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Autore: ImMeow    27/03/2023    0 recensioni
Una oneshot (credo, non penso di continuarla) in cui una Himiko Toga di 7 anni è in gita con i suoi genitori per la prima volta e finisce col fare amicizia con una bambina dal caschetto marrone.
"Qual era il problema? Se lo chiedeva spesso, ma aveva già una risposta: era colpa sua, i genitori non l'amavano perché era una bambina cattiva. Agli altri bambini non piaceva il sangue, non sorridevano come sorrideva lei, in quel modo che avevano spesso definito inquietante. Quindi lei era cattiva. E i bambini cattivi non meritano di essere amati, né le caramelle né i baci sulla fronte."
Genere: Hurt/Comfort, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Himiko Toga, Ochako Uraraka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando era piccola, Himiko Toga aveva una caratteristica comune ad ogni altra bambina: non capiva cosa fosse giusto e cosa, invece, non lo fosse.

Era appena iniziata la primavera e i genitori l'avevano portata a fare una gita, la prima vacanza della sua vita: un picnic sotto i fiori di ciliegio in piena fioritura. La piccola non poteva essere più emozionata e raggiante di quanto lo fosse in quel preciso momento. Correva avanti e indietro sotto gli alberi in fiore, cercando di afferrare più petali di quanto fosse umanamente possibile e li lasciava in acqua, ammirandoli mentre scivolavano sul laghetto come piccole barche. Fu anche il turno di alcuni rametti che aveva trovato nei dintorni, con i quali spingeva i petali per addentrarli più verso il centro dello specchio d'acqua.

Minuti dopo si trovò stanca e sudata per via delle varie corse, a riposare le gambe su una roccia lì vicino.

Intanto, delle anatre gioivano in quel lago, con biondi anatroccoli al seguito. Uno di questi si avvicinò alla bambina e iniziò a beccare i petali sulla superficie dell'acqua. Attirò vivacemente la sua attenzione. Una piccola Himiko di 7 anni sorrise.

"Voglio essere anche io così carina!" pensò, continuando a sorridere, il suo sorriso largo lasciava trasparire i canini appuntiti. 

Si alzò e si incamminò canticchiando, verso il punto da picnic scelto dai genitori. "Mamma, mamma!" iniziò a chiamare. "Vieni, mamma!", iniziò a tirarla per la manica.

"Cosa c'è?" rispose lei, con un tono di voce distaccato che nessuna madre amorevole avrebbe rivolto alla stessa figlia.

"VIENI! con me!" rise la bambina, tirandola ancora di più. La donna non ebbe altra scelta. Sospirò e si lasciò trascinare, come inerme alle insistenze di Himiko, verso il laghetto.

Una volta arrivate, iniziò a tirarla ancora di più mentre con l'altra mano indicava la bellissima famiglia di anatre che nuotava allegra. "Guarda che belli!" esclamò la bimba.

"Sì, Himiko, sono molto belli..." annuì la madre. Fece per tornare indietro, ma si sentì di nuovo strattonare la manica della maglietta.

"Mamma, sarò mai così carina?" chiese la bimba ingenuamente col suo solito sorriso, indicando l'anatroccolo più vicino alla riva, quello che poco prima stava beccando i rosei petali nell'acqua. "Carina come questo anatroccolo?"

La madre la osservò per un istante, dopodiché si sforzò ad annuire. In realtà aveva smesso di trovare la sua stessa bambina "carina" già da un bel po'. Molto probabilmente tutto era iniziato l'anno prima, quando la piccola aveva iniziato a manifestare il suo quirk, tendenze alla forte ammirazione e un particolar gusto verso il sangue di qualsiasi essere vivente che ella ammirava. Da allora la donna aveva iniziato a provare un forte sentimento di rigetto e repulsione verso la piccola, oltre un forte disgusto e odio verso sé stessa per non riuscire ad amarla e per aver partorito un demone del genere. Si poteva definire un sentimento di avversione misto a senso di colpa e vergogna: cosa avrebbero detto gli altri di una madre che non riesce ad amare la figlia? Una madre che prova ribrezzo verso sangue del suo sangue?

La donna si sentiva indifesa di fronte ad una situazione del genere, ad un quirk tanto potenzialmente pericoloso quanto lo fosse quello della bimba. Ovviamente cercava comunque di essere una buona madre, non le faceva mancare niente delle necessità basilari di cui un bambino ha bisogno: le preparava da mangiare, la spronava con gli studi, la aiutava con i compiti a casa, l'accompagnava a giocare al parco, a mangiare fuori; aveva persino iniziato a portarla ad una terapia per contenere quirk pericolosi, tutto per il suo bene... però non riusciva ad amarla. La sola vista del sorriso di quella bambina le dava la nausea. Faceva tutto ciò soltanto perché in quanto madre era suo dovere farlo. 

Sovrappensiero, non si era accorta che la figlia si era allontanata e la stava chiamando. "Mamma, guarda guarda!"

Himiko si avvicinò di nuovo a lei, con l'anatroccolo tra le mani. "Sai che se voglio posso provare a diventare carina come loro!"

Detto questo aprì la bocca e fece per addentarlo, come aveva già fatto in passato con altri piccoli animali, ma la madre la precedette strappandoglielo dalle mani e ributtandolo nei pressi del lago dove era stato preso. 

"HIMIKO!" urlò "Cerca di essere normale, una dannata volta! Siamo fuori casa ora, non puoi comportarti così in pubblico!"

Silenzio. Le altre persone intorno osservavano la scena, qualcuna si sussurrava qualcosa all'orecchio o cercavano di far finta di niente. Nell'aria si udì un lieve "povera bambina, con una madre simile"

La donna si vergognò come mai si era vergognata prima, non c'era limite a quello che riusciva a farle vivere quella ragazzina...

Lì davanti la piccola Himiko non disse nulla; semplicemente si rattristò e, per non esser di peso alla madre, si allontanò per gestire meglio le emozioni che provava in quel momento. Si mise seduta sulla stessa roccia dove sedeva poco prima, quando l'anatroccolo le si era avvicinato per la prima volta; iniziò ad osservare le altre famiglie, compresa la famiglia di anatre. Non stava bene. Per niente bene. Avrebbe voluto un abbraccio in quel momento. E lo sapeva, sapeva per certo che nessuno dei suoi genitori l'avrebbe mai più abbracciata, perché lei in fondo sentiva che loro non l'amavano. Lo sentiva ogni volta che il papà l'accompagnava a scuola, quando mentre lui le dava innumerevoli raccomandazioni sui comportamenti che non doveva manifestare, la compagna di classe riceveva la merenda, una caramella ed un bacio sulla fronte. Lo sentiva ogni volta che la mamma l'aiutava con i compiti a casa, quando le chiedeva "poi giochiamo?" e lei le rispondeva di sì, ma ogni volta era troppo stanca o doveva lavare i piatti. Lo sentiva anche quando effettivamente la portavano fuori al parco a giocare, quella volta in cui un bambino le tirò i capelli e non aveva nessuno dalla sua parte a difendere la sua posizione. Lo sentiva ogni volta che notava come i genitori degli altri di solito abbracciassero i figli, perché i suoi con lei non lo facevano.

La sua voce per gli altri era come se non esistesse, un suono tanto flebile quanto quello del vento; ciò che aveva da dire in quanto "bimba strana" non veniva mai preso in considerazione, ogni suo bisogno affettivo non veniva mai assecondato. 

Qual era il problema? Se lo chiedeva spesso, ma aveva già una risposta: era colpa sua, i genitori non l'amavano perché era una bambina cattiva. Agli altri bambini non piaceva il sangue, non sorridevano come sorrideva lei, in quel modo che avevano spesso definito inquietante. Quindi lei era cattiva. E i bambini cattivi non meritano di essere amati, né le caramelle né i baci sulla fronte. I bambini cattivi meritano solo raccomandazioni su come non essere bambini cattivi. 

Lei era un mostro, lei aveva fatto persino del male.

"Aspetta, ma se sono così..." pensò Toga "Merito che mamma e papà mi vogliano bene?"

Si ritrovò sull'orlo del pianto: lei era sola. Completamente sola. 

"Loro non me ne vogliono, perché sono cattiva, e se sono cattiva nessuno me ne vorrà mai."

Si portò le mani attorno alle ginocchia ed è così che scoppiò in un pianto forte e disperato.

"Perché sono così?"

"Io non dovevo nascere"

"Perché sono nata?"

La sua mente la colpiva con tutta la forza che aveva, con un pensiero distruttivo al secondo, al punto che il modo in cui iniziò a colpirsi ripetutamente la testa con i suoi stessi pugni sembrava quasi come se lei stesse cercando di contrattaccare.

Sola al mondo.

E probabilmente lo sarebbe sempre stata per via della sua sfortuna: un quirk totalmente inadeguato per la società nella quale viveva; un quirk da supercattivo, inadatto in una società nella quale venivano elogiati gli eroi; ed era qualcosa che lei non aveva scelto, la sua natura. Ci fosse stata una soluzione sarebbe ricorsa ad essa, ma la bambina non ne trovava; la terapia le insegnava soltanto come non essere sé stessa, a come mascherare tratti di personalità che avrebbero potuto dare fastidio agli altri. Altre mille raccomandazioni su come non essere una bimba cattiva. Ma a lei il sangue piaceva. Il valore della vita non lo capiva. Il sangue era delizioso, specialmente quello delle persone che amava.

Mentre era sovrappensiero, non si accorse di alcuni piccoli passi che si erano avvicinati a lei. 

"Ehi" sentì la voce di una bambina che avrebbe potuto avere più o meno la sua stessa età. Himiko alzò lo sguardo e notò una ragazzina dagli occhi tondi e grandi che la fissava incuriosita.

"Perché piangi?"

A quella domanda, il pianto di Himiko si fece ancora più intenso. L'altra bambina, come risposta, le accarezzò semplicemente la testa:

"Tranquilla, ci sono qui io ora." Le sorrise.

"M-mi sembra la catchphrase... di quel famoso eroe..." biascicò Himiko tra milioni di lacrime che le scendevano sulle guance. 

"Intendi All Might? Sì, lo dice spesso!" 

La ragazzina dal caschetto marrone si sedette di fianco a Toga e cercò di iniziare una conversazione per distrarla. "A te piacciono gli eroi?"

"Che senso ha... Io non sarei qualificata per diventare un'eroina, non potrei mai diventarlo."

"Oh, ma nemmeno io!" le disse l'altra "Non so quanto un quirk di gravità possa essere utile nel caso io voglia diventare un'eroina, però... ho una motivazione per provarci."

"Come ti chiami?" aggiunse poi.

"Mi chiamo Himiko... Himiko Toga."

"Io invece sono Uraraka Ochako, piacere!"

La prima impressione che Toga ebbe di Ochako fu come questa mostrasse un'allegria quasi contagiosa e frizzantina. Decise che già le piaceva. La nuova conoscente le porse un fazzoletto che aveva in tasca e cominciò ad asciugarle delicatamente le guance. Himiko stava per sorriderle, poi ricordò quanto il suo sorriso già dicesse agli altri di quanto lei fosse una bimba cattiva. Si trattenne.

"Ti ho notata da lontano, ho visto che piangevi quindi ho deciso di venire a parlarti." aggiunse Ochako. "E quindi ho chiesto ai miei genitori se potessi farlo, e hanno detto di sì... A proposito, i tuoi?"

"Loro non mi vogliono." mugugnò Himiko, girando lo sguardo dall'altra parte.

L'empatia di Ochako le suggeriva sarebbe stato meglio non chiedere nulla di cose riguardo le quali l'altra ragazzina non sembrava invogliata a condividere. Parole di conforto sarebbero state vane, non conoscendo la situazione familiare dell'altra. Decise di non dire niente sulla questione e di avvicinarsi piano all'altra, lanciandole occhiate curiose con la coda nell'occhio.

L'altra la guardò.

"Che c'è?"

"Vorresti giocare con me?" chiese Uraraka, tutto d'un fiato. 

Himiko la guardò sorpresa. "Giocare?"

"Sì, giocare." ripeté la castana.

"Non ho mai giocato con un'altra bambina prima..." disse pensierosa la bionda "Tutti a scuola hanno paura di me o dicono che sono strana."

Uraraka la fissò interrogativa. "Eh? A me sembri una bambina del tutto ordinaria."

In quell'esatto momento un macigno enorme si sollevò nel petto di Himiko Toga. Ordinaria. Normale. Una bambina normale. Non cattiva. Non un demone. Non un mostro. Himiko Toga era appena stata definita una bambina ordinaria. Eppure c'era questo minuscolo pensiero che ancora la preoccupava: la sua nuova conoscente non sapeva affatto del suo quirk. E Himiko non sapeva come avrebbe reagito se l'avesse saputo, l'avrebbe rifiutata anche lei?

Però le venne un'idea: forse per una sola giornata avrebbe potuto fingere di essere davvero una bambina come tutte le altre. Soltanto fingere. E divertirsi. Almeno quello.

Per la prima volta da quando si erano conosciute, Himiko sorrise ad Ochako, un sorriso pieno. "Sì, andiamo a giocare!" esclamò.

Le due bambine andarono a sedersi insieme sotto un albero di ciliegio e cominciarono ad organizzarsi: a cosa avrebbero giocato?

"Hai qualche idea, Himiko?" chiese la bimba col caschetto.

"Prima stavo giocando a lanciare petali nel fiume, era divertente!" suggerì Toga.

"Mhm..." fece Ochako "Non dico sia una brutta idea, ma... andiamo a prendere dei petali, ti mostro una cosa."

E così fecero, andarono in giro a raccogliere più petali di ciliegio possibile per poi sedersi di nuovo sotto l'albero di prima con il bottino.

"Da' qua." Ochako prese i petali e iniziò a toccarli, per poi lanciarli ad Himiko.

Con sorpresa della bionda, questi non toccavano terra né le cadevano addosso: volteggiavano intorno a lei, come avvolta in una danza di petali rosa.

"Wooow, Ochako, il tuo quirk è fenomenale!" esclamò sorridendo gioiosamente.

"Era solo per vederti sorridere!" rise l'altra. "Vedi, non stai più piangendo ora."

La piccola Toga si accovacciò sulle ginocchia e iniziò a raccogliere i petali; stessa cosa fece Uraraka. Iniziarono a giocare gettandoseli addosso, petali che mai toccavano terra, e passarono così un buon quarto d'ora. 

Si sedettero di nuovo, una affianco all'altra. "Himiko, ora ti va di giocare a nascondino?"

Si addentrarono in mezzo agli alberi di ciliegio, fin quando le famiglie intorno non sparirono dalla loro vista. Erano circondate da rosei alberi e natura, un luogo perfetto per nascondersi. Decisero che il primo turno doveva essere Uraraka a contare, fino a dieci, come avevano stabilito. "Uno, due, tre, quattro, cinque..." iniziò la bambina accanto al tronco di un albero.

Toga, intanto, cercava un posto adatto in cui l'altra non sarebbe riuscita a trovarla. Per prima cosa analizzò l'ambiente circostante: nascondendosi tra i cespugli c'era il rischio che si sarebbe fatta male o sporcata i vestiti, quindi eliminò quell'opzione. Nei dintorni non vi erano molte grosse rocce né buche; quindi pensò: mimetizzarsi tra gli alberi sembrava la soluzione più logica in quell'area. E così fece: decise di nascondersi dietro un albero dal tronco abbastanza grosso, sperando che Ochako non l'avrebbe notata e sarebbe riuscita a fare tana con facilità.

La castana concluse la sua conta, "sto arrivando!" sorrise; così cominciò a cercarla secondo le regole del gioco. Passarono alcuni minuti, Toga ridacchiava, sicura ormai di aver scelto il nascondiglio perfetto. Altri due minuti, forse era arrivato il momento di allontanarsi e fare tana... Invece, poco dopo si sentì abbracciare da dietro. "Trovata!!" esclamò Ochako, stringendola più forte e rivelando un sorriso cristallino al quale mancava un dente da latte.

Himiko si sentì un po' a disagio, non era così abituata al contatto fisico, ma allo stesso tempo... avvertiva una sensazione di calore nel petto e non si era mai divertita così tanto nella sua vita. Era la prima volta che il suo corpicino sentiva quel tepore, una sensazione che l'avvolgeva totalmente, come se dentro di lei ci fosse stato un vuoto che finalmente era stato riempito. Sentì di voler essere abbracciata di più, voleva perdersi e affogare in quel contatto che nessuno nella sua vita le aveva mai offerto. 

"Ti prego, non farlo." fu il primo pensiero che attraversò la sua testa, non appena Ochako decise di sciogliere l'abbraccio.

"Ora tocca a te contare!" disse l'altra, prendendole la mano. Toga trovò un minimo di rassicurazione e sollievo in quel minimo contatto fisico. Lei stessa non riusciva a comprendere ciò che aveva provato durante l'abbraccio, era confusa; non capiva come mai il suo corpo sentiva il desiderio di esser stretta di più, di esser abbracciata di più e mai lasciata andare.

"Sarebbe bello se mamma e papà facessero lo stesso..." si ritrovò a pensare, rattristandosi un po' alla convinzione che non l'avrebbero mai fatto.

Era il turno di Himiko. "Uno, due, tre, quattro..." iniziò a contare davanti al tronco dell'albero. "...cinque, sei, sette..."

Improvvisamente, sentì un forte tonfo e la voce di Uraraka. "Ahia, che male!"

La bionda si allarmò tanto da smettere bruscamente di contare e iniziò a correre veloce verso la fonte del rumore; la preoccupazione per l'altra bambina era talmente forte che non si accorse di un ramo lungo la via sul quale ovviamente finì per inciampare. Cadde a terra, con un tonfo, e si sbucciò il ginocchio. Sanguinava. 

Alzando lo sguardo da terra, notò una Uraraka già zoppicante avvicinarsi a lei. "Tutto bene, Himiko?"

Ochako aveva una profonda ferita sul ginocchio, molto simile a quella che Himiko si era appena procurata. Quest'ultima capì immediatamente cosa fosse la causa del rumore di poco prima. Non era questo che occupava la sua testa in quel momento, però. Ciò che più la attirava era il sangue dell'altra che dal ginocchio le era scivolato fin sui merletti dei bianchi calzini che indossava. Il rosso e il bianco creavano un contrasto sublime ai suoi occhi.

La bionda non faceva altro che fissare quella lesione, ammaliata dal colore rosso che sgorgava dal ginocchio dell'altra bambina. Sentì le voci della mamma, del papà e del terapeuta risuonarle nella testa: "Non mostrare interesse per il sangue in pubblico, è disgustoso!"

Ma... Sangue.

La castana non le era mai parsa tanto bella quanto in quel momento. Sì, le piaceva stare con Ochako. Giocare con Ochako. Amava la personalità di Ochako. E, ora che era riuscita a vederlo... amava anche il sangue di Ochako. 

Deglutì.

"No, non deve scoprire che sono strana." pensò subito dopo "Non va bene! Ho un'amica ora!"

Ochako le sorrise e si accovacciò di fronte all'altra. "È proprio una brutta ferita..." disse esaminandola. "Un po' come la mia, siamo amiche di bua!" rise. 

Himiko le sorrise di rimando, nonostante fosse fortemente a disagio davanti la ferita della castana. Sentiva l'impulso di doverne assaggiare almeno un po', doveva trattenersi, non poteva mostrarle chi era veramente altrimenti l'avrebbe vista con occhi diversi. Però... Ochako sembrava gentile. Come avrebbe reagito se glielo avesse chiesto?

Abbassò lo sguardo. 

"A me piace..." sussurrò piano "...il sangue." La sua frangia le copriva gli occhi, cercava in tutti i modi di non incrociare lo sguardo dell'altra bambina. 

"Come?" chiese lei, confusa. 

"A me..." cominciò Himiko, timidamente "...piace il sangue delle persone a cui voglio bene. Mi piace guardarlo e... assaggiarlo anche."

La ragazzina bionda evitava in ogni modo lo sguardo della castana, aspettandosi la solita espressione disgustata, i soliti rimproveri e la paura con cui tutti sembravano accogliere questo suo particolare interesse, ma questo tipo di reazione non arrivò mai.

Ochako semplicemente la fissò interrogativa. "Non capisco molto bene, ma..." iniziò a dire avvicinando il suo ginocchio sbucciato a quello di Himiko. "Puoi averne un po' se vuoi."

Detto ciò, appoggiò la sua ferita su quella dell'altra, lasciando che il loro sangue si mescolasse. "Ecco! Ora siamo più che amiche, siamo sorelle di bua!" esclamò. "Hai anche detto di volermi bene, no?"

Himiko arrossì. Faticava a comprendere cosa fosse appena successo. Non era spaventata? Disgustata? O qualsiasi altra reazione che non fosse stata quel sorriso al quale mancava un dente, prima cosa nel suo campo visivo non appena alzato lo sguardo? 

Il momento fu, però, spezzato da alcune voci che chiamavano il nome di Ochako. "Probabilmente i suoi genitori." pensò Himiko.

Infatti l'altra bambina si alzò e, pulendosi la maglietta, disse: "Mi dispiace, Himiko. Sono i miei genitori; vorrei davvero giocare un po' di più con te, ma devo proprio andare."

Sembrava davvero dispiaciuta. Toga non era da meno.

"Giocheremo ancora... un'altra volta?"

"Non lo so..." cominciò la castana guardandosi le scarpe rassegnata. "È già tanto che i miei genitori sono riusciti a permettersi questa vacanza."

Rimase un paio di secondi in silenzio, poi aggiunse: "Però voglio giocare con te, quindi troverò un modo per vederci ancora, vedrai!"

Si salutarono e Ochako sparì tra gli alberi di ciliegi in fiore. Himiko la osservò andare via fin quando non rimase da sola. Seduta a terra, cominciò ad ispezionare il suo stesso ginocchio ferito; avvicinò un dito, prelevò una traccia di sangue che ne fuoriusciva e se lo portò alle labbra. Era questo il sapore che aveva l'affetto? L'essere sorelle?

Prese dei petali di ciliegio e se li lanciò addosso; questi volteggiarono in modo leggiadro fino a finire sui capelli di lei e la terra dalla quale li aveva raccolti.

In quel momento desiderò tanto avere una famiglia che l'amasse e una sorellina come Ochako. 

 

 

  
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