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Autore: Milly_Sunshine    25/03/2023    0 recensioni
La A+ Series è una sorta di evoluzione distopica della Formula 1, in cui i risultati possono essere condizionati dall'alto per esigenze di spettacolo e in cui i piloti sono stati privati totalmente della loro personalità, al punto da dovere tenere segreto il proprio nome e a non potere mai mostrare il proprio volto, riconoscibili soltanto dal colore della vettura che guidano e dal loro numero di gara, oltre che dagli occhi nei rari momenti in cui vengono immortalati con la visiera del casco aperta. Noto sportivamente come Argento Quattro, Yannick è sempre stato l'eterno secondo ed è ben disposto a piegarsi al volere della dirigenza, se questo può portarlo alla vittoria dell'ambito titolo mondiale contro gli avversari Viola Cinque e Rosso Ventisette. Il suo incontro con Alysse, che con la dirigenza della A+ Series sembra avere un conto in sospeso, gli apre gli occhi, ma le nuove consapevolezze si scontrano duramente con le regole della serie: Argento Quattro e i suoi stessi avversari rischiano di ritrovarsi con le loro stesse vite appese a un filo. // Remake di una mia fan fiction sulla Formula 1 pubblicata anni fa su Wattpad.
Genere: Azione, Mistero, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Tornare a essere Rosso Ventisette fu un flop. In qualifica rimediò soltanto una decima posizione, a causa della quale partì al centro del gruppo in ogni gara, anche quella che prevedeva la reverse grid. A peggiorare la situazione, si ritrovò più volte a battagliare con Blu Ventuno e il miglior risultato del fine settimana fu una misera settima piazza in concomitanza con la gara a griglia invertita. Sulla scia del successo di Sepang - ottenuto da un altro pilota, che secondo le conoscenze del grande pubblico poteva essere sempre lo stesso - non si prese troppi insulti, ma non sarebbe passato molto tempo prima che in tanti iniziassero con le loro accuse.
Nel frattempo i suoi avversari lottavano per quel titolo che ormai sembrava solo un sogno lontano. Peraltro non sarebbe nemmeno stato un vero titolo, ai suoi occhi, qualora l’avesse conquistato, considerati i punti conquistati dal suo sostituto durante l’infortunio, sempre ammesso che si potesse definirlo tale. In più quella parte infinitesimale di fiducia che ancora riponeva nella dirigenza era ufficialmente venuta meno, visto lo stop forzato.
Erano passati molti anni, ormai, ma il monito del primo Argento Tre tornava a riecheggiare nella mente di Rosso Ventisette. Non aveva idea di che fine avesse fatto quel pilota, da un giorno all’altro era stato sostituito da colui che poi era diventato Arancione Otto, proprio poco prima che i rapporti di forza tra scuderie vedessero quella dalle vetture grigio argento risalire tra quelle dominanti. Doveva avere ben oltre i quarant’anni, quando aveva lasciato, specie alla luce del fatto che Ventisette era convinto di sapere quale fosse la sua vera identità.
Era stato un grande visionario, aveva compreso che perfino il pubblico era marcio dentro e stava solo aspettando di potere sfogare il proprio marciume. I vecchi commenti da bar, che in passato duravano per pochi secondi, erano ormai onnipresenti e ridondanti sui social media, in più qualsiasi pilota vi era esposto, mentre in passato quelli di secondo piano si salvavano dall’essere sempre al centro dell’attenzione. Che chiunque rischiasse di essere travolto, lo sapeva bene anche Nero Trentacinque, che nella sprint race con reverse grid, dopo una foratura, si era ritrovato a subire dei doppiaggi e aveva commesso l’errore di non guardare negli specchietti proprio mentre sopraggiungeva Rosso Ventisette. La settima piazza era stata considerata, dal grande pubblico, non il migliore risultato ottenuto sul suolo australiano, quanto piuttosto il segno che, senza Trentacinque, Ventisette avrebbe potuto fare molto di più. Gli erano piovuti addosso insulti a non finire, qualcuno gli aveva addirittura augurato un incidente mortale.
Terminate le competizioni del weekend, Rosso Ventisette sentiva il bisogno di spiegargli che stava dalla sua parte, non certo da quella degli utenti social che l’avevano insultato in tutti i modi. Si mise a cercarlo, mentre i primi tre classificati salivano sul podio. Doveva dirgli che considerava i fanboy che l’avevano pesantemente denigrato solo una massa di cretini.
Lo trovò, poco lontano da Nero Trentasei. Quest’ultimo rivolse a Rosso Ventisette un cenno di saluto, nonostante non avessero molto a che fare l’uno con l’altro. Rosso Ventisette ricambiò con un gesto della mano. Anche se non poteva vedere il suo volto, Nero Trentasei gli parve un po’ deluso, un po’ come se avesse sperato di essere lui il pilota che cercava. Gli dispiacque deluderlo, ma non aveva niente da dirgli. Lo vide comunque consolarsi molto presto, andando a raggiungere Verde Quindici e iniziando con lui una lunga conversazione.
Ventisette, nel frattempo, attirò l’attenzione di Trentasei, che non l’aveva ancora notato e parve stupirsi della sua presenza.
«Cerchi me?»
«Sì, ti disturbo?»
«No, figurati.»
Rosso Ventisette si chiese per un attimo se Nero Trentacinque sapesse che fino alla stagione precedente aveva vestito i suoi colori. Non aveva importanza, quindi si tolse subito dalla mente quei dubbi.
«Hai letto quello che hanno scritto su di te sui social?» volle sapere.
Nero Trentacinque alzò le spalle, con indifferenza.
«Ormai ci ho fatto l’abitudine.»
«Hanno scritto cose orribili» insisté Rosso Ventisette, «E solo perché ti sei ritrovato per caso sulla mia strada. Non lo trovo giusto nei tuoi confronti, volevo che lo sapessi.»
Nero Trentacinque annuì.
«Lo so, ma mi dispiace davvero se ti ho ostacolato. Non ti avevo visto, non stavo proprio guardando negli specchietti... anche se, lo ammetto, non è una cosa che parla proprio a mio favore.»
«Avrai anche sbagliato a non guardare negli specchietti» ribatté Rosso Ventisette, «Ma non è comunque giusto quello che scrivono di te. C’è chi va a sbandierare ai quattro venti il fatto di volerti vedere morto. È assurdo. Uno ha addirittura scritto che si augura che tu possa morire anche per effetto del nuovo regolamento, che così avrebbe finalmente un senso, e...»
«Non lo voglio sapere» replicò Nero Trentacinque. «Ormai non leggo più i commenti degli hater. Dicono che ho trovato un volante come titolare solo perché ho conoscenze importanti, rubando il volante a piloti che se lo meritavano molto più di me. Se la prendono così tanto perché non sanno chi sono, mentre di fatto ho testato vetture della A+ Series per quasi dieci anni, prima di essere promosso a titolare. Ne dicono di tutti i colori su di me... e sai cosa ti dico? Che se davvero dovessi morire come vogliono loro, il lato migliore della morte sarebbe non potere più leggere quello che scriveranno. Perché non ho dubbi: se mai dovessi avere un incidente mortale, diventerei seduta stante il loro idolo e sui loro profili social finirebbero per moltiplicarsi le mie foto come avatar. Mi aggiungerebbero come hashtag nelle descrizioni dei loro profili, #Nero35Forever, sempre nei nostri pensieri.»
Le considerazioni di Nero Trentacinque erano crude, ma maledettamente reali. Non ci sarebbe stato da stupirsi se chi tanto lo denigrava avesse finito per intraprendere proprio quel tipo di strada, in caso di disgrazia.
Rosso Ventisette cercò di rassicurarlo: «Non ci pensare, tanto non morirai.»
Nero Trentacinque rise.
«Lo vorrei sperare, ma non possiamo essere sicuri di nulla.»
«Già, tutto può succedere» convenne Rosso Ventisette, «Ma quello che conta è non essere troppo negativi e disfattisti. È meglio non pensare sempre male. Dobbiamo crederci, sperare di potere avere un buon futuro e ottenere risultati di spessore.»
«Tu, almeno» rispose Nero Trentacinque, con una punta di amarezza. «Dopo nove stagioni come tester mi ritrovo qui, a guidare una carriola con la speranza di raccogliere qualche punto, venendo spesso risucchiato dal gruppo durante le gare con griglia di partenza invertita. Non so quale possa essere il mio futuro, se avrò mai la possibilità di schiodarmi da questo lato della griglia. Eppure per loro sono il raccomandato che ha avuto più di quanto merita. Non hanno nemmeno la più pallida idea di chi io sia, ma si sono fatti le loro fantasie e devono assolutamente continuare a farsele.»
Rosso Ventisette osservò: «Lo vedi, allora? Il problema degli hater ti tocca molto più di quanto tu creda. Dici che non ti interessa che vadano a scrivere che si augurano di vederti morire...»
Nero Trentacinque lo interruppe: «No, davvero, non mi tocca personalmente. Si augurano di vedermi morire in diretta televisiva? Che le immagini vengano proposte e riproposte invece di essere censurate? Questo non mi dà fastidio. Non so perché vogliano vedere morire proprio me, ma è solo una parte del tutto. Il problema è che, se non riversassero il loro odio su di me, sentirebbero comunque la necessità di odiare qualcun altro. Non trovo una spiegazione ragionevole a tutto questo. Va bene, lo accetto, il nostro pubblico non è composto da delle gran cime, ma perché augurarsi di vedere qualcuno morire, per poi trasformarlo nel proprio idolo? Perché è questa la realtà: se qualcuno muore, diventa un eroe. Se lo era già prima, viene bollato come il migliore di sempre. Se era uno qualsiasi, diviene una promessa.»
«Non pensarci» replicò Rosso Ventisette. «Fa schifo tutto, ormai, quindi è normale che faccia schifo anche il pubblico. In ogni caso, se l’idea ti può consolare, anch’io sono stato un tester, in passato. Lo sono stato per qualche anno, prima di essere promosso sulla griglia.»
«Ed eri qui, dove sono io adesso.»
«Mi stavo giusto chiedendo se lo sapessi.»
«Le voci girano più in fretta di quanto tu creda.»
«Quindi sai anche che...» Rosso Ventisette si interruppe. «Niente, lascia stare.»
Nero Trentacinque parve avergli letto nella mente.
«So che non sei stato tu a vincere in Malesia? È questo che volevi chiedermi?»
«Si notava così tanto?»
«Non hai gli occhi così tanto azzurri. E poi, mi sembri un po’ più basso.»
«Il pubblico non se n’è accorto, o almeno non tutti l’hanno fatto» osservò Rosso Ventisette. «Dovrebbe farmi piacere, invece lo trovo agghiacciante. Mi sono preso i meriti di una vittoria non mia, mentre il pilota che mi sostituiva adesso è tornato nell’anonimato.»
«Verde Quindici» borbottò Nero Trentacinque. «Un grande pilota, non lo nego, ma non capisco perché l’abbiano messo al posto tuo.»
«Invece di metterci te?»
«Ma no, cosa dici?»
«Tutti vorrebbero guidare la vettura rossa, è normale che anche tu abbia una simile ambizione. Però, io che ci sono, posso assicurarti che non è così speciale come sembra. Fa pensare alla Ferrari, ma la verità è che la Ferrari, insieme a tutti i marchi storici e non, adesso corre in altre categorie e qui ci siamo noi, numeri e colori senza identità.»
«Comprendo il tuo punto di vista.»
«E io comprendo il tuo.»
«Non ti ho detto il mio punto di vista.»
Rosso Ventisette ridacchiò.
«Sei bravo a cambiare le carte in tavola.»
«Sarà, ma non vedo carte. Vedo solo un Verde Quindici divenuto Rosso Ventisette giusto in tempo per conquistarsi una vittoria storica, facendo infiammare il pubblico, e un povero tester senza nome e senza colore divenuto al contempo Verde Quindici per andare a prendersi, in Sudafrica, un podio che nessuno gli attribuirà mai. Nessuno di noi vedrà mai riconosciuti davvero i propri meriti, qualunque cosa ne pensino i fanboy che adesso mi odiano perché pensano ci siano favoritismi nei miei confronti. Se venissi rimpiazzato da un altro, nemmeno se ne accorgerebbero. Eppure, sono convinti che ci sia stato qualche genere di complotto a mio favore, per farmi avere un volante.» La loro conversazione fu interrotta dall’attivo di Nero Trentasei, di ritorno dopo lo suo scambio di vedute con Quindici. Alla vista del compagno di squadra, Trentacinque si affrettò a concludere: «È stato un piacere parlare con te.»
Nero Trentasei spostò lo sguardo dall’uno all’altro. Doveva essersi reso conto che il loro argomento di conversazione non era stato leggero.
«Di cosa parlavate?» domandò.
«Bada ai fatti tuoi, ragazzino» gli intimò Nero Trentacinque, in tono scherzoso. «Quando sarai adulto, allora ti prenderemo in considerazione!»
Nero Trentasei accennò una risata, poi prese a fissare Rosso Ventisette. Sembrava volesse dirgli qualcosa, ma rinunciò, lasciandolo andare via.
Pochi istanti più tardi, Ventisette si ritrovò a tu per tu con Ventotto, di ritorno dal podio: aveva concluso il Gran Premio d’Australia in terza posizione.
«È già finita la conferenza stampa?» gli chiese.
«No, in realtà deve ancora iniziare» gli spiegò Rosso Ventotto. «Sono venuto via un attimo per andare in bagno, ma devo scappare. Ci vediamo dopo, così mi racconti la tua gara.»
Rosso Ventisette obiettò: «Non c’è molto da raccontare.»
L’altro replicò: «Sei appena tornato da un infortunio, le cose non potranno fare altro che migliorare, in futuro. Il mese prossimo torneremo in Europa. Sono sicuro che là inizierà la tua vera stagione.»
«La stagione è iniziata molto tempo fa.»
«Lo so, ma non potrà sempre andare male. Ora vado, ma dopo ne riparliamo.»
«Sarebbe meglio non riparlarne affatto, ma...»
Ventisette si interruppe. Ormai Ventotto stava già scappando a gambe levate. Non gli restava altro da fare che decidere se voleva rivederlo dopo la conferenza stampa oppure risparmiarsi il supplizio di dovere discutere delle sue peripezie avvenute in quei giorni all’Albert Park.
La seconda opzione lo allettava di più, ma Ventotto era l’unico con cui poteva confidarsi. Rimase quindi ad aspettarlo pazientemente, fintanto che l’altro non tornò. Erano soli, completamente soli, e avrebbe potuto lasciarsi andare e rivelargli quello che era successo davvero. Non si chiese se fosse un rischio da non correre. Non aveva più voglia di fare domande, aveva solo il desiderio di fidarsi di qualcuno, un po’ come molti anni prima Argento Tre aveva fatto con quel “ragazzino” senza nome che sarebbe un giorno diventato Nero Trentacinque e poi Rosso Ventisette.
Spiegò al compagno di squadra che l’infortunio rimediato in Bahrein non era così grave, ma che la dirigenza aveva deciso di non farlo tornare in pista in Sudafrica, adducendo a un referto medico fasullo che attestava la sua non idoneità al rimettersi al volante. Infine aveva ricevuto comunicazione di essere out, per esplicita imposizione, anche per il Gran Premio della Malesia, nel quale il suo sostituto aveva trionfato davanti alle monoposto del colore dell’argento.
Rosso Ventotto ascoltò le sue parole spalancando gli occhi in diverse occasioni. Non parlò finché Ventisette non ebbe finito di raccontare, ma quello che disse fu piuttosto condivisibile.
«Sono delle merde e il CEO è una merda più di tutti gli altri messi insieme!»
«Ti suggerisco di non ripeterlo pubblicamente.»
«Sarebbe da fare.»
«Rischieresti di essere radiato.»
«Non credo. Mi terrebbe al mio posto, per dimostrarsi democratico.»
Rosso Ventisette rifletté.
«Forse sì, magari hai ragione tu. È più probabile essere radiati per avere violato qualcuna delle assurde regole a cui dobbiamo sottostare, piuttosto che per averlo insultato. In ogni caso non ti consiglio di farlo. Mettersi contro di lui spontaneamente non è mai una buona cosa. È meglio concentrarsi e fare attenzione su quello che conta davvero: non andare contro la sua volontà per errore.» Era più di quanto avrebbe dovuto dire a Ventotto, ma ormai sentiva di non potersi fermare. «Una persona a cui tenevo molto ha fatto una brutta fine per una piccola leggerezza. Non voleva andare contro al CEO, non ci pensava neanche lontanamente. L’ha fatto per sbaglio, senza riflettere... e l’ha pagata a caro prezzo.»
Rosso Ventotto parve incuriosito da quella rivelazione.
«Era un pilota?»
«No, era un suo assistente, lavorava per lui alcuni anni fa.»
«Quando dici che l’ha pagata a caro prezzo non intendi dire che sia stato semplicemente licenziato, vero?»
«No.»
«È per quella persona che resti qui?»
La domanda di Ventotto era spiazzante.
«Cosa intendi dire?»
«Conosci lo schifo che c’è in alto e adesso l’hai provato anche sulla tua stessa pelle. Esistono altri campionati. Ti basterebbe rivelare la tua identità per suscitare interesse di categorie di alto livello. I piloti della A+ Series, una volta che se ne staccano, hanno sempre un futuro molto promettente. Però resti qui, non pensi al passaggio in endurance, come fanno i piloti di una certa età, o in Indycar, come ha fatto Santiago Fernandez. Non che Fernandez sia più giovanissimo, ma questo è un altro discorso. Se avesse voluto restare, sarebbe rimasto ancora a lungo. Tornando a te, resti qui perché in qualche modo senti di doverlo a quella persona, vero? Oppure perché cerchi la verità su quello che è accaduto?»
Rosso Ventisette sospirò.
«Penso sia meglio se badi ai fatti tuoi. È una vicenda pericolosa.»
«Lo immaginavo» ammise Rosso Ventotto. «Quella persona è morta?»
«C-cosa...» Ventisette era spiazzato. «Che cazzo stai dicendo?»
«Quella persona è morta» dedusse Ventotto. «Mi dispiace per quello che è successo. Spero che tu possa ottenere quello che speri e senza metterti nei guai. Ci tengo a te.»
«Non sai nemmeno chi sono.»
«Non mi serve sapere che faccia hai per volerti bene. Stanno cercando di renderci sempre meno umani, ma tutto ciò che riescono a fare con me è risvegliare sempre di più i miei sentimenti.»
Ventisette gli strizzò un occhio, cercando di allentare la tensione.
«Non innamorarti di me, però.»
«Non preoccuparti, ti vedo solo come un amico» ribatté Ventotto. «Sei un po’ come il fratello che non ho mai avuto. O la sorella, dato che non posso essere sicuro che tu sia un uomo.»
Rosso Ventisette avrebbe tanto desiderato raccontargli la sua storia, parlargli di Alysse, la sua identità quando si toglieva tuta e casco. Non poteva, non sarebbe stato saggio spingersi così tanto in là. Aveva già parlato abbastanza ed era meglio fermarsi, prima che fosse troppo tardi. Doveva scoprire la verità su Alex, anche se non aveva idea di come fare.

   
 
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