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Autore: ArtistaDiStrada    07/03/2023    4 recensioni
La storia avviene dopo il finale del film di Teen Wolf =SPOILER!
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Derek è morto e con lui il Nogitsune, ma Stiles ne viene informato solo molto dopo e quando finalmente torna a Beacon Hills trova Eli abbandonato a se stesso. Il branco si è nuovamente diviso e Scott è troppo preso dalla sua nuova vita con Allison per occuparsi attivamente del giovane Hale.
Ma non tutto è come sembra e una scoperta inaspettata cambierà le carte in tavola. Stiles sarà chiamato a prendere una decisione che potrebbe stravolgere la sua vita, quella di Eli... e di Derek.
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|| Dal testo:
"Che vuol dire? Cosa-"
"Stiles, mi dispiace così tanto. Pensavo che Scott ti avesse chiamato. Credevo ti servisse spazio, che non avessi chiamato per questo. Stiles, ti prego-"
Ma lui non stava ascoltando, non più. Il telefono caduto a terra continuava a trasmettere la voce leggermente metallica di suo padre, ma era solo un'eco lontana.
Derek era morto. Derek Hale, che aveva rischiato di morire tante di quelle volte da renderlo quasi un hobby, era morto. Finalmente erano riusciti ad ammazzarlo. O meglio, si era ucciso da solo, perché non c'era modo che Derek Hale non si immolasse come un martire. Cazzo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Derek/Stiles, Nogitsune, Stiles Stilinski, Void!Stiles
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Note dell'autrice.
Qui solo per dirvi che ho scritto questa storia ascoltando a ripetizione Ceilings di Lizzy McAlpine (versione nightcore), nel caso voleste provare a leggere con la musica. 
Ci vediamo alla fine della storia con le note finali.

 
 ~☆~☆~

 



Stiles sapeva che doveva respirare, che in questo modo rischiava di svenire, ma non si ricordava più come si faceva.

“Che vuol dire? Cosa-”

“Stiles, mi dispiace così tanto. Pensavo che Scott ti avesse chiamato. Credevo ti servisse spazio, che non avessi chiamato per questo. Stiles, ti prego-”

Ma lui non stava ascoltando, non più. Il telefono caduto a terra continuava a trasmettere la voce leggermente metallica di suo padre, ma era solo un’eco lontana.

Derek era morto. Derek Hale, che aveva rischiato di morire tante di quelle volte da renderlo quasi un hobby, era morto. Finalmente erano riusciti ad ammazzarlo. O meglio, si era ucciso da solo, perché non c’era modo che Derek Hale non si immolasse come un martire. Cazzo.

Suo padre continuava a parlare, ma Stiles aveva problemi più grandi a cui pensare. Come quella nuova fitta improvvisa all’altezza del petto che gli rendeva doloro prendere anche il più piccolo dei respiri.

Si lasciò scivolare a terra, spalle al muro, e pensò all’ironia della sorte, a loro due che si erano salvati la vita a vicenda e a come l’annuncio della morte di uno adesso rischiava di procurare la morte dell’altro.

All’improvviso gli balenò in mente l’immagine di un bambino di dieci anni senza i due incisivi superiori.

Eli!

Schiaffò la mano a terra con la vista nera ma tutta l’intenzione di trovare il telefono. Non sentiva nessuno di loro da cinque anni, ma sapeva che Eli era la vita di Derek. Il mannaro non si sarebbe mai sacrificato così, a meno che…

“Eli!”

“Stiles, dio! Credevo fossi svenuto. Mi devi ascoltare, ragazzo-”

“No. Eli. Dimmi solo se lui è…”

Poteva non sentirlo da anni, ma quell’uomo rimaneva suo padre e sapeva come funzionava la sua mente. Appena afferrò cosa il figlio non avesse il coraggio di chiedere si interruppe per rassicurarlo immediatamente. “Dio, no! Sta bene. Lui sta bene.” e poi come ripensandoci aggiunse: “Eli sta bene.”

Un tempo la specifica sarebbe stata necessaria. Un tempo in cui Stiles, fra un lavoro e un altro, avrebbe chiamato a casa e avrebbe chiesto di Derek ed Eli. Un tempo che ormai non sarebbe più stato.

Un singhiozzo lo colse all’improvviso e dopo fu come se fosse stato azionato un interruttore: calde lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso, rendendolo cieco.

“Come?” chiese in un sussurro spezzato.

“Stiles, non farti questo, figliolo.”

“Dimmi come.”

Udì distintamente il sospiro rassegnato di suo padre e lì per lì poté quasi giurare di averlo sentito schiarirsi la gola, come se avesse un groppo, come se gli venisse da piangere. Ma questo non era possibile. Suo padre non piangeva.

“Parrish. Derek ha dovuto tenere il Nogitsune mentre Parrish gli dava fuoco.”

Stiles si ritrovò a fissare il vuoto, la calma ritrovata per un secondo. “Vuoi dire che è morto bruciato? Che è morto bruciato vivo?!”

Il silenzio che seguì fu il più rumoroso che Stiles avesse mai sperimentato.

Un improvviso scoppio di risa lo colse alla sprovvista. Si portò una mano alla bocca cercando di trattenerle, ma ebbe scarso successo.

“Stiles…?”

“Sai-” iniziò, ma non riuscì a causa di un altro scoppio improvviso. Così riprovò: “Sai questo cosa significa? Che ventitré anni fa si è salvato dall’incendio di Kate solo per soffrire come un cane e poi morire ugualmente bruciato vivo. Ah! L’ironia.”

Lo sceriffo inspirò di scatto, non aspettandosi nulla di tutto ciò. Chiamò il nome di suo figlio, ma fu prontamente interrotto dalle risa del ragazzo che si trasformarono gradualmente in un pianto ininterrotto. “L’ironia, papà. L’ironia…” continuava a ripetere e in una parte remota del suo cervello sapeva che in quel momento stava spezzando il cuore a suo padre. Sapeva che l’uomo si stava maledicendo per non essere lì a consolarlo, per aver rispettato quelli che credeva i suoi spazi e non averlo chiamato prima, per essersi fidato di Scott, per non essere riuscito a salvare Derek. Stiles sapeva che tutti questi pensieri dovevano star uccidendo suo padre, ma in quel momento non riusciva a fare altro che starsene lì, scosso dai singhiozzi, al buio nel suo appartamento a Quantico, solo.

Derek Hale era morto e lui era solo.
 
***

Sospettava di aver superato i limiti di velocità, ma in realtà, non appena era atterrato con l’aereo e aveva preso possesso della macchina affittata, non gli era importato più nulla delle regole e dei limiti stradali. Doveva andare a casa. Aveva il bisogno fisico di tornare a casa, aprire la porta e vedere con i propri occhi che non ci sarebbe stato Derek ad accoglierlo, non questa volta. Mai più.

Non sapeva cosa diceva di lui il fatto che, se pensava a casa, la prima immagine era la villetta circondata da alberi di Derek. Non poteva davvero mettersi a pensare a quello o sarebbe impazzito.
 

Non sapeva cosa si aspettasse quando aprì la porta. Tutto e niente, probabilmente. Ma sicuramente non di trovarsi di fronte ad un adolescente con i capelli sugli occhi e l’aria di essere andato e tornato dall’inferno.

“Eli.”

Aveva senso. L’ultima volta che lo aveva visto aveva poco meno di dieci anni, ancora tutti i denti, e senza il permesso di aprire la porta di casa. Ma erano passati cinque anni e adesso era un giovane uomo.
Per un momento pensò che l’altro non l’avesse riconosciuto. Del resto era passato diverso tempo e l’ultima volta che si erano sentiti era stato per videochiamata. Aveva senso che non si ricordasse.

Eli però fu più veloce di lui e gli corse incontro, schiantandosi contro il suo petto.

L’aria lasciò i polmoni di Stiles e fece fatica a tornarvici quando due braccia lo cinsero stretto, ma se glielo avessero chiesto Stiles avrebbe risposto che sarebbe stato felice di morire così: Eli che lo teneva stretto in un abbraccio soffocante, la faccia premuta sul suo petto. Le braccia di Stiles cinsero il ragazzo senza che dovesse neanche solo pensarci. Memoria muscolare, probabilmente.

“Sei venuto.”

Il cuore di Stiles si spezzò. “Cucciolo, non lo sapevo.” riuscì a dire prima che la voce gli si spezzasse “Ti giuro che non lo sapevo. Mi dispiace così tanto.”

La consapevolezza che suo padre gli aveva rivolto quelle esatte parole solo la sera prima gli fecero stringere ancora di più il ragazzo al petto.

“Non sapevo come contattarti. Non sapevo se avresti risposto, se il numero… non sapevo dov’eri, Stiles.”

Stiles dovette alzare lo sguardo al cielo per evitare di piangere. Era lui l’adulto ora ed era Eli che aveva perso il padre. Era Stiles a dover essere quello forte.

“Ero appena tornato, due settimane fa. Avrei risposto, Eli. Avrei risposto. Papà lo sapeva, Scott lo sapeva.” un piagnucolio proveniente dal ragazzo lo costrinse a tornare presente a se stesso e a rimandare indietro la rabbia. “Vi sarei venuto a trovare. Te e… sarei venuto da voi. Sarei tornato a casa. Dio, Eli, vieni qui!” esplose alla fine, permettendosi di piangere non appena udì i singhiozzi dell’altro.

“Papà… papà non c’è più. Lui-”

“Shh, lo so. Lo so, Eli, lo so.”
 
***

“Quando verranno a prenderti?”

“Mh?”

Stiles era appoggiato allo stipite della porta del corridoio e osservava con sguardo critico le condizioni in cui versava la casa. Fece una smorfia quando i suoi occhi individuarono una macchia scura sul divano. Non era difficile pensare a chi ci avesse sanguinato sopra. Tipico di Derek sanguinare in giro e non ripulire. Si fece pena da solo con quel magro tentativo di sdrammatizzare.

Intento a fare spazio sull’isola della cucina, Eli gli lanciò appena uno sguardo confuso, le sopracciglia alzate. A Stiles si strinse il cuore quando riconobbe Derek in quello sguardo. Si ricordò come aveva scommesso con Derek che i geni Hale si sarebbero manifestati prima o poi. ‘Intendi essere un lupo nato?’ gli aveva chiesto quello. ‘No, beh sì, anche quello. Ma intendevo l’altro gene, quello più forte.’ gli aveva detto mentre solleticava un Eli di appena pochi anni sulla pancia. Derek gli aveva lanciato uno sguardo confuso e aveva alzato le sopracciglia. ‘Ah-ah! Proprio quello, Sourwolf. Sono sicuro che il piccolo cucciolo qui erediterà i veri geni Hale e sfoggerà le migliori sopracciglia parlanti esistenti al mondo!’.
Sospirò. Aveva avuto ragione, ma allora perché constatarlo in quell’occasione gli sembrava una sconfitta?

“Non so come vi siete organizzati, scusa. Papà… non è riuscito a dirmi molto.” deglutì al ricordo di quando aveva scoperto che Allison era stata resuscitata. E che i funerali di Derek si erano già tenuti, senza che nessuno lo avesse chiamato.

“Oh, Scott è passato questa mattina.”

Stiles annuì. Non sapeva perché non stesse da Peter o Malia, ma supponeva che almeno Melissa sarebbe stata d’aiuto. Ricordava che Scott ormai vivesse fuori, ma se era in città doveva essere tornato per forza a casa della madre.

“E quando tornerà a prenderti? Si sta facendo tardi.” insistette lanciando un’occhiata al sole quasi tramontato. Non voleva lasciare Eli, ma non voleva neanche distrarlo da qualsiasi cosa fosse tornato a fare a casa sua. Forse aveva a che fare con gli odori. Forse voleva prendere qualcosa che odorasse ancora come suo padre. Come Derek, gli ricordò la sua mente.

“Prendermi? Perché dovrebbe prendermi, dove dobbiamo andare?”. Eli ora gli aveva rivolto la sua piena attenzione, ma era ancora confuso. Stiles si ritrovò a rispecchiare la stessa espressione, ma dentro aveva avuto un tuffo al cuore. Eli non poteva voler dire quello che Stiles aveva appena pensato. Probabilmente non si stavano semplicemente capendo.

“No, da nessuna parte. Intendevo, sai quando passerà Scott?”

Ma il ragazzo scosse le spalle e tornò a fare quello che aveva iniziato prima. Stiles lo osservò frastornato prendere dei pezzi di pizza da una scatola in bilico sul ripiano e metterli nel forno a microonde a riscaldare.

“Non lo so. Forse domani?”

Forse?” si strozzò Stiles.

“Che giorno è oggi?”

“Martedì.” rispose senza pensare l’umano.

Eli fece una smorfia. “Allora no, forse giovedì. Mercoledì credo debba fare qualcosa con Chris e… Allison? Si chiama così la ragazza?”

Stiles sbiancò e ignorò completamente la domanda dell’altro per dare nuovamente uno sguardo in giro. La casa era un disastro: il divano era ancora incrostato di sangue lì dove supponeva Derek avesse appoggiato qualsiasi fosse l’arto ferito; c’era puzza di chiuso che in un primo momento Stiles aveva attribuito all’abbandono della casa per quelle ultime due settimane; la cucina era sporca di schizzi di cibo, pentole e padelle incrostate e lasciate in giro. Ce n’era persino una a terra e Stiles non impiegò molto a ricostruire cosa doveva essere successo, non se considerava le carte e gli involucri di cibo d’asporto che ricoprivano il pavimento.

“El- Eli,” balbettò “stai vivendo qui?”

Il ragazzo lo guardò come se non avesse capito la domanda, ma Stiles aveva bisogno di saperlo.

“Da solo?”

Quando l’altro sembrò mettersi sulla difensiva, Stiles sentì chiaramente il suo cuore spezzarsi in mille pezzi.

“Oh, Eli.” mormorò prima di schivare l’isola della cucina e tirarselo al petto. La furia omicida che aveva provato quando aveva scoperto che Scott non lo aveva chiamato si andò solo a sommare a quella generata dal sapere che il ragazzino di quindici anni si era preso cura di se stesso nelle ultime due settimane, due settimane successive alla morte di suo padre. “Lo ammazzo. Questa volta lo ammazzo davvero.”

Eli uggiolò a disagio, anche se non sciolse l’abbraccio.

“Va bene. È solo impegnato.” borbottò, il suono attutito per la bocca premuta contro la sua maglietta.

“No! Ehi, no, cucciolo, guardami.” disse Stiles prendendolo per le spalle e allontanandolo per poterlo guardare negli occhi. “Non ti porterai dietro gli stessi traumi di tuo padre.” digrignò i denti alla consapevolezza che forse era già troppo tardi “Non ti è permesso. Io non te lo permetterò. Ascoltami bene, Eli: tu sei importante. Tu meriti tutta l’attenzione del mondo. Sei solo un ragazzo a cui è stato strappato il padre troppo presto, perdìo! Non c’è giustificazione che regga per lasciarti da solo in un momento del genere. Per lasciarti da solo in generale! Hai il diritto di non essere forte, Eli. Hai il diritto di essere triste e arrabbiato, perché tutto questo è ingiusto! E cazzo se non hai il diritto di avere qualcuno qui a reggere tutto questo per te.”

Gli occhi di Eli si riempirono di lacrime e le sue spalle si afflosciarono come se finalmente avesse smesso di fingere di essere forte. A quella vista la presa di Stiles sulle sue spalle si fece più salda, pronto a sostenerlo. Pronto ad essere quella persona di cui il ragazzo aveva bisogno.

“Se tuo padre fosse qui, sono sicuro che ti direbbe la stessa cosa. Eri la cosa più bella della sua vita e, se avessi chiesto a lui, anche l’unica cosa giusta che avesse mai fatto. Per quanto sia una cazzata, perché tuo padre era straordinario, e lo sappiamo bene entrambi, se per Derek Hale, l’uomo che si è privato dell’amore e dell’affetto per anni, tu eri importante, allora tu ci devi credere, Eli. Ci. Devi. Credere.”
 
***

Non era questo che si aspettava quando sognava di ritornare in quella casa. In tutti quegli anni trascorsi sotto copertura aveva sognato il letto di Derek, ma aveva sempre pensato che ci avrebbero dormito insieme. E invece, quando finalmente c’era arrivato, era Derek a mancare. L’ironia. Si ritrovò persino a cercare di rammentare tutte le volte che aveva visualizzato la scena. Forse – ed era forse perché Stiles non credeva davvero nell’universo o a un’identità ultraterrena pronta a soddisfare desideri altrui, ma tecnicamente non esistevano neanche i lupi mannari e quella era Beacon Hills, quindi forse era il termine più adatto – aveva visualizzato male, forse quello che per lui era scontato, ovvero che se immaginava di voler ritrovarsi nel letto di Derek Hale per lui era implicito che suddetto Derek Hale dovesse essere presente e aver espresso un consenso entusiasta, non lo era anche per l’universo o chi per lui, che invece forse aveva preso alla lettera l’espressione e forse Derek non sarebbe stato d’accordo, quindi per esaudire il desiderio di Stiles l’universo aveva dovuto eliminare l’uomo dall’equazione. Forse.

O forse stava semplicemente impazzendo. Stiles si premette i palmi delle mani sugli occhi. Se avesse lasciato che la sua testa continuasse a vagare sarebbe riuscito a ricondurre il peccato universale a se stesso. Pian piano si fecce spazio nella sua mente l’idea che Derek dovesse essere riuscito in qualche modo a far passare il proprio complesso da martire al letto, e che questo l’avesse poi passato a Stiles.

Sì, probabilmente stava davvero impazzendo. Ma a sua discolpa dormire nel letto dell’uomo, morto, che amavi non conciliava davvero il sonno. E a dirla tutta non era stata neanche una sua idea. Si aspettava che Eli volesse dormire nel letto matrimoniale per essere più vicino all’odore del padre o qualsiasi motivazione mannara potesse avere, ma si dà il caso che due settimane a prenderti cura di te stesso siano abbastanza traumatizzanti da non voler rompere la routine che fino a quel momento ti aveva tenuto in piedi. Stiles lo capiva, più di quanto volesse, ma allo stesso tempo aveva pensato di dormire nel letto del ragazzo – tutto questo partendo dal presupposto che non avrebbe lasciato Eli da solo mai più, neanche per una notte – e per quanto non fosse più schizzinoso come un tempo, l’idea di dormire sul divano dove il sangue rappreso di Derek era ancora in bella vista… no grazie. C’era stato un momento imbarazzante quando si era messo a scandagliare il pavimento alla ricerca di un angolo pulito in cui appisolarsi, l’idea della camera da letto di Derek neanche presa in considerazione. Ma poi Eli gli aveva detto che avrebbe dovuto prendere la camera del padre, che sicuramente non gli avrebbe dato fastidio, e Stiles si era ritrovato ad immaginare un Derek Hale resuscitato solo per proteggere il suo letto da Stiles. Non l’aveva detto ad Eli e in realtà non lo avrebbe detto a nessuno neanche sotto tortura, ma mentirebbe a se stesso se non avesse accettato solo per vedere se l’immagine nella sua testa avrebbe preso vita. Magari l’universo lo stava di nuovo ascoltando. Magari, considerando Peter, il gene della resurrezione faceva parte del DNA Hale. Magari, infastidendolo abbastanza, il fantasma di Derek sarebbe apparso per minacciarlo di strappargli la gola – con i denti – se non l’avesse piantata.

Magari era diventato il nuovo forse.

Ma Derek non era resuscitato per proteggere i suoi spazi privati. Il suo fantasma non aveva fatto alcuna comparsa. E se l’universo lo aveva ascoltato, si stava prendendo il suo tempo.

Guardò il soffitto un’ultima volta, sfinito fisicamente e psicologicamente. Il giorno dopo sarebbe stata una lunga giornata e lui aveva bisogno di riposare, così si costrinse a dormire mentre ascoltava in sottofondo il respiro pesante di Eli.
 
***

Per la serie ‘Cose che Stiles Stilinski non si aspettava quando sognava di ritornare’, un Eli Hale molto in piedi ma anche molto addormentato nella foresta si era appena aggiudicato il secondo posto in classifica.

Erano appena le tre del mattino quando aveva sentito un rumore e aveva aperto un occhio, guardingo. Ma poi aveva visto Eli attraversare il corridoio, passando davanti la sua camera, e aveva pensato che dovesse andare in bagno o prendere un bicchier d’acqua. Se avesse avuto bisogno di Stiles non avrebbe dovuto far altro che entrare. Stiles aveva tenuto la porta aperta per un motivo. Beh, in realtà per qualsiasi motivo. Era stato piuttosto esasperante nel ripeterlo al ragazzino, ma voleva che fosse chiaro. Non scherzava quando aveva detto di voler essere lì per Eli. Gli aveva ripetuto anche quello, diverse volte. Se il ragazzo avesse preso da Derek, e Stiles credeva di sì, allora ripetere i concetti fino a ficcarglieli in testa a forza era l’unico modo per evitare la naturale inclinazione Hale a fare da martiri.

Perciò inizialmente aveva tentato di tornare a dormire, ma poi lo sbattere della porta d’ingresso lo aveva svegliato del tutto. Il suo primo pensiero fu che qualcuno si era introdotto in casa, il secondo che Eli si trovava proprio di là e poteva essere in pericolo. Il terzo, nato appena entrato nel salone deserto, fu che stava diventando un po’ spaventoso continuare ad aspettarsi persone che poi si rivelavano non esserci. Derek, l’intruso, Eli…

Il quarto pensiero fu più un impulso. Memoria muscolare, abitudine, subconscio, che lo si chiamasse come più si preferiva. Aveva afferrato la pistola nascosta nel borsone lasciato in salone ed era uscito fuori a piedi nudi.

Dopo un veloce giro di perlustrazione aveva notato un movimento appena accennato sul limitare degli alberi dietro la casa e non ci aveva pensato due volte prima di lanciarsi all’inseguimento.

E quindi eccolo qua. L’arma ancora in mano, anche se abbassata, il viso cereo e gli occhi strabuzzati, davanti ad un Eli Hale che vagava ancora addormentato per i boschi. L’altra mano sul petto del ragazzo a tenerlo fermo con la minima pressione. Dopo i primi tentativi nel chiamarlo e cercare di svegliarlo, aveva capito che il ragazzo non si sarebbe fermato a meno che non fosse trattenuto. Appena aveva lasciato la presa, l’altro aveva ripreso a camminare, completamente inconsapevole della sua presenza, e Stiles gli era dovuto correre davanti e fermarlo di nuovo.

Quando si rese conto che non c’era modo di sbloccare la situazione, Stiles lanciò un’occhiata sofferta ai propri piedi scalzi e si maledisse internamente prima di togliere la mano dal petto di Eli e permettergli di andare ovunque si stesse dirigendo. Forse, arrivato dove doveva, si sarebbe svegliato da solo. Stiles si augurava solo che non fosse troppo distante o in un luogo pericoloso.
 
 

Il Nemeton. Ovviamente era il Nemeton. Perché in quella città doveva accadere tutto per motivi sovrannaturali?

Fino a quel momento Stiles aveva seguito Eli in religioso silenzio, un passo indietro ma sempre a portata di mano in caso l’altro inciampasse. Adesso gli si era quasi parato davanti, diffidente. Quel mezzo albero gli aveva causato più problemi di quanto non ci si aspetterebbe da una pianta.

L’umano si guardava intorno come se si aspettasse un’imboscata da un momento all’altro e senza pensarci spinse Eli dietro di sé. Non appena la sua mano entrò in contatto col petto dell’altro, il ragazzo iniziò ad urlare disperato. Stiles sobbalzò e quasi sparò un colpo dallo spavento. Si voltò, pronto a fronteggiare la minaccia, ma tutto ciò che vide fu Eli che si dimenava a terra terrorizzato.

Lasciò andare immediatamente la pistola e si precipitò da lui, andando ad abbracciarlo da dietro per evitare che battesse inavvertitamente la testa.

“Eli! Va tutto bene. Va tutto bene, Eli.”

Stiles gli afferrò le braccia e gliele spinse incrociate sul petto, cercando di fermarne il dimenarsi incessante. Doveva utilizzare tutta la forza che aveva in corpo per immobilizzarlo e questo gli ricordò che Eli non era solo un umano, era un lupo mannaro. Quand’era successo?!

“STAI LONTANO!” urlò Eli.

In condizioni normali Stiles si sarebbe allontanato immediatamente, ma sapeva che Eli non stava parlando con lui. Eli stava ancora dormendo.

“È un incubo, Eli. È solo un incubo. Ti devi svegliare!”

E in quel momento, anche senza i sensi da lupo mannaro, anche trovandosi alle sue spalle e anche se le grida non erano cessate, Stiles poté dire che Eli si era svegliato.

“Stai lontano. Stai lontano. Stai lontano…” continuava a ripetere, anche se adesso a ritmo più basso. Quasi come se parlare gli facesse male.

“Shh, va tutto bene, Eli. Era un incubo. Solo un incubo. Sei al sicuro, te lo prometto.” gli mormorò Stiles, la bocca premuta sui suoi capelli. Si lasciò scappare un sospiro sfinito quando finalmente le braccia del ragazzo non fecero più resistenza.

Se ne stettero semplicemente lì, sotto le stelle e con un piede di Stiles che quasi sfiorava le radici del Nemeton. Quasi, perché anche nel bel mezzo di una lotta con un lupo mannaro, il subconscio di Stiles lo aveva fatto stare alla larga da quel faro del malaugurio.

Nessuno dei due si mosse per un po’ e l’unico suono che si poteva udire era la voce di Stiles che ripeteva una litania di ‘Stai bene.’, ‘Era solo un incubo.’ e ‘Sei al sicuro.’

Poi ad un certo punto Eli iniziò ad annusare l’aria intorno a loro. Stiles si irrigidì e tornò a guardare il bosco circostante, pronto ad affrontare qualsiasi cosa il ragazzo stesse percependo. Si accorse appena del dimenarsi di Eli finché quello non riuscì a rigirarsi e a guardarlo spaventato. Ancora una volta Stiles capì dal suo sguardo che non c’era nessuna minaccia esterna.

“Cos-”

“Ti ho ferito.”

Eli lo guardava con gli occhi spalancati e lo sguardo di chi era pronto a vomitare. Se Stiles fosse stato un lupo mannaro, sapeva che avrebbe percepito senso di colpa nell’aria, emanato ad ondate dall’adolescente davanti a lui.

“Cosa? No. No, non mi hai ferito, Eli. Di cosa stai parlando?”

Ma il ragazzo scosse la testa. “Non mentirmi! Lo sento. Sento l’odore del sangue.”
Per un momento Stiles rimase spiazzato, ma un improvviso bruciore ai piedi gli ricordò la sua non tanto piacevole passeggiatina notturna nei boschi. “No, cucciolo. Non ti mentirei mai.” Stiles fece per prenderlo per una spalla e riavvicinarlo, ma l’altro si sottrasse alla sua presa e indietreggiò ancora. Era spaventato. Spaventato da se stesso. “Ok. Ok, ho capito. Pensi di avermi ferito, ma non l’hai fatto, ok? Ascolta il mio cuore, Eli. Lo sai fare?” non sapeva quando Eli fosse riuscito a sbloccare la parte da lupo mannaro che era in lui. L'ultima volta che l’aveva sentito, Derek gli aveva detto che ancora si rifiutava di accettare quella parte di sé. Ma all’epoca aveva dieci anni. Da allora ne erano passati cinque e in quel frangete sarebbe potuto succedere in qualsiasi momento. Mai come in quel momento Stiles si maledisse per aver accettato quel lavoro sotto copertura.

Eli scosse appena la testa.

“Ok. Beh non è difficile. Devi solo concentrarti sul mio battito cardiaco. Quando le persone mentono, il loro cuore accelera o salta un battito. Insomma, cambia il ritmo del battito del loro cuore. Ora voglio che ti concentri sul mio.” Aspettò qualche secondo per lasciargli modo di sintonizzarsi sul proprio cuore prima di continuare “Mi chiamo Stiles Stilinski, anche se questo non è il mio vero nome. Sono cresciuto a Beacon Hills. E non si può dire che abbia mai davvero giocato a lacrosse, perché il coach mi lasciava sempre in panchina. Queste erano tre verità.”

Gli si strinse il cuore a notare lo sguardo concentrato di Eli. Queste erano cose che gli avrebbe dovuto insegnare Derek, suo padre. Stiles si sentì un impostore a farlo al suo posto.

“Ora una bugia: non ho problemi a lasciare che mio padre mangi dolci e cibo preconfezionato.”

Gli occhi di Eli saettarono su di lui e, nonostante i sensi di colpa, Stiles si ritrovò a sorridere. “L’hai sentito? Bene, perché voglio che adesso tu mi ascolti attentamente e faccia la stessa cosa”. Aspettò che il ragazzo gli facesse un cenno d’assenso e poi disse: “Eli Hale, non mi hai in alcun modo ferito.”

“Ma… e il sangue?”

Stiles indicò con un cenno i propri piedi. “Ti ho solo seguito per i boschi scalzo. Devo essermi tagliato.”

Sapeva che Eli doveva starsi sentendo in colpa. Ma quello poteva gestirlo. Un lupo mannaro che credeva di aver ferito una persona cara, però, no. Non di nuovo.

“Mi dispiace.” disse infatti il ragazzo.

Stiles mosse la mano in aria, come a scacciare quello che era stato detto manco fosse un insetto fastidioso. “Non è niente. È comune avere incubi dopo un evento traumatico. Li ho avuti per diverso tempo dopo la morte di mia madre. Certo, il sonnambulismo nei boschi non è proprio fra i sintomi standard, ma dopo tuo padre credo sia normale. Mi hai spaventato a morte, però, cucciolo.”

Eli si avvicinò e Stiles riuscì finalmente a riprenderlo fra le sue braccia.

“Mi dispiace. Non era mia intenzione.” mormorò sul suo petto.

Stiles sbuffò una risata. “Me lo auguro proprio.”

L’umano sentì il principio di una risata morire in gola ad Eli e poi: “Anche papà si spaventava sempre le prime volte.”

Stiles era sicuro che il suo cuore si fosse fermato per un secondo. E a vedere Eli alzare la testa e guardarlo interrogativo doveva averlo notato anche lui. Ragazzo sveglio, imparava in fretta.

“Stiles, cosa c’è che non-”

“Cosa… cosa intendi quando dici che anche tuo padre si spaventava le prime volte?” chiese, lo sguardo perso nel vuoto, incapace di guardare in faccia il ragazzo.

“Proprio questo. Che le prime volte che sono uscito per andare nei boschi senza saperlo, papà ha dato di matto e mi ha rintracciato spaventato. C’è voluto un po’ prima che smettesse di farsi prendere dal panico e venisse semplicemente a cercarmi.”

Gli episodi di sonnambulismo di Eli erano precedenti alla morte di suo padre. Gli episodi di sonnambulismo di Eli erano stati così tanti da far abituare persino Derek alla cosa. Quella non era la risposta ad un trauma. Quando mise a fuoco, il suo sguardo era puntato esattamente sul Nemeton di fronte a loro. Per un secondo Stiles si era dimenticato che il sonnambulismo di Eli li aveva condotti proprio a quel maledetto albero.

“Da quanto?” chiese monocorde.

“Cosa?”

“Da quanto va avanti?”

Eli parve pensarci su. “Mmh, qualche mese, credo…?”

Stiles ringraziò qualunque divinità esistesse per l’ingenuità che Eli ancora dimostrava nei confronti dei propri sensi da mannaro. Non sarebbe riuscito a tenere a bada la paura nel ragazzo, non quando stava per avere un attacco di panico lui stesso.
 
***

“Sei sicuro che stari bene? Che vuoi andare?”

Eli si voltò a guardarlo, un piede già fuori casa. Stiles era preparato a uno sbuffo, un’alzata degli occhi, qualcosa di adolescenziale, ma tutto ciò che ricevette fu uno sguardo dolce e allo stesso tempo estremamente triste. Il ragazzo annuì una volta sola, deciso.

“Sì. Io ho solo bisogno…”

“Della tua routine.” completò per lui Stiles, annuendo fra sé e sé.

“Sì. E poi sono già andato gli ultimi giorni. Papà non crederebbe alle sue orecchie: andare a scuola di mia spontanea volontà.”

Ed eccolo. Lo schiaffo che lo riportava con i piedi per terra e gli ricordava che il ragazzo si era preso cura di sé da solo nelle ultime settimane. Persino decidendo di tornare a scuola. Gli adolescenti non dovrebbero voler andare a scuola.

Eli aveva mantenuto un tono gioioso e aveva scosso le spalle con noncuranza, e per il suo bene Stiles fece finta di non notare come gli si ruppe la voce a nominare il padre.

“Bene. Va bene.” Stiles si sentiva nervoso come se stesse lasciando suo figlio per la prima volta all’asilo. “Ah! Vuoi un passaggio?” gli urlò dietro all’ultimo.

“No, grazie!” gli arrivò lontana la voce di Eli. “Prenderò Roscoe.”

Stiles annuì al salone intorno a sé. Roscoe. Sì. Ovviamente avrebbe preso la Jeep. Anche lui del resto si spostava con Rosc- aspetta! Roscoe? Perché il figlio non ancora patentato di Derek guidava la sua Jeep??

Stiles non fece in tempo a rincorrere l’altro fuori, che dalla finestra lo vide sfrecciare sulla sua macchina, molto pulita e dal motore molto forte. Erano passati anni, troppi, ma Stiles non avrebbe mai dimenticato il rumore della sua jeep: Roscoe si accendeva con fatica e quando partiva sembrava sempre borbottare, come se volesse solo essere lasciata in pace a godersi il sole che batteva sul suo cruscotto. Adesso era rombante e sembrava ringiovanita di decenni. Che diavolo…

Scosse la testa. Quello era un pensiero per dopo, adesso aveva altre cose da fare.

Dopo aver scritto a suo padre per informarlo di essere tornato e dove alloggiava, passò quasi l’intera mattina a ripulire la casa ed entro mezzogiorno, due bustoni della pattumiera pieni, una schiena dolorante e un pavimento che brillava, aveva finito. Senza pensare si ritrovò a mandare un messaggio ad Eli ricordandogli che quando fosse tornato, l’avrebbe trovato a casa. Il ragazzo aveva un disperato bisogno di radici, un’ancora che lo tenesse saldo in un momento del genere e Stiles aveva tutta l’intenzione di essere ciò di cui aveva bisogno. Voleva che l’altro sapesse che c’era, che non sarebbe sparito e che sarebbe stata una costante. Non era solo. Stiles sarebbe andando all’Inferno e ritorno per evitargli lo stesso trauma di Derek.

E a proposito di Derek, Stiles aveva un alfa con cui parlare.
 
***

“Dov’eri?”

Una furia firmata Stilinski entrò nella stanza e travolse tutti i presenti.

“Stiles?”

“Dov’eri?” ripeté l’umano quasi ringhiando.

Stiles lo aveva cercato per due ore – due ore e mezza, per la precisione – passando per casa di Melissa, lo studio di Deaton e l’ospedale. Memore di quanto gli aveva detto Eli, era andato a cercarlo anche alla vecchia casa di Argent. Scott non c’era. Non c’era da nessuna parte. Ma la domanda era più complessa di così.

Dov’eri quando c’era bisogno d’aiuto e non mi hai chiamato?

Dov’eri quando Derek ha sacrificato la propria vita?

Dov’eri quando alla fine è morto e nessuno ha pensato di avvisarmi?

Dov’eri quando Eli aveva bisogno di te?

Dov’eri, Scott?

La risposta alle sue mille domande fece la sua comparsa mostrandosi subito dietro il mannaro. Stiles non pensava che l’avrebbe mai più rivista. Uno dei suoi più grandi traumi era ora vivo e vegeto e l’umano si ritrovò solo a sperare che non fosse mai tornata.

Perché sì, nelle ultime ore passate a cercare Scott, aveva avuto modo di sentire suo padre e farsi mettere al corrente di tutto quello che era accaduto. Quello che aveva appreso in più era che Lydia e Jackson avevano alzato le tende appena possibile. Peter si era chiuso in se stesso, annegando nell’autocommiserazione e provocando la fuga nei boschi di Malia che non poteva più sopportare la perdita di altri familiari. Parrish aveva provato a rintracciarla – perché sì, a quanto pare adesso c’era qualcosa fra di loro – ma senza successo. Liam e la sua nuova amica se ne erano tornati di corsa in Giappone con il primo volo disponibile. E Scott era troppo preso dalla sua nuova vita con Allison per occuparsi attivamente di Eli.

“Stiles.”

A sentire il suo nome uscire dalla bocca di Allison Stiles non provò altro che cieca rabbia. Non poteva, no, non riusciva ad ignorare che tutto questo era successo per causa sua. Che Derek era morto per causa sua.

Qualcosa dovette trasparire dal suo odore, perché un braccio di Scott scattò verso Allison per impedirle di avvicinarsi. Gesto inconscio, ovviamente. Scott era troppo occupato a chiedersi cosa ci facesse lì per capire quanto in là si sarebbe potuto spingere Stiles in quel momento.

“Ti ho cercato per ore.” sputò fuori “Eli avrebbe potuto aver bisogno di aiuto.”

A sentire il nome del ragazzo, Scott si aprì in un sorriso sollevato. Come se avesse temuto un’altra minaccia, ma visto che era solo Eli allora andava tutto bene.

“Eli sa che se ha bisogno mi può chiamare.” rispose con una scrollata di spalle.

“È quello che ho fatto. Ti ho chiamato. E non hai risposto.”

Scott parve preso in contropiede e controllò il suo telefono, come se Stiles potesse star mentendo. Però non era colpa del telefono di Scott, ma del bunker degli Argent senza ricezione e dove a quanto pare era stato rintanato per metà della giornata.

“Poteva succedere qualcosa ad Eli. Poteva aver bisogno di te.”

“È successo qualcosa ad Eli?” chiese allora allarmato Scott.

Stiles incrociò le braccia. Il fantasma di Derek che aleggiava intorno a lui. “Non lo so. È successo qualcosa ad Eli?” Scott lo guardò confuso e Stiles continuò imperterrito: “A dirla tutta, è successo qualcosa a Derek per caso?”

In quel momento Scott capì qual era il problema. Ma in realtà aveva solo avvistato la punta dell’iceberg.

“Stiles, ti avrei chiamato…”

“Ah sì? E quando? Fra altre due settimane? O avresti prima aspettato di scegliere la torta nuziale per la tua nuova fidanzatina di diciassette anni?”

Il mannaro si irrigidì. Eccolo finalmente, il nervo che faceva risvegliare i sensi di Scott. L’animosità che il suo lupo aveva già percepito ora venne notata anche dal suo lato umano. Allison nel frattempo era già indietreggiata. Era sempre stata troppo sveglia per il suo amico.

“Cosa ti prende?” sbottò l’alfa.

Stiles alzò un sopracciglio e avanzò di un passo. “Mi prende che il mostro che mi ha posseduto è tornato e tu non hai pensato di dirmelo. Mi prende che D-” odiò il fatto che gli si fosse rotta la voce ma si sforzò di continuare “-che Derek è morto. Morto, Scott. E tu hai lasciato suo figlio di quindici anni a prendersi cura di se stesso per settimane! Mi prende che quello stesso ragazzino è traumatizzato e vive in mezzo a cartoni d’asporto perché non sa cucinare e non c’è nessuno a farlo per lui! Mi prende che si obbliga ad andare a scuola da solo perché la casa vuota gli ricorda suo padre che non c’è più e lui ha bisogno che almeno una cosa rimanga costante. Mi prende che fa dei cazzo di incubi e cammina nel sonno nei boschi così spesso da essere normale! E mi prende che ha bisogno di te e tu. Non. Ci. Sei.”

Scott parve aver ricevuto uno schiaffo in faccia, ma Stiles non poté goderne in tempo prima che la voce di Chris palesasse anche la sua presenza. Ovviamente. Paparino non avrebbe mai lasciato la figlia. Stiles pensò all’ironia della cosa. Avevano barattato la vita di una ragazzina con quella di un ragazzino e suo padre.

“Cosa intendi con incubi e camminare nel sonno?”

Almeno Argent non aveva perso completamente la testa anche lui appresso ad Allison.

“Esattamente quello che ho detto. E per informazione generale la sua meta è sempre il Nemeton. Ora, con permesso, voglio vedere dove si trova il Nogitsune.”

“Sì, è vero. Ce lo aveva detto quando ci ha aiutato a trovare il Nemeton.” commentò Scott e a quello persino Chris si girò a guardarlo. Lo sapeva e non ha fatto nulla... “Ma non penserai che sia lui. È stato sconfitto.”

Stiles lo guardò negli occhi fermamente. “Ho detto che voglio vedere dove si trova il Nogitsune.”

Scott, però, lo guardò confuso. E non il confuso da ‘dove vuoi andare a parare’, ma il confuso da ‘ti devo davvero spiegare una cosa così ovvia’ e Stiles avrebbe davvero preferito sentire qualsiasi cosa, tranne  quella che Scott disse dopo.

“Stiles, l’abbiamo sconfitto. Non puoi vederlo perché non è rinchiuso da nessuna parte. È morto.”

La gola di Stiles gli si chiuse di colpo, senza permesso. L’aria smise di arrivare nei suoi polmoni e anche se sapeva che boccheggiare non sarebbe servito a nulla, lo fece lo stesso. Punti neri stavano incorniciando la sua visione periferica ed era spaventosamente cosciente che si stava facendo prendere da un attacco di panico. Poi pensò ad Eli. Eli aveva bisogno di lui e Stiles non avrebbe potuto aiutarlo se fosse svenuto.
In qualche modo l’aria tornò a fluire nel suo corpo e l’ossigeno tornò al suo cervello.

Scott nel frattempo si era avvicinato per aiutarlo, ma appena prima che lo toccasse, Stiles scacciò con violenza la sua mano.

“Stiles-”

“Come avete potuto farlo accadere… come hai potuto farlo accadere… dopo tutto quello che ha fatto?!”

Senza avvisaglia, il pugno di Stiles colpì la mandibola di Scott. Allison urlò e Stiles sentì vagamente Chris cercare di intervenire, ma se prima non riusciva a respirare, adesso il sangue gli ronzava nelle orecchie e gli impediva di ascoltare. Gli tremavano le mani dalla rabbia e dalla paura.

“Non si può uccidere il Nogitsune! È il motivo per cui la prima volta l’abbiamo imprigionato e non ucciso. Uno spirito del genere non può semplicemente morire. È eterno, come un elemento!”

In quel momento la verità colpì Scott più forte del suo pugno. “Ma se non è morto…”

“Vuol dire che è in giro da qualche parte.” terminò per lui Chris.

Stiles stava scuotendo la testa incredulo, in shock più totale. Avrebbe quasi riso all’idiozia dei suoi amici – ex-amici – se l’immagine di un Eli in preda agli incubi nel bosco non gli fosse balenata in mente.

Per una frazione di secondo rivisse le braccia di Melissa intorno a sé. Le proprie grida terrorizzate. Il bosco. La visione nel Nogitsune che lo rapiva ancora fresca. Poi quelle stesse immagini si tramutarono in un quadro più recente. Lui che stringeva Eli alla stessa maniera di Melissa. Le stesse grida terrorizzate. Lo stesso stramaledetto bosco. Lo stesso Nogitsune libero.

Senza neanche pensare, si voltò di scatto e prese a correre come se ne andasse della sua stessa vita. O di quella di Eli.


 
Cambia l’ospite. Il Nogitsune non può essere una volpa e un lupo.

Gli incubi iniziati mesi prima.

Eli che non sapeva ancora controllare i propri istinti.

Eli che non si era trasformato se non due settimane prima.

Eli che stava rivivendo gli stessi sintomi che aveva avuto lui quando era stato posseduto dal Nogitsune.

Il Nogitsune che era ormai dentro Eli.

Il Nogitsune che era una volpe.

Ed Eli che ora era un lupo.
 
***

“Papà?”

“Stiles? Stai bene? È successo qualcosa?” la voce allarmata di suo padre risuonò nell’utilitaria che Stiles stava spingendo ben oltre i limiti di velocità. A suo padre era bastata una parola per capire che qualcosa non andava. Stiles non avrebbe mentito, non questa volta.

“No. Sì, no… io ho solo bisogno-” interruppe da solo il proprio balbettio e riprovò. “Lydia. Ha urlato?”

“Cosa?”

“Quando è morto,” non riusciva a neanche pronunciare il suo nome in quel momento “Lydia ha urlato? Ho bisogno di saperlo. È importante, papà.”

Passarono un paio di secondi di silenzio mentre suo padre cercava di ricordare. Troppi per i gusti di Stiles. Sbatté una mano sul volante. Era l’urlo di una banshee, per la miseria, non un colpo di tosse. Se avesse urlato l’avrebbero sentita. Ma si morse la lingua, per non inveire contro suo padre. Non sarebbe stato d’aiuto.

E poi finalmente “… no. Non ricordo nessun urlo.”

L’aria lasciò i polmoni di Stiles. Le lacrime gli riempirono gli occhi. Non sapeva come sentirsi, non sapeva neanche più in cosa sperare.

“Stiles, è importante, vero? Che significa? Parlami, ragazzo.”

Ma Stiles non aveva tempo per quello. Afferrò solo il telefono lasciato col vivavoce e se lo portò all’orecchio, come se così avesse potuto sentirsi più vicino a suo padre.

“Ti voglio bene, papà.”

Udì il principio del suo nome urlato, prima che interrompesse la telefonata e gettasse il telefono sul sedile accanto.
 
***

Era sciocco. Sapeva che era sciocco e completamente irrilevante in quel momento, ma mentre apriva la porta di casa e trovava Eli a terra in preda alle convulsioni, la prima cosa che provò fu il senso di colpa per non essersi fatto trovare a casa al ritorno del ragazzo come promesso.

Venne riscosso in fretta, quando finalmente si sintonizzò sui suoni agonizzanti che Eli stava emettendo e sul sangue che bagnava i pantaloni lì dove gli artigli erano conficcati nelle sue cosce. Si lanciò immediatamente a terra, facendo attenzione a non avvicinarsi troppo al suo viso. Il rumore delle zanne che sbattevano fra di loro quando il ragazzo serrò la mascella fu un monito sufficiente.

Era pronto ad aiutarlo, finché la consapevolezza non lo fece paralizzare, le mani ancora sospese a pochi centimetri dal corpo dell’altro. Eli non era ferito. Non c’era strozzalupo da bruciare, proiettili da estrarre o ferite da far rimarginare. E il problema che lo stava torturando in quel momento proveniva dall’interno, da nessuna parte e da tutto il corpo allo stesso tempo. Ora che era un lupo, il suo corpo non capiva quale fosse il problema e stava cercando invano di guarirlo. Il risultato era, però, solo quello di starlo facendo lentamente morire.

Ad una convulsione più forte delle altre, Stiles si tirò in braccio la parte superiore di Eli. Non aveva senso proteggere un lupo mannaro prossimo alla morte dal rischio di una contusione alla testa, ma l’umano si stava muovendo con il pilota automatico e l’idea di lasciare il ragazzo farsi male non gli andava giù. Aveva litigato con Derek più di una volta per quello: il mannaro non capiva perché Stiles si preoccupasse tanto se veniva ferito visto che tanto sarebbe guarito. Stiles, da parte sua, lo chiamava masochista col complesso da martire e gli ricordava che guarire non significava che non avrebbe sofferto. Era una conversazione avuta più di una volta e, come da copione, di fronte a quell’affermazione Derek avrebbe alzato gli occhi al cielo, ma sarebbe andando ad abbracciare Stiles da dietro, spingendo il naso sul suo collo e mormorando parole di conforto. Non erano ancora niente all’epoca – non che lo fossero mai stati, non ufficialmente – ma allo stesso tempo erano tutto.

Stiles voleva piangere. Incazzato con la vita per averlo messo sempre di fronte al fatto compiuto. La malattia di sua madre, la propria possessione, la morte di Derek e ora quella inevitabile di Eli. 

Un piagnucolio lo riportò con i piedi per terra. Le convulsioni si erano fermate e ora non rimaneva che un corpo scosso dai singhiozzi.

“Papà…”

“No, Eli. Sono Stiles. Andrà tutto bene.”

“Voglio papà. Voglio il mio papà, Stiles.” Due grosse lacrime scivolarono sul viso di Stiles senza che ne fosse consapevole. “Dov’è papà? Ho bisogno di papà, per favore.”

Eli continuò a chiamare suo padre con una voce sempre più debole e lamentosa. E chiedeva per favore come se, se fosse stato abbastanza educato, avrebbe potuto convincere Stiles a dargli suo padre. Lo stava pregando come se avesse avuto il potere di fermare il dolore, far tornare Derek, risolvere tutti i problemi del mondo.

Quando Stiles abbassò la testa, tutto ciò che vide fu un ragazzo così piccolo e indifeso ma che aveva già sofferto così tanto.

Per favore…

Fu in quel momento che qualcosa scattò nella sua testa, come un ingranaggio che finalmente andava al suo posto. Il cervello di Stiles iniziò a lavorare così velocemente che se Derek fosse stato lì gli avrebbe sicuramente detto che poteva sentirlo pensare.

Il fiato gli si mozzò in gola quando arrivò all’unica soluzione possibile. Pensava che sarebbe stato sorpreso di se stesso, anche solo di averci pensato, ma in realtà sapeva che aveva deciso tempo fa. Da prima che scoprisse la morte di Derek e trovasse Eli da solo. Cristo, l’avrebbe fatto anche solo per evitare la morte di Derek!

Con una sicurezza negli occhi come forse non aveva mai avuto, afferrò Eli per le spalle e lo maneggiò affinché si guardassero in viso.

“So che ci sei e che puoi sentirmi.”

Dal suo stato di semi incoscienza, Eli lo guardò confuso. “Stiles?”, ma, contrariamente a quanto uno spettatore esterno avrebbe potuto dire, Stiles non stava parlando con il ragazzo.

"Lo so io e lo sai tu che stando nel suo corpo morirai.” fece una pausa, spaventato dalla sua stessa idea. “Prendi me. Ha funzionato una volta, funzionerà di nuovo. Prendi me."

Passarono interminabili secondi di silenzio, scanditi solo dal leggero tremolio del corpo di Eli e Stiles, nonostante le terribili evidenze, pensò di aver preso un abbaglio, che non ci fosse alcun Nogitsune. Ma poi arrivò una voce che conosceva fin troppo bene, una voce che risultava distante ma anche estremamente vicina. Una voce strascicata e sibilante.

Cosa ti fa pensare che non decida di prendere il tuo corpo subito dopo aver ucciso questo?

Stiles rabbrividì. Aveva fatto incubi su quella voce, l’aveva ascoltata da fuori e l’aveva avuto dentro, martellante nella sua testa. Una notte, quando Eli era ancora così piccolo da non saper ancora parlare e lui si era svegliato in preda agli incubi, Derek era corso nella sua stanza e gli aveva promesso che finché ci sarebbe stato lui, il Nogitsune non gli avrebbe mai più fatto nulla. Dato Derek morto e il ritorno del Nogitsune, Stiles lo chiamava mantenere una promessa, quello.

Prese un lungo respiro e lasciò uscire l’aria lentamente. Sapeva che non si sarebbe tornato più indietro. Stava per fare un patto col diavolo.

"Perché se lo farai, questa volta non combatterò." Le parole si sentirono come macigni nella sua bocca, ma il battito del suo cuore era saldo. "Riporta indietro Derek e questa volta non mi opporrò."

Non sei davvero nella posizione di avanzare proposte, Stiiiles

"Hai bisogno di un corpo che sappia contenerti, di una mente simile alla tua. E hai bisogno di protezione. I miei amici non mi hanno ucciso la prima volta, non lo faranno adesso."

Stiles sperò che il Nogitsune non potesse ancora usare i poteri di Eli, perché in quel caso avrebbe sentito il suo cuore mancare un battito. Avevano lasciato che Derek morisse e neanche un pensiero era volato a lui. Dopo tutti quegli anni, Stiles si chiedeva se fosse slittato nella lista delle persone sacrificabili. Come Derek.

Eli ebbe uno spasmo improvviso e Stiles notò con orrore del sangue iniziare ad uscire dalla sua bocca. Non stava guarendo. Qualunque cosa gli stesse causando il sanguinamento, non stava guarendo.

Perché credi che possa riportare i morti dal loro regno?

Stiles non doveva neanche pensare a quella risposta, perché non aveva fatto altro da quando aveva scoperto che non c'era alcun corpo da seppellire e da piangere. Derek era vivo, da qualche parte, bloccato. Sapere che Lydia non aveva urlato aveva solo ufficializzato qualcosa che già sapeva. Doveva solo trovarlo. E il fatto che il Nogitsune fosse stato così vago nella sua domanda era un indizio più che sufficiente per Stiles.

"Non ho parlato di morti. Ho parlato di Derek Hale. Lydia non ha urlato” sottolineò per sicurezza “e siete entrambi spariti mentre vi trovavate nel Bardo, ovvero la tua realtà, non la nostra. Ma questo tu già lo sai perché lo hai tu. Riportalo indietro e non mi opporrò. Riportamelo e non mi opporrò."

Sotto di lui, Eli stava peggiorando a vista d'occhio. La camicia di Stiles talmente pregna di sangue ormai da non riuscire più a trattenerlo. Un rivolo rosso stava inesorabilmente raggiungendo il pavimento.

Stiles stava iniziando a perdere la pazienza. "Allora, lo vuoi il mio corpo o no?!"

Non so, Stiiiles. Ci sono migliaia di corpi e menti abbastanza robuste pronte ad ospitarmi. Non mi sembra uno scambio equo: la vita di due Hale in cambio di cosa, un semplice umano?

Stiles ingoiò il groppo che aveva in gola. Era la sua ultima mossa e sperava che fosse divina abbastanza.

"Perché li proteggerai. Li proteggeremo." si corresse. Lo spirito volpe insolitamente silenzioso mentre prendeva in considerazione la proposta. "Cosa credi che accadrà quando si crederà che un vero alfa è tornato dal regno dei morti e che ha il Nogitsune al suo fianco?"

Il silenzio si propagò per un secondo di troppo e Stiles vide le sue speranze sgretolarsi davanti a lui, ma poi...

Verranno a cercarlo. Per eliminarlo. Un abominio persino per gli stessi mostri

Stiles nascose un sospiro di sollievo. "Esatto. Verranno in molti e se Scott non avrà reagito prima, sarà costretto a farlo."

Ci sarà caos

"E conflitto."

Dolore 

"E vendetta... per coloro che non riusciremo a proteggere."

Il cuore di Stiles si sarebbe spezzato all'idea di perdere i suoi amici se solo non lo fosse già stato da quando aveva scoperto di Derek. Sapere che teoricamente il mannaro era ancora vivo, non gli aveva tolto quella patina di apatia che si era poggiata su di lui non appena era stato in grado di compartimentare la sua morte.

"Promettimi che li proteggerai. Promettimi che farai in modo che niente di male accadrà loro, che chiunque li farà soffrire pagherà. Fallo e non ci sarà giorno in cui mi sottrarrò a te."

Un altro secondo di silenzio e…

Abbiamo un accordo, Stiiiles

Un brivido freddo gli corse lungo la schiena e Stiles quasi si perse il momento in cui Eli smise di tremare e aprì gli occhi.

"Stiles? Che cosa..."

Non appena si accorse che il sangue dalla bocca si era fermato, Stiles se lo tirò al petto. Stava guarendo. Dio, grazie.

"Shh, va tutto bene. Va tutto bene, cucciolo."

"Fa male, Stiles." piagnucolò il ragazzo.

"Starai bene. Derek starà bene. Starete bene, te lo prometto."

A quello Eli si dimenò per poterlo guardare in faccia. "Papà? Stiles, ma di cosa stai parlan-"

"Shh, non preoccuparti. Va tutto bene." lo interruppe l'umano "Dallo a me. Dallo a me, Eli. Posso sopportarlo."

"Di cosa stai parlando?"

Stiles gli diede un'ultima carezza sul viso. "Dallo a me."

Da confuso il viso del ragazzo divenne angosciato non appena arrivarono i conati. Si portò una mano non più artigliata alla gola, come a voler fermare l’inevitabile, e Stiles lo tenne stretto per tutto il tempo che ci volle ad una mosca per farsi strada fuori dalla sua bocca. L'insetto esitò solo un istante prima di entrare in quella di Stiles, già socchiusa.

Eli lo guardò orripilato e Stiles era pronto a qualsiasi cosa il ragazzo gli avrebbe chiesto, ma un Derek Hale ferito ma molto vivo li distrasse entrambi comparendo a due metri da loro. Qualsiasi obiezione ci fosse sulle labbra di Eli morì così com’era nata.

"PAPÀ?!"

Lo sguardo confuso di Derek saettò su di loro. "Eli??"

Eli si divincolò e si lanciò fra le braccia del padre, facendoli quasi cadere a terra. Stiles, da parte sua, era bloccato a terra, incapace di credere di esserci riuscito, di aver riportato Derek indietro. La verità era che non l’aveva davvero creduto possibile. Una parte di lui aveva sempre pensato che si stesse illudendo, che non avrebbe più rivisto Derek.

"Sei davvero qui."

La testa di Derek si sollevò di scatto da dove l’aveva poggiata contro Eli. "Stiles..."

L'uomo lo guardava come se fosse un'allucinazione che presto sarebbe scomparsa.

Calde lacrime iniziarono a scendere sulle guance dell'umano mentre si alzava su gambe inferme. "Perdonami. Ti prego, perdonami."

"Cosa? Perché? Che cosa hai fatto, Stiles?"

La stretta di Derek su Eli si fece più forte e l'uomo se lo avvicinò maggiormente al petto. Doveva essere stata una mossa istintiva, probabilmente neanche se ne era reso conto. Ma Stiles sì. Gli si strinse il cuore all'idea che Derek avesse paura di lui. Non che fosse nel torto. Nel giro poco tempo, un abbraccio protettivo non sarebbe stato neanche lontanamente sufficiente. Se lo spirito avesse mantenuto la sua promessa, però, non ce ne sarebbe stato bisogno, non per loro due.

"Non importa adesso. Importa solo che tu sappia che ho fatto in modo che non vi venga mai fatto del male. Ascolta il mio cuore, Derek."

"Stiles, che cosa-"

"Ascolta il mio cuore! Questo è importante. Ho bisogno… ho bisogno che tu creda a questo. Ho bisogno che tu creda a me, ora che sono ancora io."

Lo sguardo di Derek era così spaventato che Stiles piagnucolò, impotente. Ma era importante che lui sapesse. Infine, qualcosa scattò nello sguardo del lupo più grande. Stiles contrasse appena le labbra in una magra imitazione di un sorriso. Il suo lupo intelligente.

"Stiles, come sono tornato? Ero morto. Sono morto insieme al Nogitsune."

Stiles scosse la testa. "No. Non siete mai morti."

"Che vuoi dire che non siamo mai morti? Il Nogitsune è lì fuori??"

Stiles si ritrovò a scuotere di nuovo la testa. Fece un mezzo passo avanti ma si bloccò, non trovando il coraggio di avvicinarsi, di abbracciarlo sapendo che sarebbe stata l'ultima volta.

"Me ne sono occupato."

"Che vuol dire che te ne sei occupato?” domandò Derek con voce dura. Aveva già capito. Certo che aveva già capito, era che non ci voleva credere. “Stiles-"

"Non potevo! Non potevo lasciare che facesse ad Eli quello che aveva fatto a me.” lo interruppe Stiles, stringendosi la vita con le braccia, triste imitazione di un abbraccio. “Non potevo lasciare che morisse. E non potevo neanche lasciarlo senza un padre, senza di te."

La realizzazione colpì il mannaro tutta di colpo.

“Papà, di cosa state parlando?”

Eli non capiva, ma Derek sì. "No, ti prego no..."

"Sarete in pericolo, ma era l'unico modo. Ti giuro che era l'unico modo."

Ma Derek non lo stava ascoltando. Aveva spinto Eli dietro di sé e si stava avvicinando lentamente con una litania di 'ti prego no' e 'non tu, non di nuovo'.

Stiles fece un passo indietro e questo sembrò ferire l'altro, ma non poteva permettergli di avvicinarsi oltre.

"Sarete in pericolo, ma mai da me. Me l'ha promesso. Gliel'ho fatto promettere, Derek, lo giuro."

Derek cadde in ginocchio come se Stiles lo avesse colpito. Eli corse immediatamente da lui a malapena cosciente di Stiles, con occhi solo per suo padre.
Era così che doveva essere. Eli aveva bisogno di suo padre e Derek meritava una famiglia e una vita.  

Un altro passo indietro e lanciò in aria una manciata di polvere di sorbo che portava sempre con sé. Immediatamente un cerchio nero si formò intorno ai due lupi, impedendo loro di raggiungerlo.

"Chiama Parrish. Lui vi libererà."

Ma Derek non lo ascoltò e si lanciò immediatamente verso di lui. Come prevedibile, però, lo scudo del sorbo lo fermò. Ruggì, rabbioso, e Stiles temeva così tanto di vedere il tradimento sul suo viso che impiegò un istante prima di riuscire a guardarlo negli occhi. Il fiato gli fu strappato via dai polmoni quando non scorse altro che dolore nello sguardo di Derek. Egoisticamente non voleva che Derek lo odiasse e averne la conferma gli diede la forza di cui aveva bisogno.

Finalmente si lasciò avvicinarsi. Alzò una mano, quasi a poter toccare il suo viso e consolarlo, ma fu attento a non superare la barriera. Derek emise un uggiolio quando realizzò cosa avrebbe voluto fare Stiles.

"Andrà tutto bene, Sourwolf. Prenditi cura di Eli. E se puoi, controlla papà ogni tanto. Vivi la vita che meriti, sapendo che niente e nessuno riuscirà più a ferirvi. Non finché ci sarò io."

Derek emise dei suoni indistinti, fra le lacrime e le zanne era difficile capirlo, ma suonò come un 'E la tua di vita?' che fece sorridere affettuosamente Stiles.

“Ho fatto la mia scelta, e ho scelto te. Perché è questo che facciamo noi, no? Ci salviamo la vita a vicenda. Prima o poi sarebbe dovuta arrivare l'ultima volta."
 

Due passi indietro e la vista gli si annebbiò. Derek guardò le sue spalle sciogliersi, la postura rilassarsi e la schiena raddrizzarsi. Vide il suo viso stendersi e perdere l'angoscia che aveva avuto fino a quel momento, gli occhi asciugarsi e fissare il nulla. Derek vide il ragazzo, ormai uomo, che amava svanire e lasciare il posto a qualcosa che sperava di non incontrare più. E sapeva, sapeva che non avrebbe mai permesso a nessuno di fargli del male, anche se non era più Stiles, non completamente.

Derek Hale vide l'essenza stessa di Stiles, che mai sei era piegata a qualcuno o qualcosa, sottomettersi.

 
Bentrovato, Stiiiles. È tempo di andare e mantenere la promessa. Molte sono le persone che tramano contro gli Hale, molto il caos di cui nutrirci e molte le partite da vincere…








Note dell’autrice.

Se siete arrivati e arrivate fin qui, vi dico grazie. Questa storia è il mio modo di reagire al film che, sebbene tragico, ha dato tanto materiale alla Sterek.

Non è una reale fix-it fic, ma quasi: non nasce per risolvere le orribili incongruenze del film o i suoi buchi di trama, anche se qualche soluzione ho provato a darla, ma è una storia nata puramente per trovare un po' di pace interiore (chiamiamolo coping mechanism). Come avrete visto, però, qualcosa l’ho cambiata, in primis ciò che riguardava Stiles.

Il film ci ha ricordato ciò che la Sterek sarebbe potuta essere e io ho voluto mantenere lo stesso alone tragico perché no angst no party e perché, sebbene mi nutra prettamente di fluff, amo scrivere finali dolce amari e semi aperti.

Ci tengo a precisare che il Nogitsune non ha preso pieno controllo di Stiles, che mi immagino più come un tacito padrone di casa che lascia fare al suo ospite. Stiles non è quindi morto o sparito per sempre. Mi sono semplicemente immaginata Stiles tramutarsi in Void per proteggere Derek ed Eli e Derek proteggere Stiles da chiunque cercherà di fermarlo. Qualcosa che richiama molto la stagione 3b.

Devo dire che fa un certo effetto tornare a pubblicare dopo 5 anni di assenza. Non ho mai abbandonato la Sterek o le fanfiction di Teen Wolf in generale, ma scrivere era un’altra storia. Nel bene e nel male, però, alla fine il film mi ha dato lo scossone necessario per tornare a scrivere, quindi non posso odiarlo totalmente.

Bene, mi taccio.
Spero che la storia vi sia piaciuta e che nella sua tragicità finale vi possa aver aiutato a superare il dramma del film. Alla fine il finale è semi aperto, quindi niente è scritto e tutto potrebbe succedere... a buon intenditor poche parole.
 
   
 
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