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Autore: Chiara PuroLuce    27/03/2023    5 recensioni
Patty ha preso una decisione importante e non intende tornare sui suoi passi. Holly l'ha fatta troppo soffrire e l'ha delusa. Ma proprio questo dolore assoluto, la porta a rinascere proprio lì dov'era nato il loro amore, a Nankatzu, lontano da lui. E quando pensava di essere andata oltre, lui ricompare nella sua vita e...
Holly non riesce a crederci. Patty è riuscita a sconvolgerlo e ora non gli rimane che rimettere insieme i pezzi della sua vita. Come fare? Non lo sa, ma deve almeno provarci. E proprio quando crede di esserci riuscito, ecco che il destino si mette in mezzo e...
Due cuori che sembravano destinati al per sempre, sono in crisi, ma non tutto è perduto... o forse è già troppo tardi? Dicono che il tempo è la miglior medicina, ma sarà vero? Possono due anime ritrovarsi dopo essersi perdute per tanto tempo? Il dolore ha scandito le loro vite in modi diversi, ma riusciranno a superarlo e a rimettersi in... gioco? L'amore vero è davvero così potente da superare anni di silenzio e lontananza? Patty e Holly ancora non lo sanno, ma stanno per scoprirlo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Barcellona, Spagna.
 
«Hutton, Hutton, da questa parte.»

Giornalisti, giornalisti e ancora giornalisti. Sanguisughe non degne del suo tempo. Ignorò i continui richiami e si infilò nell’auto che lo stava aspettando. Quella mattina aveva un appuntamento importante e non poteva perdere tempo con loro.
Non gli importava di essere stanco e di non avere praticamente dormito dopo i festeggiamenti notturni con i suoi compagni di squadra del Barcellona. Avevano vinto il campionato invernale e quasi tutti si erano precipitati in un club esclusivo a bere, mangiare e, soprattutto, a ballare con molte belle e disponibili ragazze. Aveva dovuto declinare diverse offerte sfacciate, ma non era da lui e, a dirla tutta, si sentiva in imbarazzo. Il suo cuore era ancora occupato, anche se... E così aveva lasciato i compagni al club ed era rincasato, da solo. Mancavano poche ore e poi la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Di nuovo. Cazzo, non ci voleva. Non era pronto. Non lo sarebbe mai stato. 
L’autista di fermò proprio sotto la scalinata del tribunale. Scalinata che lui percorse senza fretta, fino a raggiungere il suo avvocato che l’aspettava accigliato.

 
«Per fortuna è arrivato. Non mi sarebbe piaciuto entrare in aula senza di lei. Forza, il nostro caso verrà dibattuto tra dieci minuti» gli disse mentre le conduceva attraverso i corridoi affollati.

Arrivarono in perfetto orario. L’udienza era prevista per le 9.25 e il tribunale fremeva di attività. Oliver guardò il bancone di fianco al suo. Lei… dov’era? Perché c’era solo il suo avvocato?
 
«Tutti in piedi, entra la corte» tuonò la voce del cancelliere. «Caso numero AB5300E. Causa Civile. Hutton contro Hutton» disse poi rivolto al giudice.

Oliver notò che l’uomo anziano e corpulento che avrebbe deciso il suo destino, lanciò un’occhiata a lui e poi al banco vicino, dove si soffermò alzando un sopracciglio.
 
«Avvocato Mendoza, potrebbe spiegare alla corte dove si trova la sua assistita? Si è dimenticata dell’udienza, forse? Spero per lei che abbia un motivo valido per la sua assenza» gli chiese con fare perentorio.

Ecco, bravo, dov’era? Sarebbe piaciuto saperlo anche a lui.
 
«Giudice Ortega, la mia assistita Patricia Gatsby coniugata Hutton ha demandato a me di fare le sue veci. Posso conferire con lei al banco? La mia assistita non desidera che il convenuto Hutton Oliver sappia la ragione della sua assenza che, le posso assicurare, è più che legittima.»

Che cooosaaa? Inaudito. Fece cenno al suo avvocato di controbattere.
 
«Signor Giudice» iniziò subito quello «ritengo questo atteggiamento ingiusto nei riguardi del mio assistito e della corte stessa da Lei presieduta. Ritengo inoltre, e lei converrà con me, che…»

«Silenzio» fu zittito dal Giudice stesso «io non devo convenire proprio un bel niente con lei, avvocato Ruiz. Questa è la mia aula e decido io cosa ammettere e cosa no. Non lei. Permesso accordato, avvocato Mendoza. Prego, si avvicini.»

E quello lo fece. Holly notò gli sguardi del Giudice Ortega mentre ascoltava assorto le motivazioni che quel tale, Mendoza, gli forniva sull’assenza di sua moglie. Quel tizio gli aveva allungato un foglio che fu subito preso in esame e letto. Cosa aveva tenuto lontano sua moglie dall’aula di tribunale? Cos’era tutto quel mistero. Ehi, un momento… cosa? Moglie? Ex. Ex moglie, si corresse, perché di lì a poco tale sarebbe stata. Dannazione. Poteva ancora impedire tutto ciò, ma aveva promesso, aveva dato la sua parola e… dannazione!
Pochi minuti dopo l’avvocato di Patty era tornato al posto e il Giudice gli aveva dato la parola.

 
«Avvocato Mendoza, esponga le richieste della controparte.»

«Grazie, signor Giudice. La mia assistita, Patricia Gatsby coniugata Hutton, chiede il divorzio dal marito Oliver Hutton e non desidera ricevere alcun tipo di assegno divorzile a suo favore da parte della parte avversa. Richiede inoltre un provvedimento per impedire al signor Hutton di avvicinarla in futuro, pena una denuncia penale per reato di stalking. Infine, richiede con effetto immediato la rimozione delle sue foto – con o senza il marito a fianco – da internet. È suo espresso desiderio che il suo nome e il suo volto non vengano mai più associati a quello del signor Hutton, pena una denuncia penale per violazione della privacy.»

Che cooosaaa? Ma era impazzita?
 
«Ma è ridicolo!» Sbottò lui. «Signor Giudice…»

«Silenzio in aula! Signor Hutton non una parola di più. Non le ho dato il permesso di parlare.»

«Me lo prendo da solo. Sono richieste assurde!» Urlò ancora lui sbattendo i palmi sulla scrivania. «Mi piacerebbe sapere perché la mia prossima ex moglie non è qui a controbattere come una persona normale farebbe.»

«Avvocato Ruiz, calmi il suo cliente o mi vedo costretto a trattenerlo nelle nostre celle per una notte con conseguente multa salatissima per poterne uscire domani mattina.»

«Io sono Oliver Hutton, il numero 10 del Barcellona, dannazione. Non accetto di essere trattato così.»

«E io sono il Giudice Alvaro Ortega» ribatté quello con durezza «e lei sta tirando troppo la corda signor Hutton. Questa, le ripeto, è la mia aula, mia! Sono stato chiaro? Lei potrebbe essere anche il Papa, ma qui dentro anche lui sarebbe un normale cittadino e verrebbe trattato da tale, quindi, si rassegni a essere ripreso e zittito se lo ritengo necessario. Non sto scherzando Hutton, o tace o davvero la faccio sbattere in cella per insubordinazione alla corte, ovvero a me» decretò. Poi si rivolse al suo avvocato. «Avvocato Ruiz, non glielo ripeto più, faccia capire al suo cliente che questo non è uno stadio o multo anche lei senza problemi.»

Holly si calmò a fatica. Patty doveva essere impazzita. Erano richieste inaccettabili. Pochi minuti dopo il Giudice Ortega si espresse.
 
«Dichiaro l’assenza della parte accusante, legittima» disse con voce tonante. «Tutte le richieste della convenuta vengono accettate. La parte lesa non verrà informata delle motivazioni che concernono la sua assenza in aula stamattina, in quanto personali e non utili ai fini giudiziari. La signora Hutton non riceverà nulla in denaro dal marito. Marito che si asterrà dall’avvicinarsi a lei in un raggio di chilometri cento, che potrà essere esteso a discrezione di questa corte. Le foto che la vedono protagonista in rete e il suo nome dovranno essere rimossi a partire da adesso ed entro la settimana da qualsiasi social e qualsiasi tipo di blog, sportivo o meno; pena la reclusione dell’accusante per reato di lesione alla di lei immagine. Nominerò un team informatico che controlli l’effettiva cancellazione e che monitori la situazione in un tempo a mia discrezione. Qual ora uno o entrambi questi divieti vengano altresì ignorati e perpetrati, alla signora Hutton verrà assegnato un indennizzo pari a euro diecimila per ogni violazione riscontrata che sarà interamente a carico del signor Hutton. Dichiaro altresì il divorzio tra il signor Hutton Oliver e la signora Hutton Patricia, effettivo a partire da questo momento. La corte si ritira.»

Il Giudice Ortega vibrò con decisione il suo martelletto e poi uscì lanciandogli un occhiata truce. E il suo matrimonio con Patricia Gatsby finì.
Era successo tutto così in fretta che ancora stentava a crederci. Non doveva andare così, proprio no. Eppure… eccolo lì in tribunale. Fresco di divorzio.

 
«Si può impugnare la sentenza?» Chiese all’avvocato.

«No. Per quanto assurda, deve essere rispettata» rispose quello mentre riponeva tutti i documenti nella valigetta.

«Ma andiamo, non può… io non ho fatto nulla per meritarmi tutto questo. Cento chilometri? Centooo? Ma si rende conto che è impossibile? Io sono un calciatore, non sto mai troppo a lungo in un posto. E come faccio a sapere dove si trova lei senza rischiare le manette visto che viviamo entrambi a Barcellona? E la storia delle foto? Siamo sicuri che Patty non è ricoverata in qualche istituto psichiatrico?»

Sapeva che era una cattiveria da dire, ma a questo punto tutto era possibile. Patty doveva per forza essere impazzita. Possibile che quella fosse la sua vendetta tardiva per…
 
«Signor Hutton, le conviene attenersi alla decisione del Giudice. È un consiglio che le do’ e spero vivamente che sia abbastanza intelligente da seguirlo.»

«Assurdo. Voglio, anzi no, esigo una revisione del processo.»

«Non sia ridicolo e non faccia casini. Se qualcuno dovesse scoprire questa storia del divorzio – che finora siamo riusciti a tenere segreta per un qualche miracolo, visto la sua fama – e degli accordi violati, potrebbe mettersi male anche per la sua carriera e conseguente popolarità.»

Non riusciva a crederci. Perché Patty gli aveva fatto quello? Doveva parlarle. Dal vivo o al telefono, non gli importava, ma doveva sentire dalla sua voce e capire. Altro che impedirgli di vederla e parlarci.
Ma come poteva fare per non farsi beccare? Subito guardò il banco accanto e scorse l’avvocato che stava sistemando velocemente i fogli nella ventiquattr’ore.

 
«Ehi, lei, avvocato Mendoza, giusto? Si fermi. Ehi!» Lo chiamò. Ma quello, veloce come un leopardo, era già uscito dall’aula.

«Cosa mi aveva detto la prima volta che l’ho vista?» Continuò l’avvocato Ruiz riportando la sua attenzione a lui. «Ah, sì. Che sarebbe stata una passeggiata. Che sua moglie non avrebbe avanzato richieste di nessun tipo e che il processo era solo una mera formalità. Giusto? Ho visto.» E poi uscì.

Dannazione, dannazione, dannazione. Questa me la paghi, Patty.
 
 
 



Nankatzu, Giappone.
 
Pioveva a dirotto, come nel suo cuore. Spezzato. Morto. Morto e sepolto. Lei non lo possedeva più, un cuore.
Patty strinse il gambo della rosa bianca che teneva in mano e alzò lo sguardo al cielo. Pioggia e lacrime si mischiavano sul suo viso, ma a lei non importava. Nulla aveva più importanza.

 
«Signora, mi perdoni, rispetto il suo dolore, ma rischia di prendersi un raffreddore se rimane ancora sotto questo diluvio senza ombrello. Venga a ripararsi sotto il pergolato.»

«Signorina» mormorò lei in risposta allo sconosciuto «sono signorina.»

«Em, sì, mi scuso per l’errore. Signorina, mi segua, per favore. Se persiste a rimanere qua potrebbe ammalarsi seriamente.»

«E sarebbe così brutto? Dopotutto, non ho più nulla da perdere, nulla per cui combattere, nulla per cui vivere.»

Per fortuna l’anziano uomo non replicò, limitandosi a coprirle il capo con un ombrello e ad aspettare che lei depositasse la rosa sul freddo marmo verticale, poi la scortò verso l’uscita del cimitero.
Cos’avrebbe fatto ora? Che senso aveva la sua vita futura? Più ci pensava e più il vuoto del suo cuore le invadeva lo spirito e vedeva solo un enorme buco nero.
Quella che le era capitata era una disgrazia immane che era andata a sommarsi alla già disperata situazione che viveva da mesi. Sola, marchiata come bugiarda, umiliata da colui che le aveva stravolto la vita anni prima, il suo unico e vero amore. O almeno così credeva all’epoca. Ora aveva capito che era stata tutta una finta. Che l’amore era solo un grande inganno.
Che stupida era stata. Stupida e patetica. Stupida e credulona.
A fatica Patty si era ripresa e aveva combattuto come una leonessa per non affogare ancora di più nella delusione e nella disperazione, soprattutto una volta saputa la bella notizia. All’epoca aveva uno scopo nella vita e quello le aveva dato la forza per non mollare e andare avanti.
Ora… era tutto finito. Non era giusto. La vita stessa era ingiusta. Anche il tempo quel giorno sembrava darle ragione.
Non aveva voluto nessuno. Non lo sapeva nessuno. Solo lei, i suoi genitori e suo fratello. Loro erano tornati a casa già da un po’ e non le avevano messo fretta. Il cielo si era scurito ancora di più una volta rimasta sola e aveva aperto i rubinetti di lì a poco.
Sospirò e si fermò.
Patty si girò un’ultima volta verso quella tomba così fredda eppure reale, le mandò un bacio soffiato e se ne andò, ignorando le proteste dell’uomo che voleva si mettesse al riparo, almeno fino alla fine del temporale.
                                                
                                                    Qui giace Mairi Gatsby
                                    Figlia amata che non sarà mai dimenticata
                                                    13/11/2003 13/11/2003
 
 



 
«Oh, cara, ma guardati, sei fradicia. Vieni, ti preparo un bel bagno caldo e rilassante.»

Sua madre. La sua dolce e premurosa madre. Accettò di buon grado e si lasciò coccolare da lei. Dieci minuti dopo era immersa in una calda vasca fumante che profumava di rosmarino.
Non ci mise molto a immergersi anche nei ricordi.
Dopo essere stata scaricata senza troppe cerimonie da Holly, Patty aveva passato qualche tempo ancora a Barcellona e poi era tornata in Giappone, ma a Tokyo dove aveva affittato un piccolo appartamento, funzionale e ben tenuto. Aveva bisogno della sua indipendenza e, per dirla tutta, non voleva rientrare a Nankatzu e scontrarsi casualmente con vecchie conoscenze che le avrebbero fatto mille domande imbarazzanti o meno. Sì, certo, anche in città avrebbe corso quel rischio visto che alcuni membri della Nazionale ci abitavano, ma era difficile che accadesse.
Nessuno sapeva che era rientrata in patria.
Incinta, sola, ma determinata a portare avanti la gravidanza. Gravidanza che, per fortuna, non aveva annunciato all’ormai ex marito. Era stata così vicina a farlo...
Aveva informato solo la sua famiglia, facendo promettere loro di non divulgare la cosa. Loro avevano capito. Era stata una vigliacca? Non lo sapeva, ma aveva preferito così. Almeno fino a che non avesse superato il dolore per la perdita del suo amato che se la spassava alla sue spalle e poi l’accusava di inventarsi le cose. Ma lei sapeva cosa aveva visto. Lo sapevano tutti i nuovi compagni di squadra di Holly e nessuno mai l’aveva messa in guardia. E va bene che lei non capiva una parola di quanto le dicessero, ma un metodo potevano trovarlo.
E ora si era aggiunto un altro dolore, ancora più profondo del primo. Dopo quattro mesi di gravidanza perfetti, pochi giorni prima mentre era a casa dei suoi, aveva iniziato ad avere dei fortissimi crampi e poi era svenuta. Si era svegliata in ostetricia.
I medici le avevano detto che aveva avuto un aborto spontaneo e che poteva succedere anche a gravidanza inoltrata, purtroppo. La sua bambina non ce l’aveva fatta. Avevano dovuto procedere a operarla d’urgenza e per lei sarebbe stato difficile rimanere incinta una seconda volta.
Il giorno più triste della sua intera esistenza.
Per lei quel giorno – e non quello della loro separazione – era il giorno in cui l'ultimo legame con Holly era venuto a mancare per sempre. Lui non lo sapeva e aveva giurato a se stessa che non l’avrebbe saputo mai.
Nuove lacrime le solcarono il viso. Patty scivolò completamente nell’acqua e rimase in quel caldo limbo liquido per qualche secondo.
Quando riemerse dalla vasca, lo fece con una consapevolezza nuova. Poteva piangere e poteva disperarsi, ne aveva tutto il diritto. Non doveva vergognarsi. I medici le avevano spiegato che lei non aveva colpa per quello che era successo alla sua bimba. Belle parole, sicuramente vere, ma non semplici da accettare. Ora voleva solo vivere il suo dolore e metabolizzare il lutto o sarebbe impazzita.
A Barcellona, aveva sognato una vita felice accanto a Holly, ma non era successo. Mentre lei si sforzava di essere una brava moglie e di adattarsi a una vita lontana dal Giappone, cercando senza successo di imparare quella lingua così ostica e senza mai intralciare la carriera di suo marito, lui…
No, non doveva pensarci più. Quello era il passato e non sarebbe tornato.
Quella mattina – per uno strano scherzo del destino – in Spagna ci sarebbe stata l’udienza per il divorzio. Ulteriore scherzo del destino, era che l’orario coincideva con quello del funerale di Mairi.
Il divorzio l’aveva voluto lei, ma Holly si era offerto di prendersene la responsabilità con tutti e aveva tanto insistito che alla fine aveva ceduto.
Patty aveva chiamato il suo avvocato appena sveglia e l’aveva messo al corrente di quello che le era successo, confermandogli le direttive da dire in aula in sua vece. Gli aveva anche spedito una breve mail dove metteva nero su bianco le sue parole, da mostrare al giudice, dove gli augurava di prendere la migliore decisione per dare giustizia non tanto a lei, quanto alla sua creatura deceduta prematuramente. Erano cose che avrebbe preferito evitare di fare, ma erano necessarie e non potevano essere rimandate.
Lei voleva solo staccarsi dal capitolo Hutton e per farlo doveva andarci giù pesante o lui non l’avrebbe mai presa sul serio. Non voleva i suoi soldi, non voleva essere riconosciuta come sua moglie, non voleva vederselo comparire vicino.
Oliver l’aveva umiliata. Ora era arrivato il suo turno di sentirsi umiliato.

 
«Resti qualche giorno con noi, tesoro?»

Patty sobbalzò. Pensierosa com’era, non si era accorta dell’arrivo di sua madre con un bel pigiama caldo e profumato.
 
«Lo so che è ancora giorno» continuò imperterrita lei «ma Patty, permettimi di viziarti un po’, solo per oggi, altrimenti impazzisco.»

Guardò sua madre e sentì la sua voce incrinarsi. Stava soffrendo anche lei. Annuì piano, accettando il fagotto e sospirando di piacere quando il caldo indumento la coprì.
 
«Se non ti dispiace, resterò per qualche tempo. Non voglio stare sola. Non oggi, non domani, non… non… io… io voglio la mia bambina. Voglio la mia Mairiii. Mamma, perché non posso riaverla? Perché mi ha lasciato sola, perchééé. Perché?»

E poi la voce venne meno e si ritrovò a singhiozzare disperatamente e a lungo sulla spalla di sua madre che prese a cullarla in silenzio.
   
 
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