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Autore: Nao Yoshikawa    30/01/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo sedici

Miyo era arrivata quel giorno a scuola di umore pessimo, lo zaino stretto in spalla e il viso un po’ pallido. Suo padre e anche sua madre l’avevano rassicurata dicendole che se non se la sentiva poteva benissimo non andare a scuola, ma lei aveva insistito. Una delle prime cose che aveva fatto una volta arrivata era stato dirlo alle sue amiche, con un sussurro e lo sguardo basso.
«Davvero, Miyo?» domandò Rin stringendole le spalle. «Ma è magnifico! Non sei contenta?»
Miyo scrollò le spalle.
«Non lo so. Volevo che arrivasse questo momento, ma ora che è arrivato… già non mi piace. Avere le mestruazioni è terribile, mi sento malissimo. Mi viene da piangere.»
Ai arrivò a darle man forte, poggiandole una mano su una spalla.
«Non preoccuparti, è normale, sono gli ormoni. Potrebbe aiutarti della cioccolata. O un abbraccio. Sai no, per la serotonina.»
Naoko e Kiyoko stavano ascoltando la conversazione senza però parlarsi l’un l’altra. Certo, sapevano entrambe che fosse sciocco non parlarsi per un motivo del genere. Il problema di Kiyoko era la gelosia. Naoko era la sua migliore amica e ora in qualche modo di sentiva messa da parte. E in verità era anche gelosa di Satoshi. Stava, insomma, vivendo un vero dilemma.
Yami arrivò per ultima, bellissima come sempre e con lo sguardo affilato e serio. Le sue amiche avevano notato certi sguardi divertiti e di scherno da parte di un gruppetto di ragazzi più grandi. E Ai, in particolare, era stata assalita da una sensazione orribile.
«Ehi, Yami. Ma quelli non sono gli amici del tuo ragazzo?» domandò Naoko. Yami li guardò e poi fece un’espressione sdegnosa.
«Io non ho più un ragazzo. Io e Ren non stiamo più insieme. Meglio così, perché non mi piaceva più tanto.»
Ai sentì qualcosa. Quella sensazione orribile non accennava a diminuire, così prese Yami per mano (dimenticandosi della rabbia nei suoi confronti) e la tirò con sé in un angolo.
«Che è successo tra te e quello lì?»
«Niente. Semplicemente ci siamo stancati e quindi ognuno per la sua strada» rispose strafottente.
«Questo lo so, intendo… c’è stato qualcosa di più?»
Yami arrossì e distolse lo sguardo, il che non era da lei.
«Qualche bacio, qualche toccatina… gli ho mandato delle foto.»
Ai strabuzzò gli occhi.
«F-foto? Che foto? Oh, no. Non me lo dire, ti prego. Questo è terribile. E se le avesse mostrate a qualcuno?» la sola idea la terrorizzava, ma la sua amica sembrava tranquilla.
«Finché le vedono solo quei deficienti dei suoi amici non mi cambia molto.»
«Ma Yami…!»
Possibile che fosse l’unica a preoccuparsi tanto? Ci vedeva qualcosa di marcio in tutto ciò e non sapeva che fare. Yami sbuffò, spazientita.
«Ma insomma. Ti dico che non c’è motivo di preoccuparsi, d’accordo? Tu stai tranquilla, passerà loro la voglia di darmi fastidio.»
E con quella frase, mise la parola fine alla conversazione. Quando tornarono, Kiyoko era andata a salutare Kaien, Rin si era allontanata per andare chissà dove e Miyo se ne stava seduta a leggere prima di andare in classe. Ai sospirò. Era sempre molto razionale, ma aveva l’orribile sensazione che quella sarebbe stata la calma prima della tempesta.
 
Una delle attività preferita di Rukia era senza dubbio andare a trovare i bambini alla casa-famiglia. Soprattutto se poteva godere della compagnia di Natsumi, sempre così allegra e sempre disposta ad ascoltarla. Perché Rukia aveva sentito il bisogno impellente di parlare di quel suo problema e Natsumi era capitata a fagiolo.
«Accidenti, è una cosa bella tosta» commentò la ragazza, lanciando un’occhiata ai bambini che giocavano. «Ma non ti devi preoccupare, sono certa che tu e il dottor Ichigo non vi lascerete. Io lo vedo, lui ti ama troppo.»
«Non capisci, Natsumi. Non è per me che sono preoccupata, ma per lui. Come ho potuto non rivelargli una parte così importante della mia vita? Mi sono sempre detta che era per proteggere lui, in realtà era per proteggere me. Alla fine però non è servito niente.»
Natsumi si tolse un ciuffo di capelli dal viso.
«D’accordo, d’accordo. Non dico che sarà facile, però penso che devi proprio dirgli quello che senti. Parlare dei propri sentimenti è importante, senza girarci attorno.»
Rukia trovava incredibile che una ragazzina appena ventenne fosse così saggia.
Una bambina molto graziosa si avvicinò alle due, porgendo loro un mazzo di fiori.
«Signora Rukia, signorina Natsumi, guardate che bel mazzo!»
«Oh, Mirai. È adorabile e grazioso come te» disse la ragazza chinandosi e pizzicandole la guancia con energia. Era sempre così estremamente affettuosa. Natsumi si sollevò all’improvviso e alzò una mano.
«Ehiii, ciaooo!»
Rukia si accorse che Shunsui Kyoraku e Jushiro Ukitake erano appena entrati in giardino, anche loro venivano spesso alla casa famiglie.
«Natsumi, hai scordato il pranzo, lo sai che se poi non mangi ti vengono i cali di pressione» disse Ukitake, guardando poi la sua ex allieva. «Oh, Rukia, ciao.»
«Professor Ukitake, signor Kyoraku» disse lei facendo un inchino.
«Quante volte dovrà ripetertelo, signorina? Niente formalismi, mi fai sentire vecchio» disse Kyoraku scherzoso.
«Beh, tu sei vecchio, in realtà lo siete entrambi» s’intromise la loro figlia.
«Che razza di sfacciata, non ricordavo di averti cresciuto così» disse Shunsui, fingendosi offeso. Erano sempre un piacere per gli occhi, una famiglia unita e amorevole, pensò Rukia.
 
«I-Ichigo, sei sicuro che sia il caso che venga anche io?»
Hanataro era nervosissimo e non riusciva a scendere dall’auto, temeva di cadere.
«Beh, io devo parlare con Rukia e Rukia si trova con Natsumi in questo momento. A te lei piace, no?»
Hanataro arrossì. Oh, era assolutamente rapito da quella ragazza, ma lui era così imbranato.
«… Mi piace tanto.»
«Bene, allora zitto e seguimi» borbottò Ichigo. Scesero dall’auto ed entrarono dentro l’immenso giardino che fungeva anche da ingresso. Al diavolo, era inutile starsene lì a rimuginare, aveva pensato Ichigo, Tanto valeva parlarne subito. Entrambi udirono lo schiamazzare allegro dei bambini. Natsumi fu la prima a notarli e i suoi occhi si illuminarono alla vista del giovane dottore per cui aveva una cotta.
«Dottor Ichigooo, mi hai portato il mio Hanataro! Sei un angelooo!»
Ichigo salutò tutti e solo dopo posò lo sguardo su Rukia. Lei sorrise, in imbarazzo. Era strano, le sembrava che fossero un po’ due estranei e la cosa non le piaceva.
«Ehi. Non mi aspettavo che venissi qui»
«Sì, beh… il mio turno inizia tra poco e… dovremmo parlare. Mi sembrava inutile aspettare, pertanto… eccomi qua.»
Rukia annuì e così marito e moglie presero a camminare nel viale di ciliegi rigogliosi. Lei aspettava che lui le porgesse qualche domanda, era sicura che Ichigo avesse tanto da domandare, e in effetti non si era sbagliata. Ma non sapeva da dove iniziare.
«Come hai potuto nascondermi una cosa del genere?» domandò non riuscendo a trattenere una certa rabbia. Lui e Rukia si conoscevano da più di vent’anni e gli sembrava assurdo che gli avesse nascosto qualcosa di così importante, che riguardava poi  anche un membro della sua famiglia.
«Questa è una domanda difficile, ma cercherò di rispondere. Avevo paura, non tanto della tua reazione. Avevo paura di affrontare il dolore. In realtà ho ancora paura di affrontare il dolore.»
Ichigo annuì. Sapeva che ogni sua parola sarebbe stata come un’accoltellata.
«Qualcuno lo sapeva?» chiese poi.
Rukia scosse la testa.
«No. Kukaku e Byakuya dovevano aver intuito qualcosa, ma non l’ho mai detto a nessuno.»
Quella fu una magra consolazione per Ichigo, il quale però doveva ancora porre la domanda che più gli premeva. E questa fece male in modo particolare.
«Hai voluto me per sostituire lui?» domandò stringendo i pugni. Aveva gli occhi lucidi, ma s’impose di non piangere. Non era uno che si lasciava andare alle lacrime, ma in quel caso era difficile. Rukia temeva di far nascere in lui quel timore, perché Kaien e Ichigo erano identici dal punto di vista fisico. E per certi aspetti anche nel carattere.
«No, almeno in questo devi credermi» Rukia strinse la sua piccola mano sul suo braccio. «È vero, quando ti ho conosciuto ero sconvolta da quanto gli somigliassi. Ma mi sono innamorata di te perché sei tu.»
«Vorrei tanto crederti, ma ho capito che ci sono tante cose che di te non conosco e questo… cazzo, è doloroso» Ichigo si portò una mano tra i capelli. «Ho perso la fiducia nei tuoi confronti.»
Rukia si morse il labbro e anche lei come lui s’impose di non piangere. Era giusto che Ichigo non si fidasse più di lei, lei lo aveva deluso in fin dei conti. Ma era terrorizzata all’idea di perderlo.
«Vuoi divorziare?» domandò. Se era nelle sue intenzioni, preferiva saperlo subito.
«Ma sei scema?! Non voglio arrivare a tanto. Però… questa situazione è difficile anche per me.»
Rukia sospirò, sollevata. Ma sapeva comunque di non potersi poggiare sugli allori. Aveva tradito la sua fiducia.
«Meno male. Senti, possiamo non far capire nulla a Kaien e Masato?»
«Sì, sono d’accordo. Questa cosa riguarda noi due, dopotutto. Ora… scusa, ti lascio al tuo lavoro e io mi riprendo Hanataro.»
Rukia annuì e insieme tornarono da Hanataro, che era stato preso d’assalto da Natsumi.
«È un tuo amico?» domando Ukitake.
«Non proprio, il dottor Hanataro Yamada diventerà il mio fidanzato. Hanataruccio, loro sono i miei genitori?»
«I tuoi… eh?! P-p-piacere di conoscervi!» esclamò il ragazzo facendo un inchino. Kyoraku lo osservò, divertito.
«Non c’è bisogno di essere così formali, chiunque renda felice mia figlia merita il mio rispetto!»
Ma erano già arrivati a quel punto? Ad Hanataro iniziava già a girare la testa, ma per fortuna Ichigo arrivò in suo soccorso.
«Su, andiamo Hanataro. Vogliate scusarci, andiamo al lavoro.»
Natsumi mandò un bacio volante al ragazzo.
«Ciao, ciao! Ah beh, è pazzo di me, che posso dirvi?»
 
Kohei, spalle dritte e imponente, si lasciò dietro Hayato e Kaien che parlavano per dirigersi verso Satoshi e Hikaru che, durante l’ora di pranzi, si erano appartati in mensa per parlare delle loro pene d’amore. Hikaru era depresso, Satoshi era nervoso perché non era nelle condizioni di gestire sia Kiyoko che Naoko.
«Kiyoko è arrabbiata con me e Naoko invece mi fa impazzire. Mi ha baciato, non posso credere che l’abbia fatto.»
«Io invece non posso credere che Ai mi abbia mollato per uno più grande. Anche se teoricamente non mi ha mollato, non stavamo nemmeno insieme!»
«Non preoccuparti, andrà bene. Per me invece non lo so» Satoshi si vide comparire davanti Kohei e i due rimasero a fissarsi per qualche istante. Fu Kohei stesso a puntargli il dito contro.
«Io non ti lascerò Naoko.»
«Eh?!» esclamò lui. «In che senso?»
«Nel senso che mi piace. Molto. In natura vice il più forte, per cui…ti ho avvisato. Adesso vado a prendermi un succo di frutta, ciao ciao.»
Non gli lasciò tempo di dire nulla. Satoshi rimase lì a bocca spalancata e con un dito sollevato.
«Ma hai sentito che mi ha detto?»
«Accidenti, adesso siamo in due ad avere un rivale in amore» commentò Hikaru, che sembrava piuttosto sollevato di non essere più da solo.
 
Kohei tornò a sedersi accanto a Kaien e Hayato. All’appello mancavano Yuichi e Masato, che erano andati chissà dove.
«Sei andato a marcare il territorio?» domandò Kaien.
«Sì. Naoko diventerà la mia fidanzata. Qui siamo tutti fidanzati, tranne Hayato. Ma è perché con Rin è troppo timido.»
«Ehi, fatti gli affari tuoi» borbottò lui, arrossendo. «Piuttosto, tuo fratello e Yuichi si sono imboscati di nuovo? Devono essere proprio infoiati.»
«Ah, ti prego, non dire queste cose. Masato è il mio fratellino» disse Kaien protettivo, ma ovviamente era consapevole che Masato come lui avesse i suoi bisogni. E in effetti il fratello e Yuichi si erano chiusi in un’aula all’ultimo piano in realtà inagibile. Inizialmente avevano avuto paura perché si diceva che quell’aula fosse infestata, ma poi la voglia di stare insieme aveva superato di gran lunga tutto.
Così avevano preso a scambiarsi dei teneri baci, poi sempre più intimi, si erano accarezzati a lunghi e avevano finito per toccarsi a vicenda e a gemere nella bocca dell’altro. Era pazzesco da perdere la testa. Ai due non importava nemmeno di essere scoperti, anzi, l’idea rendeva tutto più entusiasmante.
«Masato, tu mi piaci. Mi piaci tanto. Così tanto che non mi fermerei mai» sussurrò Yuichi, gli occhiali appannati e tutto tremante. Masato gli sorrise e tornò a baciarlo, avido. Per lui era lo stesso.
Kaien aveva cercato suo fratello a lungo e solo dopo un pezzo – terribili minuti d’ansia – era arrivato all’aula inagibile, che aveva aperto con un calcio.
«Ah, eccovi qui!» gridò. Yuichi e Masato sussultarono. Oh, era solo Kaien.
«Ma come sapevi che eravamo qui?» domandò il fratello.
«Infatti non lo sapevo» Kaien entrò, scorbutico. «Dovete stare attenti a quello che fate, se la gente vi vede, vi creerà dei problemi.»
Yuichi si tolse gli occhiali per pulirli.
«Noi non facciamo niente di male, è la gente ad essere stupida.»
«Questo lo so bene, ma voi non siete in grado di difendervi!»
«Che cosa vuoi dire?» domandò Masato, crucciato. Kaien avrebbe voluto dirgli tutto, ovvero che lui – assieme alla complicità di Hayato – stava facendo qualsiasi cosa per proteggerlo dalle malelingue e dei malintenzionati, anche se questo voleva dire cacciarsi nei guai lui stesso. Ma non disse niente, mandando giù quel boccone amaro.
«Niente, non è niente. Piuttosto usciamo di qui, prima che il tetto ci cada in testa.»
 
Miyo andò di fretta e furia in bagno. Era davvero fastidioso doversi cambiare così spesso, per fortuna al momento non avvertiva crampi all’addome o altri disturbi. Entrò nel bagno delle ragazze e vide Rin vicino al lavandino che si sciacquava il viso e la bocca. Si spaventò nel vederla così: Rin le parve sfibrata e stanca.
«Oh, Miyo. Tutto bene?» domandò lei, sorridendo. Miyo si avvicinò. Si sentiva particolarmente emotiva, ma aveva un discorso serio da fare. Si avvicinò le toccò le spalle.
«Rin, tu mi stai spaventando, va bene? Guarda che ti vedo. Mangi poco o nulla e vomiti. Forse hai un disturbo alimentare, lo sai che può essere pericoloso. I tuoi non lo sanno, vero?»
Rin si staccò da lei con un certo sdegno.
«Non lo sanno e comunque non sono stupida. So qual è il mio limite. È solo che non mi piace il mio corpo. Tu parli bene, sei così magra.»
«E allora?» Miyo si innervosì. «Non c’è niente che non vada in te. Ti prego, Rin. Se continui così lo dirò ai tuoi!»
Quella alle orecchie di Rin suonò come una minaccia, ma Miyo era solo molto spaventata.
«Fa un po’ come ti pare» disse infine, lisciandosi i lunghi capelli chiari.
 
Lavorare con la sua ex non si stava rivelando essere poi così terribile. Senjumaru era silenziosa e attenta nel lavoro, ma questo Mayuri lo sapeva già. C’era anche da dire che la presenza di Urahara migliorava tutto, anche se gli scocciava ammetterlo. Lo studio era un vero disastro tra appunti, libri di medica, strumenti da analizzare. Senjumaru, infatti, si guardava attorno scuotendo la testa: due menti geniali riunite in così poco spazio portavano al caos.
«Siamo d’accordo che alla parte pratica ci penso io, no? Lo sai che mi piace sperimentare» aveva detto Mayuri.
«Ah, ah! Tranquillo, puoi giocare a fare lo scienziato pazzo quanto vuoi. Però adesso io devo lasciarvi» Kisuke si alzò, facendo volare qualche foglio.
«Che cosa? Urahara, pensi di potermi lasciare qui da solo? È ancora presto!»
E soprattutto, non poteva pensare di lasciarlo da solo con Senjumaru. Non che gli interessasse, ma era davvero scocciante. Kisuke non avrebbe voluto metterlo in difficoltà, ma era impaziente di tornare da Yoruichi. E da Soi Fon. Si sentiva su di giri e aveva l’impressione che sarebbe stata una bella serata.
«Scusa, ma ho promesso a Yoruichi che sarei rincasato prima. Dovresti essere contento, lo sai che quando io non ci sono comandi tu. Adesso vado, ciao, ciao! Arrivederci signorina Shutara!»
Mayuri avrebbe voluto maledirlo in molte lingue. Ma non doveva preoccuparsi, poteva gestire quella donna insopportabile. Senjumaru sospirò, rimettendo a posto i fogli caduti sul pavimento.
«Tu e Kisuke Urahara siete adorabili, siete come due bambini che giocano a fare gli scienziati.»
«Ah, silenzio, per favore» si lamentò lui. «Kisuke Urahara è un uomo davvero sgradevole, ma sarei stupido a non riconoscere il suo talento.»
Senjumaru mise a posto i fogli e poi si sedette al posto di Kisuke, davanti a Mayuri.
«Pensa se ci fossimo sposati. A quest’ora lavoreremmo insieme a questo.»
«Già, per fortuna non ci siamo sposati» rispose lui. Non aveva intenzione di rimanere lì ad ascoltarla, anche perché non capiva cosa volesse.
«Tua figlia, Ai. È adorabile, ti somiglia ma ha la dolcezza di sua madre. Pensavo non volessi figli.»
«Come sei irritante. Le persone cambiano. Tu invece non sei cambiata. Sei sempre stata più improntata sulla carriera.»
La donna accavallò le gambe, guardandolo. Era sempre stata molto sensuale, ma a lui non lo incantava di certo.
«Mayuri, quasi non ti riconosco, ti ricordo che eravamo uguali. Per questo stavamo bene insieme.»
«Bene insieme? Ma se mi hai tradito. Non che me ne dispiaccia ovviamente. È stata una liberazione.»
Lui non aveva mai sentito il bisogno di una relazione, con Senjumaru ai tempi c’era stata una grande attrazione intellettuale e poi fisica. Ma avevano due caratteri troppo simili per andare d’accordo.
«Avrò sbagliato a tradirti, ma non mi pare tu fossi perfetto.»
«Tu sapevi com’ero io, lo hai sempre saputo. Che ti lamenti a fare, ora, dopo tutto questo tempo?»
Era per questo che non voleva rimanere da solo con lei, non voleva rivangare quel passato così lontano. Senjumaru sospirò e rilassò appena le spalle.
«Tu sei cambiato.»
«Io sono sempre lo stesso, mi sono solo un po’ ammorbidito. Capita con l’amore, ma non mi aspetto tu capisca. Nemmeno tu mi hai mai amato, donna crudele e meschina.»
Senjumaru chinò la testa di lato e poi sorrise.
«La cosa più divertente è che nessuno ti crederebbe, se lo dicessi. Penserebbero che sia stato tu a far soffrire me.»
«Soffrire io, figurarsi» Mayuri mise fine a quel discorso. Al diavolo.
 
Stare in quella famiglia equivaleva a provare calore, di quelli dolci e che ti avvolgono come un abbraccio. Soi Fon aveva preso in simpatia i gemelli e poi Kisuke e Yoruichi erano una coppia davvero splendida e che faceva di tutto per farla sentire la benvenuta. Sapere di doversene andare per conto proprio le faceva provare un senso di malinconia. Era piacevole condividere i pasti, passare del tempo insieme, avere a che fare con la simpatia di Kisuke e con Yoruichi che ogni tanto doveva rimbeccarlo come se fosse un bambino.
Dopo cena Yami e Hikaru se n’erano andati nelle loro camere, i tre erano rimasti attorno al tavolo e Yoruichi aveva pensato che fosse una buona idea tirare fuori una bottiglia di vino pregiato.
«Ehi, perché hai aspettato tanto per tirarlo fuori?» si lamentò Kisuke.
«In primis, perché non reggi l’alcol. Secondo, lo tenevo da parte per un’occasione speciale.»
Soi Fon arrossì. Non pensava di essere niente di speciale, ma da un po’ grazie a loro ci si sentiva. Yoruichi versò loro il vino e poi prese un calice per sé. Soi Fon ne mandò giù solo un sorso, sembrava pensierosa.
«Qualcosa non va?» chiese Kisuke.
La ragazza scosse la testa.
«No, al contrario. Quest’ultimo periodo è stato uno dei più felici da… da nemmeno mi ricordo quando! Con la mia famiglia non ho grandi rapporti e invece qui ci sto così bene. Volevo ringraziarvi, ecco.»
«Oh, Soi Fon. Che formalità, non mi pare il caso, per noi è un piacere, sei una brava ragazza.»
«Una bravissima ragazza!» disse Kisuke, rosso in viso. «Nessuno di direbbe che un tempo siamo stati quasi rivali in amore, eh?»
Soi Fon tossì e Yoruichi guardò male suo marito come a volergli dire dovevi proprio tirare fuori il discorso?
«Quello è il passato, non voglio mettermi in mezzo a nessuno. E poi beh, non ho tempo per l’amore, non mi piace nessuno!» disse Soi Fon a braccia conserte. Tutto ciò non era proprio vero. Yoruichi le diede una carezza sulla testa, carezza che voleva essere materna, ma che evidentemente risultò ambigua. Kisuke guardò sua moglie accarezzare Soi Fon, attento.
«Mia cara, quando l’amore arriva, arriva.»
Soi Fon ingoiò a vuoto. La mano di Yoruchi era calda su di sé. Di lei pensava sempre e comunque che fosse una bella donna. Vide con la coda dell’occhio Kisuke guardarle.
«Io… lo so. Ecco… forse do fastidio?» balbettò, non sapendo bene cosa dire.
«Perché dici questo, mia cara? A me piace quello che vedo»
Kisuke aveva il viso arrossato. Era proprio vero che non reggeva l’alcol, ma qui la colpa era tutta di quelle donne.
«Kisuke, brutto pervertito. Vuoi vederci baciare, per caso? Tu hai sempre scherzato su questa fantasia. Non badare a mio marito, Soi Fon.»
La ragazza scosse la testa.
«Non penso male di lui. Voi siete una bella coppia, siete bellissimi anche singolarmente e… e…»
Una volta aveva rubato un bacio a Yoruichi. Adesso lei sembrava desiderasse divorarla.
«Su, avanti. Yoruichi, baciala» ordinò Kisuke, assumendo un tono autoritario. Soi Fon sentì il cuore batterle forte. Era agitata e non perché non volesse. Era perché lo volva troppo, perché quella tensione sessuale  stava finalmente scoppiando.
«Oh, mi è sempre piaciuto farmi dare ordini da me. Ma solo se lei mi permette.»
«I-Io permetto!» esclamò. Se ne sarebbero pentiti tutti e tre, lo sapeva, ma si viveva una volta sola. Yoruichi la guardò con quegli occhi da gatta e la baciò. Fu molto più bello della prima volta. Kisuke le osservò con interesse. Poi si alzò e si avvicinò a loro, chinandosi.
«Mi permette di unirmi a voi?» domandò, cortese. Yoruichi si mise a ridere e lo tirò a loro. Quel bacio a tre sembrò una cosa incredibilmente giusta. Nessuno dei tre sarebbe tornato indietro quella notte.
 
 
«Ciao, Momo! Ma che sorpresa, e Toshiro non c’è?»
Era piuttosto strano che Momo si fosse presentata a casa sua a quell’ora, perdipiù senza Toshiro. L’amica sembrava molto preoccupata e Rangiku aveva già teorizzato le peggiori catastrofi.
«No, sono venuta qui da sola. Ecco, volevo parlare con te in privato» Momo si sedette sul morbido divano, accavallando le gambe. Era rimasta comunque una donna elegante.
«Va bene. Vuoi qualcosa da bere? Ho roba forte» bisbigliò Rangiku. Momo arrossì e poi sorrise.
«Ecco… in realtà io non posso bere.»
Rangiku rimase a fissarla per qualche attimo. Ma certo, che sciocca che era stata! Lo sguardo diverso, la pelle luminosa, quell’aria raggiante. Non potevano esserci dubbi.
«Oh, mio Dio. No, non è possibile. Tu sei incinta? Aaaaw, POTREI PIANGERE!»
L’abbracciò e Momo si mise a ridere.
«Toshiro non lo sa ancora, vero?» domandò. Ora voleva sapere tutti i dettagli. «Quando lo hai scoperto?»
«La settimana scorsa. Non era previsto in realtà, spero che Toshiro la prenda bene» ammise Momo, anche se in realtà non era lui a preoccuparla, quanto suo figlio Hayato: le cose erano già abbastanza complicate.
«Ma figurati, sarà felicissimo. Il mio piccolo Toshi diventa padre, mi sento vecchia. Ho bisogno di un drink.»
Dicendo ciò si alzò, prendendo una bottiglia dall’armadietto degli alcolici.
«Non è tanto per Toshiro che sono preoccupata, quanto per Hayato. Ho paura che la prenderà male.»
Rangiku si versò da bere e poi tornò a guardarla.
«La gelosia tra fratelli è normale, inoltre Hayato ha tredici anni, un’età difficile. Ma lui capirà, è un ragazzo intelligente. Piuttosto, voglio assolutamente organizzare un baby-shower per te! Quando aspettavo Rin l’ho fatto, ma non preoccuparti, niente di sfarzoso, una cinquantina di invitati basteranno.»
Momo rise all’entusiasmo dell’amica. Sperava che avesse ragione, che Hayato avrebbe capito, l’ultima cosa che voleva era dargli un dispiacere con quella bella notizia.
 
Gin se ne stava invece nel suo studio quella sera, aveva del lavoro arretrato da completare. Loly bussò alla sua porta e quando gridò avanti, la ragazza entrò con in mano un vassoio.
«Il suo tè, signor Ichimaru.»
«Ah, grazie. Mi servirà, temo che sarà una notte lunga per me.»
Loly posò il vassoio e poi rimase lì a fissarlo. Sguardo che Gin avvertì.
«Amh… puoi andare adesso, si sta facendo tardi.»
Loly però non si mosse. Aveva lo sguardo affilato e malizioso e non sembrava intenzionata ad andarsene molto presto.
«Lei mi piace, signor Ichimaru. Gin»
Gin rimase immobile, era abbastanza bravo da non mostrarsi sorpreso, anche se in realtà sorpreso lo era eccome. Non si aspettava che quella ragazzina arrivasse a dichiararsi in modo così diretto.
«Oh, eh… Loly, ti prego, questo rende la situazione imbarazzante.»
Non gli era mai capitato di trovarsi in una situazione così imbarazzante e strana. Ed era anche delicata, perché quella ragazza lavorava per lui, per la sua famiglia. Loly però non si fece intimidire e con su un’espressione da donna molto più adulta della sua età, si avvicinò.
«Ma signore, io non le ho mica detto che dobbiamo essere una coppia e sposarci. Anche se sarebbe bello, no?»
La sua mano si mosse e Gin la fermò prontamente. Avrebbe troncato sul nascere quella cosa, qualsiasi cosa fosse.
«Loly, basta così. Non intendo stare a questo gioco, io sono sposato e anche se fosse non mi metterei a flirtare con una ragazza che lavora per me» disse, all’improvviso più serio e autoritario. Quel modo di fare però non fece altro che stuzzicare ulteriormente Loly, la quale si fece avanti.
«Non faccia il difficile»
Sfiorò le labbra con le sue e Gin sgranò gli occhi, per poi allontanarla da sé, non troppo forte per evitare di farle male.
«Forse non mi sono spiegato. Tu non puoi fare questo, e io non voglio. Dovresti trovarti qualcuno della tua età, signorina. E che non sia impegnato.»
Gin aveva sempre un sorriso sornione e divertito, ma non questa volta. Questa volta era serio e le sue iridi azzurro ghiaccio ben visibili. Loly perse ben presto la voglia di scherzare e si sentì arrossire di vergogna: nessuno l’aveva mai rifiutata, nemmeno ragazzi impegnati che aveva sedotto abilmente. Ma lui sì e questo la fece sentire umiliata nel profondo.
«Ah, è così? Bene, vedrai quello che ti succederà adesso. Me ne vado» dichiarò, dandogli le spalle. Gin si risedette, sospirando. Come avrebbe potuto spiegare a sua moglie che avevano perso la domestica perché quest’ultima aveva provato a baciarla?
Sentì delle porte sbattere e poi sentì dei passi. Rangiku si affacciò al suo ufficio.
«Gin, tesoro, ma cos’è successo?»
   
 
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