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Autore: blackjessamine    01/02/2023    8 recensioni
È una verità universalmente riconosciuta che i maghi non sappiano nulla di leggi economiche. Tuttavia, Gilderoy Allock una cosa la sa: in un mercato stagnante e chiuso come quello dell'editoria magica non c'è posto per due regine.
Per questo Queenie Royal, la misteriosa autrice capace di fare impazzire ogni strega con i suoi libri d'amore, rappresenta una minaccia pericolosissima per chiunque voglia indossare una corona d'inchiostro.
Una minaccia resa ancor più pericolosa dal suo essere invisibile, dal momento che nessuno, nemmeno gli editori più scaltri, sembrano aver mai posato lo sguardo su questa gallina dalle uova lilla.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Rita Skeeter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nodi 




 

“È… morto?”
Gilderoy, ancora nascosto dietro le spalle di Kingsley, non aveva il coraggio di affacciarsi sul corridoio, temendo di vedere il corpo rigido e senza vita di Septimus lungo e disteso sul suo parquet lucido. 

Kingsley non rispose, accendendo le luci con un gesto preciso della bacchetta e avanzando con passo misurato, senza mai abbassare la guardia. 

“Kingsley, lo hai ammazzato?”
Gilderoy avrebbe voluto cancellare quel tono stridulo e vagamente isterico che sentiva risuonare in fondo alla sua voce, ma non ci poteva fare niente: Septimus – perché di Septimus si doveva trattare, era l’unico in grado di attraversare le difese della sua casa – era la persona più vicina a un amico che lui avesse mai incontrato. Non poteva nemmeno immaginare che cosa dovesse significare vederlo ucciso da… da Kingsley. 

“Ti sembro uno che ammazza prima ancora di vedere in faccia il nemico?”
Gilderoy avrebbe voluto ribattere che Septimus non era un nemico, e qualsiasi cosa Kingsley gli avesse fatto, era comunque troppo, ma rimase in silenzio. 

“L’hai Schiantato?”

Anche questa prospettiva era piuttosto preoccupante: Septimus era un uomo di lettere, non era fatto per prendersi uno Schiantesimo in pieno petto di lunedì mattina. 

“Non ammazzo e non Schianto a bruciapelo, se non è necessario. Sono un Auror, non un macellaio, e i ladri d'appartamento preferisco immobilizzarli prima di arrestarli".

Quando giunsero in salotto, trovarono una visione piuttosto singolare: Septimus Thesaurus, completo spiegazzato ed espressione furente, se ne stava  immobilizzato a metà di uno dei suoi lunghi passi di chi non ha abbastanza tempo per fermarsi a camminare con calma.

Persino i suoi capelli scuri, quelli che Gilderoy non era mai riuscito a convincerlo ad accorciare, erano fermi immobili a mezz'aria, congelati a metà di un rapido svolazzo.

Solo i suoi piccoli occhi scuri sembravano aver conservato un vago lampo di vita, e pur non potendo sbattere le palpebre né cambiare espressione sembravano spargere tutto attorno scintille piene di indignazione.

Gilderoy lanciò uno sguardo terrificato a Septimus, per poi rischiare di strozzarzi con la sua stessa lingua quando, voltandosi verso Kingsley, si rese conto che l'Auror aveva la bacchetta puntata al petto del suo editore.

"Per l'amor di Tosca, liberalo! Lascialo andare!"

Senza staccare gli occhi da Septimus – neanche si trattasse di un criminale pericoloso – Kingsley aggrottò le sopracciglia. 

“Vuoi che lo liberi? Sei sicuro?”
“Ma certo che sono sicuro! È il mio editore!”
Con un gesto rassegnato, Kingsley scosse appena il polso, senza però abbassare la bacchetta.

In quel momento, diverse voci presero a sovrapporsi l’una all’altra.

“Gilderoy, ma che diamine! Ti pare il modo?”
“Kingsley, non puoi immobilizzare i miei ospiti!
“Tu mi avevi detto che io ero l’unico a poter entrare qui!”
“Non sarai geloso?”
“Chi diamine è questo pazzo armato?”
“Gilderoy?”
“Gilderoy!”
“Silenzio!”
Quell’ultima parola, esclamata da Kingsley, funzionò come un Silencio. Kingsley non aveva gridato, ma la definitività del suo tono era stata sufficiente per zittire la confusione che regnava nella sala.

Gilderoy e Septimus si ritrovarono a osservare Kingsley, come aspettandosi le istruzioni necessarie per sbrogliare la situazione. Era come se Kingsley fosse in grado di spargere attorno a sé un'aura sottile ma solidissima di potenza. Ed era come se Gilderoy vedesse per la prima volta che cosa significasse per lui essere un Auror, avere il controllo della situazione ed essere in grado di cambiare completamente la temperatura di un luogo.

"Questa persona è davvero il tuo editore?"

"Certo che è il mio editore!"

Kingsley abbassò appena le spalle, ma non la bacchetta.

"E davvero ha il permesso di entrare qui quando vuole?"

Gilderoy si rese conto con un pizzico di malessere – senso di colpa, forse? – che effettivamente, nonostante il ruolo importante che la sicurezza della sua abitazione aveva avuto nella nascita della loro relazione, si era sempre scordato di menzionare la libertà di accesso a casa di Septimus.

Forse perché sapeva che Septimus non avrebbe approvato minimamente Kingsley, e Gilderoy non voleva pensare a quell'aspetto di Septimus, quando si trovava con Kingsley.

"Sì, di solito lui può entrare qui quando vuole. Mi dispiace non avertelo detto".

La bacchetta di Kingsley si abbassò definitivamente, e l'Auror si rivolse con aria seria a Septimus:

"In tal caso, le porgo le mie scuse. Ho agito in modo impulsivo, ma le assicuro che il mio intento era soltanto quello di proteggere la privacy di Gilderoy".

Septimus sbatté un paio di volte le palpebre, mormorando uno spaesato ma certo, ma certo, capisco, poi qualcosa dovette scattare nella sua testa, perché si voltò verso Gilderoy e lo inchiodò con il suo sguardo più penetrante.

"Gilderoy, chi è quest'uomo?"

Per un attimo, Gilderoy pensò di cavarsela nel modo più semplice possibile: fare finta di niente, dedicarsi alle presentazioni formali e sperare che nessuno dei due uomini che avevano invaso il suo salotto facesse altre domande.

Sapeva che non avrebbe mai funzionato, ma ci provò comunque.

"Che maleducato, non vi ho neanche presentati. Lui è Kingsley. Kingsley, questo è Septimus Thesaurus, il mio editore".

Kingsley, apparentemente incurante del fatto che fosse del tutto inappropriato trovarsi a conoscere un perfetto sconosciuto in casa d'altri alle sei del mattino, indossando solo i pantaloni di un vecchio pigiama e tutta la notevole gloria dei suoi pettorali nudi, stese gentilmente una mano.

Thesaurus la strinse appena, mano molle e sguardo che vagava ovunque pur di non soffermarsi su Kingsley.

Sfortunatamente, quello sguardo decise di fermarsi proprio sulla vestaglia che Gilderoy aveva infilato in tutta fretta. Così tanta fretta da rendere fin troppo evidente che non ci fosse alcun pigiama di seta, al di sotto.

Non serviva di certo un Auror per capire che cosa significasse tutta quella scarsità di indumenti a un'ora simile del mattino.

"Mi vuoi spiegare perché Kingsley è qui… così?"

Gilderoy non avrebbe mai pensato che sarebbe stato così difficile.

Septimus sapeva, aveva sempre saputo. Era l'unico a sapere. Ma non l'aveva mai visto davvero in compagnia di un uomo, e parlare di uomini astratti, figure prive di volto di cui Gilderoy era in grado di dimenticarsi la mattina dopo averli incontrati era un conto, parlare di Kingsley era tutta un'altra cosa.

"Lo sai benissimo, perché", si ritrovò a mormorare Gilderoy odiando il proprio sguardo basso, odiando il calore che gli bruciava le gote e detestando soprattutto quel vago senso di colpa che gli faceva sentire sbagliata non la vergogna che provava davanti a Septimus, ma il fatto stesso di essere lì mezzo nudo accanto a un Kingsley altrettanto poco vestito.

Kingsley, che lo stava fissando con uno sguardo così penetrante che Gilderoy non aveva il coraggio di incontrare neanche i suoi occhi.

"No che non lo so. Non lo so, perché mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro sulla tua situazione in questo momento. E non lo so perché tu mi avevi promesso che non avresti continuato qualsiasi cosa stessi facendo con questo Kingsley o chiunque fosse il fortunato di quella domenica".

Gilderoy avrebbe voluto sprofondare nella folta morbidezza del suo tappeto, ma si limitò a fare una precisazione che, per qualche motivo, gli sembrava fondamentale:

"Era Kingsley anche quella domenica. Non c'è mai stato nessun altro!"

Septimus rise. Rise con la risata gelida che solitamente riserva ad un avversario che sul lavoro faceva una sciocchezza.

"Non mi pare che questo migliori la tua posizione, visto che mi hai sempre promesso che non avresti mai dato importanza agli uomini con cui non riuscivi a evitare di andare a letto".

Gilderoy alzò lo sguardo, ferito.

Non se la meritava, quella freddezza. Non si meritava quella cattiveria. Perché sì, aveva promesso e non aveva nemmeno cercato di mantenere la promessa, ma non aveva fatto niente di male. Era stato discreto, aveva fatto in modo che nessuno potesse sospettare dell'esistenza di Kingsley, aveva persino litigato con Kingsley a causa del suo riserbo, ma questo a Septimus non bastava.

Stava per aprire la bocca per cercare di aggrapparsi a una scusa qualsiasi quando Kingsley, le spalle leggermente voltate verso Septimus, lo precedette:

"Perché mai il tuo editore pensa di avere qualche diritto di pretendere una promessa del genere?"

Gilderoy si ritrovò trafitto dallo sguardo ardente di Kingsley. Non guardare negli occhi Septimus era stato facile, ma con Kingsley era tutta un'altra cosa. Non era mai stato in grado di resistere a quello sguardo, mai, nemmeno quando sostenerlo significava farsi trapassare da parte a parte e sentirsi nudo come non lo era mai stato, davanti a lui.

"Perché, Kingsley, io non sono solo l'editore di Gilderoy. Sono un suo amico, e il mio compito è fare in modo che la sua carriera non venga compromessa".

Kingsley non si degnò neanche di guardare Septimus.

"Gilderoy, che cosa significa che hai promesso al tuo editore di non continuare tutto questo?"

Gilderoy avrebbe voluto rispondere che non lo aveva promesso. Perché di fatto aveva promesso, ma poi aveva nascosto quella promessa in un angolo lontano della sua mente, schermandosi da conseguenze e riflessioni, e aveva continuato a comportarsi come se quella promessa non fosse mai esistita. Con sensi di colpa e fitte dolorose a sorprenderlo nei momenti in cui era più felice insieme a Kingsley, aveva continuato a uscirci insieme, a rendere più solido il loro rapporto e a tapparsi le orecchie ogni volta che la voce di Septimus gli sussurrava all'orecchio che più quel gioco fosse continuato, più doloroso sarebbe stato interromperlo.

"I muscoli ti hanno risucchiato il cervello, per caso? Me l'ha promesso perché la tua esistenza nella sua vita non è compatibile con la sua carriera, e la sua carriera viene prima di una… di una scappatella".

Gilderoy trasalì, e di nuovo avrebbe voluto intervenire, mettere in chiaro che le scappatelle erano un'altra cosa, ma non trovò la forza di farlo, continuando ad arrossire – o forse a impallidire, o a fare entrambe le cose contemporaneamente, se mai una situazione del genere fosse possibile – sotto lo sguardo ora decisamente ferito di Kingsley.

"Non sto parlando con lei. Gilderoy, dì qualcosa, per favore".

Nessuna inflessione implorante nella voce di Kingsley, solo un mormorio di granito.

"Io… be', tu sei stato… sei… era inaspettato che tu… non credevo, ma insomma, di solito non… lo sai che non posso permettermi di farmi vedere con te".

Per aver costruito una carriera sulla sua capacità di infilare belle parole una dietro l'altra, Gilderoy stava facendo una ben misera figura con quel balbettìo incapace di dare forma ai suoi pensieri.

"Oh, per l'amor del cielo, Gilderoy! Non gli devi una spiegazione! Se non capisce l'importanza della tua carriera, non sta a te spiegargliela! Ma ti rendi conto che stai lavorando con Rita Skeeter e sei così scemo da portarti questo Kingsley a casa tua! Non hai neanche la decenza di nasconderti in un albergo babbano!"

Gilderoy rimase interdetto: non aveva mai visto Septimus perdere il controllo in questo modo, e il disprezzo intriso in ogni sua parola bruciava come sale su una ferita aperta. Gilderoy sentì gli occhi riempirsi di lacrime, e nella vergogna del momento non potè fare a meno di cercare lo sguardo di Kingsley e implorarlo silenziosamente di essere fino in fondo l'Auror dall'armatura dorata che già una volta si era mosso in sua difesa, proteggendolo senza chiedere il permesso. Implorandolo di essere l'uomo gentile che gli era sempre stato accanto, pregandolo di prenderlo per mano e Smaterializzarsi lontano da lì, ovunque, in silenzio, senza domande, senza urla.

"Lavori con Rita Skeeter? Gilderoy, per tutti i Gargoyle, vuoi dire qualcosa?"

Septimus, però, non sembrava più disposto a restare in silenzio.

"Lavora con la Skeeter, sì, e Gilderoy, lei lo sa che ti vedi con qualcuno. Il piano di copertura deve scattare ora, quindi adesso fai quello che devi per far sparire il tuo amico qui, ché questa sera ti ho organizzato un appuntamento con una cugina di Ottilie, e se siamo fortunati domani le vostre foto finiranno in prima pagina!".

La cugina di Ottilie non era Queenie Royal, ma Gilderoy non poteva pensare anche a quella maledetta scrittrice, non quando la sua testa era così piena di rumore bianco e di terrore.

Perché il dolore sul viso di Kingsley era così palese che per un attimo ebbe la certezza che niente di quello che avrebbe potuto dire sarebbe mai stato abbastanza per cancellare quell'espressione addolorata.

"Hai un appuntamento? Con una donna?"

"Non ho nessun appuntamento!"

"Sì che ce l'hai, smettila di fare il bambino, Gilderoy! Sei sempre stato d'accordo anche tu di dare in pasto ai giornalisti una bella storia d'amore eterosessuale!"

A Gilderoy tremavano le mani mentre cercava di afferrare quella di Kingsley. Di trattenerlo, anche se lui sembrava non avere intenzione di andare da nessuna parte.

"Gilderoy…"

"Oh, insomma! Gilderoy, vuoi rimettere la testa a posto e smettere di mandare a quel paese la tua carriera?"

Septimus doveva aver alzato la voce una volta di troppo, perché per la prima volta da quando quella discussione impossibile era cominciata, l'Auror tornò a guardare Septimus. E lo fece con la bacchetta sfoderata, e tutta la letale calma di cui era capace.

"Ora lei starà zitto. Fermo qui, immobile. Questa conversazione in questo momento non la riguarda, e se ci interrompe ancora una volta, le giuro che la farò pentire della sua maleducazione".

Septimus dovette avvertire che le parole di Kingsley erano tutt'altro che un bluff, perché improvvisamente tacque, pallido e confuso.

Gilderoy si sentì poi prendere per mano e trascinare di nuovo in camera da letto, la porta che sbatteva con un colpo secco a chiudere definitivamente fuori Septimus.

 

Sedette sul letto, cercando invano tracce ormai scomparse del calore che fino a poco tempo prima aveva animato le sue lenzuola.

"Gilderoy".

La voce di Kingsley ora era calma. Controllata, vibrante, ma priva di qualsiasi accenno di rabbia.

"Mi vuoi parlare, per favore?"

Gilderoy fece un lungo respiro tremante, cercando di ritrovare l'equilibrio, e provò a parlare.

"Sai che io non posso farmi vedere sui giornali accanto a te. Non posso, è troppo rischioso. Te l'ho sempre detto".

Kingsley annuì piano.

"Non ho mai preteso il contrario"

Ma abbiamo già litigato per questo.

Gilderoy non lo disse, deciso a non far peggiorare ancor di più la situazione.

"E allora che cosa ti aspettavi?"

"Che cosa ti aspettavi tu? Ti aspettavi davvero che io mi accontentassi delle briciole della tua bella storia d'amore eterosessuale?"

No, naturalmente Gilderoy non se l'era mai aspettato.

"Non è così semplice".

"No? Gilderoy! Io non posso essere l'ombra delle tue bugie, te ne rendi conto? Sei davvero sempre stato d'accordo con questo piano folle?"

No, avrebbe voluto urlare Gilderoy. Ma sarebbe stata l'ennesima bugia, e non era certo di saper puntellare anche quella torre del precario castello di carta che sentiva sarebbe presto caduto.

"Sì. Ma è stato prima di incontrarti, te lo giuro! So che sembra una scusa, ma prima… non ho mai avuto nessuno. Non davvero, e allora… una relazione finta… una spinta per la mia carriera… non sembrava così male".

Kingsley si passò le mani sul viso, si massaggiò la fronte, sospirò.

Sembrava improvvisamente molto più vecchio della sua età.

"Io… non credo di poterci stare. Non voglio essere l'amante di nessuno, nemmeno di una persona che ha una relazione finta. Lo sai, vero?"

Gilderoy annuì lentamente.

Faceva male, sì, ma era un dolore così diffuso da lasciarlo per un istante completamente anestetizzato. Incapace di sentire molto di più che un grande vuoto.

"È finita, quindi?"

Kingsley si arrestò all'improvviso, le mani ancora sul viso.

"Finita?"

"Mi stai lasciando?"

In un attimo, Kingsley fu di fronte a Gilderoy. Così vicino che i loro piedi nudi di sfioravano, e Gilderoy avrebbe solo voluto allungare le dita ad accarezzarlo.

"Io… credo che tu abbia bisogno di riflettere. Il tuo editore… so che gli sei legato, ma io credo che stia facendo quello che è meglio per lui, non per te".

Gilderoy era pronto a sentirsi dire molte cose dolorose, ma non quella. 

Sorpreso, raddrizzò la schiena.

"Ma noi siamo una squadra. Quello che è meglio per lui è meglio anche per la mia carriera".

Kingsley chinò la testa di lato, pensieroso.

"Io li ho letti, i tuoi libri. Sei un bravo scrittore. Sei davvero un bravo scrittore. Sei sicuro di aver bisogno di…  tutto questo?"

Un gesto verso la porta chiusa, verso Septimus, verso i giornali scandalistici, verso tutto il mondo di Gilderoy.

Un sospiro, e poi le mani di Kingsley si posarono sul viso di Gilderoy in un gesto che conservava una tenerezza in cui lui aveva smesso di sperare.

"Lo so che è una strada difficile. E forse non ho il diritto di chiederti di affrontarla insieme a me, ma… possiamo fare ancora qualche passo insieme?"

Kingsley era stato criptico, ma Gilderoy sospettava di aver capito.

"Non incontrerò la cugina di Ottilie, né sua sorella, o la sua amica".

Kingsley sorrise appena. Un sorriso minuscolo, pieno di tristezza, ma pur sempre un sorriso.

"Torno sabato. Per l'ora di cena. Ti va comunque di tenerti libero?"

Gilderoy annuì, sperando di non sembrare troppo entusiasta.

"Mi hai promesso una doccia, e lo sai che non so resistere a saponi e profumi…"

Forse era troppo presto per quel tipo di battute, ma il sorriso sulle labbra di Kingsley si allargò appena.

"Bene. Una doccia alla volta. Un passo alla volta. Tieni il tuo editore al suo posto. Vedrai che il modo di far quadrare tutto lo troviamo. Non oggi, non sabato, ma poco alla volta…"

Gilderoy annuì piano.

Sentì le labbra di Kingsley posarsi sulla sua fronte, e lo schiocco della sua Smaterializzazione lo colse di sorpresa.

 

***

 

Gilderoy apeva che Septimus aspettava in salotto. 

Sapeva di dover fare in fretta per tornare da lui, per scoprire perché si fosse presentato a casa sua così presto.

Ma non si affrettò: si vestì con calma e con cura, si lavò il viso e i denti, si spazzolò i capelli,  e solo dopo si decise a tornare da lui.

Septimus sembrava essere rimasto esattamente nella posizione in cui lo avevano lasciato, le braccia incrociate e un cipiglio assorto sul viso.

"Mr. Muscolo se n'è andato?"

Lo chiese in tono casuale, come se fosse ormai concentrato su altro. Come se  non avesse appena cercato di distruggere una relazione.

"È andato al lavoro, sì".

E tornerà, si ritrovò a pensare Gilderoy con un piccolo moto di ribellione interna. Una ribellione che lo fece sentire ardito, al punto che aggiunse, con aria di sfida:

"Non ho intenzione di uscire con la cugina di Ottilie".

"Bene".

Una sola parola, nessuna emozione.

"Bene?"

"Sì, buon per te. È una cara ragazza, ma le puzza terribilmente l'alito".

Gilderoy era interdetto: sembrava che a Septimus non importasse niente della cugina di Ottilie, nonostante per colpa sua avesse cercato di distruggere la relazione di Kingsley e Gilderoy.

"Comunque", aggiunse Septimus, come riscuotendosi, "sono contento di vederti vestito. Dobbiamo andare da Rita".

Un sorriso immenso era comparso sul viso dell'editore, accennandogli finalmente lo sguardo di vero entusiasmo.

"Dobbiamo andare… dalla Skeeter?"

Le mani di Septimus calarono sulle spalle di Gilderoy, scuotendolo appena.

"L'ha trovata, Gilderoy!"

"Cosa?"

Neanche la lentezza di comprendonio di Gilderoy sembrò sufficiente a spegnere l'entusiasmo di Septimus.

"Queenie Royal! Rita Skeeter ha trovato Queenie Royal!"

 

   
 
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