Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    07/03/2023    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Capitolo 32 – Atto secondo: dentro le fiamme

 

Adrenalina, /a·dre·na·lì·na/, sostantivo femminile
 
L'adrenalina, o epinefrina, è un ormone sintetizzato nella porzione interna (midollare) del surrene. Una volta secreta e rilasciata in circolo, l'adrenalina accelera la frequenza cardiaca, restringe il calibro dei vasi sanguigni, dilata le vie aeree bronchiali ed esalta la prestazione fisica; sostanzialmente, quindi, l'adrenalina migliora la reattività dell'organismo, preparandolo in tempi brevissimi alla cosiddetta reazione di "attacco o fuga".

 
Jean atterrò agile sul tetto su cui Levi e un’altra decina di loro soldati erano appostati, proprio nel momento in cui Eren, a parecchi metri da loro, si stava trasformando. Sotto il boato assordante del gigante e dei palazzi che cadevano a pezzi, il capitano non lo notò sino a quando il ragazzo non diede ordini perentori ai suoi compagni.
- Yvonne, Bernard, subentro io al comando adesso. Voi occupatevi dei militari a terra, sarete più utili che con i giganti.
I due risposero con un cenno del capo e sparirono gettandosi in strada.
- Alla buonora Jean. – Levi teneva il suo binocolo puntato su Eren – Sei un ufficiale adesso, non puoi più sollazzarti come una volta. Ho da affidarti parecchi soldati.
Il ragazzo s’inginocchiò accanto a lui: - Mi scusi capitano. Ho preferito evitare le strade troppo trafficate e abbiamo tardato. Com’è la situazione?
Il capitano abbassò il binocolo e lo posò per terra, quindi si girò a guardare il compagno: - Per ora procede tutto come hanno detto loro, aspetteremo che il gigante martello si faccia vivo e poi… - guardò oltre la spalla del ragazzo, interrogativo – Dov’è il saltimbanco? A trastullarsi anche lei? Tutto quel lusso vi ha dato alla testa.
- Doveva mettersi la tuta ignifuga, ci ha chiesto di andare lo stesso signore.
- Non è mica il ballo delle debuttanti, ha un compito da svolgere.
- La sua tuta era la più difficile da mettere, probabilmente è per quello che sta tardando.
- Tch. Potrei fare anche tutto da solo, ma darei più nell’occhio. – si voltò di nuovo verso la piazza in cui si trovava Eren e rimase a contemplare le fiamme e la distruzione di cui quel ragazzo si stava facendo principale carnefice, le orecchie piene di quel suono stonato delle sirene d’emergenza e delle urla, eppure, il silenzio di Jean era al contempo assordante.
Siri non è una che si fa aspettare.
Rimasero immobili, Jean che semplicemente era in attesa che il capitano desse gli ordini che avevano accordato quasi un mese prima: lo guardò con la coda dell’occhio, si chiedeva come mai fosse così meditabondo.
Levi finalmente si alzò: - Jean, ti affido i soldati. Io vado ad appostarmi come da programma.
- Sì signore!
Mentre procedeva tra gli edifici col movimento tridimensionale, il capitano estrasse dalla tasca l’orologio e constatò con un leggero fastidio che Siri avrebbe dovuto inviargli il segnale ormai più di cinque minuti prima. Ripose l’oggetto e proseguì, concludendo che forse ci stava pensando troppo.
 
Fu convinta di vederla, la strada. Quella che attraversava una volta uscita dall’ospedale per raggiungere Diya che l’aspettava dall’altra parte. Camminava sul marciapiede, guardandosi attorno deliziata: gente che si affrettava a comprare le ultime cose dalla panetteria e dal fruttivendolo, i bambini che facevano lo slalom tra le persone approfittando degli ultimi minuti di gioco prima di tornare a casa, i soldati della guarnigione intenti per una volta a coordinare il traffico delle carrozze, la gente che, semplicemente, si godeva il tramonto parlottando prima di rincasare.
Siri continuava a percorrere quella strada per superare l’angolo, confusa, ma allo stesso tempo abbastanza convinta di non essere in un sogno, nonostante sentisse la testa annebbiata da un fitto e opprimente vapore che teneva repressa nel suo inconscio la domanda: perché sono qui?
Arrivò all’angolo guardò lungo la strada alla sua destra. Il sole che tramontava l’accecò, si parò gli occhi socchiusi e guardò dinanzi a sé e lì, dall’altra parte della strada c’era lei, Diya. Siri abbassò la mano e le lacrime le salirono tutte insieme, assieme al sollievo, quando incrociarono gli sguardi. Fece qualche passo verso di lei ma si fermò nel momento in cui vide sua madre farsi seria e scuotere piano la testa.
Quando aprì gli occhi era tutto nero e il peso sulla sua gola era diventato improvvisamente più leggero. Il riflesso involontario del suo corpo le fece aspirare violentemente talmente tanta aria che iniziò a tossire per il dolore, lo sentì irradiarsi dalla gola a cui portò subito le mani.
Levi aveva preso l’uomo che la stava soffocando dalla collottola della giacca e l’aveva scaraventato dall’altra parte della stanza con talmente tanta forza che l’urto fece cadere dell’intonaco dal muro. L’assassino grugnì e fece leva sulle gambe per alzarsi, ma quando abbassò lo sguardo ai suoi piedi inorridì: il suo compagno ferito, ormai esanime sul tappeto, lo guardava con occhi vitrei dalla sua testa ancora attaccata al collo solo per le ossa e qualche lembo di pelle.
Scosse la testa per riprendersi. Levi camminava verso di lui con una calma sul volto da fare spavento, le iridi piccole e chiare brillavano nell’oscurità di una luce demoniaca. L’uomo deglutì e scorse vicino il suo compagno martoriato la pistola che, evidentemente, lui non aveva fatto in tempo ad afferrare. La prese in un lampo e la alzò dritta davanti a lui, sparò un colpo che Levi schivò scostandosi di poco, come se stesse evitando un insetto fastidioso. 
Nell’istante successivo in cui il carrello della pistola caricava in canna il proiettile successivo, Levi si piegò in avanti e con due passi sguainò la spada con una mano mentre con l’altra afferrava il polso dell’uomo, indirizzando l’arma verso l’alto. Quando lo vide esalare il suo ultimo respiro, estrasse la spada dal corpo dell’uomo con un gesto secco, facendolo capitolare in basso con un tonfo.
Siri, ancora stesa per terra, si era girata su un lato facendo peso sull’avambraccio aveva alzato il busto verso Levi che, ancora con quella calma terrificante, si era diretto verso di lei essudando rabbia da tutti i pori.
- Ne ho visti di muli cocciuti. – si fermò davanti a lei e si premurò di scandire bene ogni singola parola – Ma tu li batti tutti.
Siri, che ancora si teneva con l’altra mano la gola, guardò prima la spada dell’uomo da cui colava ancora del sangue e poi i due uomini morti oltre le sue gambe, quindi alzò le sopracciglia e con una voce che pareva più un soffio disse: - Due a uno… Hai vinto tu questa volta… Certo, un po’ eccessivo, però…
Levi ripose la lama e s’inginocchio davanti a lei: - Ci voleva che qualcuno cercasse di soffocarti per mettere a freno quella lingua, è in momenti come questo che vorrei tanto mozzartela. – le afferrò saldamente le spalle con entrambe le mani – Perché non sei rimasta con gli altri?
Siri, che pian piano stava riprendendo fiato e tranquillità, strizzò gli occhi: - Ero… in ritardo…
Levi abbassò lo sguardo sulle spalle della donna mentre strofinava la sua tuta sotto le dita: - Non è nemmeno quella ignifuga, perché hai su quella normale? Hai forse tendenze masochiste? Ti piace far bruciare la pelle?
- Forse non ho visto bene, non credo abbia import…
- Mi sembra ovvio, non si vede un cazzo in questo buco. Va a cambiarti. – le disse mentre lei alzava scostandosi di dosso l’uomo che la bloccava – Non appena prendi Zeke sali su quello stramaledetto pallone volante e rimanici. Non credere di passarla liscia, farò rapporto ad Hange rispetto alla tua mancanza di giudizio.
- Mi ero dimenticata com’era stare ai tuoi ordini. – Siri si diresse verso la sua camera da letto per cambiarsi – Fortunatamente è solo per stasera.
- Sta zitta o danneggerai la gola. – lei scosse la testa divertita da quella sua premurosità sgarbata – Siri. Aspetta. Ce la fai?
Siri sventolò una mano e scivolò dentro la camera buia: - Sì, non è stato un combattimento corpo a corpo.
Socchiuse la porta e dopo aver dato un’occhiata di sfuggita alla sua immagine riflessa nello specchio lungo fino a terra vicino l’entrata, si guardò alle spalle per vedere Levi oltre l’uscio socchiuso. D’improvviso, un dolore fastidioso le trapassò il fianco. Digrignò i denti e abbassò lo sguardo perplessa.
Un piccolo foro frastagliato bucava la sua divisa e una grossa chiazza di sangue aveva scurito il tessuto circostante. Siri raggelò e portò una mano sul fianco, incredula: palpò leggermente la ferita e osservò i polpastrelli scuri di sangue. Se poco prima non sentiva il minimo accenno di dolore, adesso iniziava a sentire un crescente fastidio nel ventre, oltre che una orrenda sensazione per tutto il corpo che piano piano, senza gli effetti dell’adrenalina, stava prendendo coscienza della precaria situazione.
Tirò giù la zip in un lampo e si spogliò completamente, rimanendo solo in mutante e fasciature davanti allo specchio, prese la sua borsa e ripulì il foro del proiettile che, come constatò toccandosi il dorso, non ne aveva lasciato un altro di uscita. Si voltò verso la porta oltre la quale c’era Levi che l’aspettava.
Forse devo…
No.
Fece qualche movimento di prova e riusciva più o meno a muoversi, chiaramente con dolori lancinanti che le correvano lungo il corpo ogni volta, ma ci riusciva, l’emorragia sembrava anche essere sotto controllo, non riusciva a trovare motivi per dire a Levi di essere ferita e quindi dargli di che preoccuparsi e non farlo combattere al meglio. Mise uno straccio tra i denti e prese la pinzatrice cutanea dalla sua borsa: il sangue non usciva più dalla ferita, era chiaro il proiettile stesse fungendo da “tappo”, era quindi meglio lasciarlo esattamente dov’era. Una volta arrivata a Paradise si sarebbe concessa il lusso di farsi curare.
Strinse i denti e avvicinò la suturatrice alla ferita. Tirò un profondo respiro dal naso e con due colpi secchi chiuse i due lembi della ferita, soffocando un grugnito di dolore. Applicò un cerotto abbastanza grande e iniziò ad infilarsi la tuta il più in fretta possibile.
- Hai bisogno di aiuto? – Siri sobbalzò alla voce di Levi, ovattata dalla porta.
- Ehm… - infilò le braccia nelle maniche con non poche difficoltà – No, arrivo.
Levi entrò lo stesso e lei si voltò verso di lui, intenta ad armeggiare con la zip all’altezza del petto. Lui le si avvicinò e prese il cursore, tirandolo su con cura. Le chiuse il colletto e le tirò su la mascherina e il cappuccio che le lasciarono solo gli occhi scoperti. Temporeggiò sui contorni del passamontagna per farglieli aderire bene al volto: - Così non dovresti bruciarti. – le prese il volto fra le mani e la guardò finalmente negli occhi – Segui Zeke a distanza, rimani nascosta. Sai quando agire. Prendi il barbone e raggiungi Sasha e Connie, poi sali su quel dannato pallone e restaci. Il tuo lavoro è finito, è un ordine.
- Andiamo allora.
 
Avevano riempito la granata di Levi con talmente tanto esplosivo e fumogeno che il problema per Siri non fu tanto recuperare Zeke senza scottature, quando riuscire a vedere qualcosa tra il vapore e le fiamme. Come avevano previsto, il vapore causato dal gigante bestia fu sufficiente a nascondere i due fuggitivi dagli occhi indiscreti degli altri soldati, presi a rispondere all’inferno di proiettili a cui i soldati di Paradise li stavano sottoponendo. Come previsto, Siri trovò campo libero, nonostante avesse dovuto fermarsi più volte sia per nascondersi, che anche per far fronte alle fitte dolorosissime che le attraversavano il corpo.
- Non preoccuparti Siri, abbiamo tutta la notte davanti, prenditela pure comoda. – Zeke, da sotto al cappuccio nero che lei gli aveva messo sulla testa, aveva intuito ci fosse qualcosa che non andasse nella spia che, sapeva, doveva essere perfettamente capace di portarlo sottobraccio senza il peso degli arti che gli erano stati mozzati.
Siri, grondante di sudore, sospirò contrariata: - Mi chiedo perché Levi non ti abbia fatto esplodere anche la faccia. – si sporse oltre il parapetto del tetto su cui si era fermata a riposare e vide finalmente a qualche centinaio di metro da loro il percorso luminoso che i suoi due compagni di squadra avevano allestito.
- Finalmente…
- Sarà quello che dirò io quando saremo finalmente sul dirigibile.
Siri lo guardò sprezzante e lo prese di nuovo sottobraccio, facendosi forza, si gettò in avanti e raggiunse il percorso luminoso. Aspettò che arrivasse il dirigibile e quando riavvolse il cavo gettò dentro la porta spalancata il corpo di Zeke prima di entrare.
Connie, che era già all’interno, l’aiutò ad entrare: - Tutto bene Siri?
La spia si lasciò tirare su dal ragazzo e abbassò la maschera e il cappuccio con un sospiro liberatorio: - Uff… Sì, grazie Connie. Voi tutto bene? Sasha?
- Sono qui. – la ragazza era inginocchiata accanto all’entrata col fucile che copriva la ritirata. Siri chiese a Connie di portare Zeke nell’abitacolo di comando e prima di chiudersi in bagno, accarezzò il capo di Sasha. Quando uscì, scandagliò i soldati e notò con piacere che sia Jean, che Bernard e Yvonne erano tutti saliti a bordo. Le grida fastidiose di Floch la fecero strizzare gli occhi, quindi li superò per raggiungere l’abitacolo, non prima di aver redarguito nervosamente Floch.
Quando entrò poté percepire la forte atmosfera di tensione che c’era tra tutti i presenti, Levi era a dir poco nero dalla rabbia mentre Eren ai suoi piedi era stato ammanettato accanto a Zeke che, invece, aveva quella sua solita faccia tosta che tanto faceva innervosire la spia.
- Giuro, un’altra idiozia sul rinato impero di Eldia e faccio una strage. – incrociò lo sguardo di Eren che la stava osservando – Tu che hai da guardare? Sei soddisfatto?
- Il piano ha proceduto come previsto col minor numero di perdite possibili.
- Ah, lo prendo come un sì allora. – disse piccata Siri mentre gli si avvicinava.
- Non ne vale la pena Siri. – la fermò Levi perentorio – L’ho già preso a calci io.
- Me ne rallegro.
Armin, sentendo la voce roca della spia le si avvicinò preoccupato: - Siri… la tua voce. Che cosa è successo?
Lei si sbottonò il colletto della divisa e mostrò il grosso livido sul collo, lasciando tutti, tranne Levi, sconcertati: - Un piccolo incidente di percorso. – con la coda dell’occhio osservò prima Yelena e poi Zeke. Qualcuno doveva essersi fatto sfuggire qualcosa e, se all’inizio aveva immediatamente pensato ad Onyankopon e ad una sua innocente svista, credette che forse quei due in realtà potessero centrare qualcosa. Le loro reazioni furono abbastanza eloquenti per Siri, che si limitò a registrarle nella mente per parlarne successivamente con Hange.
- Qualcuno vi ha visti? – s’intromise Levi, cambiando argomento.
- No capitano. Per quanto mi secchi ammetterlo, ha tutto proceduto liscio come l’olio, ma è tutto grazie alla pianificazione di Armin. – Siri si guardò attorno – Ma non c’è nulla da festeggiare, devo fare rapporto al comandante Hange, la mia copertura è saltata e ci sono altre questioni in sospeso di cui dovrei parlarle.
- Per quello c’è tempo. Adesso è meglio che tu ti occupi dei feriti.
- Va bene capitano. – Siri si voltò verso Armin e Mikasa, rimasta in disparte – Mikasa, stai bene?
Nel momento in cui la ragazza annuì mogia, si sentì un gran baccano provenire dal resto dell’equipaggio.
Levi si voltò verso la porta seccato: - Ancora tutto questa confusione?! – rivolse una breve occhiata alla spia, altrettanto nervosa – Siri.
Lei assentì col capo e prese un fucile dall’angolo della stanza: - Con piacere, capitano.
Uscita dall’abitacolo, si diresse a grandi passi verso gli altri soldati: - Allora, non mi avete forse sentito la prima volta?!
Siri impietrì sul posto. Sasha era a terra con un colpo nell’addome, Connie e Jean inginocchiati accanto all’amica mentre il resto dei soldati si accaniva su una coppia di bambini marleyani. Connie vedendola spalancò gli occhi lucidi, animato da una nuova speranza: - SIRI! Menomale che sei qui! Abbiamo bisogno di te!
Jean si voltò a guardare la maestra con un’espressione sconcertata, lei, a sua volta, non sapeva letteralmente cosa fare.
- Io non… - le parole le morirono nella bocca, sentì le gambe tremare, quando un'altra esortazione concitata di Connie la fece sobbalzare.
- Siri! Non c’è tempo, Sasha sta… VOI! – si voltò verso Bernard e Yvonne che si erano avvicinati alla scena e si stavano limitando ad osservare senza sapere che fare o dire – Recuperate la sacca di Siri, SVELTI!
Siri gettò via il fucile e accorse inginocchiandosi assieme agli altri due compagni di squadra accanto alla ragazza, si asciugò le lacrime col dorso della mano mentre corrugava le sopracciglia cercando di concentrarsi. Quello che avrebbe voluto dire a Connie era che, nonostante fosse la persona più indicata in quella situazione date le sue capacità, era anche quella più sbagliata a cui rivolgersi: in una situazione normale in ospedale, ma anche all’infermeria del corpo, lei non avrebbe potuto mettere un dito su Sasha, visti i sentimenti materni che provava per lei.
Iniziò a togliersi le fasce dalle mani il più velocemente possibile, mentre l’altro medico la raggiungeva e apriva veloce la tuta di Sasha per scoprirle la pancia. L’ennesimo strepitio dei soldati la fece voltare rabbiosa verso la rissa: - LA VOLETE PIANTARE?! – quell’urlo disperato le tolse definitivamente la voce, ebbe una fitta alla gola e al basso ventre facendole chiudere gli occhi per il dolore.
Resisti ancora un po’.
Jean si abbassò su di lei, ancora del tutto impanicato: - Stai bene?
Lei gettò via le fasce e gli disse: - Porta quei due bambini via di qui, immediatamente.
- Sì. – Jean si alzò e fece come le disse.
Siri abbassò lo sguardo sulla ferita della ragazza. Il sangue sgorgava copioso e la pelle si faceva sempre più pallida. Non perse tempo e iniziò a scambiarsi pareri e strumenti con il collega di fronte a lei, ma dopo essersi sporcati entrambi le mani e aver riempito la piccola incisura che si erano aperti di garze per tamponare, il medico di fronte a lei le rivolse una breve occhiata: Siri si era già fermata ormai qualche secondo prima di lui e osservava le sue mani tinte di rosso.
Erano lezioni che aveva imparato ormai tanti anni prima: non curare un tuo affetto e non accanirsi.
Il problema era che, in quel momento, Siri non era sicura si fosse fermata perché per Sasha non c’era più speranza. Piuttosto stava pensando che le sue mani non fossero più capaci di salvare qualcuno, che forse quelle mani avevano deciso che non era più una loro responsabilità quella di curare.
Le girò per guardarsi il dorso e quella K incisa a caldo sulla sua pelle la convinse di quanto quello che aveva pensato fosse vero, un promemoria che nascondeva e che allo stesso tempo non riusciva ad ignorare: non poteva letteralmentecancellare tutte le morti di cui si era macchiata, era irrimediabilmente cambiata e non aveva nulla di diverso da persone come Kenny. Era caduta nel fango e sarebbe stata per sempre un mostro.
Connie, che continuava ad accarezzare la testa di Sasha, richiamò Siri: - Ehi! CHE STATE FACENDO?!
La spia incurvò le spalle: - Connie, la pallottola le ha preso un tronco arterioso, il sangue che ha perso è troppo e…
- No!
- Connie, smettila ti prego… - una singola lacrima scese sul viso di Siri, poi entrambi non dissero più nulla fino a quando Sasha esalò il suo ultimo respiro dicendo loro una parola.
 
Seduta per terra con la schiena poggiata alla parete in legno, Siri rigirava tra le mani uno dei suoi pugnali. Non si era ancora rimessa le fasce, il dolore al basso ventre si stava facendo più pressante, ma quello che sentiva nel suo petto riusciva a sovrastarlo.
Il riflesso della lama le arrivò dritto negli occhi.
- VAFFANCULO KENNY! – Siri lanciò una sedia contro la porta chiusa – Mi hai sentita?! VAFFANCULO!
Non si sorprese affatto che quel ricordo le fosse venuto a galla proprio in quel momento, lo aveva raccontato anche a Levi e persino lui ne era rimasto pietrificato. Ma il tempo era la migliore medicina, assieme alla superficie e il ricordo della persona che era davvero. 
- Siri. – Levi le si era avvicinato, i suoi occhi furono attirati dal pugnale che la donna aveva tra le mani, gli sembrava di averlo già visto in passato ma non riusciva a ricordare dove. Quando lei alzò lo sguardo vacuo, mise via l’arma e prese le fasce che lui le porse. Mentre le riannodava alle mani si alzò e tossì per schiarirsi la voce ancora compromessa: - Non… Non sono riuscita a salvarla. – dichiarò ai presenti, Jean si limitò ad abbassare lo sguardo sui due bambini marleyani che ancora teneva dalle spalle, ma Connie, ancora attanagliato dal dolore cieco, strinse i pugni. Se da una parte voleva recriminarle qualcosa per sentirsi meglio, dall’altra era così di buon cuore che non avrebbe mai potuto farlo.
- Ah, beh, può capitare Siri. – esordì Zeke, guadagnandosi le occhiate interrogative di tutti i presenti – Non fartene una colpa, accade anche ai migliori. Soprattutto se diventano più avvezzi a toglierle le vite che a salvarle.
Tutti, ad eccezione di Yelena, credettero di non aver sentito bene. Levi aveva una facciata da mantenere e sapeva benissimo che una sua reazione non sarebbe stata opportuna, oltre che rendere vulnerabili sia lui che Siri: decise di restare perfettamente impassibile e si voltò lentamente verso la diretta interessata, all’apparenza altrettanto imperturbabile.
Zeke continuò, forte del silenzio dell’altra: - Cos’era? Ricina, vero? Ingegnoso, hai pensato che l’avrebbero scambiato per una brutta epidemia d’influenza. Un po’ macchinoso, ma la discrezione è tutto, te ne do atto.
Levi sgranò leggermente gli occhi. Aveva raccolto qualche tassello in più adesso, ma gli mancava la visione d’insieme e altri indizi.
- Ehi, come ti permetti! Guarda che… - Siri, senza voltarsi, alzò semplicemente una mano, facendo fermare all’istante Jean alle sue spalle dal dire altro. Era il suo modo per dirgli: Non ce n’è bisogno.
Si avvicinò lentamente all’uomo ancora fumante e gli si inginocchiò davanti, quindi, per essere sicura che lo sentisse bene anche con quel filo di voce che le era rimasto, sporse la testa in avanti, fermandola a pochi centimetri da quella dell’altro, ignorando l’ennesima fitta dolorosa con naturalezza: - Zeke, tu sei un morto che cammina. Quando ti uccideranno, voglio che tu lo sappia, io sarò in prima fila a godermi lo spettacolo. – inclinò leggermente la testa – Io sarò anche costretta ad essere così, ma tu… Come ci si sente a godere di quello che fai?
Zeke rimase in silenzio ad osservare il viso della ragazza: - Non fraintendermi Siri. Io sono d’accordo con te, una morte indolore è molto meglio che perpetrare un’altra dannazione.
Siri rinunciò dal continuare oltre quella conversazione e ignorò lo sguardo indagatore che Eren le rivolse per l’ennesima volta da quando Connie gli aveva detto le ultime parole di Sasha, perché la parola “porchetta” l’avesse lasciato così colpito l’aveva incuriosita, ma era troppo stanca e triste per indagare. Oltre che essere sotto occhi indiscreti.
La spia si avvicinò a Jean e si rivolse ai bambini: - Avanti, sedetevi, vi disinfetto le ferite.
Non appena Siri s’inginocchiò davanti alla bambina, questa le urlò contro: - NON TI AVVICINARE! Non mi fiderò dei discendenti del demonio!
- Sì, va bene, ma per favore abbassa la voce. I rumori forti non li ho mai sopportati. – le rispose, tirando fuori disinfettante e garze, mentre il bambino, invece, si sedette, sordo ai rimproveri dell’amica – Jean.
Il ragazzo si piegò per sentirla meglio.
- Un secchio.
- Come? – disse Jean, interdetto.
- Un secchio. Veloce. Non credo di resistere oltre.
Non appena glielo portò la donna rigurgitò, tenendosi un braccio attorno al ventre.
- Siri! – Jean le prese la fronte preoccupato – Sei sicura di stare bene? Sei molto pallida ed è da prima che…
- Sto bene Jean. – lo interruppe – È stata tutta la… situazione. – alzò la testa dal secchio, attirata da dei passi che le si avvicinavano: Levi si era piegato davanti a lei e le stava porgendo un fazzoletto. Non sembrava arrabbiato, anzi, preoccupato perché la morte di Sasha doveva essere stato un brutto colpo per lei.
Dopo essersi data una veloce ripulita, Siri rinnovò la sua offerta e solo Falco si sottopose subito alle sue cure, mentre Gabi, non appena l’altra fece per avvicinare il batuffolo di cotone imbevuto alla bambina, si tirò indietro.
- Che senso ha questa scenetta?! Buttateci dal dirigibile! Preferisco morire, non rivelerò i segreti della nostra nazione se è quello che sperate!
- Gabi, smettila. – Falco sembrava vergognarsi del suo comportamento.
Siri lasciò cadere le spalle in basso e guardò il pavimento. Non poteva certo biasimarla, aveva scoperto che il suo capo, su cui riponeva cieca fiducia, faceva il doppio gioco col nemico, nei suoi panni avrebbe reagito allo stesso modo. Dopo varie rimostranze e battibecchi, alla fine Gabi non si lasciò toccare, motivo per cui Siri lasciò vincere stanchezza e dolore sulla frustrazione e si sedette per terra, cercando di nascondere quanto più potesse il sudore che le imperlava il viso.
Più di una volta credette di essere sul punto di svenire, faceva respiri profondi e beveva poca acqua alla volta.
Resisti ancora un po’.
Non puoi ancora.
Se avesse rivelato di avere una pallottola nel fianco, si sarebbe scatenato il panico e il secondo medico di cui disponevano non aveva di certo la preparazione che sperava. Senza contare che il dirigibile non era di certo il posto migliore dove improvvisare un’operazione chirurgica. Non avevano né luoghi sterili né competenze necessarie, si sarebbe operata da sola se solo non sapesse perfettamente che sarebbe svenuta dopo poco. 
Doveva solo attendere di arrivare a Trost, lì sarebbe potuta sopravvivere.
Jean, seduto accanto a lei, ebbe un crollo emotivo e scoppiò in lacrime sulla sua spalla, lo abbracciò senza rivolgergli la parola, concentrata per non far trasparire alcun tipo di dolore. Tirò su il cappuccio, nonostante Levi non la stesse guardando minimamente, per preservare la segretezza del loro rapporto, doveva mascherare quanto più possibile il suo stato.
Resisti ancora un po’.
 
Il dirigibile finalmente atterrò a Paradise, poco fuori Trost, dove era stato allestito un primo centro di soccorso per i feriti. Siri si rese conto che avevano raggiunto la destinazione solo dopo che gli altri nell’abitacolo si furono alzati. Era il corpo a condurla, non ricordava nemmeno di aver percorso il corridoio ed essere uscita dal veicolo.
Resisti.
La luce del mattino era accecante, riparò con la mano gli occhi, e guardò davanti a sé: alcuni soldati portavano sulle barelle i corpi dei caduti coperti da un lenzuolo, i medici e gli infermieri di primo soccorso si affaccendavano sotto i tendono tra feriti e cadaveri per smistarli e compilare le cartelle da consegnare all’ospedale assieme ai pazienti. Si voltò a guardare la testa del dirigibile: Hange e Levi, ognuno con un buon assortimento di soldati, avevano rispettivamente Eren e Zeke in manette.
Bene, pensò.
Si sentì chiamare e rivolse di nuovo lo sguardo dinanzi a sè.
- Siri…? – Jean, qualche metro più lontano, si era fermato e guardava scioccato il suo volto pallido e sudato. Poco più avanti, anche Yvonne e Bernard, in disparte rispetto a tutti gli altri, si erano voltati e ora la fissavano interrogativi.
La spia fece qualche passo e poi capitolò per terra.
- SIRI! – il grido di Jean fece voltare in allarme tutta la squadra di Levi e il comandante stesso verso l’entrata del dirigibile. Levi si allontanò dal suo cavallo con non calanche e si fece spazio tra i soldati che gli coprivano la visuale. Non appena scorse in lontananza Jean piegato su Siri, alzò il passo e con rapide falcate li raggiunse.
Jean continuava a scuoterle le spalle, completamente in panico: - Siri! Rispondimi!
Levi s’inginocchiò e risoluto verificò il battito sotto la mandibola, poi le alzò una palpebra e le osservò la pupilla che si restrinse con l’impatto della luce.
- Jean, che ti ha detto? – il tono del capitano era fermo e diretto – Può essere che abbia ingerito quella cosa di cui parlava il barbone? La ricina?
Il ragazzo aveva gli occhi sbarrati mentre faceva mente locale, ma proprio non riusciva a mettere due parole in fila.
- Jean! Concentrati e rispondimi!
- No. – Levi alzò la testa, Bernard si era avvicinato loro – La ricina non ha un effetto immediato. Non sembra comunque l’effetto di alcun veleno, sta andando in shock.
Levi tornò a guardare Siri che boccheggiava, fece scorrere veloce gli occhi sul suo corpo quando vide la mano di lei poggiata sul fianco. La realizzazione lo punse nel vivo, col cuore in gola, afferrò la zip della sua tuta e la fece scorrere fino all’addome, la aprì e alla visione del grosso cerotto rosso sul fianco un formicolio poco piacevole gli risalì lungo la spina dorsale. Con uno strappo deciso, rivelò il foro di un proiettile nel fianco della donna, una graffetta ancora agganciata ai due lembi di pelle mentre l’altra, che aveva ceduto, pendeva traballante da un’estremità.
Jean sbiancò: - Perché la tuta non è bucata? – riuscì a dire incredulo.
Bernard, ancora in piedi, disse qualcosa su cui Levi, lì per lì, non rifletté: - Deve andare a Trost. Qui morirà sicuramente. Merda, sapevo che non era nelle condizioni di proseguire…
Siri, delirante, percepiva le voci e le persone attorno a lei come echi distanti, riusciva a vedere soltanto tanta luce, poi un ordine da Hange, le parve di capire, qualcuno che la sollevava e la portava via tra le braccia. Riconobbe il profumo del sapone di lavanda che gli aveva regalato, il manto nero del suo cavallo, Jean che aiutava il capitano a farla salire in sella. Erano solo una serie di immagini che scorrevano, una dopo l’altra, ricordava solo più lucidamente di sedere petto contro petto con Levi a cavallo, la mano di lui che la teneva ferma e la sua spalla, su cui abbandonò la testa.
Levi… - lui sentì le braccia di Siri abbracciarlo e aggrapparsi al mantello sulle spalle – Ho paura…
A malapena riuscì a scendere da cavallo con lei in grembo senza cadere quando arrivarono finalmente davanti l’entrata dell’ospedale, questo perché Siri non aveva paura di niente, ad eccezione di una cosa sola.
La morte.

Nota: ancora una volta non sono riuscita a correggere i primi capitoli, ma i più attenti, o chi magari ha riletto il capitolo precedente, avrà notato che ho pubblicato più o meno una settimana fa una versione migliore del capitolo. se siete curiosi, ho cambiato qualcosina, aggiunto delle migliorie.
Quest'ultimo capitolo non mi soddisfa molto, ho tagliato parecchie parti (ad esempio c'era un dialogo tra Siri e Gabi e Falco) e alla fine forse le scene a cui tenevo maggiormente ci hanno rimesso. sinceramente non vedo l'ora di staccarmi definitivamente dal canon, è parecchio stancante riprendere tutte questi avvenimenti e rinarrarli.
perdonatemi per come il tutto possa sembrare troppo drammatico, è una cosa che evito accuratamente di fare, ma mi sono ritrovata un po' "costretta" diciamo.
forse questo malessere nello scrivere è un po' anche il riflesso di come mi sento verso AoT in questo momento, da poco è uscito il nuovo episodio e devo ancora riprendermi dallo shock, per un po' credo mi rifugerò nel mondo delle fanfiction AU perché, credetemi, ero in una valle di lacrime ed è stato difficile poi dedicarmi anche a questa fic, nata per essere un po' più leggera, ma diventata alla fine abbastanza impegnativa.
alla prossima!
 
  
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