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Autore: Doctor Nowhere    28/02/2023    1 recensioni
Martino Gentile, un gioviale becchino di un piccolo paese dell'Italia del Novecento, giunge al lavoro, dove trova alcune sue conoscenze...
Racconto ispirato, per stile e tematiche, alle novelle di Luigi Pirandello.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Lalalallero… lalalallà… lalalallero… lalalallà!"

Le note, stonate, del Largo al Factotum riecheggiarono oltre il grigio nulla che era la nebbia che aveva inghiottito il paesino. L’improbabile Figaro avanzò dondolante, bardato in un pesante mantello, con un cilindro ben calcato sulla zucca. Una lucerna in una mano, le dita dell’altra ritirate all’interno del guanto, strette strette l’una contro l’altra per sfuggire al freddo, o quantomeno per ridurlo. I suoi scarponi sprofondavano nella neve ad ogni passo, con un continuo cricchio cracchio. Affondava fino al polpaccio, a volte anche più su.

"Largo al becchino della città, largo!" strepitò allegro.

Martino era il nome che gli aveva dato la madre, Gentile il cognome che gli aveva ceduto il padre. Considerata la sua professione, il soprannome più naturale che gli avevano affibbiato era Mortino. Beccamortino, per quelli che avevano particolarmente fiato da buttare.

"Presto a bottega che l’ora è già, presto!"

Al contrario di quanto il soprannome potesse far pensare, il Beccamortino non era particolarmente basso di statura, a patto che a giudicarlo non fosse un gigante. Allo stesso modo non si poteva neanche dire che fosse alto in modo degno di nota, se a dare il parere non era un nano o un bambino. Che fosse eccezionalmente allegro e gioviale, quello sì che si diceva, come anche che parlasse quanto due o tre persone, ma era altresì vero che la maggior parte di quelli che incontrava erano in lutto o defunti, i primi solitamente di carattere cupo, e i secondi… abbastanza silenziosi.

"Che bel morire, che bel piacere, che bel piacere… per un becchino… di qualità, di qualità!"

La foschia impediva di vedere più in là di qualche metro, ma per un uomo che faceva la stessa strada tutti i giorni da anni non era un gran problema. Quindi imboccò senza timor d’errore il sentierino che scendeva giù dalla collina, diretto a quel piccolo edificio bianco dal tetto nero di cui conosceva financo le crepe dei muri, e in poche falcate si trovò di fronte la porta di faggio.

"Ah, bravo Figaro, bravo bravissimo, bravo!"

Le chiavi tintinnarono una sull’altra nel cerchione metallico che le conteneva. Infine il baritono mancato, e mancato di molto, trovò quella dell’obitorio e la rigirò nella toppa. Risuonarono quattro piccoli clangori.

"Fortunatissimo per verità, bravo!"

Dovette poi dare parecchi strattoni, perché la porta si apriva verso l’esterno, e la neve si era accumulata sul portico, ma infine riuscì a entrare nel suo luogo di lavoro.

"Buona giornata, signori!" esclamò caloroso "Perdonate se vi ho fatto aspettare."

I cadaveri rinchiusi nelle celle frigorifere, com’era prevedibile, non risposero al saluto.

Beccamortino accese la luce, spense la lucerna e si diresse verso la stufetta all’angolo "Se mi permettete, signori miei, mi siedo solo un attimo a riscaldare le mani e sono subito da voi!" poi, con tono di scusa "È che con le dita gelate poi faccio un lavoro indegno."

Gettò il cilindro e i guanti sulla sua scrivania e mise una generosa spalata di carbone nell’apposito scomparto. Si accomodò sullo sgabello e lasciò che le sue dita danzassero nella tremolante soddisfazione che il calore donava loro.

"Bene, bene." mormorò "Cosa vi porta da me oggi?"

Ridacchiò all’imbarazzato silenzio dei suoi defunti clienti. "Timidini, eh? Non preoccupatevi, ci penso io fra un secondo."

Rigirò le mani, poi ancora e ancora, per scaldare il dorso quanto il palmo.

E pensare che il padre gli aveva sempre detto di andarsi a cercare lavoro in città. Lì sì che si facevano i soldi, ripeteva ogni volta.

Boh. Non lo aveva mai convinto. La città era così… piena. Troppo viva per i suoi gusti, e troppi morti di cui occuparsi. Cadaveri sconosciuti, che avevano passato tutto il loro tempo senza aver la minima idea di chi si sarebbe occupato di loro una volta che avessero tirato le cuoia.

Al solo pensiero al becchino venivano i brividi. Cioè, ma se ti trovi di fronte un volto ignoto, come puoi sapere in che modo voglia presentarsi all’appuntamento coi vermi? Quale abito si sposa meglio con il suo stile, che tonalità di trucco accentua meglio il suo carattere? C’era da perderci il sonno.

Il buon Mortino aveva provato a spiegarlo al padre, ma quello mica s’era convinto. Aveva brontolato, come fanno i padri, aveva continuato a brontolare finché una polmonite un po' più rude delle altre lo aveva azzittito una volta per tutte. Chissà se le notti in cui il figlio passava a trovarlo per un saluto, il vecchio si rivoltava nella tomba.

Già, perché Martino era anche il guardiano del cimitero. D’altra parte, un modo per arrotondare gli serviva. Da quelle parti mica moriva tanta gente.

Oh, che diamine, si era lasciato prendere dai pensieri e aveva dimenticato il suo lavoro!

"Orbene." si levò in piedi "Diamo il via al totomorto! Chi dobbiamo imbalsamare oggi?"

Sganciò il bottone del mantello e lo distese sulla stufetta, per trovarlo bello caldo più tardi. Poi si diresse verso la parete delle celle, ognuna rigorosamente segnata da un bollo a indicare quanti dindini gli eredi avevano messo a disposizione per il trattamento.

Uno era rosso, che in gergo significava “non c’ha manco il becco di un quattrino”. Due erano gialli, nella media. E poi c’era quello blu, ossignore benedetto, quello blu! Il bollo delle grandi occasioni, il trattamento superlusso.

"Oho!" Mortino si fregò le mani, ma stavolta non era per scacciare il freddo "Ma bene, ma bene. Addirittura quattro in un giorno? La Nera Signora s’è data da fare ieri. Ottimo, ottimo." forse forse quella sera gli scappava una bella cenetta coi fiocchi. E vino, di quello buono.

Mortino sogghignò, e aprì la cella col bollo blu. Era il caso di ringraziare il suo caro benefattore, no?

Il lettino scivolò fuori dal loculo, e rivelò un volto arcigno su un corpo raggrinzito, avvolto da una coperta dalle spalle in giù. Sul naso adunco c’era la fossetta rossastra di chi era solito inforcare un bel paio di pesanti occhiali. I capelli biancastri, ai lati della testa dove ancora si ostinavano a resistere alla calvizie, erano corti, ispidi e profumati di chissà quale costosissimo unguento.

Il sorriso del Beccamortino si espanse fino alle orecchie "Signor Lombardi, qual buon vento" si profuse in un inchino esagerato, poi scattò e afferrò il lettino con entrambe le mani, "Le hai tirate le cuoia, eh, vecchio balordo?" inarcò la testa e sputazzò per terra. Avrebbe voluto sciacquargli la faccia, al porco, ma l’etica professionale glielo impediva.

"Non si aspetti simpatia da me, Lombardi" strinse i denti fino a farli scricchiolare "Da morto resta bastardo com’era da vivo! Spilorcio, taccagno infame. Tanto ricco da possedere metà paesino… scommetto che ha provato a corrompere pure Madama Morte. Ma lei i suoi soldi non li ha mica accettati, eh?"

Si voltò verso gli altri loculi provvisori "Voi la sapete l’ultima che ha fatto, sì?" ringhiò "Il Carbone, il manovale, onest’uomo, amico mio, che già quest’anno c’ha avuto la sua dose di disgrazie… vedete, prima s’è spezzato la gamba e ha perso il lavoro… poi gli ho dovuto seppellire la moglie, e lui mica poteva pagare… aveste visto che faccia ha fatto" si afferrò il petto all’altezza del cuore "Mi guardava con gli occhi lucidi e mi implorava perdono, mi prometteva che m’avrebbe pagato, appena poteva, e io gli dicevo che faceva niente, che potevo ben far economia io col mio materiale, ma lui cocciuto, diceva che appena avesse trovato un nuovo lavoro m’avrebbe dato quanto mi doveva… era tanto bravo d’animo che il solo pensiero di chiedermi di fargli credito lo rattristava come se gli fosse morta una seconda moglie!" il becchino scosse il capo. Aveva divagato un po' troppo "Ecco, due settimane fa, questa carogna, Lombardi dico, lo ha sbattuto fuori casa, al Carbone, sotto la neve e la tempesta! Quanto ti costava aspettare fino alla primavera, a te che c’avevi più soldi di Re Davide?"

Mortino, irrigidito e col respiro affannoso, incrociò le braccia. Gli occupanti degli altri tre loculi, col loro silenzio incuriosito, lo invitarono a continuare.
"Volete sapere che ne è stato del Carbone?" Mortino alzò le spalle "L’ho ospitato a casa mia, per qualche giorno… ma ci stava male, quel disgraziato, malissimo. Non voleva mangiare niente, quasi si rifiutava d’accendere la lanterna per non consumarmi l’olio…" scosse la testa "Ah, povero, stupido pazzo. Troppo buono e caro per questo mondo. Alla fine s’è sentito con un suo cugino della città, m’ha detto che gli ha trovato un lavoro… proprio pochi giorni fa ha preso i suoi quattro stracci ed è partito."

Aggrottò la fronte e cercò sul volto rattrappito del morto anche solo un barlume di rimorso per le disgrazie che aveva provocato al suo amico. Gli occhi vitrei erano puntati verso il soffitto, le labbra aperte in una smorfia a metà tra il fastidio e il disgusto. Di pentimento nemmeno una traccia. Ma… era uno scintillio quello?

Mortino aperse la bocca al riccastro, e vi trovò una sfilza di denti luccicanti, e se conosceva il vecchiaccio erano di metallo prezioso assai. "Oho! Il mattino non è l’unico ad avere l’oro in bocca, non è così signor Lombardi?" sghignazzò "Guardi, lei è fortunato, che se ero un poco meno onesto" agitò passionatamente il dito per aria "Tutto quel ben di Dio finiva prima qui" e si batté la tasca "E poi qui" e alzò la mano col pollice e l’indice levati, a indicare il sempre caro a Dio piacere d’una bella bevuta.

Martino scosse la testa. Il bollino blu avevano messo per il signor Lombardi. Pure nella morte quell’infame doveva sbattere in faccia a tutti la sua ricchezza. Richiuse il loculo "E io la faccio per ultimo, pensi un po'. Lombardi Nicola, primo tra i viventi, ultimo tra i defunti. Sì, mi piace!"

Aprì la cella successiva, e ne trasse fuori una donna piuttosto avanti negli anni. La sua testa era rivolta di lato, come se stesse cercando di chiacchierare col suo compagno di loculo, o come se stesse sdegnosamente mostrando la nuca al becchino e al Lombardi. Come biasimarla!

I capelli, lunghi e candidi, giacevano sparsi sul lettino a comporre una ragnatela, invece che arrotolati nel modesto chignon di sempre.

"Signora Pina!" esclamò il becchino "Anche lei qui? Ma che le è capitato? Un colpo al cuore, un colpo di freddo, un colpo di sfortuna?"

Scosse la testa. Quante volte, quando la incrociava per strada, la vecchia pettegola e tutte le sue amiche comari al vederlo si erano fatte il segno della croce, avevano toccato ferro e poi gli avevano puntato contro la mano facendo le corna!

"Tutti quegli scongiuri non le sono serviti a molto, eh?" rise "Suvvia, suvvia, che al cimitero avrà tutta la compagnia che vorrà per ciacolare, e poi, si sa, la morte la fa bella!"

La rigirò. Sulla guancia rimasta nascosta c’era un grosso strappo nella pelle, attraverso cui si vedevano i muscoli del volto e anche un paio di denti.

"Oggesùsantissimo!" sfuggì al buon Mortino "Ho parlato troppo presto! Ma che le è capitato? Ah, mi lasci indovinare… il suo gatto Fifì, nevvero? Eh, signora mia, signora mia!"

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo, facendo due conti fra sé. Ce la faceva a coprire il trattamento necessario per il volto della Pina con i soldi che aveva a disposizione? "Non so se… massì, in fondo chissenefrega. Al limite faccio un po' di economia sulla miscela per l’imbalsamazione."

Si rivolse di nuovo al cadavere "Non si preoccupi, signora Pina. A lei ci pensa il buon Beccamortino, qui per servirla. Lei è proprio in buone mani, se lo lasci dire. Le rifarò pure la sua pettinatura preferita! E poi, come si suol dire, a tutto c’è rimedio, fuorché alla morte!"

Sobbalzò e si morse la lingua. Gli era uscita proprio male, ma male male.

"Scusi" mormorò sommesso, e richiuse il loculo. Meglio pensarci dopo.

Il terzo corpo apparteneva a un uomo tanto basso che la coperta gli arrivava fin quasi al collo. Sul volto una bella barba, di quelle da gran pensatore, rossiccia, che si intonava proprio bene col colore che aveva il suo naso a patata, quasi quanto la tonsura sul retro del testone si sposava con la stempiatura aggressiva a malapena celata da un ampio riporto.

Mortino si profuse in un inchino "Don Giustino! Reverendo! Non la aspettavo prima di qualche anno ancora, sa?" poi alzò le spalle "Anche se, in fondo, meglio presto che tardi. No, forse mi sono confuso…"

Si chinò a sussurrare all’orecchio del morto "Senta… non è che mi può dire se alla fin fine era vera tutta quella storia del Paradiso e dell’Inferno? Mi accontento anche dei numeri del lotto, se preferisce…"

Il prete non disse una parola. Il becchino annuì vigorosamente, ammirato. Ecco finalmente un prete che rispettava il silenzio professionale!

Beccamortino abbassò ancor di più la voce "Ma almeno, mi faccia una piccola confidenza. Tutte quelle volte che a messa lei ricordava l’importanza di mettere i soldini nella cassetta… quella lì, dell’offertorio… ma li usava davvero per i poveri o se li beveva su? No, perché…" ammiccò al naso rosso del curato che, di nuovo, non rispose.

Mortino alzò le mani "Ho capito, ho capito, sono fatti suoi. E non si preoccupi, al suo funerale il suo naso sarà bianco come la tunica di un chierichetto, me ne occupo io."

Rinchiuse il sacerdote nella sua cella frigorifera. Già che c’era, tanto valeva scoprire anche il quarto e ultimo morto del giorno.

Era un uomo. Capelli neri, vividi. Zigomi pronunciati, fronte ampia. Pelle blu. Le labbra, viola, erano screpolate e segnate dai morsi di un carattere troppo timido per sopravvivere al mondo. Sulle guance dissanguate, dei piccoli taglietti occasionali, tipici di quanti vogliono apparire eleganti e sbarbati a tutti i costi, ma non potevano permettersi quello del barbiere. Era… era…

"Carbone" boccheggiò Martino "Il buon vecchio Carbone!"

Il becchino si sentì stringere lo stomaco. Gli occhi gli si fecero lucidi.
"No!" gridò "No, Carbone! Perché? Perché te ne sei andato così?!"

Il parente, il cugino di città? Una balla, evidentemente. Una scusa qualsiasi per non recargli più disturbo senza farlo sentire in colpa.

Martino barcollò, e crollò a terra. "Perché, razza di idiota orgoglioso, stupido, imbecille, perché?" Si resse la testa, mentre le lacrime cominciarono a solcargli il volto. Se solo non ci fosse cascato… se avesse insistito di più… se gli avesse impedito di lasciare il calore della sua casa, con la forza se necessario… allora il buon Carbone non sarebbe finito lì, non così presto, avrebbero avuto ancora tempo per scherzare, tracannare, per ridere e per piangere.

E… e adesso che poteva fare?

Un morto di freddo, senza un soldo, un bollo rosso… niente funerale, niente lapide vicino alla sua cara moglie. Martino al massimo avrebbe potuto implorare chiunque fosse il sostituto di don Giustino di imporre un minuto di silenzio durante la messa di Domenica.

Forse… forse se avesse messo da parte i soldi delle imbalsamazioni, se avesse saltato qualche cena, beh, forse avrebbe potuto offrire al suo amico quantomeno una cassa come si deve, e un posticino per dormire migliore della fossa comune…

Batté il pugno sul pavimento. No! Non era colpa sua se il Carbone era morto di freddo come un cane abbandonato.

Si tirò in piedi, il respiro affannoso e pesante, un sogghigno nuovo sulle labbra, non più quello sardonico di sempre, no, uno più folle, o forse invece più sano. Il ghigno di chi sta per fare giustizia.

"È stata colpa tua!" si avvicinò al primo loculo "Soltanto tua, mentecatto succhiasangue, avaro bastardo!"

Aprì con foga la cella, tanto che il corpo del Lombardi sobbalzò e la testa si inclinò di lato.

Martino la raddrizzò, aprì le fredde labbra e infilò la mano dentro alla sua bocca. Le sue dita sfiorarono la lingua rinsecchita del cadavere. Il becchino rabbrividì. Si era dimenticato i guanti. Ma ormai non importava.

Afferrò un preziosissimo molare d’oro e diede uno strattone. Il dente rimase al suo posto.

Martino sospirò, e la testa gli ricadde sul petto. Ma che cosa stava facendo? E se qualcuno fosse entrato e lo avesse colto in flagrante? Certo, nessuno veniva mai, ma putacaso che proprio quel giorno…

Scosse la testa. Non era quello il punto. Davvero voleva diventare un ladro, uno sciacallo che se la prendeva con chi non poteva difendersi?

Si ritrasse disgustato, e incontrò lo sguardo degli occhi spenti del Lombardi. Il Lombardi. Ma in fondo, perché il Lombardi avrebbe avuto diritto alla sua compassione, alla sua pietà? Il Lombardi non si era mai fatto problemi ad accanirsi contro i poveri diavoli che nulla potevano contro di lui. Era morto fin troppo tardi, vecchio e furfante, mentre l’onesto Carbone avrebbe potuto, avrebbe dovuto, vivere. E adesso il Lombardi se ne sarebbe andato in una cripta privata e il Carbone non avrebbe avuto manco un cartello con nome, cognome, data di nascita e morte e una frase di saluto da parte del mondo?

Martino strinse i pugni.

No, questa volta no.

Ficcò di nuovo la mano in gola al cadavere. Tirò, e il dente d’oro venne via. Uno splendido canino, fatto a regola d’arte, freddo e scintillante, una piccola stella nel palmo della sua mano.

"Una corona di fiori" Martino intascò il dente "Per il Carbone ci vuole una corona di fiori"

Afferrò e strattonò ancora. Un incisivo, d’oro zecchino "Il carro funebre."

Due molari, primo e secondo sinistri "Il trucco per cancellare i morsi del freddo dal volto"

Poi un incisivo "La messa ci vuole, la messa."

E poi c’erano ancora la camera ardente, il completo funebre, la lapide, l’incisione… alla fine il Lombardi si ritrovò in bocca soltanto quei pochi denti marci che gli aveva lasciato Madre Natura.

Martino sospirò. In realtà aveva sparato un po' a caso. Non aveva mai venduto denti d’oro di seconda mano, pardon, di seconda bocca. Non sapeva quanti soldi ci avrebbe fatto. Beh, pazienza, se mancava qualcosa lo avrebbe aggiunto di tasca sua.

Richiuse le fauci del cadavere. Se non si guardava con estrema attenzione era impossibile accorgersi di ciò che mancava, e nessuno era così interessato a guardare il brutto muso del vecchiaccio. Nessuno avrebbe mai saputo del furto, no, della sua opera di giustizia.

"Spero non le dispiaccia troppo, signor Lombardi, essere rimasto a bocca asciutta" mormorò il becchino "Ma comunque quei dentini mica le servivano, dico bene? Sa come si dice, a caval donato e al signor Lombardi non si guarda in bocca!"

Gli scappò una risatina, ma gli morì in gola dopo pochi secondi. Aveva pensato a che fare nel caso i soldi ricavati dai denti del Lombardi non fossero stati sufficienti… ma se, Dio non volesse, fossero stati troppi?

Martino si mise a camminare avanti e indietro. Cioè… e se una volta pagate tutte le spese per il Carbone fosse avanzato qualcosa? Che ci avrebbe dovuto fare? Sarebbero stati soldi sporchi, soldi rubati.

Si appoggiò a un loculo, quello di don Giustino "Lei che dice padre? Non è che può darmi una mano?"

Si accarezzò il mento, cercando di ricordare se il buon prete non avess mai dato consigli utili su cosa fare in un caso simile al suo. Non ricordò nulla che potesse riguardare un furto per giusta causa di cui potesse rimanere qualcosa una volta esaurita la suddetta giusta causa. Disdetta! Ma che senso aveva avuto frequentare tutte quelle messe, se quando aveva un dilemma di quel calibro non gli era rimasto niente? L’unica cosa che ricordava era quanto il don insistesse sull’importanza delle offerte.

Si batté un pugno sulla mano "Ma certo! La cassetta della Chiesa! Va bene, don Giustino, farò così. Se dai denti del Lombardi mi resta qualcosa metterò tutto nelle offerte per i poverelli!"

Ricolmo d’entusiasmo, si volse un istante verso la cella che ospitava la vecchia Pina "E lei, signora mia, mi raccomando… non facciamo che poi mentre chiacchiera con le sue amiche mi tradisce, eh… che dove andrà di sue amiche un po' ne ritrova. Conto su di lei. Acqua in bocca!"

Lanciò un ultimo sguardo al cadavere dell’avaraccio, e decise di pulirsi del tutto la coscienza "Facciamo così, signor Lombardi” mormorò “Se le dà fastidio quello che ho fatto, me lo dica ora e le restituisco tutto il malloppo!"

Il signor Lombardi, sempre intento a fissare il soffitto senza poterlo vedere, non disse una parola.

"Benissimo" disse Martino "Chi tace acconsente. Sa, forse mi ero sbagliato sul suo conto, signor Nicola… forse da morto non è così bastardo com’era da vivo!"

Rise, rise di gusto, poi si fermò davanti al volto consumato di Carbone "Animo, amico mio." gli carezzò una guancia gelida "Sei in buone mani. Adesso ti sistemo per bene, e vedrai che al funerale farai un figurone!"

E, con una lacrima all’occhio e un triste sorriso sul volto, il buon Beccamortino si mise al lavoro.

 

FINE

   
 
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