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Autore: DewoftheGalaxy    22/02/2023    3 recensioni
Cleopatra Selene, la figlia superstite di Cleopatra, allevata nella splendente Roma augustea.
Un'altra voce che ritorna prepotente a raccontare la sua storia.
Genere: Generale, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Alessandria d'Egitto - 31 a.C

 

Ti chiami Cleopatra Selene, la luna. Tuoi fratelli sono il gemello Alessandro Elio, di nove anni, il sole, e il piccolo Tolomeo Filadelfo, di cinque, evocante un famoso antenato.

 

Tua madre è Cleopatra VII Filopatore, regina d’Egitto e tuo padre si chiama Marco Antonio, condottiero romano. 

 

Vivete insieme nel gigantesco palazzo d’Alessandria, all’ombra del faro orgoglio dei Tolomei, affacciati sul mare furibondo. Ti piace il mare, il suo profumo salmastro, la brezza che ti scompiglia i capelli. Ma da amico il mare diventa mostro. I tuoi genitori perdono una battaglia sul mare, Azio, cogli il sussurro terrorizzato delle ancelle. Ritirano le loro navi, inseguiti da un tale di nome Ottaviano. Si rifugiano ad Alessandria, sconfitti, abbattuti. 

 

Li senti, dietro le porte istoriate d’oro e d’argento, e la paura si insinua in te. Tu, Elio e Tolomeo vi tappate le orecchie, raggomitolati nell’abbraccio di Cesarione. 

 

Non è tuo fratello Cesarione. Fratellastro. Figlio di Cleopatra e di un altro uomo. Un Cesare. Ma lui vi vuole bene, sorride gagliardo, vi fa ridere, alto e abbronzato nel fiore dei suoi diciassette anni. Governa in parità insieme a tua madre. 

 

Tuo padre cos’è allora? 

 

Un uomo morto, capisci un giorno. 

 

Nel palazzo regna un silenzio surreale e vostra madre vi raduna nella nursery. Manca Cesarione. Ti stai chiedendo dove sarà quando lei appare. Vesti stracciate e capelli scompigliati e occhi arrossati. Ha pianto la mamma. Perché? Cos’è successo?

 

Non dice niente. Cade in ginocchio e vi soffoca in un abbraccio, voi tre premuti contro di lei. 

 

Se sapessi che non la vedrai mai più lotteresti contro il tempo e pretenderesti che quell’abbraccio duri in eterno. Se lo sapessi pregheresti il Dio infernale, Anubi, di trascinarti davanti ai giudici sotterranei con lei. Se lo sapessi faresti tante, tante cose… 

 

Ma non lo sai e lei vi lascia. Le ultime sue parole un sussurro tra le lacrime. 

 

«Vivete.»

 

Pochi giorni dopo i soldati romani vi strappano da casa, dal palazzo, dal mare.

 

Di Cesarione non sai più nulla. 

 

————————

Roma - 29 a.C

 

Scopri però cosa siano l’umiliazione e la beffa e la sofferenza. 

 

Ottaviano sfila a Roma nel suo trionfo. Dietro il suo cocchio dorato e i carri traboccanti di chincaglierie egiziane venite voi tre. Legati a un palo, esposti a oceani di folla fischiante, abbaiante insulti a vostra madre, al suo simulacro di cera che la rappresenta morente, ingarbugliata da pesanti catene d’oro. 

 

Non devi piangere. Lo vorresti, ma non te lo permetti. Tua madre non vorrebbe, affronterebbe il ludibrio a testa alta. 

 

Ha baciato il disgustoso teschio della morte. Si è consegnata alla libertà offerta dal morso di una serpe per non consegnarsi alla schiavitù di Ottaviano. Una morte che echeggerà nella storia. Memorabile. Scenica. 

 

Vostra madre ha scelto l’immortalità e per questo la odi. È un sentimento strano, alieno, odiare la propria madre sarebbe sbagliato. 

 

Ma la rabbia ti opprime, cocente come le lacrime e le oscenità volanti dalle bocche dei cittadini romani. 

 

Ha preferito l’immortalità alla vostra sicurezza. Ha preferito unirsi a vostro padre. 

 

E a voi tre? Alla loro prole? 

 

Catene d’oro zecchino, vergogna, scarti. Scontate le loro colpe. 

 

Siete dei trofei viventi. 

 

———————————

Roma - 27 a.C

 

Non venite torturati, nessun coltello infilza le vostre tenere carni. 

 

Ottaviano vi affida alle cure di sua sorella Ottavia e così conosci i misteriosi fratelli sentiti solo per nome. 

 

Le due Antonie, la Maggiore e la Minore, figlie di Ottavia nate contemporaneamente a voi, quando vostro padre rimbalzava tra il letto di Cleopatra e quello della sorella del suo, allora, alleato. Iullo Antonio, frutto di un precedente matrimonio di Marco Antonio, unico risparmiato tra i suoi consanguinei.

 

Ti prendono in simpatia, tu, la figlia della donna per cui vostro padre li ha abbandonati. Le due Antonie sprizzano di energia e Iullo, pacifico e gentile, non è mai a corto di una parola cortese, di un complimento. 

 

Vivete tutti sotto lo stesso tetto: tu, i tuoi fratelli, le Antonie, Iullo e Marcello con le sue sorelle, Marcella Maggiore e Marcella Minore. Ottavia era incinta di quest’ultima quando ha sposato tuo padre, scopri. È così buona e materna Ottavia, vi coccola, adora il piccolo Tolomeo. Non prova rancore verso di voi, figli della donna per cui vostro padre l'ha ripudiata e cacciata di casa.

 

A Roma non c’è il mare. Provi nostalgia i primi tempi, un gorgo aperto nel cuore. Il vento è pregno dell’aria penetrante del Tevere, di sale neanche una particella.

 

Presto lo ritrovi negli occhi di Giulia. 

 

Abitano vicini, Ottaviano e Ottavia, lui lassù, abbarbicato nel suo sobrio e freddo palazzo sul Palatino. Le risate dei bambini infondono calore nei gelidi marmi. Giulia, Druso e Tiberio scapicollano nel vostro quartiere tanto quanto voi salite a giocare in loro compagnia. 

 

A nascondino tra le foreste di colonne, acchiappandovi negli sprazzi verdi. Druso cappeggia la baraonda, energico, pimpante e burlone. Suo fratello Tiberio lo detesti fin da subito. Schizzinoso e burbero, un caratteraccio scontroso, disdegna i vostri giochi come “idiozie puerili” e si ritira a leggere e studiare negli ariosi porticati. 

 

Giulia… eleggi Giulia a tua migliore amica fin dal primo giorno. 

 

Riccioli d’oro fino, occhi d’azzurro celestiale. Suo padre in miniatura, in sembianze femminee. Vi divertite a truccarvi e badare alle vostre pupae e fingere di essere ricche matrone madri di una miriade di marmocchi. Di nascosto, senza farvi scoprire dal precettore, leggete Catullo e i suoi versi licenziosi, languidi sospiri d’un amore dilaniante. 

 

«Sposerò un uomo che mi darà mille baci e ancora cento.» parafrasa Giulia, sognante. «E tu starai con me!»

 

Ti stringe forte, speranzosa. Vi siete ritagliate un cantuccio ai basamenti di due imponenti pilastri, bambine cicaleggianti. 

 

«Credi che mi sposerò anch’io?» domandi. 

 

«Ovvio! Ma vivremo insieme e i nostri figli saranno amici e dopodiché si sposeranno tra di loro!»

 

Sorridi, rispondendo alla stretta. Ti piace, una prospettiva soddisfacente. Vuoi tanto bene a Giulia, separarti da lei sarebbe orribile. 

 

«Giulia.»

 

Vi rizzate a sedere. Non sarebbe decoroso che lui vi ritrovi inginocchiate a terra. Reclini deferente lo sguardo, Giulia invece gli balza addosso. 

 

«Papà!»

 

Osi solo sbirciare. Il nemico di tua madre, il tuo carceriere ufficioso. Ottaviano fa saltare Giulia in aria, uno spumeggiare di gaie risate. Lei gli si appiglia al collo, affonda nei boccoli d’oro stupefacente replica dei suoi. 

 

«Sei tornato.» 

 

L’abbraccia e il gelo gli gocciola via dall’espressione, evaporato dal sole di Giulia. Ti domandi se Marco Antonio ti abbia mai spupazzato con quest’affetto. Non lo ricordi. Le tue memorie sono frammenti opachi naufraganti in un mare nebbioso. A stento affiora l’addio lacrimoso di tua madre. Le uniche certezze sono il sorriso di Cesarione e l’odore del mare. 

 

Forse no, ti convinci. Forse era troppo impegnato a gestire due mogli alle sponde opposte del Mediterraneo, a sbaragliare popoli e ridicolizzarsi agli occhi dei suoi compatrioti. 

 

«Il Senato mi trattiene.» La bacia sulla fronte, cullandola. «Ma quando rincaso sono tutto tuo mia Piccola Roma.»

 

Piccola Roma. Tu sei mai stata la Piccola Alessandria di Marco Antonio? Ti attanaglia una fitta di gelosia. Giulia dispone di un padre che l’ama. 

 

Tu di un padre cadavere e voltagabbana. 

 

Hai il cuore in gola quando quei pugnali di zaffiro si fissano su di te. Ghiaccio, sono lame affilate di ghiaccio, diverse dall’acqua limpida di Giulia. E, rispettando l’entità del ghiaccio, ti gelano il sangue nelle vene. 

 

«Cleopatra Selene.» ti saluta atono Ottaviano, sciorinando la litania completa. 

 

Cleopatra Selene. Anche se tutti lo accorciano in Selene. Ti ricordano chi sei veramente, la tua provenienza. 

 

La figlia della prostituta, della maga, e del traditore beone. 

 

Il tuo posto sta lì, scolpito in quei due nomi. Non sinonimo d’orgoglio, ma di rimorso e vergogna. 

 

«Augusto.» Chini il capo, il suo nuovo titolo punge la lingua. Degno di venerazione. Gliel’ha conferito il Senato. 

 

Vezzeggia Giulia ancora un attimo prima di andarsene senza averti rivolto altro.

 

Passa poco da quell’incontro e vieni a conoscenza del destino di Cesarione. Alessandro Elio te lo svela, contornato di macabri particolari. 

 

«Ottaviano ha ordinato di eliminarlo.» ti riferisce una sera, in bisbigli segreti nei vostri letti tinti d’argento lunare. «”Non è bello avere troppi Cesari” ho sentito che abbia detto.»

 

Non è bello avere troppi Cesari. 

 

Ridondante nella tua mente, una frase intrisa di veleno. Pensi a Cesarione, al suo sorriso e ti perseguitano incubi orridi, cruenti, vivide visioni. Ti visita Cesarione, il suo corpo ceduto alla morte, gorgogliante in una pozzanghera di sangue, rossi zampilli da devastanti squarci nella sua gola morbida. Cantava ritornelli melodiosi, adesso emana i miasmi della tomba. 

 

Morte, morte… ha preso tua madre, tuo padre, il tuo fratellastro. Devi correrle via, devi fregarla. Sei più furba, devi vivere, mantenere quella promessa. Vivere, vivere, vivere! 

 

Ti affidi al tuo gemello, al piccolo Tolomeo, vi accoccolate e cercate di soffocare i singhiozzi per l’amato Cesarione. 

 

Non è bello avere troppi Cesari. 

 

Stritoli le coperte, prendi a pugni il materasso. 

 

E se non fosse bello anche avere troppe Cleopatre? 

 

———————————

Roma - 26 a.C

 

La morte non rinuncia alla stirpe dei Tolomei. 

 

Il clima di Roma è insalubre, saturo di pestilenze. Augusto stesso, cagionevole, cade spesso ammalato. 

 

Tolomeo Filadelfo soccombe alla febbre per primo, il suo corpicino fiacco accolto nel grembo di fuoco della pira funebre. Ottavia lo piange come un figlio, il resto sono maschere di stucchevole cordoglio. 

 

Alessandro Elio si sbriga a raggiungerlo e una parte di te muore insieme a lui. 

 

«Non dovevi abbandonarmi.» incolpi alle fiamme crudeli. Sminuzzano la sua salma in fiocchi di ceneri, te lo portano via. «Perché l’hai fatto?»

 

Sei rimasta da sola, l’ultimo sangue di Cleopatra, della perfida meretrice. Desta in te un senso di abbandono mai sperimentato prima. Il sole e la luna, voi due, i dorati gemelli, siete sempre, sempre stati insieme. Affiatati e uniti, una coppia. Non si può scindere il sole dalla sua controparte notturna e viceversa. 

 

È accaduto. 

 

La luna ne ha assorbito la luce, l’altro è tramontato e sul suo mondo è scesa una notte perenne. Non ci sono neppure gli astri di Tolomeo. 

 

Perdura poco della linea di Cleopatra, diversamente quella di Marco Antonio. Hai Antonia Maggiore e Antonia Minore e Iullo, l’attraente Iullo. 

 

Ti ritrovi a disquisire con lui una mattina, il sole - non Alessandro, lui ha terminato di sorgere - riverberante sulla superficie piatta dell’impluvium, uno dei tanti del palazzo, la vasca interna raccogliente l’acqua piovana. 

 

«Perché ci tiene in vita?» 

 

Sapete entrambi chi. 

 

Lui sbatte le ciglia nere. Tutti rimarcano la sua somiglianza con Marco Antonio: le spalle possenti, la corporatura robusta. 

 

«Deve ostentare la sua misericordia.» 

 

«Siamo simboli quindi?» 

 

Iullo ti guarda, velato di malinconia. 

 

«Trofei Selene.»

 

Ripiombi a una parata trionfale, anni prima, al morso delle catene d’oro puro. Non te le hanno mai levate. Resistono, invisibili, fantasma, intagliate nel ghiaccio degli occhi di Ottaviano. 

 

Sei un ostaggio, un bottino. 

 

E femmina: una pedina. 

 

In un certo senso ti rassicura: se non fosse bello avere intorno troppe Cleopatre ti avrebbe già tolto dalle scene da un pezzo.

 

———————————

Roma - 25 a.C

 

Ottaviano ti intimorisce, Livia ti terrorizza. 

 

Austera e frigida, Tiberio in gonnella, ma insaporita da sarcasmo e ironia. La Prima Donna dell’Impero governa il palazzo come suo marito governa Roma. Ottavia è dolce, Livia Drusilla la severità personificata. Ti convoca poco dopo le nozze di Giulia con Marcello. Il suo studio, il tablinum, assediato di scaffalature e pergamene. 

 

«Sei da poco diventata donna. Hai idea di cosa questo significhi?»

 

«Che dovrò adempiere al mio dovere.»

 

«Sarebbe?»

 

Stai ritta, le mani in grembo. «Quello che voi reputerete idoneo alla mia condizione. Sposarmi, magari.»

 

Lei arcua le labbra in un sorriso da predatore. «In quanto figlia di Cleopatra la tua mano è ambita e al tempo stesso temuta. Tuo marito avrebbe una pretesa al trono d’Egitto, ma non sopravvive più nessuno talmente sprovveduto da inimicarsi Roma. L’Egitto ci appartiene, proprietà privata di Augusto. E nessuno sfida Augusto.»

 

Tranne gli amanti della morte, i tuoi genitori, danzanti sul filo del suo lugubre ritornello.

 

Lo comprendi: vogliono darti a un fantoccio, una marionetta. Vassallo dell’Impero. 

 

«Mi mariterete con un burattino?» 

 

«Considerati fortunata. Avrai occasione di brillare.»

 

Ti arrovelli, non capendo. «Io?»

 

Il sorriso si allarga. «Tieniti un passo indietro, ma guarda leghe avanti Selene.»

 

Scardinare l’enigma di Livia. Impossibile. Ci pensi e ripensi tutta la notte, la risposta si assenta, lontana.

 

—————————————

Roma - 23 a.C

 

Augusto si ammala, qualcosa di grave, estremamente grave in confronto ai soliti periodi di degenza e febbri. Oscilla in un limbo tra vita e morte, Roma trema al pensiero di perdere la sua guida. 

 

Si riprende, miracolosamente. Roma tira un sospiro di sollievo. La successione è salva. 

 

No.

 

La morte si prende Marcello, il nipote, l’erede designato, il diciannovenne marito di Giulia. Se ne va, rapito dalla stessa malattia. Musa, il sapiente medico imperiale, non riesce a salvarlo, nonostante lo tratti con i medesimi rimedi di bagni caldi e freddi salvifici sull’imperatore. 

 

Ottavia è inconsolabile. Si veste di nero e scoppia disperata alla mera nomina del suo unico maschio. Augusto fa erigere un teatro, consacrato alla memoria di Marcello. Giulia risale all’altare. Stavolta promette obbedienza e fedeltà ad Agrippa, il fedelissimo amico di vecchia data di Augusto. Venticinque anni più della sposa. La rispetta, si premura che ogni suo desiderio sia accontentato. 

 

Subentra nella pozza luminosa dell’erede lasciata sgombra da Marcello. 

 

È in quei giorni che il rivale di tuo padre ti convoca in privato. 

 

Entri nel tablinum in penombra, pietrificandoti. Lui è qui. Sul divano. Il biondo offuscato in questa semioscurità, ostentando il pallore di chi non si è ancora ristabilito appieno dalla degenza.

 

«Selene?»

 

Avanzi annuendo. «Eccomi.»

 

Si sfrega l’indice sulle labbra, titubante sul cominciare, rilasciando un sospiro intenso. «Giuba di Numidia e Mauritania sarà tuo marito.»

 

Giuba. Un re. Meglio delle aspettative che ti eri prefigurata. Sarai una regina, come tua madre. 

 

Hai la gola secca, non sai cosa dire. Non hai mai saputo cosa dire davanti a quest’uomo, realizzi. Nemico di tuo padre, ma ti ha mantenuto in vita. Ti sta nominando regina di un regno, una pezza nell’arazzo dell’Impero. Comunque un regno. Prestigio e ricchezza deriveranno dal titolo. 

 

«Ti ringrazio Augusto.» 

 

Lui si alza, esce a sporgersi sulla balconata. Roma si inchina ai suoi piedi, un’idillio di marmi. Lo segui diligente. Il vento arruffa le vostre ciocche, l’oro raffinato dei Cesari e il corvino inchiostro dei Tolomei. 

 

«Rispettavo tua madre.» afferma, spaziando lo sguardo sull’Urbe, sui tetti di tegole rosse e le insulae perforanti le nubi. «Avevamo ideali opposti, ma la rispettavo. Un’intelligenza prodigiosa come la sua non l’ho rivista in nessuno.»

 

«Io non sono come lei Cesare.» 

 

Frase di circostanza diventata chiave di salvezza. Roma deve sapere che in te non c’è il marchio della libidine, del furore egiziano. Che non sei una traditrice. 

 

«Non ti sto chiedendo di esserlo. Di Cleopatra ne è esistita solo una, la sua leggenda non può venire eguagliata.»

 

Una leggenda pagata con le vostre sferraglianti catene. 

 

Augusto si rigira verso di te, i gomiti piegati sul parapetto. «Numidia e Mauritania sono territori allo sbando, necessitano fermezza. Roma non può continuare a imporre il suo pugno. Il clima ellenico si confà ai loro gusti.» Una pausa, i pugnali di ghiaccio si smussano. «Sono certo che saprai architettare un gran bel lavoro.»

 

“Tieniti un passo indietro, ma guarda leghe avanti.”

 

Indietro nella discrezione della sposa, avanti nella previdenza della regina. 

 

Come tua madre. Come Livia. 

 

Sorridi. Sì, sorridi a Ottaviano Augusto. 

 

«Non ti deluderò princeps

 

E non deluderai tua madre. Sei vissuta, stai vivendo. Vivrai. Incoronata regina, padrona, signora. 

 

Nell’intera tua vita non l’hai mai visto addolcire lo sguardo, non hai mai saputo che anche il signore del mondo si massaggiasse il viso con fare esausto. 

 

«Marcello era troppo giovane, inesperto. Lo so. Poteva imparare, ma se n’è andato. Il suo lascito uno scompiglio nei nostri piani. Tiberio, Giulia, Druso, Antonia, Ottavia, persino Livia… satelliti intorno al pianeta madre. Sapranno gestirsi da soli se questo dovesse cadere?»

 

Sapranno non scannarsi e uccidersi, contendendosi la sua eredità, se lui dovesse morire? 

 

«Esplose una disputa rovinosa sulle spoglie di Cesare.» rievoca Augusto. «Non voglio che si ripeta. Roma non saprebbe affrontare un’altra guerra civile.»

 

Questo non è che un boccone, una goccia, un granello insignificante, paragonato al delirio che avverrà anni dopo. A figlie coinvolte in congiure, nipoti dissoluti, figliastri incolleriti. 

 

Non potete saperlo.

 

Ti impietosisce, il nemico di tuo padre. Esatto, non ci credi neppure tu. Provi compassione per un uomo solo sulla sua montagna di potere. 

 

Siamo foglie in balia del vento della storia. Tu, i tuoi genitori, Ottaviano Augusto, i tuoi fratelli. 

 

Chiunque

 

 


Nota

Yeppp, sono tornata alla ribalta con i miei cari romani Giulio-Claudi (in questo caso Tolomei macedoni-egiziani-ellenici-Antoniani XD). Cleopatra Selene e la prole di Cleopatra sono personaggi che ho sempre trovato interessanti, nonostante i miei membri preferiti degli albori rimangano Augusto e Giulia Maggiore (tralasciando casini ed esili vari sono il miglior duo padre-figlia di Roma🥺❤️Augusto papà stravedente per la sua bambina... ok non devo iniziare i panegirici su di loro😂)

A presto!

 

 

 

 

   
 
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