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Autore: Orso Scrive    25/03/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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1.

 

 

Terre occidentali, epoche remote

 

 

Kosumi, lo sciamano, pose il suo piede sulla schiena della figura femminile accovacciata al suolo. Lei lasciò sfuggire un gemito dalle labbra screpolato. Cercò di sollevarsi, puntellandosi sulle braccia malferme. Dai polsi scarnificati sgorgò sangue scuro e ribollente. Non le permise di fare alcun movimento. Premette con forza l’arto avvolto in un mocassino di pelle conciata, strappando un secondo lugubre e doloroso gemito alla donna.

Gli occhi dello sciamano fissarono il corpo della donna.

Nonostante fosse martoriato dalla lunga e accanita lotta, aveva mantenuto intatto il suo fascino. Lividi e tagli non erano bastati a renderlo meno invitate. Era giovane e bella. La sua pelle scura, macchiata di sangue fresco e coagulato, sembrava il vello ipnotico di una pantera, e vi era qualcosa di indefinibile nel suo riflettere la luce, come se avesse avuto in sé qualcosa di un rettile.

Era di certo ammaliante.

Attraente.

Attraente e irresistibile.

Non era difficile capire perché molti uomini, anche i più accorti, fossero stati irretiti dalle sue magie, fino a perdere il senno e la vita. Il suo sguardo, poi, era magico. Vi era l’infinito, in quegli occhi neri screziati di giallo. Persino un uomo saggio come lui faticava a non lasciarsi ingannare, e doveva costringersi a non guardare dentro quello spazio indefinito e punteggiato di stelle.

Quella donna era Skudakumooch, la donna fantasma, la mangiatrice di carne umana.

Era stata una lotta impari e selvaggia. Kosumi aveva dovuto far ricorso a tutte le sue arti, a tutti gli incanti che, di bocca in bocca, erano stati trasmessi di padre in figlio, di madre in figlia, fin dai tempi remotissimi in cui i suoi antenati avevano abbandonato Aztlan, la terra sacra situata a oriente, annientata dal diluvio.

Aveva messo in gioco tutto, persino la sua stessa vita, per poterci riuscire. Le montagne avevano tremato, i deserti si erano propagati in tutte le direzioni, i giaguari avevano lasciato le loro tane e le stelle avevano mutato il loro corso. Il sole stesso, indignato da un uso così spropositato delle più arcane arti, si era fatto fosco e nero per parecchi giorni. Ma, alla fine, Kosumi era riuscito a catturare Skudakumooch, ad atterrarla dinanzi ai propri piedi e a renderla impotente.

Impotente negli atti, magari.

Non certo nelle parole e nella capacità di poter ancora risollevarsi e vincere.

«Vieni tra le mia braccia, sciamano», lo chiamò lei, cercando di lusingarlo. «Abbandonati a me e facciamo l’amore. Non te ne pentirai.»

La voce della strega era delicata, calda e avvolgente. Rassomigliava all’aria delle montagne in una mattina d’estate, tiepida e frizzante, carica di promesse e di tentazioni. Una voce irresistibile.

Kosumi si fece forza, cercando di resistere a quell’invito a cui nessun altro sarebbe riuscito a sottrarsi. Perché c’era qualcosa, in lei, una vibrazione misteriosa che avrebbe piegato anche il più saggio degli uomini. Lo avrebbe piegato condannandolo a morte certa.

«Padri, antenati, datemi la forza di non cedere adesso», pregò Kosumi a mezza voce.

Il suo popolo, a causa di quella piaga, era stato quasi annientato. La strega era apparsa in un giorno funesto di un anno prima e, da quel momento, aveva compiuto vere e proprie stragi. Nessuno ne era stato risparmiato: uomini, donne, fanciulli, persino le bestie erano state ingannate dalle sue lusinghe e attirate nella trappola della morte più atroce.

Lui aveva giurato di salvarlo prima che fosse troppo tardi, e aveva adempiuto al suo voto. Anche se questo aveva significato compiere enormi sacrifici. Un anno di lotta contro la strega aveva invecchiato Kosumi come se fosse trascorso un intero secolo. Ora, pur se debole e stanco, con le membra affaticate e il volto rugoso come quello di un vecchio centenario, aveva quasi portato a termine il suo compito, e non poteva permettersi di compiere un passo falso.

«Grande Spirito di Aztlan, signore delle terre e delle acque, vienimi in aiuto!» invocò.

La strega, affondando le dita nella terra rossiccia del deserto, si contorse quel tanto che le bastò a guardarlo in volto.

«Non puoi sconfiggermi!» gridò, questa volta con una voce carica d’odio. «Io sono immortale!»

In quel momento, un’energia possente si impadronì del piede di Kosumi e lo spinse via dal corpo della donna. Sbilanciato, lo sciamano perse l’equilibrio e cadde di lato, rotolando nella sabbia e tra le poche erbe rinsecchite che avevano osato sfidare la natura affondando le loro radici in quelle terre brulle e riarse. Nuvolette rossastre si levarono dal suolo.

Skudakumooch balzò in piedi, ancora potentissima. I suoi capelli neri si sollevarono, mossi da uno sbuffo d’aria ribollente. Le sue vesti di pelle, stracciate e logore, fluttuarono attorno al suo corpo meraviglioso e perfetto.

«Nessuno può vincermi, sciocco uomo!» gridò la strega. «E adesso mi ciberò delle tue carni!»

Kosumi sostenne lo sguardo della megera, sentendosi fiero di se stesso. Aveva combattuto e, anche se era stato sconfitto nella sua battaglia, non aveva ceduto. Era rimasto fedele agli insegnamenti dei suoi padri. Un degno guerriero di Aztlan.

Si udì un grido. Il verso di un immane uccello rapace bianco e marrone, che scese in picchiata dal cielo e impattò contro la strega. La donna gridò e agitò le braccia nel tentativo di scacciarlo, mentre il volatile le affondò gli artigli acuminati nel viso e, con il rostro duro come la pietra e affilato come la lama di un pugnale, le cavò gli occhi con un unico colpo preciso.

Kosumi comprese. Il Grande Spirito di Aztlan in persona era venuto in suo aiuto. Si era incarnato nella sua forma di uccello ed era disceso dal cielo per aiutare il suo fedele servitore nella lotta mortale contro la donna maledetta.

Una nuova energia lo riempì. Una forza soprannaturale si infuse nel suo corpo, dandogli un vigore rinnovato. Kosumi cessò di essere un vecchio stanco e tornò a essere il giovane sciamano che aveva giurato di annientare per sempre la velenosa maledizione della donna fantasma.

Di nuovo, lo sciamano fu in piedi. Dalla bisaccia che portava legata al collo trasse un piccolo vaso di terracotta, che depose sopra una pietra. Tolse il coperchio e cominciò a recitare una formula magica, ricorrendo all’antico dialetto della terra dei suoi padri. Una lingua nobile che, da tempo immemore, non era più risuonata nel mondo. Parole arcane, che erano sopravvissute al tempo, incise nella pietra immortale delle gole sacre, dove Kosumi aveva potuto leggerle e apprenderle.

Le sue parole fecero vibrare l’aria. Il cielo si oscurò e mulinelli di sabbia volteggiarono tutto attorno. Lampi e fulmini esplosero in tutte le direzioni, scaricandosi nel terreno e facendolo rombare e tremare come se fosse in corso un terremoto.

Skudakumooch, ricoperta di sangue, accecata e impegnata ancora nella lotta contro l’uccello-dio, non poté fare nulla per fermarlo. Stremata dai colpi reiterati dell’uccello, la donna crollò sul terreno e si rannicchiò su se stessa, tremebonda, mentre il rapace continuava a inferire su di lei, strappandole lembi di pelle e di carne dal corpo ormai straziato. Sul suo viso ricoperto di sangue, per la prima volta apparve una smorfia di dolore.

Di dolore e di terrore.

Impassibile di fronte a quella scena che in altre circostanze sarebbe stata pietosa, lo sciamano continuò a recitare la formula. Andò avanti imperterrito, infilando le parole una dietro l’altra.

La sabbia prese vita. Mucchi di terriccio rotolarono verso la donna, avvolgendola completamente. Lei gridò più forte, mentre i granelli la ricoprivano. L’uccello, dopo aver inferto un ultimo colpo di becco per squarciarle il petto, si alzò in volo. Stridette con ardore, compiendo un paio di cerchi sopra la strega, poi si innalzò nel cielo fino a scomparire nel riverbero del sole, che si era fatto livido.

Le parole di Kosumi accompagnarono la sabbia, che continuò a premere contro il corpo martoriato della strega. Dapprincipio, fu una sagoma umana ricoperta di granelli rossi di sangue, che si muoveva sempre più piano nel vano tentativo di liberarsi. Poi soltanto una massa ruvida e dorata, che si agitava con estrema debolezza.

Infine, solo sabbia immobile.

Lo sciamano smise di urlare la formula e il vento si placò in quello stesso istante. Il cielo riprese il suo colore azzurro e i raggi del sole illuminarono la sabbia in cui si era tramutata la strega.

«Raccoglierò questi empi resti nel mio vaso», annunciò lo sciamano, sollevando lo sguardo verso il sole, «e li celerò in un profondo budello sotterraneo, perché la maledizione di Skudakumooch non dovrà mai rinascere sulla terra.»

Ansimando, si apprestò a compiere l’ultima parte del suo compito.

Il sole, ripreso il suo colore solito, brillò su di lui, volto immortale del grande dio di Aztlan.

 
   
 
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