!”
“Badaci tu, allora!”
“E tu?! Non ci sei mai! Dici che lavori, ma cosa lavori a fare! Lydia è anche tua figlia!”
Continuano così per molto tempo.
E Lydia si chiude nella sua stanzetta, sprofonda sotto le coperte, tiene a bada le voci recitando a voce alta le tabelline.
Poi, una sera di qualche mese dopo, rumore di vetro in frantumi.
Lydia scende giù per le scale. Ha paura. Si nasconde per non farsi vedere. Si fa piccolapiccola. Ancora più piccola di quella che già è.
Sua madre è in salotto, ha preso un vecchio vaso in vetro di murano – vetro italiano, Lyds, è bello, è costoso, non ci giocare! – e lo ha spaccato in mezzo al vuoto fra lei e papà.
Lui è rosso in volto, sembra stia per eruttare come un vulcano.
Grida: “Sei una pazza! Sei una pazza come tua madre! Probabilmente anche quella saputella disgraziata di tua figlia presto andrà fuori di testa! Come tutta la tua stirpe maledetta! Vaffanculo, Natalie!”
 
*

Il giorno dopo, mia madre ha gettato le sue cose fuori dalla finestra.
Gli ha detto: “Prenditi tutto e vattene!”
Lui l’ha fatto.
Speciale. Matta. Disgraziata. Maledetta.
Ho raccontato questa storia solo a te, Allison.
E tu hai pianto con me, in silenzio, e poi mi hai asciugato le lacrime.
Ti ho lasciato vedere ogni cicatrice che mi era stata inflitta – e che, con il tempo, mi sono anche inflitta da sola – e tu sei rimasta.
Fino a quel giorno, noi due sole a rivelarci nel buio tutti i nostri segreti, non credevo che qualcuno lo avrebbe mai fatto.
Non credevo più che speciale potesse significare qualcosa di diverso da “sbagliata” – Matta. Disgraziata. Maledetta.
Prima di te, non ero che una bambola vuota, che si muoveva seguendo il disco rotto delle urla che mio padre mi aveva registrato dentro.
Mi muovevo seguendo il copione che mi voleva penitente, mai brillante, mai davvero me stessa, perché se avessi parlato, se qualcuno avesse visto quello che aveva visto in me mio padre – Matta. Disgraziata. Maledetta. – allora chi sarebbe rimasto?
Meglio essere qualcun’altra, quindi.
Meglio recitare la parte della Lydia stupida, ma sexy da morire. Della Lydia stronza e sicura di sé, che con un sorriso e un battito di ciglia riusciva sempre ad ottenere tutto e chiunque desiderava.
Usavo le persone, e a mia volta mi sono lasciata usare da loro – perché non credevo di meritare altro.
Era questo ciò di cui avevo bisogno?
Tu sei stata la prima a dirmi di no.
Tu sei stata la prima a cui ho creduto quando mi hai detto: “Sei migliore di quello che pensi, Lyds.”
 
(E io, Allison?
Io che cosa ho mai fatto per te?
La mia amicizia, la mia vicinanza, il mio affetto, ti sono mai arrivati, ti sono mai stati di alcun conforto?
Ti ho mai aiutata a salvarti?
O è stata la mia esistenza, alla fine, a condannarti a morte?
Me lo chiedo spesso, e spero che, prima che la fine di questa storia ti raggiunga, io abbia trovato una risposta da darmi. E da dare a te.
Continuiamo...)
 
 
In autunno, ritornare a essere la reginetta della scuola è facile.
Mi aiuta a dimenticare Jackson, insieme a tutti gli orrori mostruosi che ci hanno perseguitate l’anno precedente.
Ho sentito Stiles dire a Scott: “Quest’anno sarà diverso!”
E ho pensato: ha ragione lui (una cosa che mi verrà da pensare sempre più spesso, purtroppo, nel corso del tempo!), e ho fatto di quelle parole il mio nuovo motto.
Anche perché, all’epoca, già l’avevo capito: Stiles Stilinski non è uno che mente.
Peccato che le cose iniziano a precipitare presto.
Ci sono persone trovate morte in giro, senza alcun apparente collegamento tra loro, dice la polizia.
E ci sono io che la notte guido in stato di trance per trovare i loro cadaveri.
Stiles dice: “Una volta è un incidente. Due sono una coincidenza. Tre è uno schema.”
Ovviamente, ha di nuovo ragione.
Così iniziano i nostri pigiama party di gruppo – di branco.
Tu e io sole, all’inizio.
E poi Scott, Stiles, persino Isaac.
A giro, finiamo per lo stare sempre insieme.
Creiamo un nostro gruppo su whatsapp.
Stiles lo chiama Teen Titans, e quando noi gli chiediamo perché, lui minaccia di bannarci tutti.
“Vi mancano proprio le basi.” dice.
Ridiamo.
Te lo ricordi quel periodo, Allison?
Te lo ricordi, com’eravamo spaventati, confusi, continuamente sul punto di scoppiare, ma era bello lo stesso, vero?
Insomma, noi insieme, a cercare di venirne a capo...
Tu che con un solo sguardo capivi se stavo per urlare, o se avevo bisogno di un foglio su cui disegnare, o se stavo per uscire di casa in pantofole e bikini, e allora gridavi: “Ti vado a prendere il cappotto!”
“Sto diventando pazza come mia nonna, secondo te?” ti scrivevo quelle sere, quando tu non c’eri e non c’erano nemmeno i ragazzi.
“Certo che no!!!” rispondevi tu, con quell’abitudine che avevi di aggiungere i punti esclamativi per rimarcare l’ovvio.
Io ti mandavo cuori gialli – il tuo colore preferito.
E poi aggiungevo: “Se dovesse succedere… voglio che sia tu la prima a dirmelo...”
“Se dovesse succedere, te lo dirò, Lyds. E poi troverò un modo per riportarti indietro.”
So che ci credevi davvero. Lo so perché ti ho vista farlo: salvare persone che non meritavano di essere salvate.
Altri cuori gialli.
Altri cuori viola.
Associamo colori e arcobaleni ai nostri sentimenti, chissà perché.
 
(“Il verde è per i casi risolti. Il giallo per quelli da stabilire. L’azzurro è solo... mmh... carino.”
“E il rosso?”
“Irrisolti.”
“Sono tutti rossi, Stiles.”
“Sì, lo so, grazie tante!”)
 
Alla fine, è la nostra psicopatica professoressa di letteratura inglese – il Darach – a risolvere l’arcano mistero.
“Tu sei come me, Lydia” mi dice, mentre mi immobilizza su una sedia e prova a strangolarmi con una corda.
“Sembri un fiorellino tanto delicato, e invece eccoti... proprio di fronte ai miei occhi... una vera Banshee...”
La professoressa Blake dà un nome al mio demone.
Banshee.
Poi aggiunge: “Lydia Martin è una ragazza che sa troppo, per questo va eliminata.”
Se ci fosse riuscita, non sarei qui a raccontare questa storia. Ma, c’ho pensato spesso ultimamente, se non ci avesse nemmeno provato, forse oggi non esisterebbe nemmeno una Banshee.
Una piccola parte di Lydia Martin – la ragazza che non sapeva fare altro che urlare e arrivare tardi e trovare solo cadaveri – in effetti muore davvero, quella notte.
E al suo posto sorge una Banshee.
Una sconosciuta con il mio volto. Con la mia voce.
“Ecco qua, Lyds!”
Ricordo il tuo viso illuminato dallo schermo del tuo tablet. Noi due sedute vicine in auto, mentre tuo padre mi accompagnava in ospedale.
“Sono sicura che nel bestiario della mia famiglia ci siano delle risposte!” mi dici, e stringi la mia mano quando ti accorgi che sto tremando.
Banshee.
Non sono umana. Forse non lo sono mai stata, penso.
Sono una Banshee.
“Non avere paura, Lyds!” il tuo sguardo risoluto, quello che assumevi quando lasciavi che la Cacciatrice venisse fuori dai tuoi tratti, quella notte mi diede la forza e il coraggio per non lasciarmi andare e impazzire.
“Troveremo le risposte insieme, come ti avevo promesso, ok?”
Come mi avevi promesso, Allison.
Insieme, fino alla fine.
Banshee.
Messaggera di morte. Presagio di sventura.
Banshee.
Se avessi saputo allora quello che so oggi, Allison, se avessi saputo come usare la mia maledizione per salvarti, chissà se...
Ma come ho già detto – la portatrice di sventura, la donna che urla, la Banshee, io – quel giorno non ho saputo fare niente.
Ero accorsa a salvare Stiles.

(“Ho baciato Stiles!” ti ho scritto e riscritto quel messaggio almeno cento volte.
E ogni singola volta, non ho mai trovato il coraggio di inviartelo, il coraggio di raccontarti come mi aveva fatta sentire.
Ho immaginato la faccia che avresti fatto, le domande che mi avresti chiesto, le battute che mi avresti rivolto. E ognuna di esse mi terrorizzava a morte. Perché non avevo risposte, o non volevo vederle, e avevo paura che, come al solito, tu saresti riuscita a leggermele tutte in faccia, e ti saresti accorta di quanto io fossi profondamente codarda.
Profondamente stupida.)

Tu eri accorsa a salvare me.
Ma il Nogitsune e i suoi Oni arrivano prima.
Le tue ultime parole sono per Scott, sono per tuo padre.
Avrei voluto anch’io dirti tante cose per un’ultima volta, Allison.
(Lo sto facendo adesso. Spero che basti. Mi manchi.)

*
 
Vado a rivedere spesso gli ultimi messaggi che ci siamo scambiate.
Io che nel panico totale ti dico che non ho idea di come trovare Stiles.
Tu che mi dici: “Tranquilla, ci riuscirai! Ne sono sicura!”
Cuori gialli.
Cuori viola.
E poi, tu mi scrivi: “Adesso sono con mio padre. Ci vediamo più tardi.”
“Ci vediamo più tardi” rispondo io.
(Non potevamo saperlo, vero, Allison? Che invece non ci saremmo riviste mai più.)
 
*
 
Dopo che tu te nei vai, inizio a chiedermi spesso: sono ancora un membro di questo branco?
Mi chiedo: che cosa mi lega a tutti loro, a Scott, a Kira, a Malia, a Liam, a Stiles, ora che tu non ci sei più?
Che cosa ci fa una cinica, saputella, viziata ragazzina come me, in mezzo a loro?
Tu eri il nostro collante, Allison.
Tu eri il ponte che aveva collegato la mia vita alla loro.
Senza di te, mi sento come se andassi in giro spezzata.
E non ho nessuno a cui dirlo – di certo non posso dirlo a Scott, o a Stiles. Con quale coraggio potrei farlo, visto che non sono riuscita a salvarti?  
Non ho nessuno a cui parlare di questo dolore.
Per questo, durante i primi mesi, faccio cose stupide: mi chiudo in bagno e ti chiamo.
All’inizio, lo faccio in maniera inconsapevole, quasi per abitudine, e mi ricordo che sei morta e che per questo non puoi rispondermi – per questo non sei più qui, insieme a me – solo quando parte il quarto squillo.
Poi, lo faccio per vizio, mia madre direbbe per farmi male: faccio partire la chiamata – il tuo numero è attivo perché tuo padre non se l’è sentita di disattivarlo, e tiene il tuo telefono sempre acceso e sempre con sé, me l’ha detto Scott – e aspetto, aspetto, fino a quando non parte la tua voce registrata in segreteria.
“Mi spiace” dice.
Mi spiace.
“Ma al momento non posso rispondere. Provate più tardi.”
Ti ho lasciato molti messaggi vocali, Allison.
E non so se tuo padre li abbia mai ascoltati, o se tu, ovunque tu sia, sei mai riuscita a sentirli.
Ma io ho continuato a farlo lo stesso.
Continuo a farlo anche adesso, di tanto in tanto.
Mi chiudo in bagno, esco il telefono, clicco il tuo numero, e poi parlo.
Ti dico: “Ho paura che gli altri abbiano bisogno di me!”, e allo stesso tempo: “Ho paura del giorno in cui si accorgeranno che non ne hanno più bisogno!”
(Ho paura che mi lascino indietro, che mi dimentichino, che si accorgono, alla fine, che non sono niente di speciale, che senza di te sono solo la bambina che mio padre aveva visto – Matta. Disgraziata. Maledetta.)
Ci sono giorni, Allison, quando mi sembra che tutti siano andati avanti tranne me – che mi chiedo: avrei fatto anch’io parte dei buoni, se non fosse stato per te?
Non so trovare una risposta.
Poi incontro un’altra Banshee, che è una Deadpool, un mostro che si sente in diritto di uccidere altri mostri, e le dico: “Non tutti i mostri fanno cose mostruose.”
E in quella frase, io lo so, in quella frase, in quelle parole, nella mia testa, nel mio cuore, nei miei ricordi, in me, ci sei tu.
Ci sei ancora tu.
(Te l’ho mai detto, Allison Argent, che eri, che sei, che sarai sempre, la mia unica eroina?)
 
*

Il nostro gruppo di whatsapp chiamato Teen Titans esiste ancora.
Ma né io né gli altri lo usiamo più.
Nessuno però ha abbandonato, e quindi, di tanto in tanto, io sbircio e vorrei scrivere qualcosa, ma alla fine non lo faccio mai.
Aspetto che lo facciano gli altri, fino a quando Scott non crea un nuovo gruppo, aggiunge Liam, Malia, Kira, Stiles, Me, ma non te, non Isaac.
Fa male.
Non è la stessa cosa. Ma con il tempo mi abituo.

(Così come mi abituo a Stiles e Malia, insieme.
Così come mi abituo a non chiamarti più. A non girarmi alla mia sinistra durante le lezioni di algebra e francese per parlare con te.
Così come mi abituo a essere questa nuova me stessa soprannaturale.
È difficile, Allison.
Fa male.
Mi manchi.
Te l’ho già detto, vero?
Mi spiace.)
 
Un giorno, Stiles nota le occhiaie che il mio correttore non è riuscito a nascondere, le ciglia impasticciate dal mascara colato che ho precedentemente asciugato.
Nota le falle, le crepe. Come le notava una volta.
Prova a sfiorarmi, non ci riesce più.
Un tempo non esitava, ed era sempre gentile, delicato, con me.
Oggi ha allungato la mano, fra i corridoi della scuola, poi l’ha affondata nella tasca dei jeans.
Ha steso le labbra, scosso la testa, guardato per terra.
Poi mi ha detto: “So che non ho il diritto di dirlo, specialmente a te, o a Scott. Ma lei manca molto anche a me.”
Il tuo nome, fra di noi, non lo pronunciamo mai.
Aleggia come un segreto, un macigno sui nostri petti, e penso che ci divida, invece che unirci.
Quel giorno, Stiles mi fa capire il perché: è il senso di colpa.
Ognuno di noi se l’è scavato dentro a forza, ha ripetuto miomiomio, e nel terrore di vederci sputato in faccia il nostro peccato, abbiamo preferito allontanarci a vicenda.
Lo capisco solo adesso.
Lo capisco, sì, perché loro sono il mio branco.
I miei amici.
Io li conosco.
(E ora, qui, riesco quasi a vederli, quasi a immaginarli: Scott seduto sul suo letto, la testa fra le mani, che piange di nascosto da noi e ripete a se stesso, "mio il branco, mia la responsabilità". E poi Stiles che con rabbia e disperazione strappa via ogni foto, ogni filo rosso, ogni indizio dalle pareti di camera sua, mentre la voce del Nogitsune nella sua testa continua a perseguitarlo, dicendogli: "l'hai uccisa tu, tu l'hai uccisa, Stiles!")
Come ho fatto a non accorgermene prima, Allison?
Il dolore, so che diresti tu.
Il dolore ci rende ciechi ed egoisti, ma io non voglio più essere così. Voglio essere migliore. Voglio fare come te, e trasformare ogni mia sconfitta, ogni mia perdita in un'arma che possa aiutarmi a proteggere le persone che amo.
Voglio prendere quel dolore e dirgli che non riuscirà a schiacciarmi, ma solo a rendermi più forte, proprio come hai fatto tu.
Così, questa volta la mano la allungo io, Allie, verso Stiles.
(Ovviamente, diresti tu, ridendo, lo so.)
Lui strabuzza gli occhi, trattiene il fiato.
“Non dire così...” gli dico e non piango, Allison, lo vedi? Lo senti? Sono coraggiosa. Proprio come te.
“Lei era anche tua amica. Non hai nessuna colpa.”
Stiles lascia andare un solo respiro – da quando lo aveva trattenuto? , lascia andare una sola lacrima, lui che delle vulnerabilità non ha mai avuto paura.
Prova a sorridere. Non ci riesce. Ma torna a stringermi la mano.
“Grazie per avermelo detto, Lyds. Significa tanto per me... che tu...” non finisce, scrolla il capo.
Mi guarda negli occhi, si rabbuia di nuovo.
“Nemmeno tu hai colpe. Lo sai questo, non è vero?”
Annuisco. Ingurgito lacrime.
È bello, sentirselo dire.
Specialmente oggi, che è l’anniversario di quel giorno.
Il giorno in cui hai varcato i cancelli della scuola e sei venuta da noi.
Anche Stiles se lo ricorda.
E tu, ovunque tu sia, te lo ricordi, Allison?
 
(Ho continuato anche dopo a scriverti messaggi nella nostra chat.
Iniziavo sempre dicendo: “Ciao, Allison, ti scrivo perché volevo solo dirti che...”
Ma non riesco mai a concludere.
Cancello tutto.
Ci riprovo un altro giorno.
Un giorno per volta.)
 
Adesso, sto quasi per scrivere la parola fine.
Avrei voluto farlo in un modo diverso, Allie.
Raccontarti una storia migliore di questa, ma sono stata a lungo bloccata nella mia testa sai?
All’inizio dell’ultimo anno, Theo ci ha traditi, ha spezzato il nostro branco, e io sono stata in coma, prigioniera di me stessa e di Eichen House, come lo era stata anche mia nonna.
Cercando un modo per venirne fuori, mi sono aggrappata ai ricordi, continuavo a chiedermi: che cosa avrebbe fatto Allison Argent – la mia eroina – se fosse stata al mio posto?
Per un po' di tempo sono tornata a chiamarti, e l’unica risposta che ho ottenuto è stata la tua voce registrata in segreteria: “Mi spiace, non posso rispondere. Provate più tardi.”
Poi ho capito.
Mi stavo aggrappando ai morti. Tu non avresti voluto.
Allora, ho combattuto per me.
Mi sono svegliata. Ma non sono andata lontano.
Il dottor Valack non faceva altro che ripetermelo: “Nessuno verrà a salvarti, Lydia.”
Una parte di me, sperava che avesse ragione.
Una parte di me, temeva che sarebbe successo di nuovo – un filo rosso di morte avrebbe collegato me a qualcuno che amavo, e l’urlo della Banshee lo avrebbe condannato a morte.
Alla fine, Stiles è venuto, e io gli ho detto di andarsene – non è quello che continuo a dirgli da sempre, del resto?
“Vattene o morirai,” gli ho detto.
Messaggera di morte. Portatrice di sventura. Banshee.
Questa ero io.
Pensavo che Stiles ormai lo avesse capito – lo avevo lasciato avvicinare troppo, e lui aveva visto il mostro, e aveva capito che non ne valeva la pena e mi aveva lasciata indietro, ed era ok, era giusto, vero, Allison? Dovevo aspettarmelo. – e invece, lui torna di nuovo da me.
Lo sai che cosa mi dice?
“Per l’amor di Dio, Lydia! Stai zitta e lascia che ti salvi la vita!”
Gli permetto di farlo.
Gli permetto di portarmi via da Eichen House.
Sto morendo, e sono così egoista da volerlo fare stretta fra le sue braccia. Fra le braccia di Stiles.
Anche tu, no?
Anche tu sei morta fra le braccia del tuo primo amore.
La Lydia di qualche anno fa avrebbe pensato: Patetico, e poi, mi sto affezionando troppo, non va bene.
Ma la Lydia che sono oggi, anche grazie a te, vorrebbe solo chiederti: Non è romantico? Non è poetico?
 
Ho immaginato di scrivere la fine di questa storia – la nostra, Allison – in tanti modi diversi.
Ora che sono quasi a un passo dalla fine, la immagino così, lasciamela raccontare così:
 
Tu e io, nel corridoio della scuola.
Una di fronte all’altra, vicine, vicinissime, tanto che posso notare le fossette sulle tue guance quando sorridi, tanto che posso notare che indossi la stessa giacca a vento dell’inizio – verde, vintage, conoscendoti – tanto che posso riconoscere l’odore del tuo profumo.
Eppure non posso toccarti, e tu non puoi toccare me, e per sentirci abbiamo bisogno di tenere il cellulare premuto sull’orecchio.
“Pronto, Lyds? Ho risposto alla tua chiamata, hai visto?” mi dici, sorridendo, poggiata con una spalla alla fila di armadietti, proprio come me.
Tu sei immersa nella luce, sembri felice, in pace, sono contenta.
Io indosso ancora il camice di Eichen House, ho ancora sangue impastato fra i capelli, sento ancora le dita di Stiles stringere le mie, da qualche parte, lontano.
“Sì...” rispondo, piangendo, il mio cuore ancora batte forte, rimbomba nelle sale vuote di questo mio sogno.
“L’ultima volta non ero riuscita a prenderla...” continui a dire, sorridi ancora, luminosa, bellissima.
Dolce, innocente.
Sei – eri, scusami, me lo dimentico ancora – perfetta.
L’ultima volta, l’ultimo messaggio, quello che ho letto e rieletto ormai centinaia di volte: “Ci vediamo più tardi...”
Per noi, Allison, il più tardi non è mai arrivato.
Il più tardi è adesso.
È la fine di questa avventura, di questo viaggio insieme.
“Perché hai continuato a chiamare, Lyds?” mi chiedi, ma io lo so, riesco a leggerlo nelle linee del tuo viso che tu hai già capito tutto, che non c’è bisogno che mi spieghi.
Ma sai anche che ne ho bisogno. Sai anche che per ogni volta che ho provato a raggiungerti, volevo solo dirti che...
“Grazie.” ti dico allora.
“Perché?” chiedi tu.
“Per essere stata mia amica...” le lacrime mi raggiungono le labbra, le inghiotto e posso sentire anche un tocco che non è il mio accarezzarmi la pelle, una voce che non è la mia, né la tua chiamarmi indietro.
Un attimo solo, Stiles, vorrei dirgli.
Un attimo solo, non ho ancora finito.
Provo a sorriderti, a ricambiare la gioia che vedo riflessa nei tuoi occhi con la mia.
“Per avermi voluto bene...” concludo.
Tu annuisci, mi fai l’occhiolino.
“È stato bello, vero?”
Annuisco, il mio cuore batte ancora, e adesso che ho pronunciato quelle ultime parole, il peso del tuo nome sembra infine svanito dal mio petto.
“È stato bello, Allison” confermo.
Sorridi. Avanzi verso di me.
“Grazie per avermelo detto, Lydia.” dici, e poi, piano, le tue labbra toccano la mia fronte.

*
 
Io mi sveglio, fra le braccia di Stiles.
È il tuo bacio, Allison, ad avermi riportata in vita.
 
 
(“All’inizio dell’anno ero terrorizzato dal fatto che, dopo il diploma, ci saremmo separati. Ma ora non mi importa. Ho capito che noi staremo insieme comunque. Anche Allison. E che, in un modo o in altro, lontani o vicini, riusciremo a fare quello che facciamo sempre: salvarci la vita a vicenda.”)
 
 




FINE
 
 






N/A: Salve a tutti, e se siete arrivati alla fine di questa lunga e confusionaria storia, tanti complimenti a voi!
In queste note finali, posso solo giustificare le mie parole dicendo che quando ho iniziato a buttar giù la trama di questa fanfiction NON DOVEVA VENIR FUORI COSÌ, ma poi la prima persona ha preso il sopravvento, la voce di Lydia e il mio amore per questo personaggio hanno del tutto avuto la meglio su di me, e io mi sono lasciata trasportare da loro.
Ho cercato di rimanere il più fedele possibile al Canon, molti dei dialoghi, infatti, li ho ripresi paro-paro, altri li ho modificati per mere questioni logistiche di trama (e si vede). Naturalmente, questa è solo una mia personale visione degli eventi, all’interno della quale ho cercato di realizzare una sorta di Character Study sul personaggio di Lydia e sulla sua relazione con Allison (e Stiles, ma solo perché gli Stydia per me sono insuperabili!).
Non è “un’analisi” completa di questo personaggio perché manca, come avrete notato, la sesta stagione.
Ma non l’ho voluta inserire per due motivi: 1) perché credo che la fase del “lutto” di Allison, in Teen Wolf, si concluda proprio con la quinta stagione (le iniziali, le parole di Stiles, il ritorno di Crystal nei panni della sua antenata); 2) perché parlare della sesta stagione mi avrebbe portata più a esaminare il legame fra Stiles e Lydia, che fra quello fra lei e Allison, e siccome questa storia è una Sisterhood/Sismance, non mi sembrava giusto cambiare di punto in bianco il focus.
Volevo, inoltre, che questa storia fosse una sorta di puzzle e di flusso di coscienza di Lydia, e mi rendo conto che c’è un po' di pasticcio fra le linee temporali causate dal mio uso non sempre corretto dei tempi verbali, ma Hey! È stato divertente!
No, non è vero. Questa storia mi ha ucciso, ma volevo tanto scrivere una fanfiction su questo mio amatissimo Fandom, e visto che non ho ancora deciso se vedere il nuovo film e lasciare che Jeff Davis distrugga nuovamente il mio cuore, ho pensato: perché non adesso?
Bene. Questo è tutto. Un giorno imparerò sia a scrivere storie senza buttarci in mezzo ottomila parentesi, sia scrivere delle note finale che abbiano senso.
Ma non è questo il giorno!
Comunque, spero davvero che la storia vi sia piaciuta e se volete lasciarmi una vostra opinione a riguardo – positiva o negativa – sarei davvero molto felice di leggerla!
Alla prossima,
BellaLuna
 
  
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