Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: ElenoraBumBum    26/03/2023    0 recensioni
Completamente esasperato da tutto, sospiro: «Prima o poi me ne andrò da qui». Ne sono certo, mi lascerò questa vita assurda alle spalle e troverò qualcosa di meglio. Una casa migliore, un lavoro migliore, magari pure qualcuno con cui condividere la mia nuova vita. Qualcuno che scelga di stare con me, non che venga obbligato. Qualcuno che io possa veramente considerare famiglia.
«E perché?»
«Ma come perché? Dammi un solo buon motivo per restare». E ce l’avrei pure, ce l’ho davanti e occupa tutto il mio campo visivo visto che è gigante quanto il massiccio del Monte Bianco, ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile gestirlo e a volte la spina va staccata. Anche se non sembra, ce l’ho ancora un po’ di amor proprio.
Neanche mi avesse letto nel pensiero, sorride e sussurra: «Dalle altre parti non ci sono io».
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1 – Alieno

 
Mi farò bullizzare? Assolutamente sì. Mi farò bullizzare da mamma perché ho preso di nascosto le sue cose? Assolutamente sì. Mi farò bullizzare da Eli perché sono decisamente più bravo di lei a usare tutta questa mercanzia di roba? Assolutamente sì. Si prospetta una giornata fantastica.
Mi guardo soddisfatto le mani, poi alzo lo sguardo e mi ritrovo a osservare il mio riflesso allo specchio. Ok, no, direi decisamente troppo. Prima mi sembrava una buona idea, ora pare di essermi scritto “prendetemi a calci” sulla fronte. Finirei con la faccia nel cesso, mi farei trovare mezzo annegato nel piscio da Elisa, il mio datore di lavoro –nonché suo padre– prenderebbe le difese dei miei aguzzini perché non ero “consono a un ambiente lavorativo” e diventerei –oltre che lo zimbello del paese– un caso mediatico, da una parte per la libertà di espressione e dall’altra per l’estinzione della specie umana, visto che stanno diventando tutti quanti omosessuali. Che vita di merda.
Stando meticolosamente attento a non rovinare lo smalto azzurro sulle dita, prendo un dischetto di cotone, ci verso su un po’ troppo struccante e levo mascara e matita da sotto i miei occhi castani. Oggi farò il modesto e lascerò nascoste le mie doti da make-up artist, mi limiterò a cercare gli orecchini più vistosi che ho nella scatola del ciarpame gay. Per quanto riguarda domani, non posso ancora fare promesse.
Esco dal bagno e mi rifugio subito in camera, nascondendo il beauty case nel cassetto della scrivania. Insomma, cancelleria per la faccia, cancelleria per la carta, è tutto uguale. Prendo la camicia gentilmente e segretamente offerta da Clara e me la metto addosso. Fortuna vuole che le piacciano le robe oversize, altrimenti col cavolo che mi sarebbe stata. Tra le tante maledizioni che Dio mi ha mandato in questa esistenza, anche una sorellona minuta che pesa venti chili bagnata. Io non so. Ravano un po’ tra gli orecchini vagamente maschili, ma, alla fine, scelgo quelli più sobri che Cla ha smesso di usare, con quella pietrina azzurra che fa pendant con lo smalto perché ci tengo a far bella figura. Apro la porta dell’armadio e mi guardo di nuovo allo specchio. Quando mamma Emanuela e papà Michele hanno battezzato un Gianluca, di certo non si sarebbero aspettati che proprio quel Gianluca avrebbe usato più i vestiti della sorella che i suoi. E che avrebbe lasciato scuola calcio dopo metà allenamento. E che si sarebbe categoricamente rifiutato di studiare almeno sei anni ed entrare nello studio odontoiatrico di famiglia per andare a lavorare come venditore di vini nell’enoteca del paese. No, no, no. Invece, si sono beccati questo Gianluca, un po’ stronzetto ingrato che ha buttato vent’anni di educazione fervidamente cattolica proprio lì, nel bidone dell’indifferenziato e si presenterà a colazione con le dita smaltate e vestito essenzialmente da donna. Ma soprattutto, senza il benché minimo rimorso.
Gonfio il petto di orgoglio, esco dalla camera e, con un’incredibile nonchalance, scendo in cucina. «Buongiorno» affermo, raggiante, ricevendo come risposta il più arido dei deserti affettivi. Papà rintanato dietro alla Gazzetta dello Sport, mamma a montare la caffettiera. Dio, tirami fuori da questo spot pubblicitario anni Cinquanta. Sospiro e mi lascio cadere sulla sedia. Tanta fatica per ribellarsi e uno si ritrova i genitori ancora nella fase di negazione. Queste sono le delusioni che un figlio deve aspettarsi quando nasce.
«Oh, mio…!» squittisce Cla, da dietro. «Ma quella è…!» continua. Mi volto serafico verso di lei, sorridendo naturalmente alla figlia prediletta e trovandola livida di furia. Ok, ok, forse avrei dovuto chiedere la camicia in prestito.
«Come mi sta?» domando, sperando che in quei venti chili non ci siano venticinque anni di rabbia repressa. Sibila un sospiro arrabbiato e mi fa un terzo dito, per poi alzarmi un pollice di muta approvazione, un po’ sottobanco, perché mica vuole pubblicamente schierarsi con la rovina della famiglia. Come biasimarla, poverina. Ally appassionata che mi ha accompagnato alla mia prima parata, guidando per due ore e scatenandosi sulle note di Raffaella Carrà, si è poi tramutata in una statua di cera, mi ha accuratamente rimosso ogni singolo glitter dai capelli e mi ha sussurrato un disilluso “avrai una vita di inferno, Gianlu”. Quanta verità in sei parole. 
Le sorrido soddisfatto, poi mi volto verso papà, che abbassa lentamente il giornale e mi guarda, sgranando gli occhi dietro le sue lenti spesse come quelle di un fondo di bottiglia. Sta a vedere che tra qualche anno me lo dovrò beccare io il papà ottantenne ciecato e pure omofobo.
«Tu non puoi uscire di casa conciato così» asserisce, atono, squadrandomi dall’alto in basso.
«E perché no?» ribatto.
«E…? E perché no!?» sibila.
«Eh? Che c’è di male?»
«Gianluca, per Dio…» esala, passandosi una mano nei capelli ormai brizzolati. Papà, ma cosa ti metti a ingravidare tua moglie così tardi? «È… è… è tutto sbagliato…». Perfetto, ottimo, grazie per il supporto morale.
Mamma, attirata dall’usuale battibecco sulle mie personali scelte estetiche, si volta e si poggia in anticipo al bancone di marmo della cucina. Il calo di zuccheri alle otto del mattino non è mai una bella cosa. «Gianlu…» inizia. «…almeno provaci…»
«A fare che?»
«A… sembrare… non dico, eh…»
«Tu non dici mai, ma capisco che intendi…» brontolo.
«Mamma propone…» interviene papà, grattandosi il mento.
«Mamma –insieme a te– propone sempre la solita manfrina.» affermo, deciso. «“Gianlu, vestiti da uomo”, “Gianlu, tagliati i capelli”, “Gianlu, lascia perdere gli orecchini”… Gianlu non vuole fare niente di tutto ciò.»
«Hai pure lo smalto! Guarda come ti conci! E mi vieni a dire di essere più aperto, più collaborativo! Ai miei tempi…!» sbotta, tutto rosso in faccia.
«Ai tuoi tempi, papà, si girava con le bighe, non farmi sto discorso, per favore!» lo interrompo. «Mi avete seppellito? No. Mi avete soccorso dopo che qualche cretino mi ha quasi ammazzato di botte? No. Mi avete spedito dritto dritto da uno psicologo per i traumi da ragazzino gay bullizzato? No. O, meglio, mi ci avete spedito per farmi tornare normale, sia mai il figlio finocchio che porta vergogna sulla famiglia. Ciononostante, tutta questa fantasmagorica avventura prova che anche la signora Teresa che ha visto i dinosauri estinguersi riesce a farsi una ragione che a me piace il cazzo e mettermi le camicie di Clara e che in questo paesello congelato agli anni Sessanta, ci si prova a guardare e a passare oltre le mere apparenze estetiche, ma voi proprio no. Fermi a sta mentalità che la cosa più femminile che l’ometto di casa si debba mettere addosso sia il dorato orologio pataccone della comunione.»
«Ancora con sta mentalità, Gianlu…»
«E allora, che cavolo c’è di così tremendo se mi metto dello smalto sulle unghie? Ma che ti cambia a te?»
«Mi cambia… mi c-cambia…» balbetta.
«Su, papà, di’ le cose come stanno: non ti cambia un bel cazzo di niente. Ma ti piace sfracassarmi i maroni sulle piccolezze, perché sulle cose importanti me li hai già sfracassati abbastanza.»
«Ma che sfracassato è sfracassato!»
«Cos’hai fatto in tutti questi anni? Niente, se non reiterare all’infinito la storia di Adamo ed Eva, di Giuseppe e Maria e di chissà quale pallosa coppia eterosessuale biblica per giustificare la tua insensata omofobia!»
«E che ti aspettavi? Cosa volevi che ti dicessi? Che fai bene a fare quello che fai? Che vai bene così come sei? È già un regalo che tu non sia fuori di qui, da tanti anni!» esclama furente, terminando con un’espressione sbigottita dalle sue stesse parole e un silenzio tombale in questa cucina rustica in legno massello.
«Oh, wow, grazie mille.» mormoro, ridacchiando nervoso. «Vuoi anche un applauso? Una pacca sulla spalla? Una tazza con su scritto “papà migliore del mondo”?» continuo, alzandomi dalla sedia. «No, perché di regali me ne hai fatti così tanti che dovrei ricambiare, no?»
«Gianlu, io…»
«No, Gianlu un cazzo e tu un cazzo.» ringhio, secco. «A posto così, la tua parte di padre comprensivo e amorevole anche oggi l’hai fatta. Ognuno continui con la sua vita di merda, che tanto siamo tutti contenti così.» concludo, afferrando le chiavi di casa e quelle dello scooter e uscendo di casa. 
E manco il tempo di chiudermi la porta dietro le spalle, che mi vibra il telefono. “Sai che non voleva dire così”, scrive mamma. E quando mai vuole dire così, ma tanto lo dice sempre.
Monto sulla sella della mia vecchia vespa e appoggio la fronte sul quadro, chiudendo gli occhi per qualche secondo, poi sospiro, mi infilo il casco e parto. Leviamo le tende, ora, che sono ancora in tempo. Al dare precedenza, mi si mette davanti Enzo, che sembra volersela prendere molto con calma. Infatti, decide di mettersi in mezzo alla corsia, a una velocità ridicola per qualsiasi essere umano automunito.
Scanso una buca e ringhio un’ennesima bestemmia tra i denti. Caro signor Enzo, io capisco bene che la sua Panda dell’anteguerra non riesca a fare più dei trenta chilometri orari, ma almeno si metta a destra, così riesco a superarla. Non posso nemmeno mettermi un attimo nell’altra corsia, visto che è piena di gente che evacua questo ridente paesino per andare a lavorare nella città vicina. Nella nostra carreggiata, invece, ci siamo solo io, lo stronzo che invece di bere vino dalla mattina alla sera, lo vende e il signor Enzo, che non so quali siano i suoi scopi: andare al bar per un caffè e una briscolata, oppure nel campo di Rico a distrarlo dal lavoro e a fare qualche interessantissimo discorso nostalgico dei bei tempi andati. 
Superiamo la prima cascina a sinistra, quella di Ciruzzo e Marinella. Il confine tra un barlume di civiltà profondamente italiana e paesana e il nulla più totale. Mucche e campi. Enzo e un particolarmente scazzato io entriamo in paese, mi dimentico puntualmente del dosso artificiale e poco ci manca che ci rimetta i gioielli di famiglia. Non che sarebbe una cosa negativa, almeno quelle brutte teste di minchia dei miei avrebbero due figlie femmine e non mi sfracasserebbero più i coglioni. Passiamo, poi, davanti al cantiere finito di una villa nuova di zecca, che col suo stile moderno stona un po’. Nonostante la felicità per non vedere più accrocchi di lavori vari e strade deviate, faccio ugualmente una smorfia scocciata. Ecco qualche altro turista che dopo aver passato un pomeriggio in questo bucolico paradiso, ha deciso di comprarsi una casa vacanze qui, salvo rendersi conto a bonifico fatto che questo è un posto desertico e depresso e si accontentano di passarci uno o due giorni all’anno. Dopo aver speso dieci anni di stipendio, ma questi sono cazzi loro.
Appena arriviamo in piazza, dal tavolino del bar sento un “Gianni” urlato a pieni polmoni, mi volto accigliato e trovo Teresa sbracciarsi come una forsennata e attirare l’attenzione di Ernesto e Gigi. Oh, fantastico, ci mancava l’allegra combriccola. Giro a destra –mannaggia a me­ e alla mia gentilezza– e accosto davanti a loro.
«Hey» mormoro, forzando un sorriso. Oggi non ne ho per nessuno. Tra gli attriti coi miei e i dieci chilometri ai trenta all’ora, voglio solo sotterrarmi. Dentro una bara. Con una lapide commemorativa sbrilluccicosa, perché col cavolo che mi faccio seppellire da etero.
«We, Gianni, com’è?» mi chiede Teresa.
«Si tira avanti» rispondo.
«Stai andando a lavorare?»
«Come tutte le mattine, Teresa»
«Eh, bravo, così poi hai i soldi per metter su famiglia!» esclama Gigi, intromettendosi a gamba tesa nella conversione. Ma che cavolo. Ora mi viene spontaneo chiedermi: ma non si vede? Non l’ho già detto abbastanza volte? Mi piace il cazzo. Già le probabilità che io finisca a letto con una donna sono pari a zero, i figli sono assolutamente fuori questione. Proprio che l’idea di fare dei mocciosi che renderebbero la mia vita anche peggio di quella che è ora mi fa rivoltare le budella. La mia massima aspirazione è fare una barca di soldi, andarmene in un posto in cui grindr ha motivo di esistere e farmi sbattere come un uovo da, che ne so, un banchiere, o un personal trainer. 
«Improbabile» concludo, alla veloce. «Buona giornata!» saluto, con un fulmineo gesto della mano, ripartendo con brio. Via di qui, subito. Prima di girare a sinistra, però, do un’occhiata allo specchietto tutto storto e noto Ernesto tirare uno scappellotto a Gigi e fare un cenno della testa verso di me, con tanto di gesto dell’orecchio bello esplicito. Stringo le mani attorno alle manopole della moto per evitare di fare un doppio terzo dito ai vecchietti, che son sicuro imbastirebbero un tribunale dell’inquisizione di tutto punto per un oltraggio del genere. Perché son tutti in prima linea quando c’è da darle al ricchione, ma scandalo se qualcuno prova a dirgli qualcosa. Sospiro, roteo gli occhi al cielo e svolto, lasciandomi alle spalle l’ennesima incazzatura della giornata. E sono solo le otto e mezza. 
Lancio un’occhiata alla lancetta della benzina, poi mi soffermo un millisecondo sulla scritta ET sul quadro e sospiro. Anche il mio motorino viene da un altro pianeta. E forse, pure lui si sente un alieno su questa Terra.

*

 

Buongiorno, 

Sono tornata a riempire i server di efp con i miei deliri.

Due piccole info di servizio:

-) Questa storia sarà più breve e leggera delle altre sul mio profilo.

-) Ho già scritto qualche capitolo, quindi finché ho quelli solo da rivedere, pubblicherò il lunedì e il giovedì. Quando dovrò scriverli, invece, penso solo il lunedì o comunque quando riesco a convincermi che quello che ho partorito non sia solo spazzatura. 🤡

Grazie in anticipo a chiunque darà fiducia a questi scritti un po' dubbi. 🥰

A presto ❤️


 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: ElenoraBumBum