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Autore: NPC_Stories    07/03/2023    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: Dira_
Genere: slice of life, sentimentale




Il falò di mezza estate



Secomber, Fattoria Honeycomb, Estate 1366

La notte del Solstizio non era importante per i lathanderiani quanto i festeggiamenti dedicati alla Canzone dell’Alba, ma ci andava abbastanza vicina.
La fattoria Honeycomb, essendo la più grande della zona, si candidava ogni anno ad ospitare quei festeggiamenti notturni e finora non aveva avuto rivali, aveva detto Dora a Kethra. Poi era sparita, inglobata dal turbine di preparativi.
In quanto ospite dalla città la giovane illuskan aveva avuto ben poco da fare: aveva dato una mano nelle decorazioni intrecciando tralci d’edera assieme a nastri oro e rossi fino alla nausea… ma poco altro. E in tutto quello si era annoiata a morte, perché le donne coinvolte, ragazze dei poderi vicini, dopo i primi minuti di lingua comune a suo beneficio, erano scivolate nel dialetto chondatan della zona, rendendole difficile seguire la conversazione a causa dell’accento.
Come se non bastasse non aveva beccato Dora che per pochi attimi durante la giornata: la sua migliore amica era sempre con qualche fratellino in collo o alle calcagna, o con le braccia piene di roba da spostare, cucinare o preparare.
Nel pomeriggio l'aveva vista uscire con Gorstad sul carretto: l’amica le aveva gridato che andava con il padre a fare il giro dei vicini per confermare la presenza per quella sera.
Kethra aveva cercato di non rimanerci male; aveva capito quanto Dora fosse indispensabile alla famiglia, fin troppo considerando che a regola era un’ospite pure lei. Alla fine però aveva dovuto rassegnarsi al cattivo umore: quelle erano le loro vacanze lontane dal Tempio.
Sarebbero riuscite a passare il solstizio assieme?

Quella domanda era perdurata anche durante la festa: non intravedeva che scampoli della capigliatura biondo fragola dell’amica, trascinata da un capannello di vicini all’altro.
Kethra non era più sola però: Stedd Honeycomb aveva deciso di farle compagnia.
“Andiamo a sederci vicino al falò!”
Da quando era arrivata alla fattoria il ragazzo non aveva fatto altro che ronzarle attorno, riempiendola di chiacchiere, complimenti e salamelecchi, senza ovviamente ascoltare mezza risposta. La classica testa vuota innamorata di sé e dell’effetto che faceva sugli altri.
Sempre meglio di Randall.
Il maggiore dei fratelli Honeycomb la fissava come se volesse spogliarla. Kethra conosceva abbastanza il tipo da sapere che doveva stargli alla larga.
Almeno Stedd non le dava l’impressione di volerle dare una botta in testa e trascinarla nel fienile. Era gradevole da guardare, con i lunghi capelli chiari e il viso sempre aperto in un sorriso. Dei fratelli che aveva conosciuto era quello che somigliava più a Dora.
“Allora, che te ne pare della nostra festa?”
“Bella…”
Brutta scema, dove sei?
Kethra scoccò un’occhiata malmostosa all’ennesimo flash di capigliatura bionda che scorse in mezzo alla folla di contadini e braccianti. Probabilmente manco era Dora, ma uno dei suoi infiniti parenti. L’aia degli Honeycomb era piena di gente, e le persone, aizzate dai musicisti, avevano cominciato a ballare dopo essersi riempiti doverosamente la pancia.
Era una serata divertente e lei non si stava divertendo. Affatto.
“Vuoi ballare?” propose Stedd.
Kethra non riuscì a trattenersi. “Non con te.”
Il ragazzo, invece che offendersi come si sarebbe aspettata, inclinò la testa da un lato e la studiò. “Vorresti che ci fosse mia sorella al posto mio,” attestò. “Lo vuoi un consiglio? Io non ci spererei troppo.”
Lo so che Dora è occupata,” e davvero non era gelosa delle attenzione che la sua migliore amica rivolgeva a tutti tranne che a lei…
“No, non intendevo quello.”
Kethra aggrottò le sopracciglia, dandogli attenzione. “Cosa allora?”
“Dora è un’egoista. Se ne fotte di noi e torna solo per le feste comandate. La capisco eh, questa famiglia fa schifo. L’unico modo per cavarsela è mollare la scialuppa e fottersene come hanno fatto lei e Rupert.”
“Questo non è vero! Non fa che parlare di voi, e scrivervi lettere!” Kethra non avrebbe dovuto arrabbiarsi. Non era affar suo cosa un ragazzo insopportabile pensava di sua sorella.
Ma stava parlando di Dora, la sua Dora.
“Non la conosci affatto! Si fa in quattro per gli altri!”
“Si fa in quattro per tutti,” la corresse. “E quindi per nessuno. La sua famiglia è nel mischione. Lei non ha persone speciali, ha solo Lathander. Se tra voi le cose diventassero… complicate… ti metterebbe da parte come ha fatto con noi.”
Kethra sentì un nodo allo stomaco. Il tono pacato, persino gentile, di Stedd le stava facendo venire dei dubbi.
Forse ha ragione.
Se Dora avesse saputo che si era presa una stupida cotta per lei l’avrebbe bollata come una complicazione per la sua sfavillante carriera e l’avrebbe allontanata?
L’avrebbe considerata un’orfanella bisognosa che si aggrappava alla prima persona che le dava una carezza? Era un copione che aveva visto accadere tante volte quando era ragazzina e si era ripromessa che lei non sarebbe mai stata così, non sarebbe diventata dipendente da qualcuno.
Solo che non riusciva più ad immaginare una vita in cui Dora non c’era.
“Ti sto solo avvertendo. Puoi non credermi.”
Kethra serrò le labbra. “No, non ti credo,” sbottò.
Dora non mi abbandonerebbe mai. Me l’ha promesso.
Era una speranza stupida e flebile la sua, una fiammella patetica che uno starnuto avrebbe potuto spegnere… del resto, la sua intera infanzia era praticamente stata una folata di vento.
Però Dora, da quando la conosceva, era sempre rimasta. Quando c’era una punizione da beccarsi, quando c’era un sorvegliante troppo zelante da distrarre o seminare…
Era lei quella che aveva paura che l’amore portasse solo rogne. Era lei quella che scappava.
Allora era Dora ad andarla a cercare. E si impuntava finché non la trovava, nell’angolo più angusto dei sottotetti del Tempio, nella stradina più malfamata del Quartiere del Porto… aveva pure rischiato di essere venduta come schiava per colpa sua!
“Tu pensi di conoscere tua sorella, e forse l’hai conosciuta quando viveva qui,” disse guardando in faccia quel ragazzo che somigliava tanto alla sua migliore amica. La stessa forma del naso, gli stessi lineamenti, lo stesso modo di corrucciarsi. Lui e Dora avevano lo stesso sangue ma non potevano essere più diversi. “Però io ho conosciuto un’altra persona… e non c’entra un cazzo con quella che descrivi tu,” lo afferrò per il colletto della camicia e lo abbassò alla sua altezza. “E, coso, dì ancora una sola parola contro di lei e ti troverai il naso dall’altra parte della faccia per un cazzotto!”
Stedd sgranò gli occhi sorpreso ma poi l’espressione si sciolse in un sorrisetto da schiaffi.
“Accidenti, ti piace un sacco la mia sorellina!”
Kethra sbuffò, mollando la presa e voltandosi verso il falò per giustificare il calore che le era salito in volto. “Quello che non capisco è perché non piaccia a te.”
“Ti sbagli,” disse Stedd tranquillo. “Le voglio molto bene. Voglio bene a tutta la mia famiglia… ma non significa che mi piacciano. Credimi, al di là di tutta sta pagliacciata di buon vicinato che vedi oggi, non piacciamo a nessuno.”
Kethra gli lanciò un’occhiata. Il ragazzo si guardava le mani con aria assorta. Sembrava sincero… e doveva ammetterlo, quello a cui aveva assistito in quei pochi giorni gli dava ragione.
Tutti maschi, tutti agitati e in continuo conflitto. Il padre li controlla con urla, minacce e botte e li fa lavorare come muli. Batte anche i bambini… e ce ne sono più di un paio che avrebbero bisogno di un chierico specializzato in afflizioni della mente, non di botte.
Dora quando scoppiava una lite o una punizione particolarmente violenta si metteva in mezzo, anche fisicamente: era l’unica in grado di calmare il padre, anche perché la madre sembrava completamente disinteressata a qualunque cosa tranne l’ultimo nato.
Sono una famiglia arrogante, violenta e piena di sé. Non c’è molto amore. Paura e controllo, più che altro.
Niente di nuovo per la giovane illuskan, che aveva vissuto nei bassifondi di Waterdeep: però le aveva fatto male notare come la sua amica si affannasse per mettere pace, curare e asciugare lacrime. Aveva dovuto frenarsi per non intervenire.
Gli importa eccome di voi. Pure troppo.
“Quindi avere una famiglia è una gran merdata?” domandò neutra.
Stedd fece spallucce. “Forse non sempre è così. Che ne so, ho solo questa.” Rivolse il viso al cielo scuro, punteggiato da migliaia di stelle. “Me ne andrò presto da qui. Farò la scelta egoista, come i gemellini meraviglia.”
“Magari ti farà essere meno stronzo,” motteggiò Kethra, sorridendo quando il ragazzo accettò l’insulto con una sghignazza divertita. “Comunque, la famiglia te la puoi anche scegliere.”
“Dici?”
“Eccome. Io l’ho fatto.”
Dora nel frattempo si era staccata dall’infinita conversazione in cui suo padre l’aveva coinvolta con i fattori della zona. Si era diretta verso il lungo tavolo che ospitava cibo e bevande e aveva preso due bicchieri di coccio riempiendoli da un grosso otre panciuto. Fece volare lo sguardo qua e là e quando lo diresse verso di lei si illuminò sollevata.
Kethra le rivolse un cenno con la mano e l’altra per poco non rovesciò i bicchieri per imitarla.
Stedd sbuffò divertito. “Che tonta. Almeno il vecchio ha allentato le grinfie, pensavo l’avrebbe tenuta in ostaggio per tutta la sera...” Poi lanciò un’occhiata al di là del grande falò che bruciava in mezzo all’aia. Anche lui stava cercando qualcuno. Kethra seguì la direzione dello sguardo e notò un capannello di ragazzi: al centro, chiaramente visibile perché più alto e grosso, c’era Randall. La stava di nuovo fissando.
Se si avvicina gli pianto un coltello nelle palle.
“Non molla,” mormorò Stedd. “Beh, non importa, sta arrivando il cambio,” e si alzò, spazzolando i pantaloni con un paio di gesti energici.
…mi ha fatto compagnia per evitare che quel maniaco si avvicinasse?
Sembrava proprio così perché il ragazzo dai capelli lunghi si stiracchiò con l’aria di chi aveva palesemente perso ogni interesse per quella conversazione e per lei.
Kethra rifletté: a ben pensarci, aveva fatto il cascamorto appiccicoso unicamente in presenza di Randall e in assenza di Dora.
Aspetta un po’…
“Quindi non ci stavi mettendo il cappello. Su di me intendo. Con tuo fratello…”
Stedd fece spallucce. “Diciamo che neanche tu sei il mio tipo… ti manca qualcosa sotto ed hai qualcosa di troppo sopra,” e le strizzò l’occhio.
Kethra soffocò una mezza risata, sorpresa ma divertita. “Chiaro. Grazie allora.”
“Noi Honeycomb siamo più di quel che sembriamo … tranne Randall. Lui è esattamente ciò che sembra. Ehi sorellina!” Stedd fece una mezza giravolta voltandosi verso Dora, che intanto si era avvicinata reggendo i bicchieri con comica attenzione per non tracimare liquido.
“Grazie per le libagioni!”
“Cos… non è per te!” si lamentò la ragazza mentre il fratello le sfilava un bicchiere dalla mano. “Stedd!”
Questo la ignorò allontanandosi. “Buona serata fanciulle! Andate a ballare, invece che rimanere sedute sui vostri graziosi sederini! Altrimenti Lathander piange!”
“Stedd… ma che…” Dora alzò gli occhi al cielo e sospirò. “Scusalo, è stato tanto insopportabile?”
Kethra si spostò per farle spazio sul ceppo. Il cuore le saltò un battito quando l’altra si sedette praticamente contro di lei. “No, quasi tollerabile…”
“Meno male.” Dora le porse il bicchiere di coccio superstite. “È delle vigne dei nostri vicini, l’ho annacquato e mischiato con il nostro miele così non è troppo forte. Volevo fare un brindisi, ma…”
“Lo dividiamo.” Kethra ne bevve un sorso e ripassò il bicchiere all’altra, che sorrise e la imitò.
La festa intanto era entrata nel vivo e così la musica, suonata da un gruppo di arditi ragazzotti a cui si aggiunse anche Stedd con il proprio liuto: la gente, adorna di corone di fiori, ballava sollevando nuvole di polvere, ebbra di caldo e alcool. L’atmosfera calda e pastosa si arricchiva del blu profondo del cielo e delle sue tante stelle. Odore di legna che bruciava, di grano appena tagliato, di vino e fiori.
Non c’era niente di simile in città e Kethra lo trovò semplice, ma bellissimo. Non sarebbe stato male vivere in un posto del genere, un giorno. Lì la presenza di Lathander era pura.
“Scusami se ti ho lasciata sola stasera,” disse Dora. “Mio padre… lui, ecco, ci tiene a mostrare in giro sua figlia, la futura chierica.” Abbassò lo sguardo imbarazzata. “Avrei preferito passare il solstizio con te.”
Era una fortuna che le fiamme del falò colorassero di arancio e rosso il volto di tutti, perché Kethra si sentì avvampare per la seconda volta.
Afferrò il bicchiere dalle mani dell’altra e ne diede un vigoroso sorso. “Tranquilla, mi ha fatto compagnia tuo fratello.”
Dora esitò. “Avresti… avresti preferito che fosse rimasto lui?”
“No.” Kethra passò un braccio sotto quello dell’altra e strofinò il viso contro la sua spalla.
“Sono venuta qui per te, noiosona mia, non te lo dimenticare.”
Dora appoggiò la guancia contro la sua testa e sospirò contenta. “E io che pensavo che fossi venuta per, e cito, rimpinzarmi di cibo, fare la bella vita e dormire fino a tardi.
Kethra rise, alzandosi e tirandola in piedi con sé. Il vino stava facendo effetto e lei non riusciva a rimanere ferma. “Con te che mi svegli all’alba per trascinarmi in mezzo alle galline a pregare?”
“Dai… lo sai che è il momento migliore.”
“Non siamo al tempio! Quindi ti devi far perdonare!”
Dora la seguì in mezzo alla folla di buon grado, con gli occhi che le scintillavano di divertimento: Kethra pensò che di quell’espressione aveva un po’ il monopolio.
Sarebbe davvero difficile farsi passare una cotta con quelle premesse.
Però per quella sera non aveva importanza.
“Tuo fratello una cosa giusta l’ha detta. Non rimarremo tutta la sera sedute sui nostri culi. Fammi ballare una delle vostre danze contadine, Honeycomb!”
Dora scosse la testa, ma poi le fece un inchino farsesco a cui Kethra rispose con una riverenza esagerata. Scoppiarono a ridere.
Dora la prese per mano e la portò in mezzo ai ballerini e Kethra sentì che difficilmente sarebbe mai stata più felice di così.

   
 
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