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Autore: Anonimadelirante    26/02/2023    0 recensioni
Lo faceva sempre, prima – prendersi un giorno libero una volta risolto un caso particolarmente pesante. Certo, era Broadchurch, casi come quelli si contavano sulla punta delle dita, ma ciò non toglieva che era stata una specie di tradizione. [...]
«Ieri mia figlia mi ha chiesto perché non fossi andato al pub a festeggiare con te.»
(Ellie ed Alec all'indomani della chiusura del caso Trisha Winterman. TBW23 @Bellaluna!)
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Alec Hardy, Ellie Miller
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Building new traditions

 

 

 

Lo faceva sempre, prima – prendersi un giorno libero una volta risolto un caso particolarmente pesante. Certo, era Broadchurch, casi come quelli si contavano sulla punta delle dita, ma ciò non toglieva che era stata una specie di tradizione. Svegliarsi tardi e con un leggero mal di testa da sbronza, lasciare che Joe le portasse la colazione a letto e la coccolasse. Aspettare di venir raggiunta da Tom – in seguito, aveva immaginato, anche da Fred quando fosse cresciuto – e passare la mattinata così, sotto le coperte con i suoi figli ed il suo compagno, guardando TV spazzatura, sorbendo a piccoli sorsi una spremuta d’arancia; e poi scendere in cucina e baciare Joe sulle labbra, ringraziarlo piano, mitemente, di essere un uomo così dolce, così comprensivo, un così buon marito, e cucinare con lui il pranzo, fianco a fianco, spalla a spalla – qualcosa di grasso, di fritto magari, che avrebbero mangiato tutti e tre sul divano tentando di indovinare le risposte ai quiz televisivi, soffocando le risate per non svegliare Freddie dal suo pisolino. Era stato bello, crede. Una bella tradizione. Se ci pensa adesso, le viene da vomitare. O magari è il drink di troppo che ha ordinato ieri sera. Più probabile, in effetti. Pensare a Joe non le fa venire voglia di vomitare – ci ha lavorato, davvero davvero a lungo. Tre anni anni. E pensare a lui, adesso, non le fa fare niente. La colma d’un vuoto che la paralizza per decine di migliaia di frazioni di secondo, sì, ma solo perché è mattina presto, e ieri ha bevuto un po’ troppo, ed è stanca e può permettersi di non alzarsi, può permettersi di fissare il soffitto e affondare in quella sensazione di nulla assoluto – perché è stata brava. Davvero brava. Può permettersi un giorno libero, anche se non ci saranno risate e frullati e baci a schiocco. Non ci sarà odore di caffè, se scende in cucina adesso, le viene in mente, e forse è per questo – perché dovrà cercare la caffettiera e riempire la moka e sperare che la miscela non sia finita senza che nessuno si ricordasse di comprarla, e aspettare che il caffè esca, poi, seduta da sola al tavolo, nella penombra della sua cucina vuota – che si permette di provare il niente che prova per Joe per qualche istante di troppo, prima di sbattere le palpebre e alzarsi ed andare a mandare a farsi fottere chiunque pensi che svegliarla alle otto di mattina quando tutta Broadchurch sa che ieri è stata al pub con gli altri agenti sia corretto
«Ieri mia figlia mi ha chiesto perché non fossi andato al pub a festeggiare con te» esordisce Hardy, piantato immobile sulla soglia di casa sua con un sacchetto di carta dell’alimentari in braccio, il che è, be’, drammaticamente ovvio, perché chi altri mai al mondo-- «Le hai risposto che è perché tieni molto alla tua reputazione da Faccia di Merda e non vorresti mai che, per nessuna ragione al mondo, qualcuno ti considerasse non dico lontanamente simpatico, ma almeno alla mano per più trenta secondi, neanche per sbaglio?» domanda, il più neutra possibile, grattandosi la testa – o spostandosi la massa di ricci indomabile che si ritrova su e giù per il cranio, comunque, nel vano tentativo di umanizzare la propria figura, se non di rendersi presentabile. 
«Non le ho saputo rispondere, in realtà» replica lui, per nulla toccato. Poi aggrotta le sopracciglia – ha questo modo di farlo che gli trasforma tutto il viso, lo trasfigura nell’immagine stessa di un interrogativo, tutto concentrato nell’investigazione, alla ricerca delle risposte corrette, e lei ha davvero bisogno di tornare a letto, perché non dovrebbe pensare al modo che ha il viso del suo capo di contorcersi quando non capisce qualcosa, non è sano, non vuole indagare – e poi sbatte le palpebre: «Perché non sono venuto a festeggiare, secondo te?»
«Perché sei un idiota» risponde lei in tono d’aiuto, il che è sempre vero, quindi non deve fare alcun tipo di sforzo mentale. È un po’ piacevole, in realtà, una specie di tradizione anche questa, anche se sensibilmente più recente.
«Sono serio, Miller.»
«Anch’io. Dio, ma sai che ore sono?»
«Le nove, perché?»
«Sei un idiota» ripete lei, scuotendo il capo. «Entra, voglio un caffè.»

 


Salta fuori che per Voglio un caffè Alec sembra in realtà intendere Preparami un caffè, perché non appena entrano in cucina punta dritto verso i fornelli e comincia diligentemente a riempire la moka degli ultimi granelli di miscela: «Hai dimenticato di nuovo di fare la spesa» commenta. Ellie suppone che il fatto che non senta il bisogno di trasformare all’ultimo la sua affermazione in una domanda, se non altro per cortesia, sia perché si conoscono e rispettano ormai abbastanza da non doversi fingere diversi da quello che sono. O forse è solo che Hardy ha un carattere di merda, non importa davvero che ore siano o che stiano investigando o meno. Non gli risponde, ovviamente, perché non sottolinea l’ovvio quando ha un lieve mal di testa da sbornia a solleticarle la nuca. È una cosa che non fa, punto. Per esperienza, sa che le farebbe soltanto aumentare l’emicrania per il nervoso. Cerca in frigo il cartone di succo di frutta con cui i ragazzi fanno merenda, invece, e mentre ne beve l’ultimo fondo a canna davanti all’anta aperta comincia a stilare una lista di ciò che manca nella propria mente: Caffè, Succo all’albicocca; Latte, aggiunge dopo un istante
«Non eri al lavoro, stamattina» dice Hardy dopo un po’. A quanto pare sottolineare l’ovvio è qualcosa che oggi farà Alec, per lei. Guarda come si invertono i ruoli quando uno dei due è leggermente sbronzo – o non-più-sbronza, in questo determinato caso, ma comunque ancora un po’ barcollante. 
«Neanche tu lo sei» gli fa notare, andandosi a sedere al tavolo, perché in qualche modo, nonostante tutto, vale sempre la pena evidenziare quanto sia un idiota molto poco coerente.
«Ci sono stato.» 
Lo guarda, voltato di schiena, mentre fruga senza riserve nei cassetti alla ricerca di un cucchiaino. Sta per dirglielo, Prova nel terzo, quando lui lo trova senza il suo aiuto. È normale, checché ne dica suo padre, perché lei ed Hardy lavorano insieme e soffrono d’insonnia e Broadchurch è piccola: sono più le volte in cui si ritrovano a spulciare gli appunti su questo o quel caso nella cucina l’uno dell’altra che quelle in cui semplicemente si incontrano in ufficio di mattina. Sono colleghi. È una buona cosa che si frequentino anche dopo il lavoro, influisce positivamente sull’andamento delle indagini. Si fotta suo padre con le sue stupide insinuazioni. Si fotta tutta Broadchurch, onestamente. «Ma tu non c’eri e--» si blocca. Girato com’è, può solo immaginare il suo volto corrucciato, ma lei ha una grande fantasia ed Alec un’infinita gamma di Sguardi Truci, quindi un po’ le dispiace per le tazze che stanno subendo questo trattamento scortese al posto suo. «Mi sono preoccupato?» tenta lui dopo qualche istante, voltandosi per porgergliene una e tenere per sé l’altra. 
«Lo stai chiedendo a me?» s’informa Ellie, forse un po’ acidamente, prima di tentare un timido sorso. Lo sputa immediatamente: «Lo zucchero» sbotta, reprimendo a stento un brivido di disgusto.
Hardy ingoia con una smorfia la sua prima sorsata, prima di annuire: «Oh – sì, le ho scambiate. Davvero, Miller? Tre cucchiaini?» borbotta poi, per rubarle la tazza che tiene fra le mani e sostituirla con quella da cui ha bevuto lui. «Assurda» lo sente mugugnare, mentre ancora sfrega la lingua sul palato per scacciare il sapore.
«Animale» replica lei, ma accetta con gioia la tazza con la corretta quantità di zucchero – e non quella di solo catrame che sorbisce con soddisfazione Alec un attimo dopo. Se non lo conoscesse come invece fa, scommetterebbe che sia tutta una scena; sarebbe quasi sicura che non possa piacergli veramente e che voglia soltanto dimostrare qualcosa d’infantile e stupido – tipo quanto è un duro o roba del genere. Lo conosce, però, malauguratamente, e sa che in realtà è proprio l’idiota che sembra: con pessimi gusti in fatto di caffè e quell’aria tormentata a qualsiasi ora del giorno e della notte. Si morde la lingua per dire Non dovresti berlo, perché non è sua madre, e Alec sembra in grado di prendere decisioni per sé stesso, di tanto in tanto – almeno da quando Daisy vive con lui e la questione di Sandbrook si è risolta e l’operazione è andata per il meglio. 
E comunque il medico ha detto che potrebbe bere caffè, di tanto in tanto, senza esagerare. Gliel’ha chiesto lei, personalmente.
(Si preoccupa. È una buona amica. Tutto qui. Niente di strano. Doveva pur tenersi occupata dopo essere stata attirata in ospedale a tradimento con nient’altro che un SMS striminzito e nessuna spiegazione che non fosse Mi serve un passaggio.)
«Quindi» riprende il filo della conversazione. «Eri preoccupato per-- cosa, esattamente?»
«Che, uh. Non lo so. Stessi male?» incespica lui, l’espressione contratta, semi-nascosta dalla tazza.
«Non sto male» lo rassicura, anche se non è esattamente convinta che Hardy abbia bisogno di questo genere di rassicurazioni. «Neanche una lineetta di febbre» asserisce, il che è un po’ assurdo perché non dovrebbe dire al suo capo che sta marinando il lavoro – o qualcosa del genere. Le viene in mente in ritardo, che forse dovrebbe fingere di essere almeno un po’ raffreddata. Salvare le apparenze per il bene di entrambi. 
«Non in quel senso» sputa Alec, però, trovando misteriosamente interessante il proprio fondo di caffè – molto più di quanto non lo sia guardarla in faccia, per dire – e facendo raggiungere un nuovo livello di stupidità all’intera situazione.
«Speravo avessimo appurato che sei pessimo nei panni del capo solidale» commenta Ellie, appoggiandosi stremata allo schienale della sedia, perché sono le otto mezzo del mattino, non le nove, che cazzo, Hardy, e ieri erano le tre e ha bevuto e il mal di testa con cui flirta da quando ha messo piede giù dal letto le pulsa fra le tempie, minacciando di diventare una vera e propria emicrania e sarebbe scorretto e profondamente ingiusto se Alec riuscisse a trasformare il suo primo vero giorno di vacanza da anni (tre maledettissimi anni, per amor di precisione) in un giorno di malattia con la sua sola presenza. E, un po’, perché è ridicolo e completamente inadatto al ruolo, e probabilmente stava dormendo durante la sezione di addestramento dedicata a cosa sia adatto fare e dire quando si vuole confortare qualcuno – Alec Hardy fa schifo in così tante cose, ma nel calmare la gente? Ha una specie di superpotere al contrario, in questo.
L’idiota stringe nelle spalle: «Uno può provare a fare cose non che non gli riescono tanto bene, Miller» la riprende, leggermente piccato. 
«“Non tanto bene”» gli fa il verso. L’eufemismo dell’anno. «Non era necessario» lo blandisce poi, però, soffocando uno sbadiglio. «Davvero» si sente insistere dopo qualche istante. «Non lo era.»
«Va bene, Miller» alza gli occhi al cielo Alec. «Sappiamo tutti e due che sai badare a te stessa. Volevo essere gentile» le spiega, pedante, scoccando la lingua contro il palato. Di nuovo: ridicolo.
Sorride un po', suo malgrado: «E come sta andando questo folle esperimento?» s’informa, soffocando uno sbadiglio in una smorfia bonariamente divertita.
«Mh» borbotta lui, finendo rumorosamente il proprio caffè con un ultimo sorso. «Pensavo peggio» ammette alla fine.
«Peggio?» scuote la testa Ellie, incredula. Da qualche parte, in fondo alla credenza, dovrebbe avere ancora del pane da toast. Ormai è sveglia, tanto vale mettere qualcosa sotto i denti e cominciare la stupida giornata.
«Credevo di dover preparare una zuppa di pollo, quello sarebbe stato--» Hardy rabbrividisce comicamente. «Non so preparare zuppe di pollo» conclude alla fine, col tono di uno che preferirebbe affrontare un criminale armato, piuttosto che fare un’esperienza del genere.
Il che, conoscendolo, non è nient’altro che la pura e semplice verità.
«Cosa c’è di difficile? Devi solo buttare della roba in pentola con dell’acqua e del sale e aspettare.»
«…l'attesa?» replica Alec con un mezzo sorriso – be’, non esattamente un mezzo sorriso, più una linea retta non negativa. Ma comunque. È Hardy. Sarebbe preoccupante se sorridesse davvero. È già un po’ preoccupante che sia così autoironico di prima mattina, in realtà. Anche se non è davvero prima mattina, immagina. «E poi dovrei farti la spesa, per avere qualcosa da buttare in pentola» sottolinea.
«Okay» taglia corto Ellie, perché Alec è l’ultima persona al mondo che può criticare le sue abilità da casalinga. O qualunque altra capacità serva per sopravvivere, in primis. «Sto bene e il tuo esperimento sta andando-- benino» decreta, decidendo di alzarsi, alla fine, anche se le costa uno sforzo immane.
«Be’, questo io lo definirei un gran risultato» schiocca la lingua lui, soddisfatto. «Visti i miei precedenti. Ah. Daisy ha insistito perché portassi della birra» la informa, come se se ne fosse ricordato solo adesso, indicandole il sacchetto di carta abbandonato sul tavolo. «Per, uh, farmi perdonare di non aver accettato l’invito al pub..?» tenta, sembrando lui per primo poco convinto. Ellie fa un gesto vago, con la mano, mentre raccatta il burro in frigo e inserisce la spina del tostapane: «Daisy è l’unica vera adulta, fra voi due» lo informa, in tono discorsivo. «Lo sai questo, vero?»
«Perché credi che voglia che rimanga?» scherza Alec, sorridendo piano alla propria tazza ormai vuota. «Prepara ottime zuppe di pollo. Nel caso ti prendessi davvero l’influenza, te la potrei anche prestare.»
«Mi sembra corretto» decide Ellie, sorridendo a sua volta. «Il minimo, in effetti» aggiunge un attimo dopo, buttando la moka ormai vuota nel lavello. «Abbiamo finito il caffè, ma se vuoi ho del tè. Da qualche parte» si morde un labbro, scavando nel barattolo di marmellata di more per spalmarla sul pane tostato. «Sono in post-sbornia» gli spiega come se non fosse ovvio. «Non berrò la tua birra.»
«Immaginavo» commenta Alec. Poi si alza a sua volta e le ruba una fetta imburrata dal piatto per addentarla prima che ci spalmi sopra anche la marmellata. 
«Ehi!» protesta Ellie, ma senza sentimento. Alec le fa una smorfia, scrolla le spalle, ripone le lattine di birra in frigo. Quando sembra reputarsi soddisfatto dell’ordine in cui le ha infilate – in fondo, oltre al barattolo di cetrioli sottaceto e ai tupperware di farro, kamut e cereali misti che Ellie cucina tutti insieme una volta a settimana nel vano tentativo di far mangiare qualcosa di sano ai suoi figli anche quando lei non ha tempo di pranzare con loro e che Tom rifiuta persino di guardare, figurarsi di spostare per vedere cosa c’è nascosto dietro – torna al bancone per sottrarle un’altra fetta. Questa volta, Ellie è preparata e lo scaccia con un colpetto di cucchiaio: «Va’ a sederti» sbotta. «O metti in infusione il tè» propone, per poi pentirsene un attimo dopo: i tè di Hardy sono imbevibili, terrificanti – persino più scuri dei suoi caffè.

 


Così, rannicchiata sul divano, avvolta in un plaid, la mattina dopo aver risolto il caso di Trish Winterman, Ellie si aggrappa ad una tazza di tè troppo forte, sgranocchia fette di pane tostato con sopra burro e marmellata e aspetta che arrivino le undici, quando ormai avrà esaurito le scuse e non potrà più rimandare l’idea di vestirsi per andare a fare la spesa – o pulire il pavimento o rifare i letti e mettere in ordine le camere di Tom e Fred o qualunque altra incombenza le sarà venuta in mente per allora. Vicino a lei, il detective capo Alec Hardy, sorseggia in silenzio il proprio infuso ed Ellie non pensa di allungare una mano verso il telecomando e trovare uno di quei brutti quiz televisivi nemmeno una volta. È brava a non pensare a questo genere di cose – si allena da tre anni e potrebbe dare lezioni, a questo punto, sui metodi migliori per impedirsi di soffrire la mancanza di cose vecchie, ed inutili, come la stupida tradizione del giorno dopo un caso complicato o le cene allegre o le colazioni svelte e spesso interrotte a metà di ogni mattina di quasi dodici anni della sua vita.
«Hai finto di sentirti male?» le viene in mente, d’improvviso.
Per un attimo, pensa che Hardy non risponderà – non fa mai alcuno sforzo di fingere di non sentire le domande che non gradisce, anzi, si fa sempre punto di rivolgerle una qualunque del suo vasto repertorio di smorfie per comunicarle che sta indagando dove non dovrebbe, ma questa volta: «Mal di testa» nicchia col capo dopo un po’, pur mantenendo le proprie labbra arricciate in un’espressione di vago malcontento.
«Maddai» ridacchia lei. Sbuffa, scuotendo il capo: «Così privo di fantasia.»
Questo sembra divertirlo vagamente: «Ho pensato di dire che Daisy non si era sentita bene e aveva chiamato da scuola, ma l’agente Beckett ha un figlio che va in classe con lei.»
«Quindi sai prestare attenzione agli aspetti della vita privata dei tuoi colleghi.»
Alec grugnisce, non c’è altro modo di metterla: «Non trovo opportune alcune attenzioni che Beckett Junior ha rivolto a Dez ultimamente.»
«Daisy, invece, le ha trovate opportune?» s’informa Ellie senza trattenersi dal sorridere. Sorseggia ancora un po’ del suo terribile, ma per qualche assurda ragione comunque confortante tè, mentre Alec si lascia andare ad un sospiro sconfitto, rilassandosi lentamente contro lo schienale del divano: «Purtroppo.»
«John non è un cattivo ragazzo» fornisce lei utilmente.
«È un idiota
«Non è per quello che non ti piace» lo riprende, schioccando la lingua contro il palato.
Alec fa una specie di profondissimo respiro: «È anche per quello» sbuffa. «Come dovrebbe essere essere in grado di-- non lo so, sopravvivere? Ha preso tre in letteratura.»
«Che tipo di pagella dovrebbe avere, il tipo ideale di tua figlia?» lo prende in giro, alzando un sopracciglio.
«Non cogli il punto, Miller.»
«Il punto è che sei iperprotettivo, signore. Magari Daisy non cerca un premio Pulizer, ti è venuto in mente?»
«Questo dovrebbe tranquillizzarmi?» 
Ora la sta fissando, decisamente inorridito.
«No» ammette Ellie alzando le spalle. «Dico solo che non è il caso di farne un dramma. Sono ragazzi, stanno crescendo» si ferma, per un attimo, stropicciandosi un occhio. Non pensa a Fred, che prima o poi comincerà a chiedere di suo padre. Non pensa a Tom che guarda lo schermo del proprio cellulare mentre dal microfono escono gemiti inconfondibili. Non lo fa. È molto brava in questo. Si concentra su Daisy, invece, sul tipo di terrore-orrore-vergogna deve aver provato a vedersi nuda sui display dei propri compagni. Al disagio che le si contorce nello stomaco, adesso, anche solo ad immaginarlo. 
«Puoi-- ah» Hardy non è in grado di chiedere favori, semplicemente non è geneticamente predisposto. Ellie si diverte a guardarlo crogiolarsi nella propria inettitudine sociale per qualche istante, prima di incalzarlo: «Posso?»
«Mh--» Alec arriccia il naso, vagamente irritato. «Potresti, uh, parlarle? Tipo, da donna a donna, come hai detto che avresti fatto. Ci ho pensato, potrebbe essere… utile» si morde un labbro, forte, e affonda ancora un po’ di più nel proprio estremo di divano. «Non voglio davvero coinvolgere Tess in questa storia, ma» sospira e si passa le mani sul viso. Ellie detesta il modo che ha Hardy di brancolare nel buio – per qualche ragione il suo panico la disorienta come fosse il proprio, la fa dubitare di sé stessa; è insopportabile. Reagirgli è ciò che la rende più lucida, però, più determinata. Generalmente. Durante le indagini. Perché Hardy dice sempre Non farti coinvolgere, Miller e poi è il primo a passare le notti in bianco sugli indizi e dimenticarsi di mangiare, cambiarsi vestiti, radersi e fare cose come vivere, in generale, fino a quando non hanno scovato il colpevole. Questa non dovrebbe essere un’indagine – non dovrebbe essere costretta a cavargli le parole di bocca come in un interrogatorio. Fa una smorfia: non è stupita, però. È Hardy. Sarebbe strano il contrario. Quindi finge di non capire. Fa quello che farebbe se fosse seduta ad un tavolo con un registratore. Il gioco del poliziotto buono e di quello cattivo: riesce bene, di solito, perché Hardy è sempre così incazzato, quando beccano qualcuno. Certo, di solito lei si finge accomodante, non stupida, ma ehi. Appoggia la propria tazza di tè, scrolla le spalle, minimizza. Chiude gli occhi, simulando disinteresse, e si rintana un po’ di più nella coperta: «È solo-- sai, quello che i ragazzi fanno. Prendersi cotte, innamorarsi, flirtare coi compagni di scuola. Non è grave.» 
«Miller» scatta lui, impedendole di divertirsi ulteriormente ai suoi danni.
Lei sorride, senza alzar le palpebre, ma poi, lentamente, domanda, la voce che s’increspa di orrore nonostante lo sforzo di rimanere calma per il bene di entrambi: «Credi sia stato John? A passare la foto in giro.»
Non ha bisogno di avere gli occhi aperti, per sapere che Alec sta scuotendo la testa, agitandosi un po’ sul posto: «No» decreta dopo un attimo. «È… una svolta davvero recente. No. John non c’entra. C’entra, ma-- non intendevo questo. Dimenticati di Beckett. Non è lui il problema – posso sempre minacciarlo, se allunga le mani.»
«Alec!» sbotta, aprendo gli occhi per allungarsi per tirargli un calcio contro la coscia.
«Non pesantemente» sbuffa lui.
«Stai scherzando
«Me l’hai consigliato tu» le ricorda, un sopracciglio alzato.
«Era diverso
«Non molto
Moltissimo, infatti, pensa lei, ma Alec sta stringendo le labbra, lo sguardo che brilla di un vago umorismo e lei si riduce a sospirare, chiudendo di nuovo gli occhi e rovesciando il capo contro la spallerà del divano: «Hardy.»
«Miller» risponde lui, asciutto.
«Non fare l’idiota.»
«Non sto facendo niente» lo sente mormorare, e dalla voce sembra che stia sorridendo. Sorride anche lei – o, comunque, lei sorride davvero, scuotendo la testa: «So che sei un idiota. Cercavo di essere gentile» lo scimmiotta allegramente.
«Non ti riesce granché bene, Miller» replica Hardy senza perdere un colpo.
«È colpa del mio capo» gli spiega oziosamente, senza preoccuparsi di riaprire gli occhi per guardarlo, giocosa. «Dice che la cortesia è sopravvalutata.»
«Sembra un tipo scortese.»
«Non ne hai idea» gli assicura in una risata. «Così scorbutico. Ma… meno orribile di quanto non si sforzi di dare a vedere, tutto sommato.»
Alec sbuffa un borbottio benevolo, agitandosi leggermente per trovare una posizione più comoda. 
Per un po’, regna un bel silenzio, soffice, senza attese; solo, così: rilassato. Ellie non sa bene quando si riaddormenta, ma ad un certo punto Alec deve essersi alzato, perché sente l’acqua scorrere, in cucina, e scivola in sonno morbido, scurissimo. 

 


Si sveglia per la seconda volta quel giorno e la lieve emicrania è sostituita da un vago fastidio al collo. Nulla di sorprendente, visto che è rannicchiata sul divano, la coperta ben rimboccata perché non le lasci scoperti i piedi nudi.
Ci mette un po’, ad infilare una dopo l’altra le informazioni che filtrano dallo stato di stordimento che le pesa addosso. La finestra è socchiusa e dalla strada arriva il chiacchiericcio della signora Kenneth e del signor Brown, i suoi dirimpettai.  
Qualcuno – Hardy, le fornisce il suo cervello oziosamente –  ha tirato le tende in modo che non si possa sbirciare dentro casa, ma la stanza prenda aria. Per qualche istante rimane semplicemente lì, un po’ stordita, in ascolto. Lo sciabordare dell’oceano, ad appena un centinaio di metri oltre le villette a schiera, rischia di farla assopire nuovamente.
Invece, si alza con un gemito.
La cucina non è meno desolata di questa mattina, ma le cose che hanno usato per la colazione sono a sgocciolare nella piattiera di alluminio che le ha regalato suo padre lo scorso Natale. Un regalo orribile, ma almeno utile, visto che ha buttato quella della lista di nozze che aveva stilato con Joe, insieme ad una miriade di piccole e grandi cianfrusaglie – rovine di una vita ridotta in macerie. 
Guarda le tazze rovesciate sul ripiano del lavello e non riesce a non pensare, con un moto d’affetto del tutto fuori contesto: Scrivania in ordine, a fine giornata, eh.
La porta sul retro è aperta.
Per un attimo la coglie un senso di fatalità – non è lì, che Alec ha trovato Joe con la prova inconfutabile dei suoi crimini? L’angoscia che le stringe lo stomaco è normale, decide. Del tutto normale. Suo padre si lamenta sempre che non dovrebbe fare il poliziotto – non nelle tue condizioni, senza mai specificare se le condizioni che intende siano l’essere una donna, una madre o stata sposata con un assassino ed un pedofilo – ma è proprio in momenti come questo che è felice di esserlo. Momenti in cui un civile sbufferebbe e chiuderebbe l’uscio scuotendo la testa, maledicendo soltanto la propria distrazione. Non è distratta, mai. Non in queste cose.
Ha un capo che è un idiota, però: «Stai-- facendo la raccolta differenziata?» s’informa, perplessa, prendendolo alle spalle. Alec sobbalza, come se fosse stato colto sulla scena di un delitto.
«Miller» sbuffa a mo’ di saluto, voltandosi. «Ovviamente» aggiunge l’attimo dopo come se il fatto che Ellie dubiti nella sua capacità di buttare la spazzatura lo insultasse personalmente.
«Cosa..?» 
Ellen si ferma. Respira. Qualunque cosa stia facendo Alec è una specie di follia a cui non è certa di voler prendere parte, ma – è Alec, è già coinvolta, comunque. In più, è Alec che sta facendo qualcosa per lei, in qualche modo contorto che non sa da che parte cominciare ad analizzare. Ridicolo, pensa, non per la prima volta da quando lo conosce.
Cosa diavolo stai facendo?, si sente quasi chiedere. Non vuole litigare, però. In effetti, questa è stata una mattinata sorprendentemente piacevole, considerando che il suo stupido capo ha fatto irruzione in casa sua. Giornata. Non sa. Non ha idea di che ore siano: «I ragazzi…» comincia, allarmata.
«A mangiare fish and chips con Daisy e Chloe» la interrompe Hardy con un’alzata di spalle. In piedi nel suo giardino in maniche di camicia arrotolate fino ai gomiti, le mani piantate in tasca, i bidoni della spazzatura alle sue spalle ed il naso lungo ed affusolato arricciato in una smorfia di scontento del tutto simulato, Alec Hardy ha un’aria così dimessa e domestica che Ellie deve sbattere le palpebre un paio di volte per non pensare cose stupide. Lo stordimento che ha sentito gonfiarle cotone nella scatola cranica per tutto il giorno smette completamente di avere a che fare con l’alcol della sera prima ed assume connotati ben più assurdi, quasi biblici. Di colpo, si rende conto che quello che dice suo padre – quello che dicono tutti – è vero, dal di fuori. Se uno sconosciuto passasse di là per caso, vedendoli – lei avvolta nel plaid che ancora porta sulle spalle, lui coi vestiti sgualciti ed i capelli scompigliati dalla brezza – potrebbe pensarli qualcosa di diverso da quello che sono. Qualcosa di--
Scaccia il pensiero con un crescente smarrimento. È Hardy, per l’amor di Dio. Soltanto a sfiorarlo si rischia un taglio da carta, per quant’è magro.
E scorbutico ed irritante e stupido
«Chloe Latimer?» domanda invece, stupita.
Hardy annuisce, lo sguardo scuro: «Non so di preciso quando, ma lei e mia figlia hanno cominciato a frequentarsi dopo scuola» mormora, suonando stanco e svuotato per tutti i motivi che Ellie conosce e condivide. Gli dà una pacca sulla spalla destra, allora, affettuosa, un colpetto d’incoraggiamento per indirizzarlo dentro casa, perché non batte il sole, sul retro, e sta iniziando a fare freddino. Ignorano entrambi il capanno degli attrezzi – sarebbe troppo, adesso, e sarebbe sciocco. Un’esplosione senza scopo, uno scontro che non porterebbe da nessuna parte: «Broadchurch è piccola» mormora, quindi, comprensiva.
«Il mondo è piccolo» si lamenta lui in risposta.
Ad Ellie scappa un sorriso: «Chloe è una brava ragazza.»
«Sì, è vero» ammette lui, seguendola in cucina.
«E farà bene ad entrambe avere un’amica della loro età. Da quando le sfruttiamo come babysitter per i miei figli?» s’informa poi, discorsiva, mentre ripone le tazze ormai asciutte nella credenza. Scrivania a posto, e tutto il resto, si ripete, anche se tutto quello che sta facendo, in realtà, è tenere occupate le mani. Si chiede se la mania per l’ordine di Hardy non derivi proprio da questo – se non sia altro che un modo di tentare di continuare a respirare, nonostante il panico e l’orrore, o se sia qualcosa di più antico, un’abitudine presa da ragazzo, sua madre e suo padre e i litigi, e black bun a merenda, mettere in ordine per non ascoltare le urla. 
Alec si appoggia alla porta con la schiena, chiudendola. Fa di nuovo quella cosa che fa sempre – scrolla le spalle con le mani in tasca, le labbra premute le une contro le altre, il mento alzato. È ridicolo, pensa, non per la prima volta, è un uomo ridicolo. Ad Ellie piace ripeterselo in testa, quando sono soli e le cose sembrano farsi solo un po’ troppo-- familiari e morbide, dolcissime. Soffocanti.
«A Tom Chloe piace» si sta difendendo lui.
Lei annuisce: «Piaceva. Quando era il migliore amico del suo fratellino e non uno stupido adolescente.»
A questo, Alec alza gli occhi al cielo: «Non si è adolescenti per tutta la vita» le svela, come fosse una sorta di segreto. «A Chloe manca suo fratello, a Tom manca il suo migliore amico, a te serve una babysitter per lui e Fred e a mia figlia servono i soldi per andare al cinema questo venerdì con John Beckett» soffoca un brivido di disgusto, ma poi conclude: «Vincono tutti.»
«Mh» nicchia col capo lei, perché anche se non è più l’alba non è più neanche abbastanza sbronza dal dargli ragione senza essere messa alle strette. «E cosa ci guadagni, tu?»
Hardy non la guarda, quando risponde: «Non volevo svegliarti» ma poi incontra i suoi occhi con una smorfia esagerata: «E, onestamente, a Tom non piaccio molto.»
«Come dargli torto» ride lei. «È colpa di mio padre» aggiunge dopo un attimo, in tono di scuse, scuotendo la testa tornando sera. «Gli ha messo in testa tutte queste stronzate sull’essere l’uomo di casa e-- non importa.»
«No, ti prego, continua» sbuffa Alec. «Sono estasiato dal sapere che tutta la tua famiglia mi detesta.»
«Sei un po’ detestabile» commenta Ellie, affettuosamente. «E Fred ti adora, lo sai» lo rincuora, anche se Hardy non sembra rincuorato affatto: «Fred ha cinque anni.»
Ellen non riesce a trattenersi dal ridergli in faccia: «Inizierà a chiamarti papà, prima o poi» lo prende in giro. «Non importa quante volte gli dica che sei lo zio Alec» mormora l’instante dopo, voltandosi per non guardarlo, lo stomaco improvvisamente pesante. Afferra lo straccio da cucina appeso sopra il lavello tanto per avere qualcosa da stringere, ma Alec ha lavato tutto da tempo, ed è già tutto asciutto. 
«Ellie--» mormora Hardy, ed anche se non lo sta guardando sa – semplicemente sa – che ha addosso quello sguardo contrito, in pena, quasi si sentisse in colpa – per cosa, ha voglia di urlare a volte (a lui e a suo padre e all’intera Broadchurch), per essere un bravo detective, per essere stato lui, fra tutti, a portare suo marito in questura, per aver scoperto di Joe, per averle rovinato il matrimonio? O per averci messo così tanto
«Non farlo» dice lei, in una sorta di vuota ripetizione di una scena già accaduta, e non sa neanche esattamente se intenda Non chiamarmi così o qualcosa di più, qualcosa di peggio, ma non importa, perché Alec capitola immediatamente: «D’accordo.»
È solo quello che è, si dice, premendo forte coi palmi contro il bordo del lavello. Un giorno, suo figlio sarà grande abbastanza dal cominciare a fare domande e un giorno gli dovrà spiegare perché l’uomo che gli ha insegnato ad andare in bicicletta borbottando burberamente tutto il tempo, che lo porta al lunapark itinerante ogni volta che arriva in paese e aiuta Tom a fare i compiti di matematica, nonostante la scortesia di suo fratello maggiore, non è suo padre. È quello che è, perché non può impedire a suo figlio di adorarlo, in fondo: Hardy è un maledetto idiota, ma ti entra sottopelle; e non può impedire ad Alec di essere così ridicolmente, orribilmente affezionato a suo figlio – forse persino ai suoi figli, nonostante Tom sia insopportabile, di questi tempi – e non vuole impedire a sé stessa di essergli amica. Non può neanche, a dirla tutta.
«Perché sei qui, comunque?» gli domanda quindi, e la voce le esce più morbida e soffocata di quanto non pensasse.
«Mi stai cacciando?» replica Hardy, quasi scontroso, anche se l’effetto è un po’ mitigato dal suo essere tutto arruffato, stanco e stropicciato – che è… esattamente come si sente lei. Svuotata di ogni intento ed energia, nessuna meta, nessun nord. È solo Trisha, però, solo i Lucas e Leo Humphries. È solo l’indomani di un caso particolarmente difficile. È solo complicato costringere la propria mente a rimanere concentrata per più di qualche secondo su qualcosa senza vagare alla deriva, sfinita.
«No» ammette. Poi, pensa a come sembrava nauseato e furioso, qualche giorno fa, sotto casa dei Lucas, mentre apriva la portiera dell’auto con uno strattone: Sai cosa mi disturba di questo caso? Il fatto che mi faccia vergognare di essere un uomo. «Voglio solo--  se è una specie di modo strano e contorto per chiedere scusa da parte dell’intero genere maschile, allora è la cosa più ridicola--»
«Sono qui» la interrompe Hardy, secco. «Perché ieri non ero al pub. Solo per questo.»
«Bene» assottiglia lo sguardo lei, studiandolo in volto, sospettosa.
«Bene» sbuffa lui, sembrando più esasperato di quanto non gli sia permesso.
Ellie si sente comunque in dovere di chiarire: «Non sto male. Avevo solo bisogno di una pausa.»
«Lo capisco» mormora Alec, mentre lei apre il frigo per richiuderlo un attimo dopo: «…e di fare la spesa» grugnisce, scontenta. «Non c’è-- non mangerò kumut bollito» stabilisce. «Non sono così disperata. Ordiniamo… ha aperto un egiziano vicino alla piazza, il mese scorso, vero? Al posto di quel tailandese?» gli chiede, anche se già sa che chiedere ad Hardy una cosa del genere è da stupidi, perché il suo capo è un misantropo e detesta i luoghi di normale ritrovo sociale.
«Sono le tre di pomeriggio, Miller» risponde lui.
«Cosa--» boccheggia. «Perché mi hai lasciato dormire per tutto questo tempo?!»
Alec scrolla le spalle, le braccia conserte, quella sua faccia impassibile, impossibile, così irritante e supponente: «Non credevo avessi programmi.»
«Non li avevo» ammette lei, sentendo che dovrebbe suonare più irritata di quello che è nei fatti.
«Andiamo a prendere un gelato?» domanda allora Hardy, del tutto non consequenzialmente, con almeno una settimana di ritardo rispetto a quando avrebbe voluto prenderlo lei, mentre interrogavano la fidanzata di Leo Humphries.
«Scusa?» 
«È tardi per pranzare e presto per cenare» commenta lui, asciutto, come se fosse logico e non la cosa più ridicola ed infantile che--
«Andiamo a prendere un gelato» capitola Ellie, con un sospiro.

 


Sulla panchina, al porto, l’aria è fredda e amara di salsedine. Alec prende un cono alla crema, lei uno al pistacchio e amarena. 
«Hai dormito, stanotte?» gli chiede, tirando fuori il cellulare per controllare le notifiche per la prima volta dall’inizio della giornata.
Un paio di ore fa, Tom le ha scritto: Io e Freddie da D. Pizza x le 8pm?, che è già molto più di quanto non le scriva ultimamente, quindi è un passo avanti, immagina.
«Non molto» ammette lui, storcendo il naso. «Tu?»
«Come una bambina, fino a quando qualcuno non mi ha svegliato.»
«Oh, ma per favore, Miller» ribatte lui, irritabile, guadagnandosi una risata.
«Pizza, per cena?» rilancia, allora.
Alec si ripara il viso dagli schizzi del mare, non la guarda. Ellie non si aspetta che dica davvero di sì, ovviamente. Lo conosce da tre anni, che non è molto, nell’economia di una vita intera, ma è-- tutta la sua vita, in un certo senso. Tutta la sua vita da-- eh. Non importa. È stata una buona giornata, questa, e non ci penserà adesso. Non permetterà a Joe di avvelenare più nulla, neanche i suoi pensieri, neanche per cinque fottuti minuti.
Hardy non dirà di sì: dirà no, come ieri sera ha detto di no al pub. È quasi una tradizione, a questo punto.
«Miller» macina lui, con quel tono che potrebbe sembrare irritato, ad un orecchio meno esperto del suo. È solo drenato, però, completamente sfinito dal caso di Trish Winterman e dalle sue implicazioni. Probabilmente Tom e Daisy direbbero che la sua batteria sociale è ai minimi storici, o qualcosa del genere. 
«Oppure no» ritratta, per pura indulgenza nei suoi confronti, perché lo conosce, perché è il suo migliore amico, perché è Hardy – un idiota, ma in un qualche modo assurdo, che ha zero attinenza con le insinuazioni di suo padre e degli avvocati di Joe e dell’intera Broadchurch, è il suo idiota.
Alec chiude gli occhi, scuote la testa. Quando li riapre, non è cambiato nulla nel suo sguardo – è sempre scurissimo e profondo, qualcosa che assomiglia all’affetto che gli sfarfalla nelle iridi: «Pizza?» sbuffa, sconfitto.
Ellie si stringe nelle spalle: «Coi ragazzi» conferma. «Freddie e Tom e Daisy. Anche Chloe, se vuole fermarsi.»
A questo Hardy sembra inorridire – è un po’ divertente, a dirla tutta: «Una specie di… cena di famiglia
«Per favore, cerca di suonare più disgustato di così» ribatte lei, con un sorriso che le affiora sul volto, senza che possa farci nulla
Lui fa una smorfia: «È solo che-- davvero, Miller?» bofonchia, agitandosi sul posto, il naso arricciato. Ellie non dice nulla. Lo guarda soltanto, le spalle alzate. E: «Sì» capitola Alec, con l’aria di uno che ha esaurito qualunque energia per combattere e si prepara al patibolo. «Va bene. A casa mia? I ragazzi sono già là.»
Ellie si rifiuta di sembrare sorpresa: «Sì» accetta facilmente, finendo il proprio cono gelato con ultimo morso.
«Bene.»
Forse questa potrebbe diventare una specie di nuova tradizione, pensa, sentendosi stranamente leggera. Butta il fazzoletto con cui si è pulita nel bidone e aspetta che Hardy finisca a sua volta il proprio gelato, guardando i faraglioni a strapiombo sul mare. Nuove tradizioni, ecco di cosa ha bisogno. Non avrà più colazioni a letto e spremute d’arancia e stupidi quiz televisivi senza senso, forse. Ma che importa. Non li vuole. Dio, davvero non li vuole. Non vuole neanche pensarci, no, mai più.
Quello che davvero desidera è prendersi un giorno di malattia, dopo aver risolto un caso complicato. O di permesso. Stare a letto fino a tardi, e bere orribile, adorabile tè troppo carico sul divano, la televisione spenta. Rassettare casa, in pomeriggio, sempre che un idiota dall’imbronciata aria da cliché scozzese non l’abbia fatto al posto suo.
E poi, prendere un gelato, perché no.
Ed una pizza coi suoi figli, in serata. Magari lei e Daisy riusciranno a convincere Alec a giocare a Risiko. Forse Freddie farà una delle sue magie, aggrappandoglisi al maglione e impedendogli di far altro che guardarlo, quell’espressione un po’ stolida di stupita meraviglia che mette sempre su quando Fred gli si arrampica addosso ignorando i suoi borbotti. Tom sarà silenzioso ed arrabbiato come è sempre, ultimamente, ma forse accetterà di guardare un film con loro, purché sia di guerra. 
Sarà una serata piacevole, decide, come lo è stata il resto della giornata. Farà in modo che lo sia. 
«Prendiamo la strada sulla scogliera» decreta Hardy, muovendosi lentamente per scendere sulla spiaggia. «È ancora presto, facciamo una passeggiata prima di andare a casa» la incalza poi, le falde del cappotto che si agitano nel vento.
Ellie si tira la cerniera della giacca a vento fino al mento e poi lo segue senza fretta
: «Cos'è, Hardy? Non mi dirai che sei tornato perché ti mancava il paesaggio.»

 

 

 

 

 

N/A: nel… 2020? 2021? Non lo so. Ad un certo punto, con molto ritardo rispetto al resto del mondo, ho divorato Broadchurch in due giorni scarsi (sì, okay, ho un problema) e in realtà è più corretto dire che è stata Broadchurch a divorare me – mi sta ancora masticando, ad essere sincera, ruminandomi come bolo. È tutto perfetto, però lasciatemi a piagnucolare su Alec ed Ellie perché davvero:  tutto è meraviglioso, ma io meritavo, un lieto fine cheesy e zuccheroso con zero attinenza con la realtà. Tsk. Tutti noi ce lo meritavamo, loro per primi.
(E niente, questo rant è la mia unica difesa per questa fic, vostro onore.) (...quindi perché manco un bacetto, in questa fic?) (EH.) (Boh.) (Mi dispiace.) (Mi rifarò.) (Promesso.)
Per un po’, i titoli alternativi a questa fic sono stati Aftermath e Domestic love, perché sì, sono una persona molto originale. Che volete da me.
— 
Partecipa alla seconda mance di TBW @BellaLuna, per la voce domestic fluff – per come sono in grado di essere domestici e fluffosi Ellie ed Alec, comunque, per quel che vale.
(Ellie alla fine riuscirà a fare la spesa? Probabilmente no. Soluzione: colazione al bar, il giorno dopo con Alec e Dez, Freddie e Tom, obv!)

PS: la mia ossessione nei confronti dei dettagli più stupidi è infastidito dall'aver scritto un intero paragrafo sul caffè in un fandom come Broadchurch, però SENTI: io non posso essere così innamorata di un personaggio che non beve caffè, eddai. Va contro ogni mio principio. Quindi, il mio headcanon è che, sebbene nella prima stagione non bevesse caffè, l'Hardy no more heartbroken della fine della seconda/terza stagione lo beve. Un po'. D'altra parte è un ex-fumatore e la roba forte ed amara gli piace canonicamente. Fight me on this.

  
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