Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: ValeDowney    09/03/2023    0 recensioni
Stephanie Strange , brillante laureanda in Medicina alla New York University, comincia a sentire strette le maglie del camice bianco da neurochirurgo che il padre vorrebbe farle indossare. E se il padre è il famoso Doctor Stephen Strange, allora la faccenda si complica
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor Stephen Strange, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
UNA VITA IN GABBIA
 
 

Capitolo XXXV: Trattamenti di sfavore



Stephanie era molto eccitata: quella sarebbe stata la prima volta, da quando aveva iniziato la scuola materna, ad essere andata in gita senza i genitori. Non che a Stephen la cosa andasse giù, ma doveva farsela andare bene.
“Non ho mai acconsentito del tutto a lasciarla andare” disse Stephen, mentre osservava Christine mettere le ultime cose all’interno dello zainetto della figlia.
“Eppure hai firmato il permesso” disse Christine.
“Mi ci hai costretto” disse Stephen.
“Non è vero: ti ho solo consigliato di ponderare bene la tua decisione e, che avresti fatto felice nostra figlia. Non glielo hai letto negli occhi quanto ti era grata?” disse Christine, guardandolo.
“È stato un colpo basso” disse Stephen.
“Dai, è la sua prima gita senza di noi: è un passo avanti” disse Christine.
“Io, invece, lo trovo più pericoloso” disse Stephen.
“Vanno solamente allo zoo” disse Christine.
“Con animali pronti ad azzannarli” disse Stephen.
“Quanto la fai sul tragico. Dopotutto si trovano dietro alle sbarre” disse Christine e, dopo aver terminato di riempire lo zainetto, lo richiuse. Poi aggiunse: “Ecco fatto: Stephanie ha tutto l’occorrente per il grande giorno”.
“Vorrei che non arrivasse mai, anche se spero termini il prima possibile” disse Stephen. Christine lo riguardò: “Intanto abbiamo entrambi il turno in ospedale: vedrai, non te ne accorgerai neanche”.
Arrivò il giorno tanto atteso da Stephanie. I bambini, con i rispettivi genitori, si trovavano davanti al pulmino, pronti a partire. Ognuno dava loro raccomandazioni e Stephen non era da meno: “Stai lontana da quelle gabbie. Non voglio neanche che ti avvicini ad un qualsiasi animale, seppur esso si possa trattare di un lemure. Non puoi sapere di cosa possano essere capaci”.
“Ma sono dietro alle sbarre: cosa possono farci?” domandò Stephanie.
“Già Stephen, cosa possono fare?” ripeté Christine, guardandolo.
“Smettila!” disse Stephen, guardandola a sua volta; poi, entrambi riguardarono la figlia e, abbassandosi, aggiunse: “Non vedo l’ora che arrivi già stasera per poterti riabbracciare. Mi mancherai tantissimo, cucciola mia”.
“Anche tu, papino” disse Stephanie e lo abbracciò, appoggiando la testa contro la sua spalla.
Ad abbraccio finito, la bambina guardò Christine, che le disse: “Mi raccomando, stai sempre accanto ai tuoi amici ed ascolta la maestra”.
“Va bene, mammina” disse Stephanie. Christine le sorrise, per poi abbracciarla.
La maestra chiamò a sé i bambini che, allontanandosi dai genitori, si avvicinarono a lei, per poi salire uno dopo l’altro sul pulmino.
Una volta che anche la maestra fu salita, il conducente chiuse la porta e, mentre partiva, i bambini si affacciarono ai finestrini, salutando i genitori, che li salutarono a loro volta.
“Mi raccomando, cucciola mia: se qualcuno ti dà fastidio, tu fargli vedere chi sei, perché uno Strange non si tira indietro davanti a niente e nessuno” ed il pulmino volse l’angolo.
Mentre gli altri genitori se ne andarono, Stephen guardò Christine e, vedendo la sua espressione poco convinta, le chiese: “Che c’è?”.
“Te l’ho già detto anche in precedenza: stai crescendo un mostro. Di questo passo, diventerà arrogante con tutti” rispose.
“Deve capire fin da subito che non deve farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Solo così farà strada” disse Stephen.
“Pensavo che avessimo concordato che l’avremmo cresciuta facendole capire di rispettare gli altri e cercare di andare d’accordo con quelli della sua età” disse Christine.
“E’ una buona e brava bambina, ma se gli altri sono degli stup…” iniziò col dire Stephan, ma dopo che Christine lo guardò malamente, si corresse: “Ma se gli altri non sono alla sua altezza, non ci possiamo fare nulla”.
“Sono solo dei bambini: quando cresceranno impareranno” disse Christine.
“E’ meglio che imparino già in tenera età: dopo è troppo tardi” disse Stephen.
La giornata in ospedale trascorse come tutte le altre, seppur Stephen sembrava più nervoso del solito. Christine stava firmando alcune cartelle, mentre stava davanti alla scrivania delle infermiere, quando proprio una delle infermiere si affiancò a lei: “Oggi è proprio insopportabile”.
“A chi ti stai riferendo?” domandò Christine, non guardandola.
“Al Dottor Strange. Non che gli altri giorni non lo sia, ma oggi lo è ancora di più. Tratta tutti male, dicendoci che siamo più stupidi del solito e, che se non sappiamo fare il nostro lavoro – o non ci piace più – possiamo anche andarcene a lavorare al porto” spiegò l’infermiera.
“Lascialo perdere: si comporta così perché oggi Stephanie è andata alla sua prima gita senza genitori. Gli altri giorni non ha fatto altro che ripetere che lui non ha mai approvato a firmarle il consenso; che dove vanno è pericoloso e che non dovrebbero permettere a dei bambini così piccoli di andare in gita da soli” disse Christine e, dopo aver terminato di firmare la cartella, che consegnò all’infermiera dietro alla scrivania, si incamminò seguita dall’altra donna.
“Ma non sono del tutto soli: non dovrebbe esserci la maestra con loro?” chiese l’infermiera.
“Sì, ma secondo Stephen è come se fossero ugualmente da soli” rispose Christine.
“Fammi indovinare: ha ritenuta anche la maestra di vostra figlia stupida e non in grado di fare bene il suo lavoro?” domandò l’infermiera.
“Stesse identiche parole, con la sola eccezione che ti sei dimenticata di aggiungere che l’ha definita incompetente nel tenere dietro a dei bambini e, che se dovesse vedere anche solo una piccola ferita nella sua dolce Stephanie, la farà licenziare” rispose Christine.
“Se potesse, starebbe con vostra figlia tutto il giorno” disse l’infermiera.
“E’ anche per questo motivo che ho deciso di divorziare: stava diventando troppo appiccicoso con Stephanie ed io non voglio che la cresca in questo modo. Ma Stephanie lo adora. Per lei è il suo eroe e mi ha già detto che da grande vuole diventare come lui” spiegò Christine.
“Anche tu sei una dottoressa” disse l’infermiera.
“Lei ha detto precisamente così: “Voglio diventare come papà, non come la mamma che è una semplice dottoressa”. Ti rendi conto cosa Stephen le sta mettendo in testa? Io voglio che lei abbia degli amici ed un’infanzia felice. Invece Stephen la sta già tempestando di regole e non la vuole mai fuori dalla sua vista. Mi ha messo contro un sacco di avvocati pur di avere la sua totale custodia, perché sapeva che, secondo la legge, lei sarebbe dovuta venire a vivere con me fino al compimento della maggiore età. Almeno è stato gentile da non mettermi qualcuno a sorvegliarmi dei servizi sociali, mentre tengo Stephanie a week end alternati” spiegò Christine.
“Mi dispiace molto che hai dovuto passare tutto ciò: vi vedevo una bella coppia e speravo duraste” disse l’infermiera.
“Sotto sotto amo ancora Stephen, ma se non cambierà, le cose tra noi non possono ristabilizzarsi. Cercheremo di non litigare almeno davanti a Stephanie” disse Christine. Quando si fermarono, per vedere davanti a loro Stephen che stava urlando davanti a due ragazzi con i camici bianchi: “Siete solo degli incompetenti! Non siete in grado nemmeno di compilare una semplice cartella!”.
“Ci dispiace molto Dottor Strange, ma ci avevano detto di…” iniziò col spiegare uno dei due ragazzi, ma venne interrotto da Stephen: “Non me ne frega nulla di ciò che vi avevano detto di fare! Avete scelto il corso di medicina pensando fosse una passeggiata?! Be’, vi siete sbagliati, perché qua non accetto dei ragazzini come voi che stanno ancora attaccati alla gonna della mamma!”.
“Stiamo cercando di imparare e non è gridandoci contro che apprenderemo” disse l’altro ragazzo.
“Osi contraddirmi, ragazzino?! Alla vostra età ero già in grado di operare da solo, mentre voi non riuscite nemmeno a fare un semplice prelievo del sangue! Quindi sparite dalla mia vista, prima che vi appenda a testa in giù per i pollici, mentre vi faccio assistere ad un’autopsia!” replicò Stephen ed i due ragazzi corsero via.
Stephen volse lo sguardo, per vedere Christine, insieme all’infermiera, che lo guardava scuotendo la testa. Si avvicinò a loro e Christine disse: “Sei sempre molto gentile nei confronti degli specializzandi”.
“Oggi sono molto nervoso e loro mi hanno fatto saltare i nervi ancora di più!” ribatté Stephen.
“Non ce ne siamo accorte” disse l’infermiera ma, dopo aver ricevuto un’occhiataccia da parte di Stephen, guardò Christine aggiungendo: “Credo che le altre infermiere abbiano bisogno di me. Magari ci vediamo più tardi” e se ne andò a passo spedito.
“Certo che ci impieghi tutto te stesso nel spaventare le persone” disse Christine.
“Per favore Christine, ora non ti ci mettere anche tu: non è giornata” replicò Stephen, mentre estraeva il cellulare dalla tasca del camice.
“Dovresti cercare di rilassarti, invece te la stai prendendo con tutti” disse Christine.
“Tutti, tranne che con te” disse Stephen, facendole un piccolo sorriso e, dopo aver composto il numero scelto, si mise l’apparecchio all’orecchio.
Nel frattempo, i bambini stavano rientrando dalla gita. C’era gran fermento nel pulmino e la maestra sentì a stento il cellulare che le suonò in tasca. Lo estrasse e, dopo esserselo messo all’orecchio, disse: “Buon pomeriggio, con chi parlo?” e dall’altra parte risposero. Quindi aggiunse: “Oh, salve Dottor Strange. No, non si deve preoccupare di nulla: stiamo rientrando”.
“State rientrando?! E quand’è che ci avrebbe avvertito?!” ribatté Stephen.
“Poco prima di ritornare nel parcheggio dell’asilo. La giornata è andata bene” disse la maestra.
“Non me ne frega nulla di come è andata la giornata! A me importa solamente di come sta mia figlia!” replicò Stephen.
La maestra volse lo sguardo all’indietro per vedere Stephanie che stava ridendo e parlando con un’altra bambina seduta accanto a lei. Quindi riguardò avanti, dicendo: “Sua figlia sta molto bene. Stanno tutti bene”.
“Perfetto. Allora ci vediamo più tardi” disse Stephen e, prima che la maestra potesse salutarlo, riattaccò.
La maestra guardò il cellulare e, mentre lo rimetteva in tasca, disse: “Certo che è un tipo davvero strano. Non so come Stephanie possa adorarlo ma, dopotutto, si tratta sempre di suo padre”.
“Le bambine starebbero sempre appiccicate ai propri papà: è così anche la figlia di mio fratello. I maschi, invece, sono tutti l’opposto. Vorrebbero già essere indipendenti in tenera età, invece cercano costantemente la mamma” disse l’autista.
“Stephanie è una bambina molto dolce ma, più di una volta, l’ho sentita dire che gli altri sono tutti insignificanti in confronto a lei. Che uno Strange non deve mai farsi mettere i piedi in testa da nessuno” disse la maestra.
“Tutto suo padre ma spero che, quando diventerà grande, riesca a distaccarsi da lui. Il Dottor Strange ha sempre avuto un brutto carattere e mi dispiace un sacco che quella bambina voglia prendere la sua strada” disse l’autista.
“Meno male che, almeno la madre, ha ancora del buon senso e che riesce a tenere a freno il Dottor Strange. O, almeno ci prova” disse la maestra. L’autista sorrise, scuotendo negativamente la testa quando, improvvisamente, da un incrocio sbucò un altro pullman più grande, che andò a sbattere contro di loro.
L’autista perse il controllo del mezzo. I bambini urlavano e la maestra, alzatasi, cercava di calmarli. Ma il mezzo finì fuori strada, ribaltandosi.
Stephen riattaccò e, mentre rimetteva il cellulare in tasca, disse: “Ma ti pare possibile che quella donna ci avrebbe avvertito solamente quando sarebbero arrivati nel parcheggio dell’asilo?! Non ha rispetto nei nostri confronti!”.
“Non te la prendere per così poco” disse Christine.
“Giuro che se è accaduto qualcosa a nostra figlia, farò passare l’inferno a quella donna” disse Stephen.
“Cerca di pensarla in positivo: fra poco riavrai Stephanie tra le tue braccia” disse Christine.
Il telefono del centralino squillò e l’infermiera alla scrivania prese su la cornetta: “Metro General Hospital, mi dica” e, mentre dall’altra parte parlavano, l’infermiera trascrisse tutto, per poi dire: “Va bene, manderemo subito i soccorsi. Voi cercate di stare calmi e non muovete nessuno” e riattaccò. Accese il microfono, dicendo: “A tutti i medici ed infermieri: codice rosso. Ripeto: codice rosso. Prepararsi all’arrivo delle ambulanze in cinque minuti”.
Mentre tutti i medici presenti correvano verso l’entrata del pronto soccorso, Christine e Stephen, a passo spedito, li seguirono.
“Avrei tanto voluto terminare prima il turno per andare a riprendere Stephanie” disse Stephen, mentre si metteva i guanti.
“Vedrai che aspetteranno e, se proprio non riusciamo ad arrivare in tempo, vorrà dire che li avvertiremo” disse Christine.
Uscirono e, mentre aspettavano le ambulanze, Stephen disse: “Sai, non sarebbe una cattiva idea se, una serata di queste, uscissimo tutti e tre. Come ai vecchi tempi”.
“Definisci “vecchi tempi” il nostro divorzio di neanche un anno fa? Ti sei già pentito?” chiese Christine.
“Sei tu quella che ha deciso di divorziare” rispose Stephen.
“Ho avuto le mie buone ragioni” disse Christine. I due si guardarono in silenzio, ma riguardarono avanti quando iniziarono ad arrivare varie ambulanze.
A mano a mano che si fermavano, i paramedici scesero dalle porte esteriori, trasportando tutti gli stessi pazienti e con i medesimi sintomi: “Bambino; scontro tra pulmino e autobus. È sotto shock ma, al momento non sappiamo se riporta contusioni interne”.
“Dov’è la mia mamma?” domandò un bambino, mentre Christine si affiancò alla sua barella, rispondendogli e sorridendogli: “Arriverà subito. Tu cerca di stare calmo” ed andò accanto a Stephen che, con una biro, stava facendo seguendo la lucina presente in essa, da una bambina: “Reazioni positive. Portatela insieme agli altri” ed andarono da un altro bambino, quando Christine ne riconobbe uno: “Oh mio dio, quella è Tilly. È in classe con Stephanie” ed accorsero da lei.
La bambina continuava a chiedere ai paramedici dei genitori e loro cercavano di farla stare calma, quando vennero raggiunti da Stephen e Christine. Quest’ultima, domandò: “Tilly, cosa è successo?”.
“Abbiamo avuto tanta paura” rispose la bambina, guardandola.
“Dov’è Stephanie? Dove si trova?” chiese Stephen.
“Voglio i miei genitori” disse la bambina.
“Dimmi dov’è Stephanie!” replicò Stephen, quando la bambina iniziò a piangere. Christine lo spostò, così da permettere ai paramedici di trasportarla all’interno.
“Ma che cosa ti salta per la testa?! Quella bambina è già abbastanza spaventata! Non c’è bisogno che la terrorizzi ancora di più!” ribatté Christine.
“Perché non c’è Stephanie? Dove si trova la nostra bambina?” replicò Stephen.
“Magari sta arrivando con un’altra ambulanza” ipotizzò Christine.
“O, nel peggiore dei casi, è stata sbalzata fuori e non ci vogliono dire nulla! Ma soccorriamo gli altri bambini e lasciamo per ultima la figlia del Dottor Strange” ribatté Stephen e, dandole di schiena, si passò una mano tra i capelli.
“So che sei preoccupato: lo sono anche io, ma dobbiamo cercare di stare calmi e, nel frattempo, aiutare tutti questi bambini” disse Christine.
“Non me ne frega nulla di loro!” urlò Stephen, voltandosi verso di lei. Poi aggiunse: “Voglio solo avere Stephanie al sicuro tra le mie braccia!”.
Arrivò un’altra ambulanza, dalla quale scesero due paramedici e, uno di loro, teneva in braccio Stephanie. Appena la videro, Christine e Stephen corsero da loro e, subito, Stephen prese la figlia: “Cucciola mia, eravamo tanto in pensiero per te”.
“Come sta?” domandò Christine.
“È sana: ha solo tanta paura” rispose il paramedico.
Stephen guardò la figlia, baciandola su una guancia; poi, fu a quel punto che notò una cosa: “Perché non ha il collarino?” disse. Guardò i paramedici, ripetendo la domanda: “Perché non ha il collarino?”.
“Perché non abbiamo ritenuto necessario metterglielo” rispose il paramedico.
“Non lo avete ritenuto necessario?! Perché agli altri bambini sì, mentre alla mia no?! Che cos’ha di diverso mia figlia da non averle messo il collarino?!” replicò Stephen.
“Non era grave come gli altri bambini” rispose il paramedico.
“Questa è stata solo una vostra ipotesi! Anche mia figlia era in quell’incidente!” ribatté Stephen ma, dopo che Stephanie ebbe appoggiato la testa contro la sua spalla, aggiunse: “Se non ha nulla, siete fortunati. Se invece scopro che ha qualcosa che non va, non solo vi farò licenziare ma stiate pur sicuri che non arriverete alla fine di questa settimana!” e, furente entrò in ospedale. Senza dire nulla, Christine lo seguì, dove lo trovò non al pronto soccorso, ma in una stanza a parte, con Stephanie già coricata sul letto.
“Perché l’hai portata qua?” chiese Christine.
“Stephanie è sotto la mia totale responsabilità. Ed anche la tua” rispose Stephen.
“Non possiamo lasciare da soli tutti quei bambini: hanno bisogno delle nostre cure” disse Christine.
“Ci stanno pensando gli altri dottori. Te lo ripeto: di loro non me ne importa nulla! È Stephanie la mia priorità!” replicò Stephen, guardandola. Christine non obiettò. Poi Stephen, spostando lo sguardo su Stephanie, aggiunse: “Se vuoi puoi anche non rimanere: non ti obbligo, ma tua figlia dovrebbe venire prima degli altri”.
Christine si voltò: stava per uscire, ma poi chiuse la porta. Si voltò e, avvicinandosi a Stephanie, disse: “Tesoro, so che sei spaventata, ma diresti a me ed a papà cosa è accaduto? Vogliamo aiutarti” e l’accarezzò sulla testa.
Stephanie guardò il padre, che le sorrise; quindi spostò lo sguardo sulla madre, dicendo: “Un grosso pullman è sbucato all’improvviso e ci è venuto addosso. Il signore che guidava ha cercato di frenare, ma siamo finiti fuori strada, ribaltandoci. Prima che ciò avvenisse, la maestra ci diceva che sarebbe andato tutto bene; poi però…”. Si fermò, mentre le lacrime iniziarono a bagnarle il viso.
“Se non ci riesci, non continuare: possiamo già immaginare il seguito” disse Christine.
“Tutti gridavano e piangevano. La maestra e l’autista non si muovevano. Io ero rimasta incastrata con un piede tra due sedili” disse Stephanie.
“Ok, cucciola mia, può bastare. Ora ci pensano mamma e papà a curarti” disse Stephen, accarezzandole una guancia con il dorso della mano. Poi con entrambi le mani, fece una leggera pressione su tutto il fianco sinistro della figlia, mentre quest’ultima, guardando la madre, le domandò: “Gli altri si salveranno, vero mammina?”.
“Ma certo, tesoro: staranno tutti bene” le rispose, sorridendo anche, se in cuor suo, sapeva che molti erano arrivati in gravi condizioni.
Stephen giunse alle gambe e successivamente al piede sinistro. Fu a quel punto che Stephanie sussultò. 
“Ti fa male?” le chiese Stephen. Stephanie scosse negativamente la testa. Stephen le toccò nuovamente il piede e Stephanie sussultò.
“Stephanie, devi dirci la verità. Solo così possiamo curarti” disse Stephen. Poi le ripeté la domanda: “Ti fa male il piede quando lo tocco?”. Stavolta la figlia annuì.
“Secondo te che cos’ha?” domandò Christine.
“Ad una prima occhiata sembrerebbe solamente una slogatura” rispose Stephen, guardandola. Poi spostò lo sguardo su Stephanie e, mettendole una mano sulla testa, aggiunse: “Cucciola, come ti hanno estratto dal pulmino? Prima, ci hai detto che avevi il piede incastrato tra due sedili. Come ti hanno tirato fuori?”.
“Due signori mi hanno presa per le braccia, tirandomi su” rispose Stephanie. A quel punto lo sguardo di Stephen divenne furioso. Guardò Christine: “Rimani qua con lei: vado a prendere la macchina per le lastre”.
“Perché? Cosa succede?” chiese allarmata Christine.
“Se l’hanno tirata fuori così, non sappiamo se può aver riportato lesioni interne. Quindi, voglio vederci chiaro” rispose Stephen ed uscì. Christine sospirò, ma si voltò quando Stephanie la chiamò: “Mammina, i miei amici hanno bisogno di te e papà”.
“Ma no tesoro, ci stanno pensando già gli altri dottori a loro. Sono in ottime mani” disse Christine, sorridendole.
“Tu e papà siete i migliori: loro hanno bisogno di voi. Non preoccupatevi per me” disse Stephanie. Christine si avvicinò a lei ed accarezzandola, le disse: “Sei sempre stata una buona e brava bambina, ma noi siamo i tuoi genitori e, come ha detto prima papà, sei la nostra priorità. I tuoi amici si salveranno, promesso”.
Stephen ritornò con la macchina per le lastre e, mentre la portava sopra la figlia, questi l’osservava con paura. Poi guardò Christine e, vedendola taciturna, le domandò preoccupato: “Che c’è? È successo qualcosa mentre non c’ero? È stata male?”.
“No, niente di che. È solo che…” iniziò col rispondere Christine.
“E’ solo che cosa?! Christine, per favore, non farmi preoccupare!” ribatté Stephen. 
Christine guardò Stephanie, dicendole: “Tesoro, dì a papà quello che hai raccontato prima a me”.
Padre e figlia si guardarono e Stephanie gli disse: “I miei amici hanno bisogno del tuo aiuto e quella della mamma. Voi siete dei bravissimi dottori e, con le vostre cure, sono sicura che si salveranno”.
Stephen sorrise e, mettendole una mano sulla testa, disse: “Cucciola mia, tu sei troppo importante per noi. Per questo motivo vieni prima di tutti gli altri. Sei molto dolce nel pensare ai tuoi amici, ma io e la mamma vogliamo occuparci solamente di te. Staranno bene, fidati di me. Ora stai ferma che ti scatterò qualche fotografia” e, dopo averla baciata sulla fronte, aggiustò meglio la macchina, per poi mettere sulla pancia della figlia una specie di piccolo telo grigio. Successivamente, premette un pulsante e la macchina iniziò a scannerizzarle il piede. Poco dopo finì e Stephen spostò il macchinario.
“Sei stata bravissima, piccola mia” le disse sorridendo Stephen. Christine si affiancò a lui ed entrambi guardarono sul monitor del macchinario le lastre appena fatte: “Proprio come avevo ipotizzato prima: ha una slogatura e sembrerebbe nessuna frattura”.
“Vuoi fasciarle il piede?” chiese Christine.
“No, lascio questo compito a te. Io devo andare a risolvere una faccenda” rispose Stephen, guardandola.
“Ti prego non fare nulla di stupido” disse Christine.
“Stai tranquilla: tu occupati di Stephanie. Al resto penserò io” disse Stephen ed uscì dalla stanza. Si recò a passo spedito verso i paramedici e, quando ne trovò uno vestito diverso da loro, disse: “Vorrei parlare con un superiore dei paramedici”.
“Sono io: mi dica pure” disse l’uomo, voltandosi verso di lui.
“Bene, taglierò subito corto: quando mia figlia è arrivata al pronto soccorso, non le era stato messo il collarino. I suoi dipendenti hanno detto che non era necessario” spiegò Stephen.
“Be’, allora non era grave” disse l’uomo.
“Non sono loro a decidere se mettere o no il collarino ad un bambino: poteva essere grave! Poteva avere lesioni interne! Non si può spostare qualcuno, senza accettarsi prima che stia del tutto bene e, a ciò, si arriva solamente quando il paziente viene portato qua in ospedale, dove siamo noi medici a formulare la prognosi!” replicò Stephen.
“Dottore, le tengo a precisare che i miei ragazzi sono tutti prepararti per qualsiasi caso gli capiti davanti. Se non hanno messo il collarino a sua figlia, vuol dire che non era grave” spiegò l’uomo.
“Me lo ha già detto due secondi fa ed io non accetto questi comportamenti da parte di persone non altamente qualificate. Solo perché è mia figlia, ciò non sta a significare che debba essere trattata diversamente dagli altri. Siete solo stati fortunati che abbia riportato una slogatura ad un piede” ribatté Stephen.
“Allora è tutto a posto” disse l’uomo.
“No, invece non lo è! Denuncerò la cosa e farò licenziare i suoi ragazzi. Vediamo se dopo sono bravi a trovarsi un altro lavoro!” replicò Stephen e, voltandosi si incamminò.
“Lei non può farlo solamente perché hanno sbagliato qualcosa con la sua preziosa figlia! Non è un dio in terra e nemmeno l’uomo più ricco che esista!” ribatté l’uomo. Stephen si fermò; si voltò e, incamminandosi verso di lui, si fermò per poi replicare: “No, non ho tutto questo potere, ma se qualcuno non tratta bene la mia famiglia, allora divento molto cattivo ed ottengo ciò che voglio. Dica ai suoi uomini queste contestuali parole: “Se dovessero ritornare in questo ospedale, il Dottor Stephen Strange sarà ben lieto di non prestare le cure necessarie ai pazienti che porteranno”.
“Esistono tanti paramedici: non potrà ricordarsi perfettamente dei miei uomini” disse l’uomo.
“Non si preoccupi, ho una memoria fotogenica: mi basta poco per memorizzare qualcosa o qualcuno. I pazienti che porteranno saranno contenti dei suoi uomini e lo dico in senso ironico” disse Stephen.
“Lei non è l’unico dottore di questo ospedale” ribatté l’uomo.
“No, ma sono il migliore” disse Stephen, facendo un piccolo sorriso beffardo. L’uomo lo guardò malamente e, mentre Stephen si voltò per andarsene, gli disse: “Arriveranno tempi che sarà lei ad aver bisogno di noi. Cosa farà a quel punto, quando nessuno vorrà più aiutarla? Rimarrà solo”. 
Stephen si fermò: “Io non sarò mai solo” e riprese a camminare. Mai si sarebbe immaginato che, anni dopo, la sua vita sarebbe cambiata completamente.





Note dell'autrice: Buon pomeriggio ed eccomi qua con un nuovo capitolo. Quando ho iniziato la storia non pensavo nemmeno di arrivare a così tanti capitoli e questo lo devo a voi. Al vostro sostegno; alle vostre bellissime recensioni. Quindi...GRAZIE. Non smetterò mai di ringraziarvi per tutto questo (e grazie anche per il sostegno alla mia amica Lucia). Vi sta piacendo la storia? Lo so ho fatto uno Stephen alquanto possessivo e molto sicuro di sè (come è sempre stato) e che, secondo lui, non sbaglia mai e non ha difetti. Ma Strange è Strange e sappiamo cosa gli accadrà
Come scritto prima, ringrazio tutti/e voi per le bellissime recensioni. Per aver messo la storia tra le preferite e seguite. E chi è passato semplicemente da queste parti per dare solamente una letta
Grazie ancora di nuovo
Vi auguro un buon proseguimento di giornata e settimana
Ci sentiamo al prossimo capitolo (sperando non tardi ad arrivare)
Un forte abbraccio
Valentina
 
 
 
 

 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: ValeDowney