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Autore: shilyss    23/04/2023    5 recensioni
Ci sono problemi che il martello di Thor non può fracassare né l’astuzia di Loki aggirare. Più inesorabili della Voluspa e dannosi di Hulk dentro a una cristalleria esistono solo due cose. Il Solstizio presso quei gran bacchettoni dei Vanir e i parenti molesti degli Asi. Dal 1 capitolo: Il punto ora è che Odino, a suo tempo, aveva deciso di svecchiare e rendere più moderna l’idea che si aveva all’estero degli Asi. Il suo spiccato senso della pubblicità e del marketing, concetto midgardiano che evidentemente trovava proseliti anche ad Asgard, gli aveva fatto mettere su una campagna lunga secoli che si proponeva l’ambizioso programma di far cambiare nettamente idea ai Nove Regni tutti
Attenzione! Sebbene la storia sia ambientata nell'universo di "Tutte le tue bugie", può essere considerata come una fanfiction a sé stante! Buona lettura!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heimdall, Loki, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Il tempismo, questo sconosciuto

Riprende, purtroppo per Loki
Il primissimo impulso del bel Loki di Asgard fu quello di ignorare l’acquolina in bocca che gli provocavano quelle squisite teste di pesce croccanti al punto giusto e di chiudere gli occhi e la porta di fronte a quello spettacolo sinceramente brutto e parecchio imbarazzante. Gli si pararono davanti tutta una serie di eventi a cui quel pecoraro maledetto di Vili avrebbe partecipato, perché a Vanheim nessuno lavorava a parte lui, che era nato per essere re e per aumentare di almeno un punto percentuale il PIL. In quel regno di fricchettoni, midgardianiamente parlando, si festeggiava anche la qualunque e quel vecchiaccio di Njord era capacissimo di indire una giornata di riposo collettivo anche in onore del fatto che si era (finalmente) tagliato le unghie. Ecco un’altra immagine che avrebbe voluto lavare via dalla propria testa con l’aceto, pensò, perché non si creda che gli Æsir erano degli zozzoni, tutt’altro. Era prassi che si facessero tutti il bagno almeno una volta a settimana. Poi, ovviamente, l’eccezione c’era sempre – ogni riferimento a Vili è puramente casuale – ma il dio dell’inganno sapeva bene come, a questo mondo, il bastone faceva lo stregone, simpatico modo di dire norreno.

Loki non aveva però tenuto conto che Thor era un pozzo senza fondo e che quando si trattava di mangiare (e di mangiare le succulente teste di pesce, poi), non guardava in faccia nessuno e dimenticava la dignità. La sua già traballante dignità. Il tonante quindi riaprì la porta, abbracciò calorosamente lo zio e la nuova zia acquisita, accettando di buon grado l’idromele e il brunch che l’accompagnava.
“Cosa fai, deficiente??” sibilò Loki inorridito, osservando il fratello e la sua irritante capacità di vedere sempre il corno mezzo pieno.
L’altro alzò le spalle. “Che ti sembra? Faccio colazione,” bofonchiò a bocca piena. “Sbrigati, o non te ne lascerò nemmeno mezza!”

Loki Laufeyson o Odinson, le cartelle dell’Agenzia delle Entrate facevano ancora molta confusione su questo punto, assottigliò gli occhi, reprimendo con una certa fatica l’impulso di lanciare un’incudine o direttamente la porta contro Thor, non tanto perché volesse evitare di causare del male fisico all’altro, ma per la puntuale consapevolezza che, dopo il colpo, il primo figlio di Odino lo avrebbe malmenato di rimando. Quindi inspirò ed espirò lentamente e, come sempre, decise di attuare il piano più banale di tutte, quello che Loki aveva collaudato la prima volta più o meno durante la fase della lallazione. Raggirare quel caprone ingordo in modo tale da piegarlo al suo volere. Il lettore non deve pensare che Loki Odinson o Laufeyson, in quest’ambiguità Loki ci sguazzava e i vigili urbani non ci si raccapezzavano, provasse piacere a ingannare così suo fratello. Thor si lasciava manipolare con una facilità esasperante. Era più semplice intortare lui che la sua adorabile figlioletta quattrenne, per dire. Sonje, al contrario dello zio aveva capito piuttosto velocemente le strategie malefiche del suo affascinante papà.

“Vili si è sposato con Ufa! Sigyn non ne sarà felice!” sibilò.
Thor annuì e gli diede una manata sulla schiena. “Ma tutta Asgard sì, fratellino,” annunciò staccando con un morso una delle ultime teste. “Penso che vivrete benissimo qui, nella fertile Vanheim. Insieme. Vi verrò a trovare ancora più spesso, giuro!”
Di fronte a questa commovente promessa, Loki dimostrò una volta di più la sua somiglianza col fu Odino Borson sfogandosi con un urlo inarticolato e belluino, talmente tanto disperato e carico d’odio che fu avvertito anche nello studio del guardone dei Nove Regni, Heimdall.

Udendolo, il custode del Bifrost e dio della viabilità di Asgard rifletté amabilmente su due impellenti questioni: la prima, che quella disgrazia ambulante di Loki non doveva per nessun motivo tornare a vivere con gli Æsir; la seconda, che non aveva ancora capito cosa diamine avesse rubato quel figlio d’uno Jotunn di liberi costumi durante la sua rapida visitina a casa di mamma e papà. Non aveva preso nessuna delle reliquie di Odino, né le armi incantate o i libri di magia proibita né, tanto meno, le scorte di cereali di cui Thor andava particolarmente ghiotto. A Loki non fregava niente dei cereali. Li rubava al fratello per dispetto, punto. La mattina, lui faceva colazione con tutt’altro – Heimdall era abbastanza certo di ricordare che ingurgitava ettolitri di una bevanda nera d’importazione, coltivata dagli Elfi o dai Nani, piuttosto amara e rigorosamente senza zucchero, cui accostava i famosi dolcetti al miele di Vanheim. A detta di molti, erano l’unica cosa commestibile che la sua biondissima mogliettina sapesse cucinare. Ma i cereali erano lì dove dovevano stare e così tutte le cose preziose e/o pericolose conservate nel palazzo di Asgard. Dunque, che cos’era fregato quel disgraziato semina guai? Nel tentativo di venire a capo di quel mistero, il povero Heimdall s’improvvisò persino svuota cantine e andò a rovistare nei sotterranei del palazzo. Lì, in mezzo alle varie stramberie accumulato nei secoli dalla Bor buonanima e Odino pace all’anima sua, rintracciò persino una scatola che conteneva il vecchio baffo di Loki. Sì, parliamo proprio dell’orribile strumento di tortura inventato e montato da un dentista Nanico con una spiccata propensione all’imprecazione libera, l’oggetto responsabile del sorriso smagliante e seducente di Loki.

“Ma tu guarda se dobbiamo tenere in cantina pure ‘sto schifo,” bofonchiò il guardiano, ripromettendosi di buttare quella ferraglia al primo cassonetto. Ma poi, mentre si puliva la mano sui pantaloni, notò qualcosa. Sul momento non lo riconobbe, o meglio, non capì che cosa stava guardando, un po’ come era avvenuto quando aveva aperto la scatola con l’apparecchio per i denti di Loki e si era trovato davanti un groviglio orribile di fili metallici, ma poi comprese esattamente che cosa stava fissando ed ebbe una chiara visione dei progetti di quel mentecatto maledetto di Loki.

Abbastanza lontano da Asgard, ma non troppo, come il dio dell’inganno presto avrebbe ricordato a proprie spese, il nostro affascinante antieroe era quasi riuscito a convincere suo fratello, il nobile e sempre affamato Thor, a schierarsi dalla sua parte nel tentativo di annullare le nozze tra Vili e Ufa. Aveva iniziato col dire che c’era qualcosa di profondamente sbagliato e pure un po’ immorale, nel fatto che la famiglia reale di Asgard si stesse avvitando su sé stessa insieme a quella di Vanheim. Questa era stata la sua tesi iniziale. Sia Vili che Thor, tuttavia, gli avevano fatto notare che lui, alla fine, era stato adottato e che con la schiatta di Odino c’entrava fino a un certo punto. Il dio del tuono soprattutto puntualizzò questo aspetto con un certo risentimento, perché insieme al sangue del fu Padre Tutto e al trono di Asgard aveva ereditato anche la tendenza ad appesantirsi sul girovita.

“Prova a mangiare meno teste di pesce,” suggerì Loki, caustico e maligno.
Thor non se la prese. Conosceva quella disgrazia ambulante di suo fratello da quando aveva iniziato a muovere i primi passi e sapeva benissimo che la sua cattiveria derivava da una dose di genuina invidia.
“Capisco il tuo punto di vista,” concesse dopo aver spazzolato il suo brunch e aver innaffiato la gola con un bel goccio di idromele. “E, in effetti, guardarli è sinceramente inquietante. Credi che l’abbia drogata con qualche intruglio?”
Loki strinse le labbra. “Temo sia più probabile che lei abbia drogato lui.”
Il dio del tuono annuì e stava per concedere il proprio aiuto al fratello – almeno così il nostro buon figlio d’una gigantessa credeva fermamente, quando il portale del Bifrost si spalancò di fronte a loro costringendolo a esclamare tutt’altra frase.
“Heimdall! Qual buon vento!”
“Già, qual buon vento,” gli fece eco Loki a denti stretti.
Il guardiano si piantò di fronte all’ingannatore puntandogli contro un dito accusatore. “Tu! Tu, piaga malefica, sventura su due gambe, odioso tra tutti gli Æsir! So cos’hai fatto!”
“Cos’ha fatto, stavolta?”
Loki si strinse nelle spalle. “Io non ho fatto niente,” disse candidamente. “Loro hanno fatto e consumato, e questo è davvero orribile.”
Heimdall gettò un’occhiata a Vili e Ufa che, intenti a tubare come due colombi, sembravano non aver fatto caso alla sua improvvisa venuta. Cosa tra l’altro probabilmente vera, pensò Loki, perché erano tutti e due un po’ duri d’orecchie.
“Perché mai orribile? L’amore non conosce età, deficiente. Sono una bella coppia, invece,” sentenziò il guardiano del Bifrost. “Bellissima!”
Aveva degli interessi personali che lo spingevano a caldeggiare il matrimonio di Vili Borson. Il fratello di Odino era una maledetta spina nel fianco, solo di poco meno fastidiosa di Loki stesso. Nella sua mente, Heimdall pensò che Vanheim era diventato, per lui, il corrispettivo del paese in cui mandava a mani levate tutti i suoi personali nemici. Un luogo ideale lontano dalla sua persona, dove gli scocciatori si stavano radunando a uno a uno. Prima Loki, poi quell’ubriacone di Vili. La vita gli sorrideva, finalmente, le Norne erano favorevoli, gli usignoli cantavano sui rami degli alberi (o, almeno, così gli pareva). Scoppiò a ridere senza neanche accorgersene, tanto che, per un momento, dimenticò la questione per cui aveva lasciato Asgard.
“Ma che gli prende, è pazzo!? Sarà il caso di abbatterlo, prima che faccia danni,” suggerì Loki a suo fratello.
Thor scosse la testa. Era abituato alle soluzioni drastiche del dio dell’inganno. “È il troppo stress, però, ora che mi ci fai pensare, avrebbe bisogno di una vacanza.”
“Una lunga vacanza, sì, in un posto circondato da un alto muro di cinta e chiuso da lingue di fuoco.” La fantasia di Loki si era scatenata andando forse un pochino oltre il seminato, dato che il tonante gli scoccò un’occhiataccia di rimprovero. Le lingue di fuoco erano un tantino eccessive.
Ma Loki figlio di Odino amava gli eccessi e i mirabolanti effetti pirotecnici, proteggeva le arti e le scienze, collezionava testi rari, disegnava linee d’abbigliamento e di drakkar, finanziava la ricerca, si occupava dell’import/export di Vanheim, patrocinava il concorso che premiava ogni anno il miglior allevatore di cavalli e, insieme a Thor, quello per il caprone più bello, gestiva la difesa dei Vanir e imprendeva in una serie di altre attività che non hanno assolutamente nulla a che fare con il capitolo, avendo il solo e chiaro scopo di tributare Loki stesso, un uomo bello, affascinante e dalle moltissime virtù, come ben sappiamo, ma non esente da qualche insignificante difettuccio, come quel breve attacco di cleptomania che lo aveva spinto a trafugare un piccolo e insignificante oggetto.

Heimdall smise di ridere e riacquistò il suo contegno. “Tuo fratello,” disse a Thor, “ha compiuto un’azione gravissima. Nella sua ultima visita ha rubato un prezioso oggetto magico che tuo padre e tuo nonno custodivano gelosamente!”
Thor lanciò un’occhiata esasperata all’ingannatore. “Loki, ma insomma!”
“È colpa tua, almeno in parte, fratello. Tu hai portato a casa mia Vili, che si è dimenticato di dirmi che il regalo per il Solstizio che avevo fatto a Sigyn non era stato consegnato, mettendomi in una spiacevolissima situazione. Per questo, carico di stress, sono corso ad Asgard a prendere qualcosa di degno dai gioielli di mamma.”
Thor effettivamente si sentiva un po’ colpevole per il disguido, ma ragionò anche sul fatto che qualsiasi cosa Loki si fosse intascato non dovesse essere tanto pericolosa. I Nove Regni erano ancora lì, tutti integri. Certo, Heimdall sembrava furibondo, ma Heimdall era sempre furibondo con Loki perché era di natura rancorosa. Loki tutto era fuorché facile da gestire, vero, ma spesso i suoi scherzi erano innocui. Non sempre, certo, soprattutto perché a volte anche gli scherzi innocui prendevano pieghe tragiche – o tragicomiche, ma, oggettivamente, Heimdall a volte esagerava e nell’ultimo periodo era un po’ stressato. Questo giudizio forse un po’ frettoloso e superficiale di Thor non deve sorprenderci, del resto. Il dio del tuono abbracciava la filosofia del Mjollnir, che consisteva più o meno in questo: qualsiasi problema poteva risolversi con una martellata bene assestata. Se c’era Loki di mezzo, magari le martellate potevano diventare due o tre, ma come diceva Odino quando eccedeva con i cicchetti di idromele, la famiglia non te la scegli e ognuno di noi ha i suoi difetti e perlomeno Loki quando si sfilava gli stivali non faceva appassire le piante, cosa che succedeva abbastanza spesso quando zio Vili si metteva in libertà. E poi la fiera per il caprone più bello si sarebbe tenuta di lì a una settimana circa e Thor adorava quest’appuntamento annuale. Suo fratello aveva tanti squilibri, è vero, ma gli piaceva brindare col miglior idromele ed era un giudice severo nella decisione su quale bestia dovesse ricevere l’ambito premio Miglior Caprone dell’Anno. Giudizio su cui loro due erano sempre d’accordo.
“Che avrà mai preso di così fatalmente importante, su! Siamo ancora tutti qui, vivi!” specificò con un largo sorriso.
A Heimdall quella risposta non piacque per niente, come non gradì lo sghignazzo malefico, a stento trattenuto, di Loki. “Non lo diresti, se sapessi cos’ha preso.”
Thor cominciò a spazientirsi. “Che sarebbe…”
Heimdall prese un gran respiro e, finalmente, svelò le fatali parole. “Il Grattaschiena dell’infinito, Thor. Il Grattaschiena dell’infinito.”
Ci fu un momento di silenzio. Un momento di pathos, si direbbe in una storia seria. Fuori si sentì un corvo gracchiare. Sia Loki che Heimdall erano in attesa di una reazione del dio del tuono alla tremenda rivelazione. L’ingannatore teneva intrecciate le braccia dietro la schiena e guardava in basso, a Heimdall tremava il labbro inferiore dall’ira e dalla preoccupazione.
“E se lo tenesse,” proruppe infine Thor. “Te lo regalo, fratello. Un impiccio in meno.”
“Fratello, la tua generosità mi riempie il cuore di gioia. Accetto con gratitudine,” rispose Loki con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Heimdall strabuzzò gli occhi. “Non stai dicendo sul serio! Tu non conosci il suo potere!” boccheggiò incredulo. “Non sai quello che fai!”
“Cosa potrà mai fare il Grattaschiena dell’infinito!?” esplose il dio del tuono. “Ho un castello pieno zeppo di ciarpame, Heimdall. Papà nell’ultimo millennio ha cominciato ad accumulare roba peggio di uno scoiattolo, proprio come nonno Bor. Il risultato? Il palazzo di Asgard è un disastro. Una discarica. Iniziamo a svuotare le cantine, tiriamo fuori tutta quella robaccia che teneva là dentro! Reliquie le chiamava lui, ma quali reliquie! Copie del guanto dell’infinito, ma che ci dobbiamo fare con le copie! L’apparecchio per i denti di Loki, ma non sarà ora di buttarlo, che schifo? E poi le dichiarazioni dei redditi che risalivano al tempo in cui io e Loki andavamo a scuola e papà aveva qualche regno in meno intestato. Ma basta! Ha una collezione di pitali, lo sapevi? No, Heimdall, non si può campare così, te lo dico io. Adesso svuotiamo tutto e anziché tenerci ‘sta robaccia inutile, ci faccio costruire una mega palestra come dico io!”
Loki, in silenzio, annuiva, ma si capiva perfettamente che si stava divertendo più di quanto fosse lecito. Le urla belluine del tonante erano riuscite a distogliere anche Vili e Ufa dal loro romantico tubare. La nonnina di Sigyn sussurrò che era favorevole al repulisti auspicato da Thor. Si confacevano perfettamente alla sua teoria, secondo cui dovremmo liberarci di quegli oggetti che non ci suggeriscono nulla di piacevole. E certamente l’apparecchio usato da un Ase adolescente non può ispirare nessuna sensazione positiva se non lo schifo e la sorpresa.
Heimdall, invece, forse era un accumulatore seriale come e quanto Odino, perché tentò con ogni mezzo di convincere il suo sovrano a non agire d’impulso.
“Thor, amico mio, il grattaschiena dell’infinito non è un oggetto da regalare a cuor leggero! È potente e utile!”
Il dio del tuono si voltò di scatto nella sua direzione. “Perché, che fa?”
“Ti consente di grattarti in ogni punto della schiena,” intervenne Loki.
La voce di Heimdall si fece bassa e grave. “Capito, Thor!? Ogni punto!”
Thor ragionò per qualche secondo sull’informazione ricevuta. Soppesò il desiderio di avere una nuova palestra alla necessità di grattarsi la schiena e alla (surreale) situazione e poi decise. Come erede di Padre Tutto e re di Asgard, era stato abituato fin dall’infanzia a prendere delle decisioni anche difficili nel tempo di un battito di ciglia.
“Te ne regalo due di questi affari, fratello.”
“Troppo magnanimo!” osservò Loki, ma si vedeva che era soddisfatto. Gli brillavano gli occhi e fu portato a pensare che quella giornata, iniziata in maniera pessima, forse avrebbe potuto riservargli qualche piacevole sorpresa. Forse.

Archiviato il problema del grattaschiena dell’infinito, restava la questione delle nozze tra Ufa e zio Vili, ma Heimdall almeno in questo aveva ragione: l’amore non ha età e Loki Odinson o Laufeyson, l’ambiguità era ben lungi dal risolversi, doveva mettere da parte il suo disgusto e, nel caso, prendere una qualche pozione per impedire che gli venisse un’ulcera.
“In fondo,” provò a convincerlo Thor, “lei ti ha detto di non tornare finché non avessi trovato la nonna. Beh, l’hai trovata.”
Loki si lasciò convincere da questa logica stringente: era esausto. Profondamente e terribilmente stanco di tutti e tutto. S’immaginò il proprio studio, sepolto dalle scartoffie che si erano accumulate durante la sua breve assenza, ripensò con fastidio alla Laxdaela violata, il suo bellissimo drakkar tutto da ripulire, meditò sulle molte trame di cui Thor era all’oscuro, ma che necessitavano del suo celere intervento e decise che sì, zio Vili era una calamità ingestibile che adesso apparteneva a quella svitata di Ullfriaehdkkeh.
Una delle tante disgrazie su cui lui non poteva intervenire, tipo le tasse, i brufoli, la ritenzione idrica e le eruzioni vulcaniche. C’erano e basta.
Dunque, parlottando tra sé e sé, s’incamminò insieme al fratello e alla coppia di novelli sposi verso la sua dimora abituale, augurandosi che la sua dolce metà fosse almeno un po’ sollevata nel rivederlo.


Se nel corso della notte appena trascorsa Loki era stato malmenato da Thor e mangiato vivo dalle pulci, a Sigyn non era andata molto meglio. Nel castello dove viveva con suo marito, naturalmente, regnavano l’igiene e la pulizia e nessun parassita era annidato nel suo letto, ma la litigata con Loki e la preoccupazione per le sorti della sua nonnina adorata le avevano impedito di dormire per più di due ore filate. Si era girata e rigirata tra le coperte maledicendo il dio dell’inganno e la sua capacità di incasinare tutto quello che toccava. Anche le cose più semplici. Poi c’era la questione Freya, naturalmente. A mente fredda, usando la logica, Sigyn sapeva che essere gelosa del turbolento e complicato passato di Loki era un atteggiamento che non tutelava la sua sanità mentale. Era ancora infuriata e trovava tutta la questione degli amanti Æsir di sua zia molto inquietante, ma a farle inviperire era stato un altro fattore: l’avevano tenuta all’oscuro per anni. Ecco cosa la rattristava. Così, un paio d’ore prima dell’alba, si era decisa finalmente ad alzarsi dal letto e a seguire uno dei suggerimenti di nonna Ufa: mettere in ordine, liberandosi del superfluo per riprendere il controllo della propria esistenza.
Così l’aveva trovata Sonje al mattino quando, in camiciola da notte e tirando per una zampa il fedele Gatto Tooh, l’animale di pezza con gli occhi a bottone dono del suo zio preferito, era comparsa sulla soglia della camera da letto.
“Mamma, quando torna papà?” domandò sfregandosi gli occhioni grigi ancora gonfi di sonno.” Voleva che Loki le insegnasse a usare quel maledetto pugnale e a cavalcare il tenero ponicorno che dormiva, beato lui, nella sua stalla riscaldata e dotata di ogni comfort. La bimba si guardò attorno aggrottando la fronte: nella stanza regnava il caos più totale. C’erano vestiti e accessori praticamente ovunque. In un’altra occasione, Sonje avrebbe supplicato la madre di farle provare tutti quegli abiti bellissimi, ma in quel momento era ancora troppo assonnata per ragionare sulle infinite possibilità offerte da quel tappeto di tessuti colorati. Le sue priorità erano la colazione e una visitina al suo dolce ponicorno.
Sigyn le scompigliò i ricci neri e le diede un bacio. “Tornerà presto con nonna Ufa,” spiegò – si augurò.
“Quanto presto?” insistette Sonje, sospettosa.
“Se ti giri, lo scoprirai,” ghignò una voce dietro di loro. Sonje urlò di gioia e corse ad abbracciare l’adoratissimo padre, sorvolando sulla sua aria stropicciata e sul leggero fetore che emanava.
Sigyn invece rimase perfettamente immobile, nella stanza messa a soqquadro.
“Ho trovato Ullfriaehdkkeh,” le disse l’ingannatore.
“Ne sono lieta,” ribatté lei, sostenuta. L’efficienza di Loki l’indispettiva un po’. Lui riusciva a essere bello e affascinante anche con un occhio pesto e l’aspetto di uno che è scivolato malamente dentro una pozza di fango, mentre in lei c’era sempre qualcosa di fuori posto, di goffo, decise. Come quando era una ragazzina impacciata e, ai balli, nessuno si degnava di notarla.
In quel momento, per esempio, nonostante lui sembrasse un vagabondo, era lei, con le maniche arrotolate in una stanza ricoperta di vestiti buttati a casaccio, che pareva una disperata. In realtà il suo modo di tranquillizzarsi creando ordine rispondeva a una delle principali massime di nonna Ufa che, nella sua profonda e infinita saggezza, sosteneva come per creare l’ordine ci volesse prima il disordine. Filosofia che anche Loki appoggiava, neanche a dirlo.
“Lei e zio Vili sono convolati a giuste nozze, Sigyn. Si amano profondamente.”
Lei impallidì. “Eh!?” sbottò.
Forse aveva dormito troppo poco. Forse aveva le allucinazioni. Magari stava sognando.
Loki ripeté la frase non una, ma due volte. Alla terza volta, raccontò per filo e per segno come lui e Thor avessero ritrovato Ullfriaehdkkeh e Vili, avendo tuttavia il buonsenso di sorvolare su nudità varie. Mentre parlava, aggrottando la fronte come aveva fatto sua figlia, osservava il caos che regnava nella stanza.
“Mi stai dicendo che tuo zio Vili è diventato il mio nonno acquisito!?” sibilò infine.
“Si amano molto,” precisò Loki. “E comunque sì. Questo ti rende una mia cugina acquisita.” Meglio dirlo subito, decise.
“Al prossimo solstizio regalerà anche a me qualche arma brutalmente affilata?”
“Temo di sì. Solo io e Thor abbiamo il privilegio di ricevere delle mutande di pelliccia.” Loki lo disse con un tono di voce a metà tra il serio e il faceto, ma, per Vili, la biancheria intima di pelo era qualcosa di sommamente chic e raffinato. Quel babbione esterofilo di Odino non tutelava mai abbastanza la rude manifattura asgardiana, frutto di generazioni di pirati e pecorari costretti a litigarsi il cibo con gli animali selvatici. Nel tempo Padre Tutto si era imborghesito, cedendo alle lusinghe delle mutande in 100% cotone o in misto seta, infiacchendo lo spirito forastico dei suoi figlioli adorati con i morbidi tessuti in fibra naturale, da molli Vanir fricchettoni, ma lui, Vili figlio di Bor, uomo duro e puro, non rigettava le antiche tradizioni, non si vergognava di essere un Ase e indossava mutande di pelliccia. Anche a Vanheim, dove in inverno le minime non andavano quasi mai sotto lo zero. Sì, zio Vili era un protettore dell’artigianato Æsir nel mondo e un suo esportatore, anche. Per quanto potesse sembrare allucinante a Loki, il cui animo corrotto si era piegato all’ideale internazionale di Odino, le mutande di pelliccia fruttavano un certo reddito a Vili, che le vendeva ad ambigui principi biondi guerrieri di altri mondi, talmente innamorati di questo comodo capo d’abbigliamento da sfoggiarli senza pantaloni.
Un brivido scosse l’inorridita Sigyn, ma prima che potesse replicare, nonna Ufa comparve sulla soglia, oltrepassò Loki e abbracciò forte sua nipote.
“Oh, Sigyn cara, dobbiamo organizzare una magnifica festa di nozze. Coki e Thor sono stati così gentili e premurosi a farci gli auguri per primi!”
“Un’altra festa!?” gemette Loki.

Continua, purtroppo per Loki...

Shilyss

L’angolo di Shilyss
Bentrovati, Cari Lettori e care Lettrici!
Alcuni riferimenti presenti in questo capitolo (il Baffo di Loki, la questione dell'oggetto rubato e la violazione del drakkar di Loki) erano cose scritte negli altri capitoli che, spero, qualcuno di voi ricorderà ancora! L'acquirente delle splendide mutande di pelo è un chiaro omaggio a He-Man (l'He-Man degli Anni Ottanta). Questo capitolo nasce dal fatto che su fb ho chiesto qualche storia volevate che aggiornassi e, a grande richiesta, incredibilmente, avete chiesto 'sta cosa qua: quindi ciò vuol dire che a) volete che aggiorni qualcosa in particolare? Chiedete (su fb o qui) e po' esse che vi sarà dato. b) siete in tanti ad amare zio Vili e Loki non vi approva per niente, sapevatelo :P
Per contattarmi non su Efp, cercate la mia pagina su FB. Anche se non la aggiorno spesso ce l’ho sempre sotto gli occhi ;)

Ringrazio di cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. ♥ Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo. A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Sempre Vostra,
Shilyss

   
 
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