Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Puffardella    16/02/2023    0 recensioni
Roma, una delle città più belle del mondo. Roma Caput Mundi, città artistica e storica, che si affaccia sul mare e dove splende quasi sempre il sole. Ma Roma non è solo questo. Roma è anche la città delle borgate, nelle quali povertà e delinquenza hanno sempre camminato a braccetto. È in questo contesto che si muove il protagonista di questa storia: Fabio. Costretto fin da adolescente a prendersi cura di se stesso e di sua madre, Fabio non vede altre soluzioni che quella di delinquere. Diventerà ospite abitudinario delle carceri romane, ma è proprio qui che la sua vita avrà un’incredibile svolta grazie all’incontro con una persona eccezionale, che si dedicherà a lui come il padre che non ha mai avuto...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La strada per il reintegramento nella società si dimostrò tutta in salita. La cosa più difficile fu trovare un lavoro. Nessuno sembrava disposto a dare fiducia ad un ex rapinatore di banche. Qualsiasi tipo di approccio usassi durante i colloqui, falliva miseramente.
Dopo circa tre mesi di umiliazioni, un vecchio meccanico in una delle periferie appena fuori dalle porte di Roma mi offrì un’opportunità. Arrivai al colloquio in ritardo, e quando me lo fece notare risposi amareggiato che cominciavo a non poterne più di ricevere porte in faccia, e che quindi partivo già prevenuto.
Quello mi squadrò dalla testa ai piedi, poi mi disse, in tono brusco: «Nello spogliatoio troverai una tuta appesa all’attaccapanni. Dovrebbe andarti. Era del tipo che ho licenziato sabato. Fammi vedere di cosa sei capace, e alla fine della giornata ti dirò se puoi presentarti anche domani.»
Non aspettò la fine della giornata per dirmi che ero assunto: lo fece all’ora di pranzo.

Due anni dopo, Marco, il titolare dell’officina, andò in pensione. Mi permise di rilevare la sua attività e di continuare ad usare il capannone e tutte le sue attrezzature in cambio di un affitto simbolico. In gioventù si era fatto dieci anni a Rebibbia, sapeva bene quanto fosse difficile per un ex carcerato inserirsi in maniera onesta nella società. Non si era mai sposato, non aveva figli, nessun parente a cui rendere conto. Mi aveva preso a benvolere, senza che avessi fatto nulla di speciale per meritarmelo.
Avevo quasi trentuno anni, e la vita cominciava a sorridermi. La banca presso la quale avevo aperto il conto mi propose un mutuo vantaggioso per l’acquisto della mia prima casa. Una piccola casa arroccata nel punto più alto di uno dei castelli romani, che offriva una vista mozzafiato sul lago di Genzano. La comunità era discreta, tutti mi conoscevano e mi rispettavano. Ero relativamente sereno. Avevo ottenuto più di quanto avessi mai sperato: svolgere il lavoro che amavo, la facoltà di entrare in una banca e prelevare dei soldi direttamente dallo sportello senza terrorizzare nessuno, amici, stima, una macchina che non tossiva ogni volta che veniva messa in moto…
Ciò nonostante, i fantasmi del passato continuavano a tormentarmi, di tanto in tanto. Pensavo spesso a mia madre, che andavo a trovare almeno una volta al mese e per la quale nutrivo ancora sentimenti contrastanti. E a Geppetto, con la quale mi sentivo ancora in debito.
Ma soprattutto pensavo a Marina. Nonostante avessi tentato con tutto me stesso di dimenticarla, impegnandomi in un paio di relazioni, queste non ebbero lunga vita. Marina era diventata il metro di paragone con il quale giudicavo tutte le altre, e dal quale uscivano regolarmente sconfitte. Nessuna avrebbe mai potuto reggere il suo confronto.
Un anno dopo aver rilevato l’attività di Marco, ricevetti un’inaspettata telefonata al cellulare. Era una fredda mattina di febbraio. Risposi senza badare al numero, oberato com’ero dal lavoro. Riconobbi la sua voce immediatamente, e mi gelai.
«Allora, ragazzino, ce l’hai fatta a stare lontano dai guai?» mi disse Geppetto allegramente.
«Che mi venga un colpo… Geppetto dei miei stivali… Come stai? Sei già uscito dal carcere?»
«Presto, presto… Senti, non ho molto tempo. Lo sai, le telefonate dalle mie parti hanno i minuti contati. Volevo solo ringraziarti.»
«Ringraziarmi? Per cosa?»
«Per avermi ridato mia figlia»
Strinsi forte gli occhi, profondamente scosso da quella rivelazione. Ero così felice che non riuscii a dire nulla, tanto che lui fu costretto a chiedermi se c’ero ancora. Risposi di sì, e sospirai.
«Devo chiederti un ultimo favore.»
«Certo. Tutto quello che vuoi…»
«Bene. Domani esco da questa fogna. Marina voleva venire a prendermi, ma le ho detto di no. Tu conosci già la procedura, lo sai che può essere più lunga del previsto. Non sopporto l’idea di saperla fuori, costretta ad aspettarmi chissà per quanto tempo… Speravo potessi venire tu, piuttosto. Mi piacerebbe rivederti. Abbiamo molte cose di cui parlare, tu ed io.»
Non so perché, ma l’ultima frase la percepii come un rimprovero. Ipotizzai che desiderava vedermi da solo per potermi urlare contro il suo biasimo per come mi ero comportato con la figlia. Del resto me lo meritavo.
«Certo, contaci» dissi. Quando riattaccai lo feci in preda ad uno stato confusionale terribile. Il giorno dopo avrei rivisto il mio vecchio compagno di cella, e non sapevo decidermi se questa cosa mi procurasse più gioia o sconforto.

Il giorno dopo mi alzai presto. Sapevo che avrei potuto aspettare davanti al carcere per ore, ma volevo comunque evitare il traffico intenso del mattino, e arrivai davanti al carcere di Regina Coeli poco dopo l’alba.
La sagoma del penitenziario della Capitale si stagliava come un’ombra minacciosa e dominava con prepotenza tutto lo spazio intorno, prevaricando perfino sul cielo, nascondendolo dietro le sue possenti mura. Solo allora notai quanto fosse deprimente quell’edificio, e quanto ne fossi ancora terrorizzato.
Sapevo di essere stato fortunato ad aver incontrato nella mia strada due uomini straordinari come Geppetto e Marco. Geppetto mi aveva insegnato ad avere fiducia in me stesso, Marco mi aveva dato la possibilità di rifarmi una vita. Era grazie a loro se ora mi trovavo all’esterno del carcere e potevo contemplarlo dal di fuori.
Avevo parcheggiato la BMW poche decine di metri dall’entrata e, nell’attesa che il sole rischiarasse il nuovo giorno, mi appisolai. Mi risvegliai giusto in tempo per accorgermi che davanti all’entrata c’era del movimento. Qualcuno stava uscendo. Feci il pieno d’aria, prima di uscire dalla macchina, del tutto ignaro della sorpresa che mi attendeva. Ancora oggi non so trovare le parole per spiegare ciò che provai a trovarmela davanti. Impallidii, il cuore mancò qualche battito, il fiato si fermò nei polmoni.
Marina mi fissava, a sua volta sorpresa. Era bella, bella come ricordavo, come non mi era mai riuscito di dimenticare.
«Ciao…» le dissi, cercando di controllare l’emozione nella voce.
«Ciao…» rispose lei.
«Non sapevo che ti avrei trovata qui, oggi.»
«Nemmeno io.»
«Però ne sono felice…»
Marina mi sorrise. «Anche io…» rispose.
Geppetto non era tra le persone uscite dal carcere, ma non ne rimasi sorpreso. E quando, poco dopo, squillò il cellulare, sapevo già che era lui.
«Quando sei uscito?» gli chiesi senza tanti preamboli.
«La settimana scorsa» rispose divertito. Marina aveva intuito che stessi parlando col padre, e mi guardava con apprensione.
«L’ultima deve essere sempre la tua, vero, Geppetto dei miei stivali?»
«Ovvio. Marina è lì con te?»
La guardai con amore. «Sì» risposi.
«Le vuoi bene?»
«Sì.»
«Bene. Perché anche lei te ne vuole. Perciò ora ti dico qual è il favore di cui ti accennavo ieri…»
«Pensavo fosse quello di venire a prenderti.»
«Macché... Figurati se avevo bisogno della balia che mi venisse a prendere... Il favore che ti chiedo è questo: prenditi cura della mia bambina. Amala, rendila felice come merita. Pensi di poterlo fare?»
Fissai Marina negli occhi, il cuore mi faceva male tanto ero felice.
«Non dipende da me… Non da me soltanto, per lo meno…»
«Ma sì, ma sì, ho già avuto modo di parlare con lei, e so che ti ama. È con te che non ho mai affrontato il discorso. Allora, pensi di poterla amare come merita?»
«Non ho mai smesso di farlo» ammisi, senza mai staccarle gli occhi di dosso.
«Bene. Appena posso ti verrò a trovare di persona. Verrò a trovare tutti e due.»
«Ma dove accidenti sei, ora?»
«In un piccolo paesino della Basilicata. Lo Stato mi ha trovato un posto come bibliotecario, e il parroco del paese mi ha offerto una sistemazione in una delle case che appartengono alla diocesi ad un’unica condizione: quella di dare ripetizioni di italiano a giovani extracomunitari. Così potrò continuare a far fruttare il mio diploma e a rendermi utile in altri modi. E tu? Hai poi fatto fruttare il tuo?»
«Ho aperto un’attività tutta mia. Senza, al giorno d’oggi, non è possibile.»
«Già, immagino. Il mondo è cambiato, in questi anni… Bene, devo andare. Ricordati la promessa che mi hai fatto.»
«Non era un favore?»
«È entrambi le cose.»
«Non ti deluderò…»
«Non ne ho dubbi. A presto asino.»
«A presto, Geppetto.»
Quando attaccai, Marina scosse il capo, rassegnata.
«È già uscito, non è così?» mi chiese.
«Sì.»
«Quindi, ci ha fatti venire qui per farci incontrare.»
«Così sembra.»
Lei esitò a lungo, prima di chiedere ancora: «E ora?»
Io sollevai una mano per farle una carezza, e lei me lo lasciò fare.
«Ora, forse, posso finalmente dare un bel finale alla storia che avevo iniziato a scrivere tre anni fa. Il problema è che questo non è un finale che posso decidere da solo…»
Marina sospirò commossa, annuì convinta e mi rispose: «Proviamo a scriverlo insieme, allora. Ma ad una condizione...»
«Quale?»
«Basta con le menzogne. O con i segreti. Lascia che io ti conosca davvero. Che conosca tutto di te. Dammi la possibilità di amarti senza timori, o dubbi…»
La strinsi forte a me, riconoscente, mentre il mio corpo veniva scosso dai brividi di gioia. Non l’avrei mai più delusa.
Il sole splendeva alto sopra i tetti di Roma, ora. Sorrideva ai signori e ai poveracci, ai quartieri signorili e a quelli malfamati. Riscaldava allo stesso modo il ragazzo che si accingeva ad uscire da scuola con lo zaino sulle spalle, e quello piegato in due a vomitare in un angolo buio di periferia, il laccio emostatico ancora stretto al braccio; deliziava i belli e i brutti, i buoni e i cattivi, senza pregiudizi né parzialità di sorta, offrendo a tutti le stesse opportunità.
Pensai distrattamente che il fato aveva molto in comune con il sole. Allo stesso modo, lui elargiva a tutti la sua benevolenza, presto o tardi. E poi restava a guardare. Perché non è lui che ha il dovere di determinare le nostre vite. Quel dovere appartiene solo a noi. Lui può offrirci un’occasione, ma siamo noi che dobbiamo coglierla, noi gli unici responsabili di noi stessi.
Io mi sentivo un privilegiato. A tutti prima o poi viene concessa un’opportunità, a me ne era stata concessa più di una. Ero stato inghiottito dalla balena, ed ora avevo la facoltà di osservarla dal di fuori. Avevo perso la donna della mia vita, e ora la stringevo di nuovo tra le mie braccia. Mi sentivo felice e completo, e per niente al mondo avrei rinunciato a quella sensazione.
Guardai Marina, lo feci a lungo e intensamente, e poi la ringraziai.
«Per cosa?» mi chiese con un filo di voce.
«Per essere tra tutte l’opportunità più bella…»
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Puffardella