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Autore: Fuuma    20/04/2023    3 recensioni
Alto, grosso e bello come un dio norreno, è stato lui ad aprire le danze, in uno scrosciare di applausi.
[..]Thor è stato il primo e a Tony un po’ brucia, ma non poteva pretendere di essere l’unico rappresentante dei grifondoro al Torneo Tremaghi – è una casata che vomita eroi a ogni ciclo lunare, di strano al massimo c’è che in giro non abbia ancora visto quell’altro gigante biondo tutto muscoli. Era convinto sarebbe stato lui l’apripista di Hogwarts, chi meglio di Capitan Puritano Rogers, che alla presentazione delle scuole di Dursmstrang e Beauxbatons è andato a stringere la mano di tutti e augurar loro buona fortuna?
{ stucky; pepperony; thorki; spideychelle | hogwarts!verse | scritta per il Torneo Tremaghi @ L'angolo di Madama Rosmerta }
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Loki, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: Incest
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pairing

pairing: Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki { thorki }; Peter/MJ { spideychelle}; Zemo/Bucky { winterbaron - accenni oneside }; Clint/Natasha { clintasha }

warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse), age difference

 

I personaggi appartengono a chi di diritto.

 


 

We are the Brave 

______________________________

 

 

IV | Un Torneo da lunedì

«La sua non è una storia d’amore, ma il primo atto di una tragedia, signor Barnes.»

Bucky scatta seduto nel letto a baldacchino del dormitorio; tra le coperte la mano vaga d’istinto, alla ricerca di una bacchetta che sa non esserci. Si volta nervoso a cercarla sul comodino, ma qualcosa al suo fianco lo ferma prima: una mano grande e calda che gli sfiora l’addome sotto il pigiama, pizzicandogli i muscoli, solleticandogli la pelle.

Steve lo ha cercato nel sonno e ora lo abbraccia, rendendogli difficile anche solo pensare di abbandonare quel caldo giaciglio che condivide con lui.

«È già ora?» gli biascica il grifondoro.

Bucky sorride, cerca oltre l’orizzonte della finestra un’alba che per fortuna è ancora lontana e si lascia ricadere sdraiato nel letto.

«No, fuori è ancora buio» risponde in un bisbiglio. E poi che se ne fa dell’alba di fuori, quando il sole ce l’ha nel letto, che sbadiglia e strofina la guancia sull’unico cuscino in comune.

Steve ha un occhio aperto e uno chiuso e lunghe ciglia bionde ad adombrarli, mentre ogni traccia di sonno sparisce tra le lenzuola. È sempre stato un tipo mattiniero – jogging, doccia, colazione e studio degli incanti è la sua routine preferita prima dell’inizio delle lezioni, ma non oggi.

«Allora perché sei già sveglio? Sei preoccupato per la Prova?»

Oggi è il giorno della Seconda Prova. Oggi è il giorno di Bucky.

O così doveva essere.

Il tassorosso scuote il capo con un’occhiata ironica. «Vuoi dire se sono preoccupato perché Odinson ha deciso di prendere il mio posto all’ultimo minuto, senza alcuna spiegazione, in una prova che prevede di andare nelle fogne? No, cosa te lo fa pensare?»

Allunga le gambe sotto alle lenzuola, le incrocia intorno ad una di Steve e la tiene per sé.

L’altro ride, insinua il braccio sotto il collo, gli raccoglie la nuca tra le dita e lo tira a sé, per averlo contro il petto, incollato al proprio corpo, con un’intimità nuova che hanno ritrovato dal giorno del Ballo del Ceppo.

«Forse ha scoperto che la Terza Prova sarà perfino peggio e preferisce affrontare il minore dei mali.»

«Già…»

«Ma non era quello il motivo per cui sei sveglio.» A Steve basta uno sguardo per capirlo, per leggere tra le interlinee del suo sospiro e nel morso con cui tortura il labbro inferiore. «Qual è il problema, Buck?»

Bucky si stringe nelle spalle.

«Ho solo fatto un brutto sogno, uno di quelli che non facevo da quando avevo undici anni.»

«Non sarà di nuovo quello in cui mia madre ci rincorre per tutta Hogsmade con un mattarello engorgiato perché abbiamo lasciato la mia stanza in disordine?»

La risata di Bucky è un suono soffuso, che copre con la mano per evitare di svegliare i suoi compagni di stanza. «Me ne ero dimenticato, è vero. Anche se a ben pensarci era un mortaio, non un mattarello, ma posso capire la confusione visto le tue scarse doti culinarie e pozionistiche.»

«Ne parli come se anche tu non facessi pena in Pozioni.»

«Touché. Comunque no, era un altro sogno stupido, non vale nemmeno la pena di raccontartelo.»

«Sicuro?»

Bucky annuisce e sorride.

Ha sognato di Diagon Alley, della prima volta che l’ha visitata insieme a Steve, entrambi eccitati dall’idea di frequentare Hogwarts, di poter stare ancora insieme, nonostante la condizione di Rogers. Ha sognato il negozio di Olivander e le parole che il vecchio mago gli ha detto il giorno in cui lui e Steve hanno acquistato la loro prima bacchetta – un futuro confezionato, una profezia che sembrava appena uscita da un biscotto della fortuna andato a male. Una storiella per spaventare i bambini.

«Sicurissimo» afferma accoccolandosi meglio contro il grifondoro.

«D’accordo.»

La mano di Steve si chiude più forte alla sua vita e a quella stretta, bussa alla sua porta il ricordo delle dita del professore di Durmstrang, la loro stretta, la loro carezza.

Ruota il capo a inquadrare con lo sguardo il comodino, là dove il piccolo Alpine dorme tranquillo su un cuscino colorato, stringendo tra le zampette una bacchetta in legno di quercia rossa, come un piccolo guardiano peloso.

«Non c’è davvero nulla di cui preoccuparsi.»

 

 

A Tony non piace, non piace per niente tutta quella situazione.

Chi è il genio che ha pensato che un lunedì mattina fosse adatto per una prova del Torneo Tremaghi? Se è vero che il settimo giorno perfino Dio si riposò, è anche vero che il lunedì era riuscito a malapena ad accendere una luce – e loro dovrebbero uscire sani, salvi e vincitori da una prova del torneo più importante della storia delle Scuole di magie e stregoneria?!

«E siamo pure bloccati qui dentro» borbotta, senza avere la più pallida idea di dove precisamente sia “qui dentro”.

È un’aula dismessa del Castello e qui finiscono le informazioni in suo possesso.

Le finestre sono chiuse da un Colloportus, coperte da un incantesimo oscurante che rende l’ambiente ancora più cupo di quanto sia necessario. Una parte di sé si aspetta che, dall’armadietto traballante pieno di tarli nell’angolo, faccia il suo ingresso un Molliccio, o che le travi di legno del pavimento si aprano in una voragine, che li farà finire tra le spire di un Basilisco – perché è sicuro che ce ne sia uno nascosto da qualche parte lì dentro, alla faccia del “non c’è luogo più sicuro al mondo di Hogwarts”.

La porta è chiusa a chiave, sul legno è incisa una delle rune di Strange: Manaz, la runa della prudenza e dell’umiltà – a Stark viene già da ridere –, in combinazione con un simbolo che non ricorda di aver mai studiato, ma che non promette niente di buono.

Quando hanno decifrato l’indizio che ha recuperato nella Prima Prova, non si aspettava un’arena tutta per loro, ma almeno un palchetto. Una pedana. Un pubblico!

Invece, dopo il fischio d’inizio, tutti i nove Campioni sono stati invitati a toccare una Passaporta e lui e Barnes si sono ritrovati bloccati in una stanza che puzza d’ascella, senza nessuno a fare il tifo e nessuno a cui chiedere spiegazioni.

L’unica cosa presente, che non faccia parte del menù dei tarli, è una lavagna con uno scarabocchio di linee a gesso colorato e una scheggia di vetro abbandonata su una cattedra.

Se già questo basterebbe ad accendergli una spia d’allarme, c’è anche la questione della bacchetta.

Si tasta le tasche, assicurandosi di avere ancora la propria, per quanto dubita potrà essergli d’aiuto. Sotto le dita, percepisce la rotondità del legnetto di noce. C’è, è ancora in mano sua, lo stesso però non può dire di Odinson – prima che il suo corpo venisse risucchiato dalla Passaporta, è certo di aver visto un bagliore illuminarsi intorno alla tasca del serpeverde e la sua bacchetta rimanere a terra.

Che se lo sia immaginato?

«Qualcosa non torna, questa prova non ha senso, come dovremmo superarla secondo loro?» continua a lamentarsi, e visto che non è stato dato loro nemmeno il numero del servizio reclami, è a Barnes che rivolge ogni lagnanza, come se il ragazzo non si trovasse nella sua stessa situazione.

Bucky non lo guarda nemmeno, stanco di sentirlo, afferra il frammento di vetro che ruota e osserva, alla ricerca di un indizio sulla sua utilità. «Questo dev’essere per me. Sanno che sono bloccato qui con te e mi hanno concesso un modo per farla finita.»

Tony schiocca la lingua contro il palato.

«In questo caso non lasciare che ti distragga, Barnes, procedi pure.» Ma sulla lavagna, tra gli scarabocchi di linee colorate, si aggiunge un nuovo colore. «Ehi, quel puntino giallo c’era anche prima?»

Bucky alza la testa a controllare e no, è sicuro che non ci fosse alcun puntino tra quelle linee.

«Cosa credi che sia?»

Tony tende la mano al tassorosso e si fa consegnare il frammento di vetro; non appena è tra le sue dita, un puntino rosso brillante si aggiunge a quello giallo.

«Siamo noi» afferma.

Lo scarabocchio ora prende senso, le linee che si intersecano, gli spazi vuoti, l’area del disegno.

«Silente, vecchio pazzo…» mormora tra sé. «È la mappatura dell’impianto fognario di Hogwarts. Guarda, se ne tracci il perimetro, questo diventa l’ingresso del castello, quelle zone in cui le linee aumentano sono le Serre e il Lago Nero e i due puntini siamo noi. Mentre Odinson… a-ah, eccolo qui!» Batte l’indice sulla lavagna, nel punto preciso in cui un puntino verde smeraldo ha iniziato a brillare, proprio al centro della mappa, tra linee che si intersecano in labirinti di gallerie che conducono chissà dove.

Sceglie un gessetto rosso, tra quelli colorati sparpagliati sul ripiano della lavagna, e fuori dai bordi dell’impianto, e con una scrittura elegante che non ti aspetti da chi preferisce battere a computer o delegare il piacere a una piuma auto-inchiostrante, mette per iscritto i quattro punti cardinali.

«Se diamo retta a questa mappa, noi ci troviamo a sud rispetto a Odinson, mentre l’uscita più vicina dovrebbe essere questa, quella che sbocca a nord-ovest, sul Ponte del Viadotto.»

Bucky lo osserva pensieroso, si poggia con il sedere contro il bordo della cattedra e incrocia le braccia al petto.

«Ti ricordi ancora le parole dell’indizio che hai trovato nel cilindro?» chiede.

Stark la prende come un’offesa – sul suo curriculum c’è scritto genio, playboy e filantropo, nessun accenno alla sua ottima memoria, ma non ha preso dodici Eccezionali ai G.U.F.O. per mera grazia divina.

«Iniziamo con le domande stupide, davvero Barnes? È il tuo modo di gestire le emozioni nelle situazioni stressanti?»

«Sì o no, Stark.»

«Ovvio che sì, per chi mi hai preso, per uno dei tuoi amichetti tassorosso? O per Rogers?»

«Non mettere in mezzo Steve, ha una memoria di ferro. Ok?»

«Quindi ammetti che per i tassorosso invece non c’è speranza?»

Bucky non risponde, inala pesantemente dal naso e rimane a guardarlo, in attesa che smetta con i vanti e le perculate e gli conceda la grazia di un commento utile.

Il sorrisetto di Tony sembra suggerire che ne abbia ancora da dire, ma lo sguardo di Barnes è una fiocina puntata alla tempia che inizia a pesare e renderlo nervoso, non c’è da stupirsi che Rogers sia pronto a scattare sull’attenti ogni volta che Begli Occhi gli si rivolge.

«“Tic-tac – inizia a recitare – tre ore batte il tempo; tac-tic, scopri l’uscita nel frattempo. Il labirinto è infradiciato; nessun incanto avrai come alleato. I tuoi compagni ascoltare dovrai, o da solo lontano non andrai. Loro saranno il tuo unico aiuto.”»

«E non ti sembra sia strana?»

«Mi prendi in giro? Da dove partire: dal sadismo di Silente? Dalla costruzione mediocre delle frasi? Dall’uso di suoni onomatopeici che compaiono a caso senza che venga creata una struttura coesa? Dalla superficialità con cui non si sono nemmeno degnati di finire l’ultimo verso con la rima baciata? Dal divieto di usare la magia in un torneo di Magia? È la fiera delle assurdità assurdità, Barnes!»

«Eppure Silente non è uno sprovveduto.»

«Meh, questo è tutto da dimostrare.»

«Sono serio, Stark.»

«Ok, ok, cos’hai in mente? E voglio sperare non c’entri con pacchi, salsicce o piselli, perché porto ancora i segni dell’ultima volta.»

«La tua faccia sta benissimo.»

«Non tutti i traumi sono visibili, Barnes. Non tutti i traumi.»

Bucky si chiede se sia troppo tardi cambiare squadra e chiedere asilo a quelli di Beauxbatons. Conosce poco e male il francese, ma impara in fretta ed è sempre stato portato per le lingue.

«Quello che voglio dire è che non sembra un indovinello ideato da Silente.»

Tony deve dargli ragione, il loro preside è una volpe travestita d’agnello, ma tutto ciò che fa è per il bene dei suoi studenti – o perché ciò che non ti uccide ti fortifica, se però ti uccide non c’è alcun insegnamento.

«Credi che qualcuno abbia modificato la filastrocca, per cancellare un indizio utile al superamento della Prova?»

Bucky annuisce. «È possibile, no? Lo hai detto tu stesso, un Torneo di Magia senza la magia è quanto di più improbabile esista. Ci dev’essere una rosa di incanti che non rientra nel divieto di utilizzo, qualcosa a cui di solito non penseresti mai.»

«Giusto, qualcosa che testi l’intelligenza dei Campioni.» concorda Tony. Lascia cadere sulla scrivania il gesso che ha torturato finora tra le dita, e che gli ha lasciato una macchia rossa sui polpastrelli, e prendendo slancio balza seduto sulla cattedra, sfidando la sorte e le quattro gambe sgangherate che non si rompono per puro miracolo. «L’unico problema è che non solo non sappiamo di cosa si tratta, ma Odinson non avrebbe comunque modo di eseguirli perché non ha la sua bacchetta. Di bene in meglio.»

E non c’è bisogno di tirare a indovinare chi possa essere il colpevole di quello scherzetto per nulla divertente.

«Hai avuto problemi con Durmstrang?» chiede a Barnes.

«Sì, Brock Rumlow, uno dei loro Campioni, mi ha preso in antipatia senza motivo. Perché?»

«CVD.» Come volevasi dimostrare. «Perché anche Loki ha fatto colpo. O è più giusto dire che il colpo l’ha messo a segno lui sul Monte Everest ambulante della Prima Prova, ma qualcosa mi dice che nemmeno prima le cose tra loro non fossero tutte rose e fiori.»

Tipico di Odinson, riuscire a seminare nemici e odio ovunque punti lo sguardo.

«Ora che ci penso, prima che Nat ci interrompesse, Rumlow ha fatto un commento strano. A lei ha detto che voleva mi ritirassi dal torneo, ma in realtà la sua era stata una battuta sulla Seconda Prova, come se fosse sicuro che l’avrei affrontata io. In quel momento non ci ho pensato, perché abbiamo sempre dato tutti per scontato che sarei stato io ad affrontarla, ma non ha senso che lui lo sapesse.»

«A quanto pare ci tenevano d’occhio. Devono averlo scoperto quando ne abbiamo parlato. Anche se non vedo il motivo di darsi la pena di scoprirlo, un mago senza bacchetta è fregato comunque, a prescindere da chi sia.»

Per Bucky invece il motivo inizia a prendere forma: il Torneo, Durmstrang, Rumlow, la Prova e Baron Zemo.

Scivola con la mano sinistra alla vita, ricalcando le impronte che erano state del professore di Durmstrang, scivolando verso la cintura così come è successo durante la lezione, in una carezza che intima non è mai stata, ma che ha sempre e solo puntato a—

«Maledizione!» Tony scatta in piedi di colpo.

Bucky allontana la mano da sé, come se si fosse scottato.

«Non dovremo avvertire il preside?» domanda, ma la sua mente corre altrove, a Steve – avrebbe dovuto raccontargli il suo sogno quella mattina e metterlo in guardia.

Tony però solleva le spalle in una scrollata nervosa. «Siamo bloccati qui e dall’aspetto di quelle Rune, scommetto che se dovessimo uscire da quella porta prima del tempo, perderemmo la prova. Che lo vogliamo o no, la nostra unica speranza risiede nelle mani squamose di un serpente traditore con daddy issues e un odio per l’umanità.»

Ah, non c’è più dubbio, è proprio un maledetto lunedì!

 

 

Loki apre gli occhi e affonda in un’oscurità umida, che puzza di scarico e gocciola sulla sua testa. Lo sguardo si abitua lentamente al buio, distingue il poco che lo circonda: pareti melmose che curvano verso il soffitto e quattro sbocchi che danno accesso a quattro direzioni diverse.

Si trova seduto in una pozza d’acqua sporca dell’impianto fognario di Hogwarts, una delle possibilità che aveva valutato insieme agli altri due cosiddetti compagni di squadra – e se respirare, ora, non gli creasse tanti problemi, riderebbe all’assurdità di essere costretto a fare gioco di squadra con gente di cui a malapena riconosce l’esistenza.

È immerso in un lezzo da cui non può sfuggire, che gli accartoccia lo stomaco con la voglia di vomitare. Se c’è mai stato un momento adatto per rivalutare le proprie scelte di vita, questo è quel momento; al diavolo il Torneo, al diavolo Silente, Fury, il resto degli organizzatori e, soprattutto, al diavolo Durmstrang – se non fosse per loro non si troverebbe sommerso dagli scarichi di un intero Castello.

È anche vero, che se non fosse per quegli inetti grossi come un Thor e stupidi altrettanto, non avrebbe mai nemmeno scoperto che uno degli oggetti più potenti mai creati al mondo si trova proprio ad Hogwarts.

La divinazione runica è un’arte complessa, che non accetta compromessi; è un rituale sacro in cui ogni dettaglio influisce e ogni minuzia può modificarne l’esito, c’è un tempo e un luogo per ogni lettura. La notte di luna piena di pochi giorni addietro è stato il momento perfetto per Loki per interrogare le sue Rune.

Le sua fidate Rune gli hanno raccontato della vittoria di Hogwarts nel Torneo Tremaghi, ma del dominio di Durmstrang sul mondo; gli hanno detto che una reliquia potente sarebbe caduta nelle mani sbagliate e che sarebbe stata la causa di una guerra oscura.

Tutto perché Durmstrang ha scoperto il segreto di Rogers e Barnes e vuole sfruttarlo per i suoi scopi.

Ma ora, quel segreto, lo conosce anche lui.

Loki si solleva in piedi ed è finalmente pronto ad affrontare la prova. Non è uno sprovveduto, non è venuto impreparato: spalanca la bocca, infila due dita sino alla gola e afferra sotto le unghie la sottile membrana umida che gli ricopre la lingua di un blu traslucido.

Sono ali di Billywig intinte di polvere di pietra del sole. È un artificio per bambini quello, un trucco che ogni pozionista con un minimo di conoscenza ha provato almeno una volta; e se Thor da piccolo si divertiva a guardare i suoi pupazzi esplodere sotto il bombarda di suo padre, Loki preferiva passatempi più stimolanti, come leggere i tomi di alchimia e pozioni nella biblioteca di loro madre e scoprire le proprietà magiche delle ali di Billywig. Se essicate e messe a contatto con la polvere di pietra del sole, le ali riacquistano il loro moto originario – è una semplice reazioni magica, le ali volano perché cercano la luce del sole, ovunque si trovino, e, nel caso di Loki, la luce del sole corrisponde anche all’uscita di quel labirinto fognario.

Sul palmo della mano, però, le ali rimangono immobili, morte come la creatura magica a cui sono state strappate.

Loki sospira e sa che non sarebbe stato così semplice.

Osserva le pareti che lo circondano, notando i segni asciutti sulla pietra, intoccati dall’umidità e dall’ambiente – simboli runici che formano un potente incanto che blocca ogni utilizzo della magia.

Con la mano libera sfiora una delle rune. Una scintilla rossa si accende nel punto in cui l’ha toccata e una stilla di dolore lo costringe a ritirare la mano.

Sono opera del professor Strange, nemmeno uno studente dotato come Loki può pensare di romperle, ed è in fondo ciò di cui Silente gli ha avvertiti, quando ha annunciato l’inizio della seconda prova:

«Finché il blocco degli incanti è attivo, la magia sarà vietata. Avete tempo tre ore, per trovare l’uscita, buona fortuna!»

«Questo lo vedremo…» mormora Loki, e anche se per ora le ali di Billywig sono inutili, non ha fretta, la Prova è appena cominciata e ciò che gli serve è solo l’occasione giusta.

«Torre di controllo a Maggiore Tom!»

Qualcuno parla, la voce viene dal basso, ovattata, sommersa.

Loki guarda in basso e si accorge che c’è qualcosa immerso nella poltiglia liquida in cui era seduto: un pezzo di vetro che si è appena attivato e in cui compare la metà superiore del volto di un ragazzo.

«Torre di controllo a Maggiore Tom, mi ricevi[1]?» ripetono dal frammento.

Loki è quasi tentato di far finta di niente e lasciarlo lì dov’è.

«Guarda che ti vedo che mi stai ignorando, Odinson!»

«E puoi biasimarmi, Stark?»

Di malavoglia, si china ad afferrare quello che più avanti scoprirà essere un Frammento di Specchio Gemello, su cui si riflette il volto di Tony che si tira indietro, quel che basta per inquadrare lo sfondo di quella che sembra un’aula abbandonata.

«Perché ti trovi in una cassa da morto?» domanda.

Tony storce il naso. «Parla quello che si trova nella valle incantata degli scarichi.»

E Loki torna a considerare l’idea di gettare il frammento di specchio a terra e romperlo sotto al tacco della scarpa, se non fosse che ha bisogno di quel grifondoro del suo aiuto per poter uscire di lì il prima possibile.

Barnes, però, strappa di mano il frammento a Tony ed è suo, questa volta, il riflesso che Loki vede nello specchio. 

«Qualcuno sta sabotando le nostre prove. Pensiamo che tu sia l’unico dei campioni a cui non è stata lasciata la bacchetta.»

«“Qualcuno”. Tanto vale fare nomi e cognomi: “idioti” di nome e “di Durmstrang” di cognome!» si inserisce di nuovo Tony.

Il serpeverde inarca un sopracciglio. «E ci siete arrivati soltanto adesso?»

«Tu lo sapevi e non hai detto niente?»

«Perché dovrei dire qualcosa su una prova che tanto incerò?»

Tony torna ad avvicinarsi allo specchio, premendo la guancia contro quella del compagno tassorosso finché a fissare Loki non rimangono che occhi nocciola incorniciati da lunghe ciglia: «Che cos’hai fatto, Odinson?»

«Voi preoccupatevi di darmi le indicazioni corrette, il resto è cosa mia.»

«Wo, wo, wo, non ti sarai portato dietro qualcuna delle tue pozioni, vero? Come? Sei stato controllato all’inizio della prova!»

Loki sorride, finalmente qualcuno che riconosca la sua astuzia.

«Eww, non dirmi che l’hai nascosta come si fa in prigione!»

Loki non sorride più.

E ora di che diavolo sta parlando?

«Insomma, su per il…» non contento Stark gesticola con l’indice in un’esposizione visiva di cui non c’era assolutamente bisogno.

«Appena riavrò la mia bacchetta, sarà il primo posto in cui ti lancerò i miei incanti.»

«Non se ti lascio lì ad affogare nella merda. Letteralmente.»

E questo è uno dei motivi per cui Loki non ama il gioco di squadra; preferisce la sudditanza all’amicizia, i servi ai compagni di squadra, sono più utili, meno rumorosi e a differenza di Stark non riconoscono il vantaggio quando ce l’hanno.

«L’uscita, Stark. Non è a questo che servite?» sibila in un tono che arriva forte e chiaro anche dall’altra parte del vetro.

Bucky spintona via Tony, riprendendo pieno possesso del frammento di Specchio gemello e della propria guancia, su cui passa il dorso della mano, infastidito dalla troppa vicinanza col ragazzo – quasi fosse un tradimento a Steve.

«C’è una mappa qui nell’aula, ti abbiamo localizzato e dovresti essere da qualche parte al centro dell’impianto fognario. Se è tutto corretto dovrebbe esserci uno sbocco a nord, lo vedi?»

Loki osserva la grata aperta di fronte a lui. Dal fondo arriva un gorgogliare poco invitante e suoni che lo tormenteranno a lungo nei suoi peggiori incubi, ma all’idea di vincere la prova si è aggiunta la delizia di poter strappare la lingua a Tony Stark e quella è una motivazione più che sufficiente per convincerlo.

«Lo vedo.»

«Perfetto. Il condotto, si dirama in due direzioni, ma tu prosegui finché non—»

Bucky tace all’improvviso e quando Loki riabbassa lo sguardo sul vetro che ha tra le mani, il riflesso allo specchio è il suo e il serpeverde scopre che la loro connessione ha un tempo massimo.

 

 

Il tempo scorre in maniera diversa quando a circondarti è un tanfo così pesante che senti fino in bocca, un gusto oleoso che impasta la lingua di Loki e gli arrossa gli occhi.

Sta camminando da parecchio ormai, abbastanza da trovarsi davanti alla diramazione di cui i due compagni gli hanno parlato.

Continua dritto, prosegue, con le scarpe che non vede l’ora di bruciare e che lasciano dietro di lui rumori di passi umidi, una colonna sonora di “plotch – plotch” che fa schifo al solo pensarci.

A quel rumore se ne aggiunge un altro e Loki ferma il passo.

Guarda il frammento di Specchio Gemello; occhi di smeraldo lo fissano di rimando con aria seccata e, nascosto nell’angolo, dove lo sguardo non arriva, riconosce la paura.

Qualcosa si muove tra le fogne e lui è disarmato.

Se vestisse i panni di Thor non avrebbe il minimo timore – un pugno basterebbe a schiacciare ogni minaccia, ma le mani di suo fratello sono grosse e dure, quelle di Loki invece sono dita sottili ed eleganti che a fare a pugni hanno sempre perso.

Si guarda intorno, cercando qualcosa che possa usare come l’arma, finché non scorge l’ombra di una creatura e poi i suoi tentacoli. È un Avvincino, dalla statura leggermente più grossa della media, la pelle color melma, rotondi occhi gialli tranciati a metà dall’ovale orizzontale della pupilla e piccoli denti aguzzi che mette in mostra non appena adocchia il serpeverde.

È un verso graffiante e acuto quello della creatura, come unghie che grattano sulla lavagna. Striscia lungo la pavimentazione di pietra e cemento, prendendo velocità dove lo strato di acqua putrida è più alto.

Dita puntute, unite da una membrana di pelle si tendono con cattiveria verso gli occhi di Loki e l’Avvincino attacca – si aggrappa a un polso, lo stritola in una presa di ferro che non ci si aspetta da una creatura così piccola, e con l’altra mano spazza verso il suo volto, graffiandolo a una guancia, appena sotto l’occhio.

«Piccolo miserabile…»

Gocce cremisi rotolano lungo gli zigomi di Loki, sente la consistenza densa del sangue macchiargli la pelle. È stato fortunato, ha tirato indietro la testa appena in tempo e con uno scatto della mano ha afferrato le tre lunghe dita della creatura. Sono viscide, dalle ossa così sottili che a Loki basta stringere un po’ di più la presa, per spezzarle in un colpo solo.

L’Avvincino urla e si dimena e quando la sua presa viene meno, striscia via, immergendosi nella melma ai loro piedi e scomparendo sul fondo del condotto da cui il serpeverde è arrivato.

«E se tu e i tuoi compagni volete vendicarvi, venitemi pure a cercare nella Torre Grifondoro, il letto è quello di Thor Odinson!»

Ridacchia sottovoce, maligno e vittorioso.

«Dimmi che non erano ratti, Odinson. No, dimmi che non hai mandato un branco di ratti alla Torre Grifondoro!»

Lo specchio gemello ha ripreso vita e Tony ha sentito le sue ultime parole rivolte all’Avvincino.

«Non erano ratti.» Dovrebbe suonare come una rassicurazione, ma la bocca di Loki non conosce conforto e quel che ne esce ha l’intonazione fredda di una minaccia.

Tony rabbrividisce e vorrebbe non averlo mai chiesto.

«E allora cos’erano?»

«Dammi quello specchio!» Bucky interviene a gamba tesa, col tono seccato di un fratello maggiore alle prese con le due pesti più piccole.  «Possiamo collegarci con Odinson per un tempo limitato, smettete di farvi la guerra e perdere minuti preziosi.»

«Ha cominciato lui.»

«Vuoi vedere come ti finisco io, Stark?»

«Scusa tanto mamma~»

Lo ignora, si concentra su Loki e ne scorge la ferita alla guancia.

«Tutto bene, Odinson?»

«Starò bene quando tornerò a respirare aria pulita.»

«In questo caso, al prossimo bivio prendi il canale alla tua sinistra, dovrebbe portarti a nord-est, appena sotto l’aula di pozioni. Lì però le cose si fanno complicate, c’è un simbolo sulla mappa che non riusciamo a decifrare; pochi minuti fa ne è comparso uno simile proprio prima che riuscissimo a contattarti.»

«Fammi vedere.»

Bucky ruota il frammento verso la lavagna, riflette la mappa, le linee colorate, il punto verde di Loki così vicino ai puntini luminosi che simboleggiano i due compagni di squadra, eppure così lontano. E poi troppo piccolo perché possa riuscire a decifrarlo, un simbolo scuro si muove avanti e indietro lungo il condotto che dovrebbe trovarsi sotto l’aula di pozioni.

«Potrebbe essere un altro Avvincino, è la creatura che mi ha attaccato prima» commenta pensieroso, iniziando ad avviarsi verso la direzione che gli è stata suggerita.

A quel punto non c’è molto altro da dirsi, il loro non è un gruppo di amici con cui confidarsi e quella non è una scampagnata tra i boschi. A tenergli compagnia, oltre lo sguardo di Barnes che vaga dallo specchio alla mappa, ci sono gli sbuffi annoiati e rumorosi di Stark che provengono da qualche parte dell’aula dismessa.

«Quindi, se dovessimo vincere la coppa, posso tenere il trofeo?» lo sente domandare.

Sullo specchio si riflette la nuca del tassorosso, quando si gira a puntare lo sguardo sul fondo dell’aula.

«No che non puoi.»

«Quel trofeo ha già il mio nome» annuncia Loki, non ha alcuna intenzione di dividere la gloria con quei due inetti.

«Vi ricordo che esiste un’intera stanza dei trofei nel Castello, cosa vi fa credere che lo lasceranno proprio a voi?»

Tony torna a sbuffare. «Era tanto per chiedere, in cambio ero disposto a rinunciare al premio in denaro.»

«Com’è generoso da parte tua. E ricordami, a quanto ammonta il patrimonio degli Stark?»

«Non per vantarmi ma…» c’è una lunga pausa prima che pronunci «…due.» e la vanità di Tony si chiude su uno sguardo confuso in direzione della lavagna.

C’è un altro momento di silenzio.

Loki guarda lo specchio, dove il riflesso di Barnes sobbalza, come se il tassorosso stesse camminando.

«Che diavolo… Si sono sdoppiati» gli sente dire e non capisce cosa stia succedendo, sa solo che se ha fatto bene i calcoli, dovrebbe essere arrivato in prossimità del condotto che passa sotto l’aula di pozioni.

«I simboli si sovrappongono…» riprende il tassorosso.

E poi.

«Merda! Odinson, torna indietro!» l’urlo di Tony è improvviso, il tono spaventato mentre realizza finalmente l’orrore della situazione.

«Come sarebbe a dire indietro?»

«Togliti immediatamente da lì!»

Ma è troppo tardi e prima che il ragazzo possa spiegargli che non è un solo simbolo quello che hanno visto, che non sono due, ma almeno un centinaio, tutti ammassati nello stesso punto che si muovono come uno sciame nero, il collegamento con lo Specchio Gemello si perde.

Loki è di nuovo solo, solo con centinaia di zampette e cheliceri e occhi a palla che gli stanno puntando addosso: un centinaio di Chizpurfle che per qualche oscuro motivo sono grossi quanto granchi e formano un’orrenda macchia nera e semovente lungo tutte le pareti.  

Dietro di sé corre una linea ritta e nessun posto in cui nascondersi, il bivio che ha intrapreso troppo lontano, non lo raggiungerebbe mai in tempo, ma le gambe si rifiutano di muoversi e nelle orecchie rimbomba l’orrido suono di cento bocche che masticano e centinaia di zampe che battono sulla pietra umida.

La prima reazione istintiva è un calcio contro le creature, li lancia lontani, a fracassare il carapace contro le pareti umide di un condotto che puzza di merda e di trappola.

«Non osate avvicinarvi!»

Ma Loki possiede solo due gambe e i Chizpurfle continuano ad avanzare, si aggrappano ai suoi calzoni, si arrampicano pinzandogli le cosce tra le chele. Ad un Chizpurfle se ne somma un secondo e poi un terzo e un quarto e quando infine decine di quegli affari gli pesano addosso, viene trascinato in ginocchio.

Avete una qualche idea di chi sono io? Vorrebbe gridare loro, perché nessuno ha il diritto il metterlo in ginocchio! Eppure ricade su se stesso, con le braccia incrociate a proteggere la testa, mentre la macchia nera lo inghiotte e centinaia di quelle creature gli camminano addosso, ruminandogli tra i capelli, sui vestiti, affamati di magia. Lontano, in un altro condotto, sente l’eco di un grido disperato – qualcuno che ha probabilmente subito la sua stessa sorte, ma che a differenza di Loki possiede qualcosa che i Chizpurfle vogliono: una bacchetta.

Loki strizza gli occhi, agita un braccio intorno a sé per liberarsi di quelle creature, ma non finiscono mai, come riesce a scacciarne uno altri dieci prendono il suo posto, finché non ne è completamente sommerso.

Si chiude a bozzo, la fronte quasi immersa nella melma ai suoi piedi e una verità che pesa ora più che mai. È solo, di quella solitudine che da bambino gli riempiva gli occhi d’invidia mentre guardava alla schiena di Thor e non osava tendere la mano, di quella solitudine in cui suo padre lo ha costretto, quando ha scoperto di non essere suo figlio, ma solo la mossa arguta di un politico. E se prima aveva almeno la magia, le sue conoscenze, il suo potere, in quelle fogne rimane solo l’umiliazione di un pantano di melma.

Loki serra i denti e come quando era piccolo, chiama l’unica persona che lo abbia mai amato senza chiedere nulla in cambio.

«Ma… madre…»

Al di là dei cheliceri che masticano l’aria, il gocciolio dell’acqua muta, dapprima è un suono lieve, una nota che sale e rimbalza tra le pareti, che scivola sotto il pelo dell’acqua sporca e si allarga, si moltiplica e la nota diventa musica e allora tutto si ferma.

I Chizpurfle, come ratti sotto il giogo in un pifferaio, si allontanano in una scia ondeggiante, che si muove da un lato all’altro del condotto e ne lascia libero il mezzo.

Il corpo di Loki torna alla luce – o al semibuio di una fogna, ma quel che conta è che le creature che prima lo attaccavano ora non ci sono più. E lui si tira sulle ginocchia, i capelli gocciolanti e una nenia di tanti anni addietro che gli entra nelle orecchie e si deposita nel cuore, insieme alla voce di sua madre e al sue gentili braccia quando lo cullavano contro il petto.

Sulla guancia cola una lacrime sporca, che forse è acqua o forse è sua, ma che di certo sa di una calda nostalgia, che lo riporta alle giornate di sole con sua madre in giardino o a quelle di pioggia in biblioteca. Con lei. Che c'era sempre. Con lei. Che non può più chiamare madre.

Quando il canto smette, Loki si risveglia dalla trance in cui è caduto e si guarda intorno.

«C’è… c’è qualcuno?» domanda al nulla.

«Finalmente!» E il nulla gli risponde con la voce di Tony Stark.

Con una smorfia cerca il frammento di Specchio Gemello caduto lì vicino. Si aspettava qualcosa di diverso, un Maride probabilmente o forse è stata solo la sua immaginazione, ma quando fa per alzarsi le gambe formicolano addormentate.

Quanto è rimasto fermo in quel condotto?

«Sei ancora intero, Odinson?» gli chiede il grifondoro.

Loki massaggia le cosce con una smorfia. «Non certo per merito vostro. Quanto manca allo scadere del tempo?»

«Circa quarantacinque minuti, ma se corri dovresti farcela, rimangono soltanto tre condotti da percorrere. Il primo dovresti incontrarlo a breve, è a pochi metri davanti a te. Assicurati di prendere quello che va in direzione nord ovest.»

Guarda davanti a sé ed è vero, a una decina di metri di sé si dirama un nuovo bivio.

Si rialza a fatica, con la voglia di porre fine a quella maledetta prova che lo sta testando molto più di quanto è disposto ad ammettere. Sta per imboccare il condotto alla sua sinistra, quello che si dirige a nord ovest, ma si ferma, guarda alle proprie spalle e rimane in ascolto.

Il canto del Maride ormai tace, ma non molto distante l’acqua gorgoglia e sotto ai suoi piedi il livello si è alzato, fin quasi ad arrivargli alle ginocchia.

«Dove conduce l’altro condotto?»

Dopo un paio di secondi di silenzio in cui Stark sta ricontrollando la mappa, il ragazzo gli risponde: «Da nessuna parte.»

«Siete sicuri?»

«È una mappa fatta di stanghette colorate, quanto credi sia difficile da leggere? Sì, siamo sicuri! E ora imbocca la maledetta strada di sinis… Odinson?» Tony lo chiama, ma Loki non risponde e riprende la sua strada.

È ora di farla finita.

«Perché la mappa mi indica che stai andando a destra? Odinson? Odinson!»

Lo specchio cade a terra.

 

 

Sbarre di ferro grosse come un braccio gli bloccano il passaggio.

Loki le stringe tra le mani, respira a bocca aperta, gonfiando i polmoni, col fiato ancora pesante per aver corso.

Si guarda intorno, circondato da rune che riesce a notare a malapena sulla nuda pietra, tra le crepe da cui l’acqua spilla senza fine. Ha gambe lunghe Loki, è un corpo alto e slanciato, ma l’acqua sale fino a raggiungergli le ginocchia. Non è un condotto, ma una trappola mortale e quando le crepe si aprono sotto la pressione di un lago che si trova dall’altra parte del muro, l’acqua si riversa nel condotto a secchiate.

Il primo getto lo travolge in una doccia gelata, che gli lava via la stanchezza e gli pompa adrenalina in tutto il corpo. Cade, stare in piedi è impossibile, ma invece di finire a terra, finisce sbattuto da un’ondata contro la parete opposta del condotto, tra rune che si accendono di barbagli rossi e gli pizzicano la pelle.

Pochi istanti, un condotto allagato e Loki si ritrova sommerso, con la mano premuta alla bocca e al naso per combattere contro l’istinto di sopravvivenza che gli urla di respirare – una boccata, solo quella, non deve fare altro...

Il corpo si dimena alla disperata ricerca d’aria, di bolle d’ossigeno da rincorrere o di una via di fuga. Intorno a lui, le rune si accendono di un colore rosato, illuminano l’intero condotto come luci al neon in un acquario, con l’unica differenza che lui non è un pesce e che non possiede branchie.

Poi, le rune si spengono.

Le rune svaniscono.

E Loki stringe le dita intorno ad ali che frullano nella tasca.

 

 

Il Ponte del Viadotto dove i Campioni hanno ancora una lunga mezz’ora prima di riuscire a trovare l’uscita

«Fatemi passare!»

Thor Odinson è voce tonante e un corpo gettato in avanti a testa bassa, un toro che carica, pronto a buttar la schiera di presidi e professori come birilli in carne e ossa.

«Non pensarci nemmeno!» A Fury mancherà un occhio, ma con quello che gli rimane ci vede lungo e bene ed è il primo ad afferrare il braccio del grifondoro, per trascinarlo lontano dal professor Strange occupato nel controllo delle sue rune. «Fatti da parte e lascia fare agli adulti! I professori stanno già intervenendo e disattivando le rune di quel condotto.»

Il ragazzo è un bestione, ha capelli d’oro e sorriso d’estate, ma muscoli forti quanto un maledetto orango e ci vuole tutta la forza dell’Auror e quella di due compagni per riuscire a tenerlo lontano all’imboccatura del condotto.

«È troppo lento e mio fratello è ancora lì dentro! Non lascerò che anneghi!» bercia Thor e con uno spintone ben assestato al petto di Fury si libera, costringendolo a mettere mano alla bacchetta.

L’Auror sta prendendo la mira quando, poco prima che pronunci l’incanto, il rumore di un cielo che si spezza interrompe i pensieri di tutti.

Nell’aria si apre una crepa e dalla crepa viene rigurgitato il corpo di un ragazzo.

«Lo… Loki?»

 

 

Piegato in due e con le mani sulle ginocchia, Loki tossisce e sputa acqua. Intorno a lui professori, ragazzi e auror lo guardano come se avessero assistito all’arrivo di un gigante di ghiaccio e quando finalmente i polmoni tornano riempiti d’aria, si solleva e curva le labbra in un sorriso sottile, bello e vittorioso. Giusto un po’ zuppo, ma per quello conosce l’incantesimo adatto.

«Ora sarebbe il momento adatto di ridarmi la mia bacchetta e riconoscere il mio primo posto» afferma nel tono arrogante di un principe che dà ordini alla servitù. E benché il palmo della mano sia rivolto a Silente, lo sguardo s’affila sul preside di Durmstrang e Baron Zemo che nascondono dietro una maschera di silenzio ogni loro pensiero.

Avevano un piano ed è fallito.

Al contrario di quello di Loki, che s’affretta a nascondere l’altra mano in tasca e spezzare nel pugno le ali di Billywig e l’incanto che lo hanno condotto alla luce del giorno, permettendogli di smaterializzarsi fino al Ponte del Viadotto senza quasi doversi nemmeno concentrare. È bastato cercare la luce.

«Tu!» Thor gli piomba addosso con grazia elefantiaca e la stessa pesantezza nei grossi palmi che gli batte sulle spalle «Credevo saresti morto!»

Loki si lecca le labbra, ma quando sulla lingua rimane il sapore di lago – e di qualcos’altro a cui non vuole pensare – smorfieggia disgustato.

«E io credevo avessi un cervello sotto a quella chioma dorata, ma non facciamone un dramma.»

«Maledetta serpe bugiarda!» Thor lo afferra per le spalle, in scossoni che basterebbero a finire il lavoro lasciato a metà con Nick Senzatesta, staccandogliela di netto, e che per miracolo non la staccano anche a Loki.

«Ora basta!» urla il Campione.

Puzza di fogna, ha passato due ore e mezzo nella melma e si è quasi lasciato affogare; quel maledetto fratello acquisito e imbecille potrebbe avere più riguardo!

Ma tanto è bravo a leggere la gente, quanto poco lo è a vederne l’affetto, è così abituato a ingannare che cerca sempre un significato dietro ogni gesto, quando invece quelli di Thor sono sinceri, limpidi come il suo animo. E il grifondoro lo stringe in un abbraccio, lasciando che la sua risata coli nell’orecchio del serpeverde.

«Perfino la morte riesci ad ingannare, fratello!» esclama, con una fierezza rara che ha il potere di mettere a tacere perfino Loki.

 

 

Non passerà molto perché anche il resto dei campioni raggiunga l’uscita del viadotto, contenti di poter respirare finalmente aria pulita.

Un incanto disinfestante, uno rinfrescante e un “Gratta&netta” dopo, a raggiungere il serpeverde è anche Stark, che si avvicina con l’aria di chi è invecchiato dieci anni in un solo colpo.

Lo trova ancora accanto a Thor, il grifondoro a intrappolargli le spalle con un braccio, con nessuna intenzione di volerlo lasciare andare tanto presto – ha avuto paura di perderlo, ma non basterà una Cruciatus a farglielo ammettere.

«Il tuo piano era barare, Odinson?» chiede Tony a bassa voce, anche se i professori sono troppo occupati a discutere tra loro sul calcolo dei punteggi per dar bado alle chiacchiere dei ragazzi.

Loki solleva il mento.

La menzogna è il suo credo, barare è quello che fa, perché una vita onesta è noiosa e banale e perché la sua è troppo preziosa per essere sprecata dietro a regole decise dagli altri.

«Le regole prevedevano che non avrei potuto utilizzare la magia finché le rune anti-mago fossero attive, non è mia la colpa se le hanno disattivate prima che il tempo della prova terminasse» afferma mellifluo, passando una mano su lunghi capelli corvini finalmente liberi dal pantano melmoso delle fogne.

Tony non può negare una certa ammirazione, a quanto pare tentare il suicidio durante la Prova è la via per la vittoria.

Poco distante da loro, invece, il Terzo Campione si trova accanto a Rogers.

Alla cintura del tassorosso, penzola la fondina di pelle che ospita la sua bacchetta, un legnetto di quercia rossa, dalle venature rosso sangue che ora acquistano tutto un nuovo significato.

Loki lo ha visto nelle Rune, una notte di luna piena: la magia di quei due è nata dal sangue e nel sangue, un giorno a l’altro, cesserà d’esistere.

 

[ 7.075w ]



[1] fa parte del testo della canzone Space oddity – David Bowie


 

Lo confesso, sono colpevole, Vostro Onore, colpevole di aver piegato la consegna della Seconda Prova ai miei porci comodi; ma ho pensato che, tecnicamente (un tecnicamente preso con le pinze), le istruzioni le ho seguite; insomma, gli ostacoli che dovevano comparire sono comparsi... poi io li ho interpretati nel modo che più mi conveniva, sue me! y_y

Senza contare che ho anche fatto in modo che Loki barasse, ma è Loki, non poteva fare una prova senza barare, sarebbe stato offensivo nei suoi confronti!

A parte gli scherzi, la verità è che non sono per niente brava con questo genere di prompt, purtroppo si vede e la narrazione ne ha risentito parecchio. Forse, quando il Torneo sarà finito, rivedrò completamente questo capitolo e modificherò tutte le parti che non mi piacciono, ma considerando la mia pigrizia per ora rimane un bel sogno per il futuro.

Ma passiamo alle cose importanti che in questo capitolo sono principalmente due:

1. Il formato della prova non appartiene a me, ma è stato deciso da chi si è occupato della challenge e sotto trovate tutte le indicazioni che dovevano essere seguite.

2. mi sono presa la libertà di modificare in parte la filastrocca (che comunque mantiene il medesimo significato di quella originale), è stato solo perché mi sembrava brutto avere Tony che diceva peste e corna di qualcosa creato da altri, in questo modo quindi spero nessuno si offenda.

 

[..] Questa volta la Prova si svolgerà all’interno dell’impianto idraulico di Hogwarts, diverse decine di metri sottoterra.

I vostri Campioni si sveglieranno al centro di un condotto. Saranno sprovvisti di bacchetta, avranno con sé solo la pergamena contenente l’indizio e il frammento di specchio.

L’obiettivo è quello di riuscire a trovare l’uscita senza utilizzare la magia. Non è consentito utilizzare abilità magiche, si dovranno comportare come semplici Babbani.

Che cosa incontreranno nel tentativo di trovare l’uscita?

Nelle tre ore i vostri Campioni dovranno affrontare necessariamente questi ostacoli:

strada senza via d’uscita;

allagamento improvviso di un condotto*;

incontro con un Avvincino*. Sarà uno solo e si scontrerà con il vostro Campione;

incontro con un centinaio di Chizpurfle (saranno privi di sostanze magiche). Attaccheranno il vostro Campione, che dovrà difendersi;

canto dei Maridi che distrarrà il vostro Campione, impedendogli di concentrarsi sul trovare l’uscita. Sta a voi decidere come, l’importante è che venga mostrato quanto il Campione sia scosso.

* Solo in questi casi è consentito l’utilizzo di Magia Accidentale come Smaterializzazione o incantesimi difensivi.

Ricordatevi che avete a disposizione un solo colpo. Se, ad esempio, decidete di utilizzare la magia contro l’Avvincino, non vi sarà possibile usarla durante l’allagamento del condotto e viceversa.

Se decidete di utilizzare la Smaterializzazione, i vostri Campioni non potranno spostarsi all’esterno dell’impianto idraulico. Potranno solo tornare indietro, decidendo di imboccare un’altra tubatura invece che quella che aveva precedentemente scelto.

A cosa serve il frammento dello Specchio Gemello?

Privato del senso dell’orientamento, il Campione che affronta la Seconda Prova dovrà farsi guidare dai suoi compagni.

Questi due si troveranno in un’aula in disuso all’interno di Hogwarts, dove troveranno una mappa dell’impianto idraulico del Castello e avranno la possibilità di localizzare il proprio compagno ma… attenzione! Potranno parlare con il Campione designato solo due volte all’ora, per dieci minuti ciascuna.

Sei volte in totale, quindi.

Inoltre, mentre il Campione affronterà le avversità segnate con *, la comunicazione sarà assente o interrotta.

I Campioni presenti all’interno dell’aula non avranno a disposizione libri scolastici, oggetti o altri materiale. Non possono inviare al loro compagno nessun tipo di aiuto, solo parlarci.

Allo scoccare delle tre ore, se il vostro Campione avrà trovato l’uscita, si troverà l’indizio per la prova successiva nella tasca della divisa. Si tratta di un foglio di pergamena piegato in quattro.

 

Come al solito, grazie a chi ancora sta seguendo questa minilong e un grazie speciale a chi si è ritagliato un po' di tempo anche per commentarla, you da best!

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Scritta per Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo di Madama Rosmerta – Seconda Prova

   
 
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