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Autore: Red_Coat    20/03/2023    0 recensioni
"Per tutto questo tempo ho passato ogni singolo giorno della mia vita cercando un modo per riunirmi alla mia famiglia. Per riavere mia madre e mio padre, e dire loro quanto mi siano mancati. Ho speso tutto quello che avevo ... pur di poterli salutare un'ultima volta.
Se sono arrabbiata?? Si. Decisamente. Mi fa rabbia che anche il più grande potere del mondo non sia in grado di far nulla per aiutarmi!"
Emilie Gold è l'unica figlia femmina del Signore Oscuro e della sua amata Belle. Cresciuta nell'amore, curiosa come sua madre e abile nella magia come suo padre, ben presto si renderà conto di quanto il tempo possa essere paziente medico e al contempo spietato nemico. E nel tentativo di rendere possibile l'impossibile, scoprirà quanto il prezzo della magia possa essere alto, e quanto il Maestro tempo possa realmente cambiare anche il più oscuro dei cuori.
(coppie: SwanFire; RumBelle. Questa storia è una rivisitazione degli eventi della serie, potrebbero esserci spoiler così come potrebbero esserci coppie canon mai nate o fatti importanti della trama mai accaduti. Il punto di partenza dalla fine della terza stagione.)
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Baelfire, Belle, Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Episodio XII – La casa degli specchi


La notte precedente a quella del gran ballo, Emilie rimase sveglia a fissare il soffitto della grande camera da letto in cui lei ed Ewan dormivano. Il sonno la colse appena passate le due, ma fu un intervallo breve in mezzo ad un silenzio e ad un'oscurità che le somigliava troppo a quella da cui stava cercando di scappare.
Era brava a dissimulare, grazie a ciò era riuscita a eludere ogni sospetto, perfino quelli di suo padre, ma giunta a quel punto non riuscì più a resistere e, mentre l'orologio a pendolo del grande salone batteva le cinque, lei si alzò, si rivestì indossando gli abiti più comodi e un paio di anfibi, ovviamente in tinta unita Total Black, e indossò il suo lungo cappotto nero insieme ad una sciarpa che le coprisse almeno in parte il volto.
Stava per uscire di casa quando Ewan la fermò, chiamandola per nome.
Si bloccò con ancora la mano sul pomello dorato.
Sospirò, sorridendo amaramente, e voltatasi lo vide a pochi metri da lei, addosso solo il pantalone del pigiama e il profumo che gli aveva regalato, che sapeva di foresta e tabacco.
 
«Vai da qualche parte?» le domandò, con un sorriso che non aveva nulla di accusatorio.
 
In realtà entrambi conoscevano già la risposta, ma Ewan preferiva darle l'opportunità di spiegarsi. E chiedere aiuto, visto che da sola non sarebbe mai stato in grado di farlo. Trattenendo a stento le lacrime e aprendosi in un sorriso colpevole, Emilie annuì.
 
«Non riesco a dormire...» bofonchiò, poi mostrò le chiavi strette tra pollice e indice della mano destra, avvolta in un guanto di pelle nera.
«Ti fai un giro con me?» chiese.
 
L'arciere la fissò con amorevole comprensione. Non disse null'altro per indurla a svelarsi, né per tentare di farla sentire in colpa. Annuì, semplicemente, chiedendole solo un istante per indossare qualcosa di adatto.
Dieci minuti dopo, la lussuosa auto di Emilie avanzava a velocità costante e moderata lungo la strada principale di Storybrooke, verso il confine orientale, con la giovane strega alla guida.
Gli occhi lucidi dritti sulla strada, lo sguardo serio, stanco, chiusa in un silenzio che il suo futuro sposo non volle rompere fino a che, giunti proprio a qualche metro dalla riga rossa che segnava il confine col mondo "reale", lei non fermò l'auto, spense il motore e tirò con uno strappo vigoroso il freno a meno, restando aggrappata al volante con tutte e due le mani.
L'arciere si guardò intorno. Il crepuscolo era appena iniziato, la luce del giorno era ancora troppo flebile ma la notte non era più così scura e le chiome degli alberi iniziavano a distinguersi dal cielo nero in cui le stelle brillavano ancora luminose.
 
«È questo il posto?» domandò.
 
La sentì sospirare pesantemente, quindi la guardò sbattere all'indietro la testa sul sedile e chiudere gli occhi, la mascella serrata e il fiato corto.
 
«Si.» la sentì sussurrare, con voce tremula.
 
Solo a quel punto ruppe gli indugi e allungò una mano verso la sua destra, stringendola. La sentì tremare forte, come scossa da tremiti di freddo anche se la pelle del guanto gli impedì di capire se ne avesse davvero. Tornando a fissarla la vide continuare a tenere gli occhi chiusi, ma sulla sua guancia apparve una lacrima, scintillante nella penombra del crepuscolo sempre più evidente.
 
«Emilie...» la chiamò, preoccupato.
 
Lei sospirò di nuovo, in maniera quasi esasperata.
E finalmente riuscì a riaprire gli occhi e guardarlo. Aveva un mare in tempesta dentro di sé, solo osservando la sua espressione torva Ewan capì che avrebbe tanto voluto parlarne, ma per qualche motivo non riusciva a trovare le parole. Forse...
 
«Di cosa hai paura, Principessa?» le domandò, continuando a stringerle la mano.
 
Di nuovo, la ragazza tremò, ma stavolta la mano si staccò dal volante e afferrò la sua.
Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito, scuotendo il capo quasi furiosa.
 
«Di me, Ewan...» rispose infine, lamentosamente «Di me...» ripeté, riaprendo gli occhi e fissandolo, continuando ad aggrapparsi alla sua mano «Io temo che... che prima o poi tu possa stancarti di me, di aspettarmi, di sostenermi. Temo...» trattenne di nuovo il fiato, le guance imporporate a causa dello sforzo di trattenere le lacrime e gli occhi gonfi «Temo che prima o poi anche tu, come la mamma, possa stancarti di tutto questo e andartene, perdere la fiducia in me e iniziare a considerarmi...»
 
"Solo una bestia". Non lo disse, ma non ce ne fu bisogno, perché senza ulteriore indugio lui si slacciò la cintura e la abbracciò forte, avvolgendola protettivo e carezzandole la nuca come con un cucciolo ferito. Lei non fece resistenza, semplicemente si abbandonò a quella tenerezza e iniziò a piangere singhiozzando come una bambina e aggrappandosi alle sue spalle forti come alla sua unica ancora di salvezza.
 
«Non succederà, Emilie...» tentò di rassicurarla lui, ma la giovane scosse il capo, più e più volte «Non lo farò, te lo prometto.»
«No.» replicò lei, staccandosi da lui e tornando a fissarlo negli occhi, ora nuovamente pieni del coraggio che le occorreva «Lo farai. Prima o poi anche tu smetterai di fidarti di me e deciderai che forse è meglio per te cercare il tuo lieto fine altrove...» quindi si fermò a guardarlo negli occhi, la mano ancora stretta nella sua «Solo... vorrei che quel tempo non fosse così vicino.»
 
I brividi presero a scuoterla più numerosi. Ewan le afferrò entrambe le mani, senza perdere il contatto con i suoi occhi in tempesta. Era così che riusciva a calmarla. Così, solo così, riusciva a restare con lei anche quando la sua anima era in tempesta e la sua mente altrove. Solo guardandolo negli occhi Emilie riusciva sempre a tornare al presente, ma stavolta il presente era troppo grande da affrontare da sola, per questo Ewan tornò a chiederle, scostandole una ciocca ribelle da davanti agli occhi con una carezza.
 
«Milly... sono qui per te. Te l'ho giurato, e lo rifarei, qui e in qualunque altro posto, in qualunque tempo.»
 
Di nuovo, lei rabbrividì stringendogli le mani come per aggrapparsi a quella promessa, come se fosse l'unico modo per crederci.
Ma non ci riuscì.
 
«Allora giuramelo adesso...» mormorò, fissandolo «Perché dopo il gran ballo...le cose potrebbero cambiare di nuovo, per me e papa... e potrei essere costretta a lasciarti... di nuovo...» affranta, profondamente addolorata.
 
Ewan si fece serio, dispiaciuto più dalle sue lacrime che da quella notizia.
 
«Emilie...» iniziò, ma lei non lo lasciò finire.
«Ma io voglio che tu ci sia nella mia vita. Ti voglio, Ewan.» gli disse, tutto d'un fiato «Per questo ho chiesto ad Isaac di regalarci un lieto fine, anche se finto. Per questo gli ho chiesto di includerti nella storia...» scosse il capo, tornando a reprimere i singhiozzi ma senza riuscire a fare lo stesso con le lacrime, che ripresero a sgorgare copiose «Non m'importa cosa penseranno gli altri di me. Se dopo stasera sarò una cattiva per loro, se gli eroi non si fideranno più di me e gli amici mi volteranno le spalle.» tornò a guardarlo, e lo vide dapprima stupirsi, poi tornare a sorridere «Ma se tu te ne vai... se smetterai di credere in me... Io non ce la faccio ad affrontare tutto questo da sola. Sono egoista, lo so ma...» sorrise, abbassando gli occhi e prendendo fiato «Non voglio neanche pensare ad una storia a lieto fine senza di te. Sei tu il mio lieto fine. E non voglio perderti. Non voglio che ciò che ho fatto e dovrò fare per la mia famiglia ti allontani. Non... non voglio che tu sia il prezzo da pagare.»
 
Fu quasi un sospiro quell'ultima frase. E non appena l'ebbe pronunciata all'improvviso la tempesta dentro di lei si placò, mentre lui tornava a sorriderle, più commosso e innamorato che mai. Le prese il viso tra le mani, le sfiorò la fronte con un bacio e poi scese carezzando con le labbra la linea del suo profilo fino alle labbra, nelle quali si immerse, perdendosi con lei in un lungo, lento e travolgente bacio in cui mise tutto se stesso. Tutto il suo amore, tutta la sua passione, tutto ciò che le parole non sarebbero servire a spiegare. Quando finì, entrambi si scoprirono affannati e sorridenti, le dita intrecciate sul volto e il fiato corto, il cuore colmo di una gioia e una pace quasi impossibile da comprendere se non si è mai stati innamorati davvero.
La giovane strega sorrise, arrossendo.
 
«Ti amo, Emilie Gold.» le disse il suo arciere «Il nostro amore è vero e puro, come solo il vero amore sa essere. E non c'è niente al mondo che riuscirebbe a infrangerlo.»
 
Lei gli strinse di nuovo le mani, lasciandosi sfuggire ancora qualche lacrima rimasta incastrata tra le ciglia.
 
«Niente? Mai?» domandò, ancora una volta.
 
E il suo cuore si riempì di un calore avvolgente quando lo vide sorriderle, scuotere il capo e rispondere, sicuro.
 
«Niente, mai. Qualsiasi sia il sortilegio che proverà a dividerci, io troverò il modo di spezzarlo e riportarti da me. Per sempre.»
 
Sorrisero. Gli occhi lucidi ora pieni del bagliore chiaro dell'alba.
 
«E io ti aspetterò.» promise lei, grata «Sempre e comunque, mio principe. Non importa per quanto tempo dovrò farlo. Farò di tutto perché tu possa riuscire a ritrovarmi.»
 
***
 
Restarono ancora qualche minuto stretti in un abbraccio, ad osservare l'alba che a poco a poco rischiarava il cielo di Storybrooke rendendolo sempre più azzurro.
Quindi, quando mancavano pochi minuti alle sette del mattino, scesero dalla macchina e con un cenno della mano Emilie la rese invisibile ad occhio nudo con un banale incantesimo di camuffamento. Parcheggiata sul ciglio di una stradina sconosciuta poco distante dalla strada principale, non avrebbe avuto bisogno di nessuno che la sorvegliasse, e sarebbe rimasta ad attendere il momento adatto, anche se dentro di sè Emilie Gold continuava a lasciare acceso il sempre più flebile lumicino della speranza che sua madre stavolta fosse stata in grado di capire.
Tornarono a casa lasciandosi avvolgere, e non appena furono di nuovo al sicuro la ragazza si lasciò ricadere stanca sul divano, dove restò accoccolata tra le braccia del suo promesso sposo fino a mattinata inoltrata, immersa in un sonno ristoratore finalmente privo di incubi, e cullata dal calore del suo corpo e dal battito possente del suo cuore.
Quando riaprì gli occhi, lui era ancora lì con lei, le stringeva la mano e attendeva paziente che si svegliasse.
 
«Buongiorno.» sussurrò, stampandole un bacio tenero sulla fronte.
 
I capelli arruffati, i sensi ancora un po' addormentati, Emilie sorrise, ricambiando il buon giorno e poi tornando ad accoccolarsi tra le sue braccia. Fosse stata uno dei gatti del suo giardino, avrebbe anche iniziato a fare le fusa.
 
«Niente lavoro, oggi?» domandò lui, un modo come un altro per conoscere i suoi piani per la giornata.
 
La sentì scuotere il capo.
 
«Papa mi ha dato la giornata libera...» disse, poi però si corrucciò, guardandolo e domandando preoccupata «Lo hai sentito?»
 
Ewan sorrise, annuendo.
 
«Sta bene.» disse «Voleva parlarti ma gli ho detto che stavi ancora riposando.»
«Mh...» mormorò allora lei, fissando il suo cellulare appoggiato sul tavolino di fronte a loro.
 
"E se non stesse affatto bene?" pensò angosciosamente. Come se l'avesse udita Ewan si allungò ad afferrarlo e glielo consegnò
 
«Vuoi chiamarlo?» le chiese.
 
Lei gli sorrise, prendendo il cellulare tra le mani e mettendosi a sedere. Apri la rubrica ma poi si trattenne dal toccare il tasto verde. "Forse..." si disse "Basterà un messaggio. Me lo direbbe se fosse di nuovo in pericolo. O almeno mamma e Bae mi avrebbero già chiamata."
Invece nel registro chiamate non c'era traccia dei loro numeri ed Ewan confermò che né sua madre né suo fratello si erano fatti sentire.
 
«Si staranno preparando per stasera.» le disse, tranquillo, riferendo poi che al telefono la voce di Mr. Gold sembrava calma e composta come al solito.
 
La ragazza sospirò. Ma non riuscendo a calmarsi del tutto aprì di nuovo la rubrica e tagliando la testa al toro scelse l'icona del messaggio di testo.
 
«Va tutto bene?»
 
Scrisse semplicemente, e inviò. La risposta, con suo grande sollievo, non tardò ad arrivare.
 
«Tutto sotto controllo. Ci vediamo stasera, Principessa. Goditi il tuo giorno libero.»
 
Sorrise, benedicendo la fantastica idea che aveva avuto di regalare ad ogni membro della sua famiglia un telefono cellulare che riuscisse almeno a farli restare in contatto all'occorrenza. E anche che suo padre fosse riuscito ad imparare ad usarlo in maniera tanto rapida.
Sorrise rasserenata, spegnendo lo schermo del suo smartphone e tornando ad abbandonarlo sul tavolino per potersi riacciambellare tra le braccia del suo uomo, che l'accolse con un sorriso, prendendo a giocare con una ciocca dei suoi lunghi capelli.
Restarono in silenzio per qualche minuto, Emilie si godette quel momento di calma focalizzandosi sul battito del cuore del suo amato e sulle sue morbide carezze fino a che, quasi sibillino, un pensiero non si s'insinuò nella sua mente. Sorrise malandrina, riaprendo le palpebre e guardando gli zigomi irregolari di Ewan, coperti da una folta barbetta nera.
 
«Lo sai...» disse, attirando la sua attenzione «Questo potrebbe essere il nostro ultimo giorno a Storybrooke. Oltre che il mio unico giorno libero, in ogni senso.»
 
Ewan si corrucciò facendosi pensoso, ma gli bastò una sola occhiata all'espressione ammiccante della sua futura sposa per capire come si sarebbe conclusa quella conversazione.
Sorrise a sua volta, complice.
 
«Si.» annuì «E allora?»
 
La Lucertolina tornò a ridacchiare.
 
«Bhe...» fece, allungandosi verso le sue labbra «C'è ancora un po' di tempo prima degli ultimi preparativi, e papà mi ha detto di godermelo...» mormorò provocante.
 
Questo bastò, per dare il via ad un altro di quegli attimi che nessuno dei due avrebbe mai più dimenticato. Uno di quelli in cui basta un bacio per tornare a credere nelle favole e una carezza per sfiorare il cielo con le dita.
 
***
 
Sebbene quasi tutta Storybrooke fosse nuovamente piombata nell'inquietudine per la sparizione delle fate, e guardasse con sospetto all'imminente "festa di benvenuto" organizzata dalla figlia del Signore Oscuro, Belle French rimaneva ancora schierata con quella piccolissima parte di persone che credeva alla loro innocenza. A sostenere la stessa tesi c'erano Ruby Lucas, il dottor Hopper e il suo cane Pongo, Henry, Robin Hood, e con loro in realtà quasi la metà degli altri cittadini anonimi venuti dal mondo delle favole. Strano per una cittadina come quella di Storybrooke, che aveva sempre temuto il suo vero sovrano, che non era affatto regina.
Tuttavia, almeno per quanto riguardava Belle non lo era affatto, perché nei giorni antecedenti alla sparizione e anche in quelli successivi era stata molto impegnata con suo marito e sua figlia. Tremotino, in particolare, quando non era impegnato a presidiare il vasto bottino dentro al suo negozio aveva colto ogni occasione per stare con lei. Un hamburger da Granny in onore dei vecchi tempi, un picnic nella zona del lago al parco, romantiche passeggiate in cui quasi sempre si finiva per danzare e scambiarsi dolci baci e teneri abbracci. A volte erano stati invitati a casa di Emilie per un pranzo di famiglia, altre avevano deciso di godersi l'atmosfera della propria casa e la serenità di un nido d'amore per un matrimonio che aveva tutto il sapore di un meraviglioso lieto fine.
Perfino la mattina in cui le fate erano sparite, loro erano impegnati in una colazione nella piccola sala da pranzo della casa di Mr. Gold, immersi nella luce del mattino, raccontandosi a voce bassa mentre le loro mani si stringevano.
Amore, certo. Ma oltre a questo, quegli sforzi erano serviti all'analitico Signore Oscuro per crearsi un alibi di ferro, mentre Uncino svolgeva i compiti più difficili al posto suo.
Lo stesso aveva fatto Emilie con Ewan, si era mostrata con lui e la mattina del misfatto si era fatta accompagnare prima da Granny per un'abbondante colazione, poi da Archie, col quale aveva preso appuntamento.
 
«È stato un periodo complicato. Credo di aver bisogno di qualche chiacchieratina senza impegno, e il Grillo Parlante mi sembra il più adatto a tale scopo.»
 
Ovviamente Archie aveva accettato volentieri, e adesso chiunque avesse provato a indagare su di loro avrebbe visto solo un marito devoto alla sua splendida moglie e una ragazza impegnata a costruirsi un futuro in una città nuova.
Nessuno avrebbe potuto dire il contrario. L'unico a non avere alcun testimone per i suoi spostamenti e molti sospetti sulle sue spalle continuava a restare Killian Jones, o al massimo Ursula, che appariva insieme a lui in quel video provvidenziale.
Perfino Cruella aveva un alibi, perché dopo il suo arrivo Emilie aveva tappezzato casa sua di telecamere e ognuna di esse, se ispezionata, l'avrebbe mostrata intenta a bere Gin, ridacchiare o danzare sulle note di un Charleston suonato dal giradischi. E se questo non fosse bastato, proprio nel momento in cui le fate venivano risucchiate dal cappello dello stregone Will Scarlett sarebbe stato visto entrare nella villa e fare la conoscenza della folle signora delle pellicce, parlare un po' con lei e poi entrare a bere un Gin in compagnia.
Era stata Emilie a chiedergli di farlo, senza spiegargli perché, ma questo le telecamere non avrebbero potuto rivelarlo in ogni caso, perché non ce n'erano a casa del fante di cuori, e in ogni caso quelle dentro la ex Villa dello Stregone erano mute.
Era stato questo, unito alle incredibili capacità attoriali del Coccodrillo e di sua figlia, a convincere definitivamente perfino Belle French, sempre arguta e, sebbene innamorata, obiettiva quando si parlava di suo marito.
Comunque, anche se sperava di non doverlo usare mai, aveva ancora il pugnale dell'Oscuro con sè. La prova regina della fiducia che Tremotino riponeva in lei, e questo semplice pensiero non poteva che spingerla a ricambiare in misura anche maggiore.
 
***
 
Per il loro ultimo pasto a Storybrooke, Ewan e la sua amata scelsero il parco a pochi passi dalla tenuta, all'interno del quale si trovava anche il pozzo dei desideri.
Il sole di mezzogiorno brillava in mezzo a un cielo limpido di un azzurro quasi turchese, gli uccelli parlottavano tra di loro cinguettando allegramente e saltellando da un ramo all’altro degli alberi che circondavano il lago.
Ginepri, betulle e anche qualche pino.
Era una zona sconosciuta, molto lontana da quella in cui, in un futuro non troppo prossimo che comunque ora grazie a lei sarebbe stato diverso, eroi e cattivi sarebbero stati costretti a intraprendere un viaggio verso l'aldilà, in una Storybrooke molto più deprimente di quella. Al momento, lei voleva solo godere della piacevole compagnia del suo amato, come stavano facendo anche Belle e Tremotino, a qualche isolato di distanza, concedendosi hamburger e un boccale di vino.
La loro giovane figlia invece, se ne stava seduta sull'erba fresca di un bel prato ad ascoltare il silenzio il canto degli usignoli che si mescolava al gracchiare vivace dei corvi e al picchiettare ritmico di un picchio poco distante. Per qualche minuto, affascinata, strizzò gli occhi più che poteva cercando di scorgerli tra i rami, e quando ci riusciva Ewan guardava il suo volto di bambina illuminarsi come di fronte a un giocattolo nuovo. Sorrise, divertito e intenerito. Era una strana creatura, la sua amata. Amante del pericolo e misteriosa, ma capace al contempo di capire e amare gli uccelli e il loro canto, come la più vera delle principesse. Per la prima volta da che la conosceva si rese conto di quanto il soprannome datole da suo padre fosse azzeccato.
Assorto in quei pensieri, fu difficile riuscire a riscuotersi quando la sentì chiedere.
 
«Passeggiamo?»
 
Ma lo fece. Annuì, si alzò in piedi e le porse galantemente la mano, accennando ad un inchino come il più perfetto dei gentiluomini.
Aprendosi in un largo sorriso Emilie accettò quell'auto e si aggrappò a lui, tirandosi con un balzo.
Quindi con uno schiocco di dita fece sparire ogni traccia del loro picnic e appoggiandosi a lui si lasciò avvolgere da un altro abbraccio, iniziando a percorrere insieme il sentiero in terra battuta che portava al pozzo, persi tra gli alberi secolari e il fresco profumo dei pini.
Era già stata in quel luogo, ma giungere lì con lui, in quel giorno fatidico, il cuore agitato da una miriade di emozioni diverse in grado di scuoterla sia verso il bene che verso il male... le venne quasi da piangere, quando alla fine della salita lo intravide.
Si voltò a guardare la città dall'alto della collina e sorrise ad Ewan, che le cinse i fianchi.
 
«Non ero mai stato qui...» disse «È un panorama mozzafiato!»
 
Lei lo guardò annuendo, quindi lo prese per mano e ricominciò a camminare al suo fianco verso la loro meta.
 
«Questo posto è stato importante per la mia famiglia.» spiegò «È qui che la mamma si è ricordata di papà, quando il sortilegio è stato spezzato. Erano proprio qui.» si fermò, nel punto esatto in cui i suoi genitori avevano suggellato quel momento con il loro primo vero bacio da tempo «Ed è al pozzo che hanno scelto di sposarsi.»
 
Ewan l'ascoltò in silenzio, continuando a sorridere, come uno scolaretto appassionato alla lezione. Giunsero al pozzo, la ragazza appoggiò le mani sulla pietra fredda dei bordi e d'un tratto si fece triste.
 
«Credo sia stato qui che loro...» iniziò, abbassando gli occhi, poi scosse il capo e tornò a guardare i suoi, cercandovi e trovandovi sostegno e coraggio «Si dice che le acque di questo pozzo siano magiche, che possano realizzare sogni e restituire amori e tesori perduti da tempo...»
 
Di nuovo, il sorriso sul suo volto si fece dapprima nostalgico, poi si spense. Ci pensò Ewan a restituirle la serenità, prendendole le mani.
 
«E tu ci credi?» le domandò.
 
Emilie le sorrise.
Conosceva già la risposta, ma aveva solo bisogno di qualcuno che gliela ricordasse.
I suoi occhi grigi si fecero brillanti di lacrime.
 
«Io credo...» replicò «Che non ci sia niente di impossibile a questo mondo, per un cuore che ha fede.»
 
L'arciere sorrise, riconoscendo di nuovo in quello sguardo determinato e in quel sorriso fiero la ragazza ch'era stata in grado di sconfiggere gli dei.
La vide arrossire, poi si staccò da lui e prese a volteggiare intorno al monumento, sfiorandolo con le dita.
 
«E poi ha permesso a mio padre di riportare la magia a Storybrooke, non mi servono altre prove.»
 
Ewan sorrise divertito, raggiungendola. Insieme guardarono al suo interno, verso il fondo buio, restando per un istante in silenzio. Fu lui a parlare per primo.
 
«Potremmo sposarci qui anche noi.»
 
Emilie Gold spalancò gli occhi, guardandolo.
 
«Oh...» mormorò, illuminandosi «Oh, che fantastica idea!»
 
Ma l'entusiasmo durò poco, trasformandosi in gioia commossa.
 
«Ma a ben pensarci, credo sia un altro il luogo adatto per sposarci.» disse, avvicinandosi e legandogli le braccia al collo.
 
Lui le sfiorò i fianchi con le dita, guardando le sue labbra muoversi e la sua chioma ribelle che sapeva di foresta scossa da una folata di vento primaverile.
 
«Intendi il Castello Oscuro?» domandò curioso e ammaliato.
 
Lei sorrise, scuotendo il capo.
 
«Intendo un luogo che non abbia mai vissuto una magia così potente come quella del vero amore. Uno a cui manca solo questo per essere considerato davvero "magico"...» lo vide illuminarsi a sua volta e scrutò il suo volto con soddisfazione «Tu ne conosci uno così?» domandò.
 
L'arciere la strinse a sé, coinvolgendola in un altro bacio.
 
«Si.» rispose infine, mentre i loro respiri si mescolavano «Si, ora che ci penso... lo conosco un luogo così.»
 
***
 
Tornati alla Villa, i due innamorati trascorsero il resto del pomeriggio a sbrigare gli ultimi preparativi per fare della nuova residenza della figlia di Mr. Gold una location degna del più sontuoso ricevimento che si fosse mai visto in città.
Da grande lettrice quale era, Emilie Gold aveva nel tempo sfogliato e collezionato tutti i libri che parlavano della storia d'amore tra la Bella e la sua Bestia, volumi che tra l'altro ora facevano bella mostra di sé stessi in un'ampia sezione della libreria a vetro che ricopriva una parete della sala da ballo. Fantasiose rivisitazioni della realtà, certo, ma ugualmente meravigliose. Amandole tutte e allo stesso modo, aveva pensato che sarebbe stata un'idea simpatica prendere spunti da lì per le decorazioni della grande sala da ballo, così proprio come una brava apprendista streghetta aveva usato gli ultimi insegnamenti appresi dal grimorio di Mr. Gold e grazie a essi aveva animato due meravigliose e gigantesche armature munite di alabarda perché svolgessero il lavoro di guardia, trasformato i quattro gatti neri che avevano preso a stanziare nel suo giardino in pantere dal pelo lucente e dalle zanne affilate perché li aiutassero a mantenere l'ordine in caso di necessità, e ordinato alla sua scopa maggiordomo di fare gli onori di casa accompagnando gli ospiti dalla porta d'ingresso lungo un percorso prestabilito, il più breve e il più lontano possibile dallo studio in cui Isaac era rinchiuso. Malefica sarebbe rimasta a fargli da guardia, mentre la sua giovane figlia si sarebbe unita alla festa così da avere modo di rivedere la sua vecchia amica Emma Swan, e l’idea era sembrata piacerle tanto da renderla impaziente. Per rendere l’ambiente del ricevimento più ampio e luminoso possibile lo aveva riempito di specchi che riflettevano la luce dei lussuosi candelabri da soffitto e posti in posizioni strategiche la facevano sembrare davvero immensa.
In cucina sarebbero stati gli utensili stessi a preparare le gustose e abbondanti pietanze che sarebbero state servite, mentre spolverini e candelabri avrebbero servito come camerieri e cameriere, e un'intera orchestra di strumenti musicali avrebbe suonato splendide melodie e accompagnato il canto di un soprano speciale: Il vecchio giradischi che aveva suonato durante la luna di miele dei suoi genitori e che, prima di essere animato dalla sua magia, era stato dotato di un disco con le più belle canzoni liriche di sempre, cantate dai migliori tenori che il mondo avesse mai conosciuto. Lampadari, forchette e ogni cosa in grado di scintillare era stata tirata a lucido, la stanza era stata pulita a fondo e tutte le altre porte erano state ermeticamente chiuse, fatta eccezione per quella del lussuoso bagno appena fuori dalla stanza. Tutto era stato appositamente studiato per stupire, sfoggiare, ammaliare. E mettere subito in chiaro che non c'era famiglia a Storybrooke in grado di eguagliare quella del Signore Oscuro, e che Mr. Gold non era solo un nome molto azzeccato, ma uno stile di vita, un marchio di garanzia, una promessa. L'aria era cambiata a Storybrooke, dopo l'arrivo di Emilie. Biancaneve? Principe James? Regina? Chi erano questi miscredenti?
Non c'era altro sovrano che Tremotino in città, era sempre stato così ma nessuno lo aveva mai voluto ammettere pubblicamente. Bhe, dopo la fantastica sera che sua figlia aveva organizzato per lui chiunque lo avrebbe saputo e ricordato. Molto, molto bene. E non avrebbe mai più osato metterlo in dubbio con tanta facilità.
 
***
 
L'invito di Emilie parlava una lingua molto chiara.
"È obbligatorio completo elegante" tuonava la pergamena nera.
Ma, come ogni cosa che la figlia di Tremotino faceva, questo poteva non significare niente per la maggioranza, e tutto per una singola persona. In particolare, per Baelfire.
 
«Sono la figlia di Mr. Gold. Devo tenere alto il nome della mia famiglia.» aveva risposto quando Emma gliene aveva chiesto il motivo, aggiungendo poi «E a proposito, cognatina. Assicurati che mio fratello indossi quello che gli procurerò, o giuro sulla vita di papà che non lo farò entrare nemmeno se fosse lui stesso a chiedermelo.»
 
La Salvatrice aveva sorriso divertita, credendo che scherzasse, ma quella sera stessa al rientro dalla Centrale di Polizia aveva trovato Neal in salotto, in piedi e a braccia conserte davanti a un pacco dentro al quale era accuratamente riposto uno splendido smoking, con una rosa all'occhiello e un biglietto: "Mettitelo e vieni con le tue gambe, o sarò costretta a usare la magia, me ne frego se non ti piace."
Piuttosto rude, e infatti lui non l'aveva presa bene.
 
«Siamo arrivati a questo, adesso?» fece sbruffando «Non ho per niente voglia di fare il manichino nella sua lussuosa villa fuori città solo perché abbiamo lo stesso padre.» brontolò.
 
Emma sorrise e si chinò ad accarezzare l'abito. Era di ottima fattura, probabilmente fatto su misura per lui. Fargli notare che sua sorella gli voleva bene sarebbe stato inutile. Lo sapeva già e anche lui gliene voleva, ecco perché sembrava non essersela presa più di tanto per il modo in cui si era imposta. No, a seccarlo davvero era l'essere costretto a indossare qualcosa che lo avrebbe costretto a restare imbalsamato per più di due ore, lui che aveva sempre vissuto come veniva e indossato capi il più possibile comodi e pratici.
E poi, a volere essere del tutto sinceri, non gli andava proprio di schierarsi così apertamente col Signore Oscuro. Era suo padre e non stava passando un bel periodo, certo, ma la sparizione delle fate lo aveva messo in allarme, spingendolo a schierarsi più con i nani che con lui.
Pur sapendolo però, Emilie lo aveva voluto lo stesso, e nell'invito con cui lo incoraggiava caldamente a partecipare aveva usato non Neal Cassidy, il nome scelto da lui, ma Baelfire Gold, come a volerglielo stampare dritto in faccia. "Sei suo figlio, che ti piaccia o no. Ti vuole bene e lo sai, quindi vieni e smettila di lamentarti."
E ora questo.
 
«Beh, in fondo si tratta solo di un paio di ore.» cercò di consolarlo lei «E poi ho sentito dire che ci saranno anche Ruby, Archie, e probabilmente anche August. Si sta sforzando, falla contenta.» sorrise, anche se dopo le ultime notizie neanche lei era più tanto convinta di voler presenziare, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
 
Baelfire sbruffò di nuovo, prendendo a mordicchiarsi l'unghia del pollice per poi arrendersi e afferrare la scatola.
 
«E va bene, facciamo anche questo...» brontolando poi, mentre saliva le scale verso la loro camera da letto «Sarebbe stato meglio non fosse mai venuta. Preferivo essere morto!»
 
Emma sorrise di nuovo divertita, scuotendo il capo, poi prese le chiavi e uscì di nuovo, ricordandosi di aver lasciato il vestito per la serata in macchina.
Un bellissimo abito a sirena di un rosso quasi fuoco, con uno scollo a barca e veli di tulle a ricoprire la gonna. Sembrava davvero la Principessa che era destinata ad essere, ed era così bella da far tornare al rampollo di casa Gold la voglia di accompagnarla a quel dannato ballo e stringerla per tutto il tempo.
Sali le scale e lo trovò impegnato a sistemarsi il "dannato papillon".
 
«Che te ne pare?» chiese sorridendo radiosa, appoggiandosi sensuale allo stipite della porta.
 
Cassidy si voltò a guardarla e rimase a fissarla senza fiato.
Ci volle un minuto buono prima che riuscisse a riconnettere e mormorare, affascinato.
 
«Sei... sei stupenda.» sorrise, mandando al diavolo il farfallino e fiondandosi a baciarla.
 
Emma rise, lasciandogli assaggiare un poco le sue labbra per poi interromperlo, guardando la loro immagine riflessa nello specchio.
 
«Lo stesso vale per te.» gli disse, ammiccando «Ti sta bene, davvero.» riportandolo alla realtà.
 
In effetti il tessuto con cui era stato fabbricato quel completo era incredibilmente fresco e morbido, sembrava quasi di non averlo addosso, e il taglio della giacca faceva sembrare le sue spalle molto più larghe e forti di quanto già non fossero.
Il pantalone gli avvolgeva le gambe dando alla sua figura un tono quasi eroico, e i gemelli erano due diamanti veri, scintillanti al minimo raggio di luce.
Le uniche cose scomode erano appunto il papillon, o per meglio dire il cappio, e i mocassini nero lucido, stretti e dolorosi. O forse era solo lui che non era abituato a un simile lusso. Comunque sia, ora che aveva accanto a sé la donna più bella del mondo vestita con quell'abito sfavillante, iniziò a riconsiderare anche quelli.
 
«Già, beh…» iniziò, guardandola negli occhi e avvicinando di nuovi le labbra alle sue, avvolgendogli i fianchi con un braccio «Se sei tu a dirmelo potrei anche crederci.»
 
Un altro bacio li coinvolse, più intenso, ma il momento venne interrotto dal rumore della porta d'ingresso che si apriva e chiudeva, e dalla voce di Henry.
 
«Mamma, papà! Io sono pronto!» li chiamò dal piano di sotto.
 
Sorrisero, arrossendo affannati.
 
«Vuoi che ti aiuti col papillon?» chiese sottovoce Emma, ma lui si limitò a scuotere il capo «Al diavolo!» rispose «Ho già indossato questa roba, quello può anche andare a farsi benedire.»
 
Strappandole un altro sorriso e un ultimo bacio fugace. Scesero tenendosi per mano, e non appena li vide gli occhi di Henry si s'illuminarono, e un largo sorriso colorò le sue labbra.
 
«Uao!» riuscì solo a dire «Mamma, sei bellissima! E lo smoking ti sta molto bene, papà.»
 
Risero entrambi, di nuovo.
 
«Anche tu non sei male.» gli rispose Baelfire battendogli una pacca sulla spalla, mentre Emma si chinò a stampargli un bacio sulla fronte, dando ragione al compagno.
 
Il bambino arrossì. In effetti neanche a lui era piaciuta molto l'idea di indossare uno smoking, ma si era consolato sapendo che gli avrebbe dato accesso ad una serata straordinaria in compagnia di tutta la sua famiglia, quasi al completo. Mancava la sua seconda mamma, Regina, che prima di lasciarlo andare gli aveva dato un bacio sulla fronte e un suggerimento.
 
«Divertiti. Ma tieni gli occhi aperti.»
 
Non aveva saputo dire perché. Forse si riferiva alla sorpresa che sua zia Emilie gli aveva promesso a fine serata? Era rimasto a pensarci fino a che la visione dei suoi genitori, insieme e innamorati, non lo aveva distratto.
 
«Allora, siamo pronti?» chiese Emma a quel punto, prendendo sottobraccio i suoi due uomini.
«Yep!» rispose entusiasta lui.
«Andiamo. Prima arriviamo, prima finirà e potrò togliermi questa roba di dosso.» concluse Baelfire, strappando a tutti una risata.
 
Neanche dieci minuti più tardi, la loro macchina si fermò di fronte al cancello della residenza di Emilie Gold, dove furono accolti da un parcheggiatore in divisa, appositamente assunto per risparmiare agli ospiti la seccatura di dover posteggiare, e dalla saggina magica che, come un bravo maggiordomo, li guidò dal cancello fino all'ingresso principale.
 
«Guarda papà, anche lei indossa un papillon» fece notare divertito Henry, ricevendo un accenno di sorriso da lui e un pollice in su dalla scopa, che a quanto sembrava era dotata anche di senso dell'umorismo.
 
Mentre attraversavano il cortile, illuminato quasi a giorno dalle luci che provenivano dall'interno e riempito dalla musica che già aveva cominciato a suonare, i tre non poterono fare a meno di notare le pantere che si aggiravano furtive tra i cespugli e le grandi chimere di pietra poste a guardia sopra le colonne che sorreggevano il cancello. All'arrivo di una nuova vettura, queste si animavano ripetendo sempre le stesse azioni prima di ritornare di pietra, nell'esatta posizione in cui erano solite stare: Prima spalancavano le fauci emettendo un ruggito appena udibile sopra il frastuono, poi s'inchinavano sulle zampe davanti, portando una di esse al cuore e spingendo l'altra oltre il capo.
Henry ne fu estasiato. Era stato lui a scoprire quel posto, ma non era affatto come lo ricordava. Lo fece notare anche a sua madre, che si limitò ad annuire mostrandosi d'accordo.
Baelfire invece non poté non sentirsi a disagio. C'era troppo sfarzo, troppa ostentazione, troppa... magia.
E questo gli ricordava eccessivamente suo padre dopo la sua conquista del pugnale. Sempre alla ricerca del potere, della preminenza, fregandosene delle opinioni altrui.
 
«Storybrooke è nel panico e lei se ne va in giro a ululare alla luna e organizzare feste simili. Che cosa sta cercando di dimostrare?» si chiese ad alta voce, senza sapere che anche Emma, al suo fianco, si stesse ponendo la stessa domanda, con un preoccupante sospetto nella mente.
 
***

Dieci minuti più tardi, Emma Swan era intenta a trangugiare a piccoli sorsi un po' di champagne da un bicchiere di cristallo, esaminando attentamente quando alle sue spalle una voce la riscosse, chiamandola per nome.
Non la conosceva, quindi ne fu sorpresa. Si voltò e vide di fronte a sè una giovane donna dallo sguardo severo e dai lunghi capelli neri.
 
«Oh, ciao.» bofonchiò, cercando di ricordarsi dove l'avesse già incontrata.
 
A questo punto poteva davvero essere letteralmente dovunque, in questo o negli altri mondi conosciuti. E mentre lei scavava nella memoria, la sconosciuta continuava ad osservarla con severità.
Il tentativo fallì, e lei si ritrovò a balbettare, imbarazzata
 
«Scusami, ci siamo già incontrate? Non riesco proprio a ricordare chi ti sia.»
 
La vide aprirsi in una smorfia che sembrava più irritata che divertita.
 
«Oh, beh certo.» rispose, dopo un sospiro nervoso «È passato tanto tempo, e poi non è stata neanche colpa tua ciò che mi è successo, no?» sorrise amara «Sei un'eroina. È così che vi chiamate, giusto? E gli eroi non possono sbagliare. Tu hai solo avuto la fortuna di nascere dalla parte giusta, non è così?»
 
Emma Swan rimase impassibile a fissarla, sgranando gli occhi e squadrandola per qualche istante in un silenzio attonito.
 
«Okkey, perdonami, ho capito che ce l'hai con me ma io credo davvero di non averti mai vista e ...»
«Allora mi ripresenterò.» la interruppe lei, alzandosi la manica della camicetta e porgendole la mano col polso ben in mostra «Lily Page. Colei che hai abbandonato nel momento del bisogno.»
 
La vide sbiancare, ma non fu abbastanza.
 
«Ah, e sono una cattiva, grazie a te e ai tuoi patetici genitori.»
 
Un colpo dietro l'altro. Sorpresa, stordita, sconcertata, la Salvatrice la guardò negli occhi e aprì la bocca per tentare di dire qualcosa, ma non riuscì a pensare a niente. Cercò con lo sguardo Neal, ma vide solo Emilie che fissava proprio loro due, nascondendo uno strano sorriso dietro un calice di champagne.
Non fece una piega quando si accorse di essere vista, semplicemente alzò il calice verso di lei scoccandole un occhiolino, poi si avviò verso un piccolo soppalco allestito sul fondo della sala, su cui erano posizionati un microfono dorato e due troni d'oro foderati di velluto rosso sangue.
La giovane Gold, forse per salvarla o forse no, prese il microfono e si apprestò a fare il primo annuncio della serata, picchiettando due dita sulla griglia del gelato.
Due colpetti di tosse, poi iniziò.
 
«Miei cari ospiti, prima di tutto vorrei ringraziare davvero di tutto cuore ognuno di voi per essere qui. Questa è una serata importante, sia per me, sia per la mia famiglia.» si voltò a lanciare un sorriso verso i suoi genitori, che la ascoltavano stringendosi le mani a pochi metri da lei, accanto alla porta d'ingresso della stanza.
 
Ewan era proprio accanto a Mr. Gold, vestito con un elegante completo verde scuro in seta e taffetà. Le sorrise, scoccandole un occhiolino, e lei per un istante arrossì.
Poi però tornò subito ai suoi ospiti.
 
«Ho molti annunci da fare, ma inizierò con quello più importante. Tutti voi ormai mi conoscono come una persona che non presta affatto attenzione agli stereotipi. Che siate considerati eroi o cattivi per me non fa alcuna differenza, perché prima ancora di questo noi siamo persone, con delle storie e dei caratteri differenti. In ognuno di noi c'è un po' d'ombra e un po' di luce. Alcuni prediligono l'una, altri l'altra, ma questo non cambia nulla ai miei occhi.» si fermò per un istante, e di nuovo ad Emma sembrò che la stesse fissando «Noi siamo semplicemente ciò che il nostro passato ci ha insegnato ad essere.» concluse, poi tornò a sorridere rivolgendosi di nuovo alla maggioranza degli astanti «Ed è per questo che, quando due delle mie più care amiche hanno avuto bisogno di me, io ho deciso di esserci, invitandole a raggiungermi qui a Storybrooke, dove ognuno può trovare il suo giusto posto, e il suo lieto fine.»
 
Mentre parlava, all'improvvido da una porticina nella parete dietro i troni si affacciarono Cruella e Ursula, che raggiunsero con calma la postazione e restarono in silenzio dietro di lei, osservando con occhi alteri la folla che all'improvviso si era ammutolita, e le fissava sgomenta.
Emma Swan osservò Archie, August, Ruby e tutti gli altri presenti a lei noti. Tutti, chi più chi meno, avevano la stessa espressione. Occhi sgranati, viso tirato, il respiro bloccato nei polmoni. Solo Robin Hood non sembrava particolarmente scosso da quella situazione, ma lui aveva avuto più tempo per conoscerla, sicuramente sapeva qualcosa che lei ancora non aveva avuto modo di apprendere. Si disse che avrebbe dovuto parlargli, più tardi. E notò anche la particolare assenza di Uncino. Di lui non c'era alcuna traccia, ma forse avrebbe dovuto aspettarselo vista l'inimicizia tra di loro.
 
«Gentil donzelle e gentiluomini» riprese Emilie «Mi permetto di ricordarvi i loro nomi: Cruella de Vil e Ursula, la strega del mare.»
 
Solo allora, mentre un applauso si alzava timido dalla platea, la voce di Lilith Page le sussurrò
 
«Peccato che non ci sia anche mia madre. Anche per questo devo ringraziare Biancaneve e il principe azzurro.»
 
Di nuovo, Emma le rivolse uno sguardo attonito.
 
«Chi è tua madre?» chiese rabbrividendo.
 
Seppur distanti, Lily ed Emilie si scambiarono un rapido cenno di assenso e un sorriso, poi la sua vecchia amica si avvicinò al suo orecchio e sussurrò, lentamente.
 
«Malefica.»
 
Per poi andarsene, lasciandola sola col batticuore mentre Emilie Gold proseguiva il suo discorso.
 
«Posso assicurarvi, signori, che nessuna delle due ha intenzioni malevole nei confronti della città.» s'interruppe, rivolgendo un lungo sguardo ad Ursula, che annuì seria facendole pensare che allora forse il suo incontro clandestino con Uncino non era correlato con la sparizione delle fate, ma con una questione personale.
 
Poi la giovane Gold rivolse lo stesso sguardo a Cruella, che prima annuì con un sorrisetto divertito, poi si avvicinò al microfono e scherzò, già palesemente brilla.
 
«A patto che non manchi mai il Gin.»
 
Emilie l'allontanò, ridendo e scuotendo il capo. Alcuni tra gli astanti, tra cui Robin Hood, Ruby e ora anche Will Scarlett che sembrava essere giunto appena in tempo per godersi quel discorso di apertura.
 
«Non ti mancherà zietta.» la rassicurò scherzosamente la ragazza, poi ribadì agli invitati «Non preoccupatevi, farò in modo che ne abbia a sufficienza.» ridacchiò di nuovo, prendendo dalla fidata scopa maggiordomo che era giunta con un vassoio due dei sei calici di champagne che vi erano posti.
 
Uno lo prese lei, l'altro lo porse a "zietta" continuando a ridacchiare, lasciando una corrucciata Ursula il compito di procurarsene uno per sé in autonomia. Nessuno le badava, anzi perfino il Signore Oscuro sembrava snobbarla preferendo sorridere alla spensierata giovialità da sbornia della De Vil. No, non era affatto tutto apposto. Oppure era solo davvero tutta una commedia?
 
«Bene Signori, per il momento non ho altro da dirvi se non: godetevi la serata!» concluse Emilie, alzando in alto il calice e venendo imitata stavolta da tutti gli astanti.
 
Poi l'orchestrina composta da una decina di strumenti musicali iniziò a suonare un allegro valzer, la folla si sciolse e tutti cercarono un compagno di chiacchiere o uno per danzare.
Lo fece anche lei cercando Neal, ma non lo trovò. Vide solo che, mentre Cruella si scolava una bottiglia di Gin e danzava un foxtrot su quella musica, Ursula osservava con sguardo preoccupato un piccolo gruppetto di persone affrettarsi verso l'uscita.
C'erano Belle, angosciata più che mai, Ewan ed Emilie, che stava frettolosamente cercando di convincere Ruby a restare a godersi il banchetto.
Tremotino era sparito, e anche Neal.
Intuì che fosse accaduto qualcosa, quindi si affrettò a finire lo champagne e li raggiunse, sgattaiolando fuori dalla stessa porta.
 
***
 
A differenza della Sala da Ballo, i corridoi e le stanze che la circondavano erano silenziosi e quasi bui, ma mano a mano che gli occhi si abituavano a quella nuova luce Emma si rese conto che era invece l'illuminazione della sala ricevimenti ad essere abbagliante, esagerata. Stordente.
Percorse gli anditi camminando lungo un sentiero tracciato dal tappeto rosso e oro che ricopriva il pavimento in legno pregiato, fermandosi a ispezionare ogni porta fino a che non ne trovò una aperta, dall'interno della quale udì provenire la voce famigliare di Neal.
 
«Sicuro di star meglio?»
 
Non udì la risposta di Tremotino, pronunciata a voce troppo bassa, ma capì che si trattava di lui quando sentì Emilie parlare.
 
«Non posso, papa. Non ti lascio fino a che non sarò sicura che vada davvero meglio.»
«Non c'è davvero niente che possiamo fare?» chiese Belle.
 
Ma a tale domanda seguì un attimo di silenzio preoccupante. Emma aguzzò l'udito per riuscire a sentire meglio, e solo allora si rese conto che quel silenzio probabilmente era causa sua.
Rumplestiltskin doveva essersi accorto della sua presenza, Emilie doveva aver colto quel suggerimento. Un brevissimo rumore di passi, la porta si spalancò e arretrando in fretta Emma si ritrovò a guardarla negli occhi, scoprendoli lucidi, ma di nuovo stranamente sicuri, come se quella situazione non l'avesse scossa più di tanto. O almeno non così tanto quanto dimostrava.
Dietro di lei si apriva un piccolo studio dalle pareti in legno coperte da mobili antichi. Mr. Gold era accasciato sulla sedia dell'unica, ampia scrivania presente, pallido e visibilmente provato. Alla sua destra, in ginocchio tenendogli la mano, stava Belle. Neal ed Ewan si erano portati davanti a loro, come per proteggerli. Quando la videro si rilassarono tirando un sospiro di sollievo, e lo stesso fece la Principessa. Il Signore Oscuro invece seguitò a fissarla preoccupato, chiaramente a disagio nel mostrarsi così vulnerabile.
Per questo motivo Emilie le coprì la visuale con la sua figura.
 
«Va tutto bene?» domandò comunque Emma, guardando prima lei, poi Neal che sospirò.
«È tutto sotto controllo, Emma. Grazie.» risolse sbrigativa la Lucertolina, e fece per chiudere la porta ma Belle la fermò.
 
Tutti, inclusa la Salvatrice e il Coccodrillo, la guardarono.
La Bella sorrise, rivolgendosi per prima cosa a suo marito.
 
«Rumple, forse lei può aiutarci.» mormorò supplichevole.
 
Ma lui sospirò, stringendole debolmente la mano e scuotendo il capo.
 
«Ne dubito, Belle.» rispose «Essere la Salvatrice serve a poco in questo caso.»
«E se ti sbagliassi?» domandò a quel punto Baelfire, voltandosi a guardarlo «Se potesse davvero fare qualcosa?»
 
Senza neanche accorgersene sia Emilie che suo padre assunsero la stessa espressione, limitandosi a compatirlo nella loro mente per poi tornare a sospirare, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo.
Emilie la guardò negli occhi, poi si voltò verso suo padre, guardandolo negli occhi.
Bastò uno sguardo. Un semplice scambio non verbale, poi il Signore Oscuro guardò negli occhi sua moglie, le sorrise e poi annuì rivolto a sua figlia. Solo a quel punto Emilie decise di farla entrare, richiudendo a chiave la porta dietro di lei.
Swan la osservò preoccupata, poi sospirò tornando a guardare tutti i presenti.
 
«Okkey, quindi... qual è il problema?»
 
Il Signore Oscuro sospirò di nuovo. Fu Baelfire, stavolta, a prendere la parola al posto suo, mentre Emilie smise di guardarla abbassando gli occhi e raggiungendo suo padre. Si mese alla sua sinistra, poggiandogli una mano sulla spalla.
 
«Il suo cuore. Troppa oscurità, si sta spegnendo.» le disse preoccupato.
 
Era troppo poco per riuscire a capire fino in fondo quanto pericoloso fosse, ma un brivido le corse comunque lungo la schiena.
 
«Oh...» mormorò, tornando ad osservare Mr. Gold.
 
Lo vide tornare a fissare sua moglie, le rivolse un sorriso nel vano tentavo di rassicurarla e lei in risposta alzò una mano ad accarezzargli la guancia.
Emilie li osservò contrita, in silenzio.
Dopo l'ennesimo sospiro, Emma Swan decise di tirarla fuori dall'impiccio rivolgendosi direttamente a lei.
 
«E voi credete che non ci sia davvero nulla da fare per impedirlo?»
 
La ragazza si limitò a scuotere piano il capo, ma fu proprio suo padre a rispondere.
 
«La magia ha sempre un prezzo, Miss Swan.» disse «Sono secoli che la uso, e ora è arrivato per me il tempo di pagarlo.» guardandola negli occhi con aria grave.
 
Emilie abbassò il capo, mordendosi le labbra e lasciando che Ewan la stringesse a sé nel tentativo di darle conforto. Lo stesso fece Neal, scuotendo il capo e lasciandosi sfuggire un sorriso amaro. L'unica a non perdere la speranza fu Belle, che si alzò e la raggiunse, implorandola.
 
«Emma, tu sei la Salvatrice. Deve esserci qualcosa che puoi fare.»
 
Per la prima volta da che quella lunga serie di strani eventi era iniziata, Emma Swan riuscì finalmente a intravedere un briciolo di senso in quella trama. Anche se continuava ad esserci una sorta di sottotesto anche piuttosto importante che le sfuggiva. Tuttavia, conoscendo il Signor Gold e il suo eccessivo senso di riservatezza, non le parve poi così strano neanche questo.
Si fece seria.
 
«Farò del mio meglio.» rispose a Belle, rivolgendole un sorriso per poi tornare a guardare seria padre e figlia «Ma se volete davvero che vi aiuti devo sapere la verità. Tutta.»
 
Di nuovo, i due si guardarono. L'idea di esporsi così tanto non piaceva a nessuno di loro, ma anche quello scambio di sguardi le sembrò strano, come se se lo aspettassero. Li vide stringersi la mano, poi Mr. Gold rivolse alla sua prediletta figlia un cenno di assenso e lei annuì di rimando, staccandosi quindi da loro e raggiungendola.
Aprì la porta e le ordinò.
 
«Seguimi.»
 
Conducendola fino ad un'ampia stanza quasi dall'altra parte della sua residenza. Era una sorta di piccola biblioteca, con scaffali pieni di strani e polverosi libri e qualche vetrinetta piena di pozioni che scintillavano sinistramente al buio. Emilie accese la luce con uno schiocco di dita, superò un vecchio arcolaio con ancora della paglia affianco e un bancone di legno pieno di alambicchi e raggiunse un secondo bancone, su cui erano sistemati due grossi schermi per computer, simili a quelli della stazione di polizia.
Le fece cenno di raggiungerla, mentre lo faceva Emma notò che quella stanza era di forma ottagonale, situata nell'unica torre della villa, ed era stata resa dalla ragazza molto simile alla stanza rappresentata in uno dei quadri appesi alle pareti. Era la copia esatta dello studio segreto di suo padre nel Castello Oscuro. Perfino le tende e alcuni oggetti, le sedie e i libri dentro agli scaffali. Non si sarebbe stupita se fossero stati proprio gli originali, trasportati dalla foresta incantata a Storybrooke con l'utilizzo dell'occhio di Cronos e due braccia forti per trasportarli. L'unica cosa relativamente moderna era la grande tv a schermo piatto posta proprio di fronte agli schermi, che mostrava in tempo reale le riprese di tutte le telecamere poste a sorveglianza della villa.
Prima che Emilie iniziasse a parlarle, Emma ne contò circa trenta, inclusi i corridoi. Di certo nulla le sarebbe sfuggito.
 
«I volumi presenti in questa stanza provengono tutti dalla collezione di mio padre e sono molto pregiati, oltre che rari e ricchi di informazioni utili.» iniziò la giovane Gold, mostrandole una pagina di un documento virtuale «Io e mia madre li abbiamo esaminati tutti, assieme a quelli nella biblioteca, ma non c'è nulla che possa essere d'aiuto.»
 
Quindi la guardò negli occhi e sorrise.
 
«Questi sono i nostri appunti, magari a te verrà in mente qualcosa che a noi sfugge.»
 
Emma annuì, ma prima di lasciarla andare la incalzò, credendo di prenderla di sorpresa.
 
«Non c'è davvero nient'altro? Voglio dire, tuo padre è il Signore Oscuro e tu vieni da un futuro in cui lui è sopravvissuto a questo. Non sai davvero come ha fatto?»
 
La giovane Gold spense il suo sorriso, trasformandolo in una smorfia triste.
 
«C'è un modo...» ammise, abbassando per un istante gli occhi prima di proseguire «Ma non voglio che si ripeta... né io né mio padre vogliamo essere costretti a questo. Perciò stiamo cercando un'alternativa che non metta in pericolo nessuno. Tantomeno lui...»
 
Poche semplici parole. Pronunciate in tono perentorio e per nulla rassicurante.
La Salvatrice si fece seria, poi annuì.
 
«D'accordo...» le disse, sinceramente convinta «Proverò ad aiutarvi. Ma... che accadrà se non dovessi riuscirci?»
 
Gli occhi di Emilie si fecero tristi.
 
«Allora... sarà tutto soltanto una questione di scelte. E almeno ci saremo goduti una bella festa prima del peggior temporale della nostra vita.»
 
***
 
Mentre la festa continuava, Emilie Gold voltò le spalle ad Emma lasciandola sola a risolvere il suo mistero, richiuse la porta e s'incamminò a grandi falcate verso l'unica stanza non ripresa dalle telecamere: lo studio di Isaac. Mentre lo faceva, un sorriso malevolo sorse rapido sulle sue labbra sottili. Stava andando tutto esattamente come lei e suo padre avevano previsto, ed era sempre un piacere impagabile quando un piano funzionava alla perfezione. Quasi libidinoso. Quasi, perché le condizioni di suo padre stavano peggiorando a vista d'occhio e il maledetto Autore ci stava mettendo troppo. Tremotino non rischiava ancora di morire schiacciato dall'oscurità, ma più tempo passava, meno era quello che avrebbero potuto sfruttare quando quel momento sarebbe arrivato davvero, perché erano ancora molte le cose da fare e spesso una debolezza poteva rivelarsi un'ottima opportunità da sfruttare per raggiungere obbiettivi altrimenti impensabili. Come quello di far cadere in trappola l'unico nemico del Coccodrillo ancora in grado di nuocergli per davvero. Per farlo, era necessario che credesse di avere un'occasione per distruggerlo, o quanto meno per tenerlo in pugno. Era stata un'idea di suo padre, lei l'aveva condivisa e assecondato, ma non poteva impedirmi di preoccuparsi per lui. Doveva fare in modo che gli eventi si verificassero nei tempi stabiliti, il più in fretta possibile, in modo da non destare sospetti e da rispettare e se possibile anticipare la tabella di marcia. Ma Isaac non stava collaborando, e questo non aiutava, rendendola oltremodo furibonda. Suo padre non doveva correre nessun rischio inutile.
Giunta di fronte alla porta, la spalancò con un colpo secco e si fiondò verso di lui, chinò sul libro e già talmente concentrato da aver iniziato a sudare.
Sfoderò il pugnale che portava legato al braccio per mezzo di un laccio nascosto sotto alla manica a sbuffo della camicia, e glielo puntò alla gola afferrandogli il colletto della marsina.
Malefica, seduta accanto al camino e intenta ad osservarne le fiamme vivide, non fece una piega, limitandosi ad osservarla in silenzio, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
 
«Ti ho detto niente pause, Isaac.» disse mostrandogli un'immagine sul suo smartphone.
 
Era di una telecamera diversa dalle altre, collegata solo a quello schermo. E mostrava lui accasciato sulla sedia, intento a massaggiarsi le tempie e parlottare tra sé come a lamentarsi. Un attimo di appena un paio di minuti prima. Lo scrittore deglutì, sentendo la lama premere contro il gozzo.
 
«Vedi di sbrigarti o giuro che ti stacco la lingua con le mani, altro che restituirti la voce!» sibilò minacciosa Emilie, stringendo meglio l'elsa del pugnale.
 
Questi annuì in fretta, tentando di scusarsi a gesti e poi indicando il polso con aria contrita. Emilie lo guardò corrucciandosi, poi sbruffò e rinfoderato il pugnale usò la magia per guarirlo.
 
«Meglio?» chiese sarcastica.
 
Isaac si aprì in un largo sorriso servile, accennando ad un inchino.
Malefica tornò ad osservare le fiamme, ridendosela sotto i baffi.
 
«Bene. Ne sono lieta.» disse la Lucertolina, poi tornò a mostrargli i denti «Ora scrivi!»
 
Isaac indicò con un ampio gesto delle braccia e un'espressione meravigliata il libro. Era appena oltre la metà, quasi pieno in sostanza.
Emilie afferrò le catene che gli legavano i polsi e lo avvicinò a sè, aprendogli la bocca e poi afferrandogli la lingua tra due dita, lasciando che le lunghe unghie smaltate di nero lo trafiggessero. Se avesse potuto, Isaac avrebbe urlato.
 
«Non è abbastanza.» lo minacciò, poi lo lasciò andare e fece apparire sul tavolo accanto al libro una clessidra di media grandezza.
 
La sabbia prese a scorrere veloce, in meno di mezz'ora sarebbe venuto il tempo di girarla.
 
«Quando la sabbia rossa di questa clessidra finirà di scorrere, tornerò e sarà meglio che tu sia pronto a scrivere la parola fine. O io scriverò la tua!»
 
Se ne andò, furiosa com'era arrivata, sbattendo violentemente la porta alle sue spalle. Isaac non ebbe nemmeno il coraggio di accasciarsi sulla sedia, perché nel silenzio assoluto dopo quell'uragano il fruscio della sabbia faceva un rumore quasi assordante, amplificato dal dolore alla lingua. La risata sommessa della regina dei draghi fece vibrare l'aria e scosse il suo già provato sistema nervoso.
 
«Non lo farà...» la sentì ridacchiare, e voltandosi a guardarla la vide maneggiare un globo di fuoco a pochi centimetri dalle sue dita «Ma se fossi in te non correrei il rischio di scoprirlo.»
 
Ridacchiò di nuovo, sadicamente divertita.
Isaac sospirò pesantemente, poi diede un'occhiata alla clessidra e vide ch'era già a metà. Il cuore perse un battito. "Ma che?!"
Afferrò di nuovo la penna, e più in fretta che potè tornò a scrivere, cercando di recuperare i secondi perduti e di non ingoiare troppa saliva tutta in una volta. Aveva pensato che Cruella fosse pericolosa, ma a quanto pare c'era un motivo se lei ed Emilie avevano legato così tanto, e lo aveva appena scoperto.
 
***
 
Mentre guidava la volante nel buio della notte verso il porto, Emma Swan sentì riecheggiare dentro la propria testa le ultime parole che Uncino le aveva rivolto in merito a quella storia. "La partita è truccata, e quando te ne accorgerai sarà troppo tardi."
Tutto ciò che aveva appreso alla villa quella sera sembrava confermarlo e smentirlo al contempo. Il Signore Oscuro e sua figlia erano in gran difficoltà e avevano promesso di essere sinceri con lei per permetterle di aiutarli, ma continuava ad avere l'impressione che non stessero giocando a carte totalmente scoperte. Era tutto troppo facile, troppo scontato. Negli anni aveva imparato a non sottovalutare Mr. Gold, specie quando sembrava in netto svantaggio. Ricordava quando aveva dovuto arrestarlo per l'aggressione al padre di Belle, anche in quel caso non le aveva permesso di conoscere tutti i dettagli e alla fine quell'attimo di follia omicida si era rivelato molto più sensato del previsto. Ora si ritrovò ad avere la stessa impressione: qualcosa le sfuggiva, ma per quanti sforzi facesse non riusciva a capire cosa.
E questo la inquietava, perché temeva di stare davvero sprecando il suo tempo a investigare sul colpevole sbagliato.
A confonderla ulteriormente erano Belle e Neal, che invece sembravano molto sinceri. Questo poteva solo voler dire che o anche loro erano all'oscuro dei veri motivi di Gold e sua figlia, o lei stava semplicemente permettendo a tutta quella confusione di annebbiare perfino il suo superpotere, facendosi condizionare un po' troppo dai pregiudizi.
Sospirò, fermando la macchina e abbandonando la testa sul sedile. Chiuse gli occhi, concedendosi qualche istante prima di scendere.
Dal finestrino abbassato provenivano l'odore salmastro e il dolce scrosciare delle onde del mare. Ispirò a grandi sorsi e tentò di calmare il battito del proprio cuore, ma non ci riuscì, quindi decise di rompere gli indugi e scese sbattendo lo sportello dietro di sè.
La Jolly Roger era proprio davanti a lei, stagliata contro il cielo scuro come un'ombra minacciosa scossa da un vento leggero.
La raggiunse a grandi falcate e salì decisa la scaletta che conduceva al ponte, iniziando a chiamare Killian Jones a gran voce fino a che, qualche istante dopo, un'altra ombra non la raggiunse, emergendo da sottocoperta.
 
«Emma Swan...» l'accolse il pirata, svogliatamente, la voce impastata dal rum.
 
Nell'oscurità vide i suoi occhi scintillare assieme all'uncino, colpito dalla luce lunare. Per un attimo ebbe paura che si trattasse della sua ombra fuggita, come quella di Peter Pan che li aveva quasi uccisi sull'isola che non c'è. Ma poi lo ascoltò di nuovo parlare e ne fu sollevata, almeno in parte.
 
«Pensavo ti stessi godendo la festa della Lucertolina. Che cosa ti porta sulla mia nave?»
«Ho bisogno di risposte. E voglio che tu me le dia in fretta, perché altrimenti sarò costretta ad arrestarti.» rispose perentoria lei, mostrandogli le manette che portava legate alla cintura.
 
Di nuovo, Killian Jones sogghignò amaro.
 
«Pensavo di essere stato chiaro l'ultima volta. Stai chiedendo alla persona sbagliata.» replicò indolente, ma Emma, stanca di quei sotterfugi, lo incalzò, a bruciapelo.
«Sei stato tu a rapire le fate, vero?»
 
Lo vide immobilizzarsi, smorzando il suo sorriso. Lo prese come un sì.
 
«E con loro hai rapito anche l'apprendista, in modo che Tremotino non avesse modo di reperire una cura.»
 
Di nuovo, silenzio. Uncino spense definitivamente il suo sorriso e la guardò negli occhi. Sembrava confuso, ma era troppo buio ed Emma era troppo seccata per continuare quel tira e molla con la verità. La sua espressione colpevole fu abbastanza.
 
«Cura?» lo sentì chiedere.
 
Estrasse le manette e si apprestò a legargliele ai polsi, ignorando la sua espressione che rapida passò dallo stordimento, alla rabbia fino ad una profonda delusione.
Sogghignò amaro, lasciandosi trascinare via.
 
«Complimenti Miss Swan.» disse, imitando il modo in cui il Signore Oscuro si rivolgeva lei «Hai trovato il tuo colpevole.»
 
Emma lo ignorò, sbattendolo sul retro della volante e chiudendogli in malo modo lo sportello in faccia.
Trascorsero il resto del viaggio in silenzio, almeno fino all'arrivo in stazione. Una volta dietro le sbarre, Uncino tornò a disturbarla.
 
«Ora che hai risolto il caso che farai?» le domandò, con una punta di ironia nella voce, aggrappandosi alle sbarre «Te ne andrai dal tuo bambino sperduto, dalla tua bella famigliola perfetta e proseguirai la recita?»
 
La Salvatrice smise di trafficare con il computer e lo fissò, astiosa.
"E anche se fosse?" avrebbe potuto dire "A te cosa importa?".
Invece replicò stizzita.
 
«Io non recito.»
 
Come se fosse importante precisarlo. Lui sorrise, sfoggiando il suo profilo migliore.
 
«Oh, lo so.» le rispose «Lo so che tu non lo fai.»
 
Come se non ne potesse più, Emma soffiò dal naso, lasciò perdere ogni cosa e si avvicinò alle sbarre sprofondando le mani dentro le tasche della giacca di pelle che indossava per proteggersi dal freddo. Aveva ancora indosso il vestito da cerimonia, ma a quella non aveva voluto rinunciare, pezzo importante della sua armatura quasi quanto gli abiti da coccodrillo lo erano per Emilie e il silenzio per il Signore Oscuro.
 
«Va bene, ora basta. Vuoi scagionarti? Dimmi quello che sai. Non sei stato tu? E allora chi è stato?»
 
Killian si fece di nuovo serio. La fissò per qualche istante negli occhi, irrigidendosi. Il respiro corto, la mano stretta attorno alle sbarre iniziò a tremare come vittima di uno sforzo disumano. Per la prima volta la donna se ne rese conto, e quando lo vide aprire bocca pensò di sbagliarsi, ma poi lo vide richiuderla e trascinarsi verso la panca, scuotendo il capo sconsolato.
 
«Non posso dirtelo.» le disse, arreso, sprofondando le mani nei capelli «Speravo che il tuo superpotere bastasse, ma a quanto pare mi sbagliavo.»
 
Rise, ma d'un tratto si accasciò sulla branda, aggrappandosi alla camicia e emettendo un gemito di dolore.
 
«Killian!» esclamò Emma, sgomenta, aprendo la cella e accorrendo al suo fianco.
 
Il pirata le rivolse uno sguardo e tentò di parlare da dietro la maschera di dolore che era diventata il suo volto, ma non ci riuscì.
 
«Killian, che II succede? Stai male?» tentò di aiutarlo, sbottonandogli il corsetto e la cravatta, ma lui si aggrappò alle sue mani e le sussurrò, spendendo per ogni parola un ampio sorso d'aria.
«N-non p-posso... Emma. Non posso... dirti altro... solo... N-non lasciarti ingannare dalle apparenze.»
 
Quindi lo stavano incastrando. Era questo che stava cercando di dirgli? Ma chi? Emilie o Gold? O entrambi?
E cos'era quella che gli impediva di parlare, una magia? Una sorta di maledizione o qualcosa di più?
Se lui non poteva farlo, allora forse avrebbe dovuto essere lei a suggerire le risposte?
Annuì, guardandolo negli occhi e tornando a prendere la sua mano.
 
«Io ti credo, Uncino.» gli disse, e stavolta lo fece sul serio.
 
Lo vide tornare a respirare, a poco a poco, e sciogliersi in un sorriso.
 
«Davvero?» le chiese in un soffio.
 
Annuì.
 
«Si.» disse «Perché anche io sento che c'è qualcosa di strano. Non so cosa, ma Mr. Gold e sua figlia non mi hanno detto tutto e temo che stia per accadere qualcosa, che loro stiano organizzando qualcosa. Ecco perché sono andata a quella festa, stasera.» spiegò, senza neanche sapere perché lo stesse facendo proprio con lui.
 
Forse era la pena che gli faceva nel vederlo pallido e inerme, forse il suo senso di giustizia che la spingeva sempre verso la verità. Qualunque cosa fosse, fu sempre questa a spingerla ad aggiungere, sconsolata.
 
«Ma per quanto mi sforzi, la verità continua a sfuggirmi. Sono confusa, e non riesco a capire perché.»
 
Tornò a guardarlo, temendo di non essersi spiegata bene. Invece lui le sorrise e annuì.
 
«Allora fidati del tuo istinto, Swan.» le suggerì «Fidati di te stessa e non sbaglierai.»
 
Si ritrovarono a sorridersi vicendevolmente, complici in uno sguardo.
Ma quell'attimo durò poco, perché il cellulare della donna squillò riportandola sul da farsi, al presente.
Rispose, lanciando un ultimo sorriso al pirata che nel frattempo sembrava essersi ripreso, anche se era ancora un po' troppo pallido, ma forse quella era colpa del rum.
 
«Mamma, dove sei?» la voce di Henry dall'altro lato del telefono le giunse chiara e squillante, nonostante il frastuono in sottofondo.
«Oh, c'è stata un'emergenza e sono dovuta correre in centrale, ma non era nulla di grave.» spiegò sbrigativa, rialzandosi e uscendo dall'abitacolo della cella «È tutto risolto ora, sto tornando.»
«Okkey.» replicò il bambino, senza fare altre domande «Fai in fretta però, la zia ha detto che deve fare un altro annuncio e vuole che siamo tutti presenti.»
 
"Un altro annuncio. Chissà cosa dovrò aspettarmi stavolta?"
 
«Va bene, faccio in fretta.» lo rassicurò, poi chiuse la telefonata e tornò a guardare Uncino.
 
Sorrise, con un pizzico di rammarico mentre richiudeva la porta della cella.
 
«È solo una precauzione.» si scusò «Sei il principale sospettato per il momento, ma troverò le prove per scagionarti.»
 
Jones annuì, sorridendole a sua volta.
 
«Posso almeno avere il mio rum?» domandò.
«Non è permesso bere ai prigionieri.» replicò però lei, assumendo di nuovo un'espressione contrita «Vedrò cosa posso fare domattina, quando la situazione sarà un po' più tranquilla. E...» fece una pausa, tornando a guardarlo negli occhi «Fino a che non avrò prove non dirò a nessuno che sei dentro per il rapimento delle fate. So che se ci fosse un colpevole sarebbero tutti più tranquilli, ma non voglio correre il rischio di accusare un innocente.»
 
Lo vide annuire, scrutandola da capo a piedi con i suoi intensi occhi neri.
 
«Si...» disse, quasi nostalgico «Lo so. Non è affatto nel tuo stile.»
 
Di nuovo complici per qualche istante, mentre i suoi occhi sprofondavano in quell'abisso nero all'improvviso ad Emma sembrò quasi che il tempo si fermasse e che ogni altra cosa, positiva o negativa, si dissolvesse. Il cuore prese a battere all'impazzata, e dimenticò ogni cosa, perfino la promessa fatta ad Henry al telefono appena pochi secondi addietro. Killian Jones la scrutò, e riuscì solo a pensare a quanto fosse bella, avvolta da quel vestito rosso, i capelli biondi acconciati ad incorniciare morbidi il viso.
Così tanto, da non riuscire a trattenersi dal dirglielo.
 
«Sei bellissima, Emma Swan.»
 
Quella semplice frase ebbe il potere di riscuoterla e farla avvampare. Sorrise, accarezzandosi il vestito.
 
«Grazie.» ma nel momento stesso in cui i loro sguardi s'incrociarono di nuovo sentì che non sarebbe riuscita a trattenersi neanche per un istante se non avesse lasciato in fretta il prigioniero alla sua sorte.
 
Si costrinse a riscuotersi, riprese le chiavi e lo salutò con uno sbrigativo
 
«Buona notte.» voltandogli le spalle e spegnendo le luci.
 
Quando riuscì a rimettersi al volante era sudata, aveva il cuore a mille a una strana sensazione di disagio la attanagliava. Mise in moto e cercò di concentrarsi sulla guida, ma dovette lottare in continuazione per scacciare il pensiero delle labbra del Pirata contro le sue. Pensò a Neal, ai loro momenti assieme, ma nessuno di quegli attimi sembrò neanche lontanamente paragonabile a quelli che gli suggeriva l'immagine del pirata e delle sue labbra rubino.
Quando giunse alla villa, la scopa la accompagnò nella torre, dove Emilie la attendeva a braccia conserte. S'impose autocontrollo e parve anche riuscire a raggiungerlo.
 
«Allora?» domandò seria la ragazza.
 
La Salvatrice sospirò.
 
«Uncino.» disse «Ho il sospetto che sia stato lui e rapire le fate, e l'apprendista. Abitava a Storybrooke, ma la sua casa ora è vuota. C'erano segni di lotta, sembrava ci fosse passato un uragano. Forse lo ha fatto per impedire che tuo padre trovasse una cura.»
 
Lei stessa non ne era convinta, ma mentre lo diceva osservò uno strano sorriso nascere sulle labbra di Emilie. Cattivo, divertito. E non poté dire con certezza che fosse perché gli aveva mostrato di aver creduto alle sue macchinazioni, ma non potè neanche evitarsi di pensarlo. "Fidati di te stessa".
E il suo istinto ora le diceva che Emilie stava palesemente dissimulando.
 
«Sei andata ad arrestarlo?» le domandò, una luce trionfante negli occhi.
 
Annuì. E quel sorriso malevolo si allargò fino a diventare una smorfia simile a quelle folli del Tremotino del Desiderio. Se Emma avesse avuto modo di conoscerlo, non avrebbe notato alcuna differenza.
 
«Bene.» la udì sentenziare, per poi tornare a chiedere «E ti ha detto dove sono ora?»
 
Anche di questa domanda sapeva già la risposta, eppure la fece lo stesso. Temeva qualcosa? Fu soddisfatta quando lei scosse il capo.
 
«Non ha confessato, né parlato.» le rispose la Salvatrice.
 
Ma la Lucertolina non sembrò affatto delusa. Simulò soltanto di esserlo.
 
«Certo.» fece, annuendo «Ovviamente non poteva farsi scappare questa grande occasione.»
 
E strinse i pugni, ma la sua rabbia era più vittoriosa e liberatoria del solito.
E passò in fretta.
 
«Non importa. Dovunque li abbia nascosti, noi li troveremo. Vero, cognatina?» le domandò, aprendosi in un largo sorriso e avvolgendole un braccio attorno al suo, traendola a sé e fissandola con quel largo sorriso innocente solo all'apparenza.
 
Swan sorrise a sua volta, facendo buon viso a cattivo gioco.
 
«Ovviamente, li troveremo.» replicò, sostenendo quello sguardo che all'improvviso si fece più indagatore.
 
Si scrutarono a vicenda per un lungo attimo, e quando ad Emma sembrò di stare perdendo riportò quello scontro su un campo diverso.
 
«Henry mi ha detto che dovevi fare un annuncio speciale. Me lo sono perso?» chiese tornando a sorridere spensierata.
 
Emilie si staccò da lei e si fece seria.
 
«Oh, sì...» iniziò, poi si sciolse in una risatina «Sei invitata al mio matrimonio.» assottigliando le palpebre e scrutandola come si scruta un osso.
 
Ah. Questa sì che era una novità interessante.
 
«Oh, congratulazioni!» si complimentò, sincera «Con Ewan?»
 
Emilie rise di nuovo.
 
«Ovviamente.» annuì, quindi tornò a scrutarla con quello strano sguardo famelico e chiese «Allora, verrai?»
 
Avrebbe potuto rispondere anche con un no?
Annuì, quindi fece la domanda che Emilie attendeva da molto.
 
«Quando vi sposerete?»
«Oh, presto... molto presto...» mormorò in risposta, voltandole le spalle e riprendendo a camminare verso la sala da ballo «Più presto di quanto tu possa immaginare.»
 
***
 
Mancavano meno di dieci minuti alla mezzanotte quando tutto cambiò. La festa era stata intensa e tutti gli invitati erano infine caduti vittima di una strana euforia che li aveva indotti a dimenticare le loro angosce e lanciarsi in danze, risate e disattente conversazioni.
Erano in pochi ad essere rimasti "sobri". Tra questi Emma Swan, che mentre cercava di non perdere di vista Tremotino e la sua dolce figlioletta, per tutto il tempo intenta a bere, ridere e danzare come una perfetta promessa sposa, fu avvicinata da un imbronciato August.
 
«Ti stai divertendo?» le chiese, stringendo tra le mani una coppa di champagne ancora piena.
 
Aveva gli occhi lucidi e rossi, le guance imporporate da uno strano torpore.
Non fece in tempo a rispondergli, perché nel momento in cui aprì la bocca per parlare lui le afferrò il polso e la trascinò fuori, mormorando cupo.
 
«Non qui. Ho bisogno di aria fresca.»
 
La terrazza era ampia e si affacciava su una splendida veduta sui boschi e l'oceano, in lontananza. Al momento era vuota e silenziosa, lontana da occhi e orecchie indiscreti. Un posto perfetto per le confessioni.
 
«August, che ci fai tu qui?» gli domandò, senza perdere altro tempo.
 
Ma l'uomo non fu altrettanto diretto.
 
«Quello che ci fai anche tu, immagino.» le rispose alzando il calice.
 
Poi però si avvicinò di più a lei e mormorò, cupo, l'alito che puzzava di alcool.
 
«Sei mai stata al paese dei Balocchi, Emma? Questo posto me lo ricorda molto, stasera. Spera solo di non svegliarti con coda e orecchie da asino, domani.» abbassò gli occhi «Io ho venduto la mia anima alla figlia del diavolo per evitarlo? Mi auguro ne sia valsa la pena.»
 
La Salvatrice sgranò gli occhi, e d'improvviso i sospetti che l'avevano perseguitata per tutta la sera si fecero realtà. "Di cosa stai parlando?" avrebbe voluto chiedere "Cosa hai fatto? Che sta combinando Emilie?"
Ma non fu necessario perché ogni cosa scomparve, risucchiata da una forza che alla fine trascinò via anche lei, strappandole pensieri e ricordi e sostituendolo con dei nuovi, adatti al mondo creato apposta per lei.
Il gioco era iniziato, i pezzi erano tutti sulla scacchiera e non c'era più tempo per valutare le mosse. Ora era arrivato il momento di vincere.
 
***
 
Il giorno dopo...
 
Storybrooke era vuota, silenziosa, spettrale come una città fantasma. Al loro arrivo, Gideon e Regina capirono subito in quale punto della storia il portale li avesse condotti.
 
«Il libro...» mormorò Regina, sgomenta «Dobbiamo cercare Henry, lui è di questo mondo, la storia non lo comprende.»
 
Ma Gideon la fermò afferrandole un braccio.
 
«Regina aspetta.» le disse «Questo tempo è stato modificato. Sei sicura che Henry sia ancora qui?»
 
La Sovrana dei Reami uniti parve rifletterci un istante, poi si fece ancora più cupa e annuì, dandogli ragione.
 
«Allora dovremmo cercare un qualsiasi indizio che ci riporti a tua sorella. Quello che sta accadendo a Killian e Alice è di sicuro opera della magia nera, solo una strega esperta può farlo. Dobbiamo trovare il suo laboratorio, o almeno la fonte di quella magia. Bambole Vodoo, calderoni. Sta giocando con il fuoco, spero solo che lo sappia davvero controllare…» aggiunse, parlando quasi tra sé.
 
Stavolta fu Gideon ad annuire.
 
«Potremmo guardare al negozio di Papa.» suggerì, e la trovò d'accordo.
 
Si avviarono insieme verso il banco dei pegni, ma una volta giunti a destinazione scoprirono un'altra amara sorpresa. Regina allungò una mano verso la maniglia, ma fu quasi balzata via da un'energia fortissima.
 
«Incantesimo di protezione.» mormorò, quasi come sè se lo aspettasse.
«Magia di sangue. Forse può essere spezzata.» si offrì Gideon, ma quando ci provò anche lui venne respinto.
 
Storse il naso, massaggiandosi il polso dolorante.
 
«Si, è sicuramente opera di Emilie.» mormorò contrariato «Solo lei sa come rendere un incantesimo resistente alla magia di sangue.»
 
Sembrava anche più dispiaciuto di lei.
 
«Qualcuno glielo ha insegnato.» borbottò Regina, poi però gli rivolse un sorriso comprensivo, chiamandolo per nome e tentando di rassicurarlo «Non è colpa tua.»
 
Lo vide sospirare, facendosi triste.
Scosse le spalle.
 
«Si. È da quando è tornata che continuo a ripetermelo, ma non funziona.» sospirò, un peso sul petto, ricordando con angoscia il modo in cui avevano lasciato Alice e suo padre quando erano partiti.
 
La prima era afflitta da atroci mal di testa, una febbre che l'aveva costretta a letto e fortemente debilitata, ed era preda di incubi e brividi.
Il secondo, nel cui petto batteva il cuore di Tremotino, aveva perso la memoria e la mitezza del proprio carattere, non ricordava di avere una figlia, ed era tornato alla sua vita da alcolista anonimo. Sembrava più un senza terra che un pirata, ed erano stati vani i tentativi di riportarlo a casa. Non riconosceva nessuno, ed era diventato un vero codardo, aveva paura di tutto, specie di coloro che manifestavano il dono della magia. E aveva paura di lui, di Gideon. Una paura folle e insensata che aveva perfino messo in pericolo la sua, perché quando lo aveva raggiunto per tentare di risvegliarla lo aveva riconosciuto come "il figlio del Coccodrillo" e gli aveva puntato un coltellaccio da macellaio alla gola. Solo per puro miracolo non lo avesse colpito mortalmente ma solo sfiorato di striscio. Oh, era stata davvero brava Emilie a completare la sua vendetta!
Non lo aveva ucciso, ma per Alice era come se lo avesse fatto, perché in sostanza suo padre non c'era più, sostituito da un uomo sconosciuto e imprevedibile, che non si ricordava nemmeno di lei. Nei pochi attimi di lucidità dalla malattia che la affliggeva, non faceva che piangere e ripetere che tutto questo era solo colpa sua, che Emilie la stava punendo come aveva promesso. Nemmeno Robin riusciva più a confortarla ormai, era come se la disperazione avesse messo radici nel suo cuore e crescesse rapidamente ad ogni secondo in più. Al Killian di Storybrooke per il momento tutto andava come al solito, ma vedere in che condizioni la figlia di Tremotino aveva ridotto il suo alter ego del desiderio lo aveva fatto preoccupare parecchio.
In fondo anche lui aveva una figlia di appena un anno, e la sola prospettiva di essere ancora in pericolo a causa della magia del Coccodrillo, seppur tramandata di padre in figlia, lo metteva talmente in allarme da togliergli il sonno.
Proprio per questo lui e Regina avevano deciso di partire. In realtà era stata una sua proposta.
 
«È mia sorella, la mamma mi aveva raccomandato di prendermi cura di lei se fosse accaduto qualcosa a papà. Quindi è mio dovere farlo.»
 
Ma Regina non aveva voluto sentire storie.
 
«Vostro padre è stato per certi versi anche il mio. E se Emilie è stata addestrata da lui e ha ricevuto anche solo un briciolo di quel talento, solo io posso aiutarti ad affrontarla, nella peggiore delle ipotesi.»
 
Ma neanche la peggiore delle ipotesi era lontanamente avvicinabile a quello che si ritrovarono ad affrontare. A cominciare dal doversi procurare un portale temporale da attraversare. Avevano usato la sua stessa tecnica, chiedendo ad Emma di aprirne uno per loro. Il ritorno sarebbe stato più complicato, ma meglio preoccuparsi di un problema alla volta.
 
«Almeno adesso sappiamo che si aspettava una tua mossa e che qui dentro c'è qualcosa di importante.» lo riscosse Regina, quindi si tolse i guanti e si guardò intorno «Dobbiamo cercare indizi altrove. Casa sua sarebbe l'ideale, ma basterebbe anche un diario. Non ne scriveva uno per tuo padre?»
 
Gideon annuì, stava per rispondere però di non sapere dove cercare quando un'apparizione improvvisa lo distrasse, spingendolo a strabuzzare gli occhi e puntare il dito alle spalle di regina.
 
«Quella è...» mormorò, stupefatto.
 
La donna si voltò e vide, con somma sorpresa, la saggina maggiordomo con ancora il papillon addosso far loro cenno di seguirla.
 
«La scopa dell'apprendista?!» concluse al posto suo, sorpresa.
 
La ramazza sembrò annuire, quindi tornò a chiedere loro a gesti di seguirla e li condusse direttamente di fronte al cancello d'ingresso della villa dello stregone, dove vennero accolti dall'inchino delle chimere di pietra. Se fino ad allora avevano potuto pensare ad una trappola, quella sorprendente visione tolse ogni dubbio.
 
«Credi...» mormorò Gideon, mentre attraversavano il giardino.
 
Regina lanciò un'occhiata alle Pantere che sonnecchiavano sul ramo di un albero di sughero e annuì.
 
«A quanto pare questa è casa sua, ora.» sorrise «Non mi sorprende. A Tremotino serviva il Cappello, lei gli ha comprato tutta la villa.»
 
Ma le sorprese non erano ancora finite. All'ingresso, due armature fecero loro un inchino, poi indicarono con le punte delle loro alabarde un corridoio sulla sinistra, in direzione opposta alla sala da Ballo.
Regina sospirò
 
«A quanto sembra tua sorella non solo si aspettava che venissimo, ma ci ha lasciato perfino dei messaggeri.» osservò.
 
Gideon annuì in silenzio, tornando a incupirsi. "Milly, che stai combinando?" si chiese. Tutte le risposte giunsero appena un paio di minuti dopo, quando le porte della biblioteca si spalancarono e ai loro occhi si presentò l'ennesimo, insolito spettacolo.
C'era un uomo accasciato sulla scrivania, sembrava dormiente o peggio ancora morto, ma non appena lì udì arrivare si riebbe e li guardò illuminandosi.
La prima a riconoscerlo fu la Sovrana.
 
«Isaac?» esclamò, notando le catene e l'aria afflitta
«L'autore?» domandò Gideon, osservandolo con molta attenzione.
 
Per lui in fondo non era altro che il personaggio di uno dei racconti di suo padre, era un po' strano vederlo ora per la prima volta in carne ed ossa.
 
«Regina! Finalmente!» l'accolse questi, allargando le braccia e facendo tintinnare le catene che lo legavano alla scrivania «Ah, e tu devi essere Gideon, vero? Il fratello della cara... piccola... dolce e letale Emilie.» spegnendo rapidamente il sorriso al solo ricordo.
«Dov'è mia sorella?» gli chiese il giovane, senza perdere tempo.
«Oh, beh.» rispose l'uomo, porgendo loro il grosso libro nero sulla quale si era appisolato «Qui dentro. Sta vivendo la sua favola, se così vogliamo dire.»
 
Entrambi i nuovi arrivati si scambiarono uno sguardo preoccupato.
 
«Se è così, perché tu non sei a New York a goderti la tua ricompensa?» lo incalzò Mills, ma la risposta che ricevette non la sorprese più di quanto avrebbe dovuto.
«Oh beh...» bofonchiò lo scrittore «Lo farò... dopo che il contratto sarà stato adempiuto.»
«Contratto?» gli fece eco un sempre più preoccupato Gideon «Hai stretto un patto con mio padre?»
 
Lo vide scuotere con vigore il capo.
 
«Con tua sorella, in realtà. E in mia difesa, non ho avuto molta scelta.» rispose, mostrando le catene e una piccola ferita sulla lingua che sembrava essere il segno di un artiglio e fece rabbrividire entrambi «Si, beh...» commentò ironicamente Isaac a quel punto, rivolgendosi a Regina «Diciamo pure che potresti non essere più la sua allieva migliore.»
 
Una battuta che non fece che impensierire ulteriormente Gideon.
 
«Basta così, devo parlarle.» decretò, strappandogli il libro dalle mani.
«Vengo con te.» decise Regina, ma Isaac la fermò di nuovo
«Ehm, si. Fossi in te non lo farei. E darei un'occhiata alla storia prima di buttarmici dentro a capofitto.»
 
I due viaggiatori si guardarono l'un l'altra, inquieti.
 
«Cos'è che dovremmo sapere?» domandò quindi Regina, sospirando nervosa.
 
Isaac ridacchiò.
 
«Oh, molte cose! Ma prima...» alzò le braccia, mostrando le catene ai polsi «Ti spiace?» la supplicò «Sono giorni che non mangio come si deve e non mi faccio una bella dormita! Mi è venuto il gomito dello scrittore!»
 
La Sovrana scosse il capo alzando gli occhi al cielo. Era esattamente come lo ricordava, petulante e opportunista. Stava iniziando a non dispiacersi per il trattamento che aveva ricevuto da Emilie.
Guardò Gideon, lui annuì con la stessa espressione rassegnata e allora le venne un'idea.
Alzò una mano, tenendolo per qualche istante sulle spine per poi liberarlo.... ma di una sola manetta.
Sorrise sotto i baffi della sua espressione sorpresa e delusa.
 
«L'altra quando ci avrai detto almeno la metà di quello che sai.» gli promise.
 
E a quel punto all'uomo non rimase che sputare il rospo, se non voleva restare ancorato a quella scrivania per il resto della sua vita. 

 
(Continua...)
   
 
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