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Autore: Milly_Sunshine    31/01/2023    1 recensioni
Una serie di one-shot slegate le une dalle altre, per personaggi, tematiche e forma, accomunate dal fatto che la voce narrante senta di vivere una vita che non le appartiene.
24/7 = TORTA AL CAFFÈ: a una festa a sorpresa organizzata in occasione di un compleanno, gli amici della festeggiata vogliono dimostrarle quanto la conoscano bene, fallendo miseramente.
SONO UN SOGNATORE: un uomo che vive una vita che non sente sua ha un momento di evasione con una donna conosciuta in discoteca, con la quale può finalmente recitare la parte di chi vorrebbe essere, o mentire ancora di più di quanto non faccia nella vita quotidiana.
LA PUNTA DELL'ICEBERG: una donna adulta che soffre di autolesionismo e disturbi alimentari, disillusa dalla mancanza di supporto, in quanto adulta, da adolescenti nella sua stessa situazione, si rassegna ai propri problemi imparando a conviverci.
NON ERA COLPA SUA: una ragazza incontra quello che sta per diventare il suo ex fidanzato, con l'intento di spiegargli le ragioni interiori per cui lo sta lasciando, consapevole che sarà difficile farsi capire.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NON ERA COLPA SUA

Nel parco faceva caldo, nonostante l'ombra dei grandi alberi.
Gli uccelli cantavano, come avevano consuetudine di fare fin dalle prime ore del mattino.
Nell'atmosfera calda del parco, ci guardavamo negli occhi ed ero certa che vedesse nei miei lo stesso vuoto che io vedevo in quelli di lui.
Stavamo in silenzio. Era la nostra routine, capitava ogni volta e, come ogni volta, speravo che si decidesse a dirmi quello che pensava.
Non lo fece.
Non lo faceva mai.
Nemmeno io lo facevo, cercavo di resistere e cercavo di farlo da mesi. Avevo già deluso me stessa abbastanza per potermi permettere di deludere anche lui.
Erano quelli i pensieri che mi trattenevano ogni volta, era che non sapevo come sarebbe andata a finire, se fossi riuscita a togliermi quella maschera che fino a quel momento mi aveva protetta da ulteriori delusioni ma mi aveva condannata all'infelicità.
Ruppi il silenzio e lo feci in modo diretto, senza giri di parole.
"Non sono sicura che abbia più molto senso continuare a stare insieme."
Mi guardò con aria stralunata per un attimo, poi osservò: "Un po' lo sospettavo."
"Ah, sì?"
"Ultimamente facevi tanti discorsi strani. Ho capito che era un modo per dirmi che non mi amavi più come una volta."
Non lo amavo più come una volta.
Sì, forse era così.
O forse non avevo idea di che cosa fosse l'amore e non lo cercavo nemmeno.
"Perché non mi hai detto niente?" gli domandai. "Avresti potuto chiedermi spiegazioni, se pensavi che fosse cambiato qualcosa."
"Beh, ora mi stai dando spiegazioni" ribatté. "O forse me ne darai. Cos'ho fatto?"
"Niente."
"Non è vero. È colpa di quella stronza che lavora con me, vero? Sei convinta che mi piaccia, ma..."
Lo interruppi: "Non mi ricordo nemmeno chi lavora con te. Non mi parli mai del tuo lavoro."
"Nemmeno tu mi parli del tuo" replicò.
Aveva ragione.
Non gli parlavo del mio lavoro, non gli parlavo delle mie aspirazioni, non gli parlavo delle mie sensazioni... non gli parlavo di nulla e lui faceva lo stesso. Era così da molto tempo. Forse era sempre stato così.
Ci vedevamo.
Andavamo a passeggiare al parco.
Andavamo insieme al pub.
Ogni tanto condividevamo lo stesso letto.
Ogni tanto gli diceva che gli sarebbe piaciuto conoscere i miei genitori, ma si era sempre tenuto lontano da casa loro.
Diceva che un giorno mi avrebbe presentato la sua famiglia, ma non ne sapevo nemmeno la composizione.
Eravamo due estranei che fingevano di amarsi e lo eravamo sempre stati.
A lui bastava.
Anche a me sarebbe bastato, se fossi riuscita a non sentirmi sempre più a disagio giorno dopo giorno, tanto da decidere di mettere una pietra sopra alla nostra relazione.
"Non parliamo" confermai. "Non pensi che ci sia qualcosa che non va?"
"Evidentemente sono io che ho qualcosa che non va" rispose lui, piccato. "Non sono io che ho deciso di lasciarti. A me, a quanto pare, è sempre andato bene. Anche a te andava bene una volta. Non avevi mai avuto un uomo prima di me e dicevi che volevi che fossi il primo e l'ultimo."
"Ti ricordo che potresti ancora essere l'ultimo."
Ci guardammo negli occhi.
A quel punto scoppiò a ridere.
"Non dire cazzate. So che mi stai lasciando perché ti sei innamorata di un altro. Non avresti altri motivi per volerla chiudere qui."
In quel momento mi sentii più leggera.
"Invece di motivi ne ho tanti" puntualizzai. "Il fatto di non essere felice, per esempio. Il fatto di sentirmi a disagio quando sono con te. Il fatto di stare insieme a te solo per abitudine. Ora, però, me ne hai appena sbattuto in faccia un altro: non ha senso, per me, frequentare uno che non concepisce nemmeno l'idea che io possa esistere anche da sola."
Furono le ultime parole che pronunciammo quel giorno e forse furono le più significative, tra quelle che ebbi mai occasione di rivolgergli.
Purtroppo non erano destinate ad andare a segno. A parte la totale assenza di empatia nei miei confronti, il mio ormai ex fidanzato non aveva proprio nulla che non andava, ma era destinato a vivere con quella certezza. La mia serenità e la mia chance di non sprofondare di nuovo all'interno di un vortice di infelicità era il nulla, per lui. Si sarebbe sentito molto più a posto sapendo che l'avevo lasciato per un partner più affascinante o più ricco, piuttosto che per una ragione che non avrebbe mai potuto comprendere.
Non era colpa sua.
Però non era nemmeno colpa mia.

   
 
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