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Autore: DewoftheGalaxy    25/03/2023    1 recensioni
Un dolce momento tra Ottaviano Augusto e la sua adorata, piccola Giulia, contornato anche da Agrippa e Mecenate, guardando oltre la maschera di marmo.
Genere: Comico, Fluff, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Il princeps era in ritardo.

 

Alla seduta del Senato precisamente. Piena mattina, una teoria di burberi senatori spazientiti e di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto nemmeno l'ombra. I vecchi brontolavano, lo scranno vuoto perno del concitato blaterare. 

 

Dov'era l'imperatore? L'aveva forse braccato un'altra delle sue malattie, collezionate lungo gli anni? Se così fosse stato, un messo dal Palatino sarebbe corso a comunicare agli illustri Padri Coscritti la preoccupante notizia, ansimando di pregare per l'augustea salute.

 

No, serpeggiavano dubbi, circolavano tra i marmi policromi e le svettanti colonne. 

 

Non era dal princeps ritardare senza giustificazioni.

 

Marco Vipsanio Agrippa e Gaio Clinio Mecenate, amici del suddetto, dovevano, secondo un astruso ragionamento degli insigni vecchi, sapere cosa diamine stesse accadendo o fosse accaduto. Come mai Augusto non si decideva ad arrivare? Era capitato qualcosa? Una disgrazia? Malanno debilitante? Non come Marcello, Giove onnipotente, il giovane era morto da poco! 

 

Che non fosse salita alla rimonta nuovamente quella spregevole afflizione rea di avere strappato il promettente, brillante Marcello ai suoi cari?!

 

«Credi che staranno spettegolando ancora a questo giro?» 

 

Agrippa sollevò lo sguardo dall'intarsio marmoreo della pavimentazione. 

 

Lasciata una Curia ruggente di domande, ipotesi stravaganti e incitamenti a proseguire nonostante la mancanza del Princeps, lui e Mecenate si erano sobbarcati l'onere di andare a scoprire la ragione del misterioso ritardo. Delegati da una banda di decrepiti all'imperial casa. Beh, ci stava. Da migliori amici e stretti collaboratori ci si aspettava che a loro, per lo meno, una risposta sarebbe stata fornita.

 

Mecenate percorreva in tondo il salone antecedente lo studiolo privato, la sua frivolezza effemminata culminante nella frenetico agitarsi del ventaglio. Si fermò, ancora poco e avrebbe scavato un solco da fare invidia all'aratro di Romolo in persona. Agrippa e il suo nervosismo gliene furono molto grati.

 

«Presumo.» Si massaggiò il collo indolenzito. Energumeni pretoriani vegliavano i battenti dell'ufficio. La mia Siracusa, amava definirla Ottaviano. «Dovrebbero esserci abituati oramai. Tutta Roma sa che basta un filo di vento a scombussolarlo!»

 

«Livia ci ha informato che stava lavorando...» mormorò pensieroso Mecenate, il ventaglio piegato tamburellato sulle labbra. 

 

«Per i miei gusti ha lavorato anche troppo.» 

 

Mecenate intuì il lampo di esasperazione nei suoi occhi. «Agrippa, non-»

 

Parole cadute nella voragine della sordità. I pretoriani aprirono la porta ad Agrippa e al suo passo rabbioso, rimbombante sulle pareti riccamente affrescate. Mecenate gli si lanciò dietro, tampinandolo. 

 

E si fermarono, stralunati, perplessi.

 

Nel minuscolo, riparato ambiente soffocato da scaffali traboccanti pergamene, rotoli, documenti di ogni sorta e carteggi decennali, Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, princeps, console, imperatore, signore di Roma e del mondo in tutto meno che su decreto ufficiale, era crollato, addormentato sul lavoro. Sbuffi lenti di respiro congiunti a un leggero russare, un disordine abominevole di fogli accartocciati, stracciati, l'inchiostro disseccato sullo stilo.

 

Mecenate s'intenerì, emettendo un dolce versetto, simile a una ragazzina alla vista di cucciolo. «Adorabile no? La fatica derivata dal potere...»

 

Agrippa pensava ad altro. Più nello specifico: non stavano contemplando il preambolo dell'insorgere di un ennesimo male vero?

 

«Credo che dovremmo...» esordì vago. Non sapeva proprio dove li avrebbe condotti una situazione del genere. Stiamo a vedere.

 

«Svegliarlo?» Mecenate si sventolò indignato. «Non lo vedi che è sfinito? Non riuscirà a seguire mezza discussione in Senato!»

 

«Ci hanno mandato apposta per saperne di più!»

 

«E ora che lo sappiamo che-»

 

Un rantolo. Si immobilizzarono, concentrati sulla dorata nuca. Ottaviano non era forse dopotutto collassato come sembrava?

 

Nessuno segnale. Agrippa si assunse il rischio. 

 

«Augusto?»

 

Silenzio, non un movimento.

 

Ritentò, non perdendosi d'animo. «Augusto?»

 

L'altro proseguì a ronfare imperterrito. Agrippa non si contenne. Adesso basta.

 

«Ottaviano!»

 

Aizzato dallo schiamazzo, il princeps interpellato scattò sveglio, fari celesti sbarrati, un groviglio biondo, tragedia di pettini e spazzole. 

 

«Ave Cesare!» esclamò intontito. Uno stralcio di pergamena gli era rimasto incollato alla guancia. La scossa scemò e un ottundimento assonnato l'avvolse, le palpebre presero a cascare, gonfie di stanchezza. Si osservò intorno, disorientato. «Ave... eh?»

 

Agrippa non si lasciò muovere a compassione. «Ave alle tue ore piccole Augusto.» Incrociò le braccia al petto, «Dormito bene?»

 

Augusto si stropicciò le palpebre, liberandosi del foglio scomodante e grattandosi la chioma arruffata. La bocca si distorse in un vistoso sbadiglio.

 

«È mattina?» gorgogliò sonnolento. Le mezzelune cupe intorno agli occhi raccontavano ore e ore snocciolate a quella scrivania.

 

«Sei fresco come una rosa.» commentò pungente Mecenate. «Una rosa appassita, calpestata da un'orda di elefanti e ficcata nello sterco.»

 

«Gentile come sempre Mecenate...» Secondo sbadiglio compresso dalla mano. «Che ci fate...» Si sostenne il mento sul palmo. «...qui?»

 

E qui arrivava la nota dolente. Agrippa non ci andò tanto delicato. «Si da il caso che il Senato abbia notato l'assenza di qualcuno.»

 

Quel qualcuno stava scivolando sia nel mondo dei sogni sia a un doloroso scontro di fronte con il legno lucido del mobile. «Chi...?»

 

Dannazione Ottaviano!

 

Il risveglio propugnato dall'amico recentemente divenuto genero non fu meno grazioso del precedente. Sbattè i palmi, le torri di missive e note tremolarono. Augusto si ridestò come folgorato.

 

«Sono sveglio! S-Sono...» 

 

«Rintronato.» concluse Mecenate, girando intorno e azzardandosi a palpare la fronte dell'intoccabile. «Niente febbre Agrippa. Sta benone.»

 

«Non si direbbe.»

 

«Da cosa lo deduci?»

 

«Vediamo...» Un certo imperatore stava versando il contenuto del proprio calamaio in un calice vuoto, uno sguardo vacuo e stanco, scambiandolo evidentemente per una brocca. «Questo ti soddisfa come risposta?»

 

Mecenate storse il suo solito gioviale cipiglio. «Lo portiamo a letto?»

 

«E me lo chiedi pure?»

 

Augusto, intanto, aveva eletto il mare di scartoffie a cuscino, un filo di saliva a innaffiare ghirigori d'inchiostro. Mugugnava insensatezze. Una crepa di tenerezza si infiltrò nel cuore di Agrippa.

 

Si abbassò al suo livello. «Ottaviano?»

 

«Mmmh?»

 

Mi avrà sentito?

 

«Da quanto sei inchiodato qui e non chiudi occhio?»

 

«Mmmh...» Incoerente, levò il capo, ma combattere le palpebre pesanti era una sfida persa in partenza. «Avevo...» Sbadigliò. «... faccende da...» Incalzato da un'altro sbadiglio. «... sbrigare...»

 

Mecenate s'aggregò, un sorrisetto caustico. «Della deliziosa durata di?»

 

«Non lo so...»

 

L'amico si tirò indietro, la pozza di divina saliva non gli fomentava simpatia. «Perfino il cadavere di Marco Antonio dimostrerebbe più lucidità di te. Concordo Agrippa. Ficchiamolo sotto le coperte. E presto.»

 

Detto fatto. Agrippa trasse l'insonnolito imperatore, caricandoselo in spalla con la grazia che avrebbe riservato a un oscillante sacco di granaglie. 

 

«Mi dispiace violare la tua sacra persona amico mio, ma è per una buona causa.»

 

La sacra persona del suo amico la prese bene? No.

 

«Marco Vipsanio Agrippa.» Il venire sballottato non si conciliava alle intenzioni di Augusto, stanchezza accantonata. «Rimettimi subito a terra!»

 

«Ottaviano-»

 

«È il tuo princeps che te lo comanda!»

 

Il benessere del suo migliore amico lo precedeva, purtroppo per l'autorità del princeps. Agrippa non si lasciò scalfire. Certamente lo spettacolo del pallido, esile imperatore portato a spasso dal suo colosso di consigliere doveva suscitare non poche risate.

 

«Sei sveglio adesso eh?» sghignazzò Agrippa.

 

Mecenate infierì amichevoli colpetti di ventaglio sull'imperiale cranio, sorridendo birichino. «L'aver dormito poco e male ti rende nevrotico Ottaviano.»

 

«Ve lo do io il nevrotico!» strillò il rapito, quasi a testa in giù sulle spalle di Agrippa. «Appena scendo da questo scimmione disgraziato-»

 

«Gli uomini e la delicatezza. Un connubio impossibile...»

 

Tre teste ruotate in contemporanea alla figura dominante la soglia. Giulia - in tutta la radiosità abbagliante dei suoi lunghi, fluenti boccoli d'oro - si era stanziata, spettatrice ridente. Mani sui fianchi, l'adolescente visino alzato al cielo come a domandare ai Celesti il motivo di tanto baccano.

 

«E tu che ci fai qui?» sorse spontaneo da un confuso Agrippa.

 

«Mi prendo cura di mio padre. Ora, marito, ti sarei grata se lo mollassi.»

 

Sbuffando, Agrippa esaudì il desiderio della consorte. Augusto barcollò i primi istanti. Giulia si fiondò a sostenerlo, deponendogli il braccio intorno al proprio collo.

 

«Grazie mia Piccola Roma.»

 

Lei si tese sulle punte, schioccandogli un bacio sulla guancia bianca. «A letto papà, forza. Non voglio sentire remore.»

 

E se la filarono, la figlia bastone del padre. Agrippa e Mecenate stettero a guardarli andar via a bocca aperta. Qual'era il trucco di quella ragazzina? Non aveva spizzicato che due paroline!

 

«Agrippa?»

 

«Sì.»

 

«La prossima volta ricordati dell'esistenza della diplomazia

 

 

 

 

 

 

 

Giulia aspettò che suo padre si fosse cambiato. Poi, infilato a letto, gli rimboccò le coperte, affievolendo il bruciore della lucerna. Il signore del mondo cedeva ai colpi del sonno, gli ultimi azzurri spiragli erano destinati a lei.

 

Unicamente a lei.

 

Augusto allungò una mano ad accarezzare quei lineamenti sinuosi, aristocratici, stampo dei suoi. Giulia si crogiolò nell'affetto, nella dolcezza.

 

«Ti voglio bene mia Piccola Roma.» mugolò già trascinato nel reame onirico. Sbadiglio finale e poi... «Canteresti qualcosa al tuo prigioniero?»

 

Giulia si sporse in avanti, lo baciò sulla fronte. «Cosa prediligi papà?»

 

«Quello che tu pare... la tua voce...» Affondò nel cuscino. «Magnifica anche l'orrido... colora... anche... il... buio...»

 

E Giulia cantò. Note calde e vellutate, un dipanarsi melodioso. Continuò anche quando ebbe l'assoluta conferma che suo padre stesse dormendo sonoramente. Solo in sua presenza si sentiva sicura, protetta dall'imbarazzo.

 

Non avrebbe venduto questi momenti per nessuna ragione.

 

 

 

 

 

N.A

I miei deliri su Augusto e la sua bambina (nonché anche sul trio magnificenza composto da lui, Agrippa e Mecenate) sono finalmente giunti! XD. Li adoro, non ci posso fare nulla, e sono fermamente convinta che dietro l'esilio futuro di Giulia ci siano motivazioni più politiche che d'orgoglio leso (coff coff Tiberio coff coff). 

E nulla, alla prossima miei cari!


 

 

 

   
 
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