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Autore: Kakashi_Haibara    07/05/2023    0 recensioni
Stati Uniti, 1985
Il governo statunitense ha indetto una caccia spietata ai mutanti, esseri umani dotati di poteri soprannaturali, per proteggere l'umanità in pericolo.
Feliciano Vargas è un mutante arrestato dall'esercito e rinchiuso nell'inespugnabile fortezza di Westbrook, dove vengono catturati e studiati i mutanti più temuti. Dovrà sopravvivere all'interno della prigione, tra esperimenti e lavori forzati, per poter tornare a casa e riabbracciare il fratello maggiore, aiutato nel frattempo da un gruppo di mutanti rivoluzionari determinati a salvare i prigionieri.
È una storia in cui due mondi opposti si scontrano e si uniscono continuamente tra il dolore, l'amore, l'amicizia e l'odio.
[Mutant!AU, supernatural powers]
(Coppie principali: GerIta, Spamano, FrUK)
!ATTENZIONE! il rating potrebbe salire da arancione a rosso, per scene future con contenuti violenti e/o sessuali espliciti
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 4

 

1 febbraio 1985, sotterraneo di Villa Caesar, Portland, Maine, USA

 

- Ecco, l'hai ucciso!

- Non l'ho ucciso, l'ho salvato dalle guardie dell'esercito. Sono l'eroe, qui.

La testa era pesante e gli occhi faticavano ad aprirsi. Sentiva due voci maschili discutere tra di loro.

- E allora perché non si muove? Con la tua forza bruta l'avrai ammazzato, non c'è dubbio. - continuò il primo uomo. Parlava a bassa voce, forse non voleva farsi sentire.

- Senti, Mozart dei miei stivali, ti ricordo che sei stato tu a suggerire che lo prendessi io! - rispose l'altro, il quale invece non si faceva nessun problema ad alzare il volume della voce. Pareva il più giovane tra i due.

- Ragazzi! - Urlò una terza voce, molto vicina e più acuta, ma sempre maschile. Solo in quel momento, stordito com'era, si accorse delle dita che gli stringevano il polso. - Nessuno ha ucciso nessuno, è ancora vivo, solo svenuto.

- In ogni caso, - continuò il primo uomo. - Arthur non sarà felice.

- Non sarebbe felice in ogni caso! - rispose il giovane. - Perché il nostro piano si è rivelato un fiasco totale. E vuoi sapere per quale motivo? Per colpa di questo qui.

In qualche modo Romano capì che stessero parlando di lui. Si sforzò con tutto se stesso di aprire gli occhi, ma, ogni volta che ci provava, una luce gli bruciava le pupille. Si sentiva il corpo tutto indolenzito, in particolare la nuca e il busto. Da quel poco che capiva, era seduto su una sedia e non era legato. Forse chi lo teneva lì non lo considerava una minaccia oppure semplicemente non volevano fargli del male.

Cosa gli era successo? Prima di perdere i sensi aveva visto un uccello gigante... Come un uccello? Forse il dolore al collo gli stava dando alla testa e non lo faceva ragionare per bene.

Emise un mugolio dalla bocca, scuotendo lentamente il capo per la frustrazione.

- Hey, si sta svegliando. - il terzo uomo richiamò l'attenzione degli altri due, che smisero immediatamente di bisticciare.

Tentò finalmente di parlare. - Dove... Chi? - alzò lo sguardo. La luce gialla di una lampada da tavolo che puntava direttamente sul suo viso lo accecò, ma si sforzò di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava e di capire chi fossero gli uomini presenti.

La stanza era fredda e umida, forse si trovavano in uno scantinato. A una prima occhiata pareva piccola e piuttosto spoglia: vedeva un tavolino con qualche foglio e strumenti da lavoro sparsi sopra, delle mensole impolverate e un armadietto con un'anta storta.

Strabuzzò gli occhi e squadrò l'uomo più vicino: era un asiatico dai capelli lunghi castani legati in una coda. Gli occhi a mandorla erano accoglienti e il sorriso caldo. Non inspirava malvagità, forse era in buone mani.

Ma poi passò agli altri due e ritirò tutto, tanto che ormai lanciarsi in una fortezza piena di uomini armati non gli sembrava più una cattiva idea.

L'uomo alla sua destra era slanciato e magro e la prima cosa che notò fu il completo di velluto viola che indossava (per poco non scoppiò a ridere, veniva direttamente dal 1800 o cosa?). L'espressione austera e severa del viso però lo frenò da ogni risata, la bocca era incurvata in una smorfia sdegnosa. In poche parole, non dava l'idea di essere molto felice di averlo come ospite. Ma, nonostante questo, dietro agli occhiali dalla montatura sottile vi era uno sguardo vacuo e inespressivo: si domandò se fosse cieco. Si teneva a debita distanza con le braccia conserte e batteva ripetutamente il piede a terra.

Proprio quando spostò lo sguardo per osservare il terzo uomo, lo vide avvicinarsi a grandi passi, facendolo sprofondare nella sedia dallo spavento. - Si può sapere a che diavolo stavi pensando?! Hai vanificato ogni nostro sforzo eroico e ci hai quasi fatti scoprire!

Era un ragazzo alto e muscoloso (considerata la stazza nettamente superiore alla sua, avrebbe potuto mettere Romano al tappeto con un singolo pugno), portava i capelli biondi tagliati corti e gli occhi azzurri lo fissavano con ostilità dietro agli occhiali rettangolari. Con la canottiera bianca, i pantaloni mimetici e gli stivali militari sarebbe passato senza problemi come un soldato americano, ma lo tradivano delle enormi e bellissime a-

Per poco Romano non si strozzò con la sua stessa saliva: delle gigantesche ali ripiegate su loro stesse spuntavano dalla schiena del ragazzo e arrivavano quasi a toccare terra. Partivano con una tonalità sul marrone bruciato e sfumavano sulle punte in un bianco pallido, come le ali di un'aquila.

Era talmente scioccato che non riuscì a formulare neanche una parola.

Il ragazzo continuò, puntandogli un dito contro. - Volevi farti ammazzare? Ringrazia che c'era un grande eroe come me a salvarti il cu-

- Alfred! - lo rimproverò una voce. Un giovane entrò dalla porticina sulla destra. - Lo stai spaventando più del dovuto, non aveva cattive intenzioni, quindi vedi di calmarti. - Gli scoccò un'occhiata eloquente: “Taci o ti faccio a pezzi”.

Il ragazzo chiamato Alfred sembrò voler ribattere, ma cambiò idea, indietreggiò e mise il broncio, incrociando le braccia.

Il giovane appena arrivato non era particolarmente alto, i capelli biondi erano curati e lo sguardo serio e vigile, le sopracciglia folte erano corrucciate in un’espressione pensosa. Irradiava un'aura potente, tanto da far venire la pelle d'oca all'istante. Squadrò Romano per un attimo e poi si avvicinò, lentamente. I suoi occhi verdi non si staccavano dai suoi, sembrava quasi che gli stesse leggendo l'anima per carpire ogni suo segreto.

- Roderich. - disse voltandosi verso l'uomo con lo smoking. - Vai a rassicurare gli altri, di' loro che non c'è nulla da temere.

L'interpellato annuì ed uscì dalla stanza senza difficoltà. Quindi probabilmente si era solo immaginato che fosse cieco.

Il biondo riportò la sua attenzione verso di lui.

- Romano Vargas... - esordì appena arrivato a pochi centimetri di distanza. - Dunque sei davvero il nipote di Cesare Vargas.

A sentire il suo nome e quello del nonno, Romano ebbe un tuffo al cuore. Deglutì a vuoto, il cuore batteva all'impazzata. - Co-come fai a sapere il mio nome? Perché conosci mio nonno? E chi cazzo sei?

L'altro inclinò la testa, studiandolo da cima a fondo e ignorando il linguaggio scurrile. - Ero un suo allievo. - disse con noncuranza, come se stesse pensando a mille altre cose contemporaneamente e che rispondere alle domande del ragazzo fosse l'ultimo dei suoi problemi. - Non sapevo avesse dei nipoti, non sono mai riuscito ad entrare nella sua mente, era troppo potente...

Romano sgranò gli occhi. - Anche tu sei un telepate come il nonno?

- Sì, ma non abile quanto lui. - il biondo si mise a braccia conserte. - Quindi vuoi salvare tuo fratello Feliciano dalla prigionia?

Il viso di Romano si rabbuiò e solo in quel momento si accorse di avere un cerotto attaccato alla guancia, probabilmente per coprire la ferita che si era procurato durante la fuga dalla fortezza. Strinse i pugni, seppur a fatica, in quanto i palmi erano completamente ricoperti di tagli. - Esatto. Circa una settimana fa a New York Feliciano è stato catturato da quei bastardi dell’esercito mentre io mi ero allontanato per comprare del cibo... - Si morse il labbro, mentre una lacrima gli rigò la guancia sinistra. - Non avrei dovuto lasciarlo solo. Sapevo che i controlli erano aumentati nell'ultimo mese, ma non pensavo ci avrebbero trovato così facilmente. Sono stato un incosciente!

Il ragazzo asiatico gli posò una mano sulla spalla e gli sorrise gentilmente. Di solito non amava essere toccato, ma in quel momento non ci badò, il suo sguardo era confortevole e rassicurante, come se conoscesse bene la sensazione di impotenza in cui Romano si trovava.

- Non essere così duro con te stesso. - proseguì Arthur con tono fermo. - Non è stata colpa tua, noi ti possiamo capire. Qui in molti hanno perso qualcuno di caro per mano dell’esercito e faremo tutto il possibile per riportali a casa sani e salvi.

Romano si asciugò gli occhi con il dorso della mano. - Siete voi i ribelli, non è vero?

Gli sembrò che Arthur avesse avuto un leggero tic all'occhio, ma pensò di esserselo immaginato. - Sì, siamo i rivoluzionari. Stiamo organizzando un piano per poter irrompere una volta per tutte nella fortezza e salvare i mutanti catturati, ma abbiamo ancora troppe poche informazioni e siamo in numero di gran lunga inferiore rispetto ai soldati dell'esercito. Oggi avremmo provato un nuovo piano grazie all'ingresso nel gruppo di nuovi mutanti, ma un imprevisto non ci ha permesso di attuarlo...

Fissò l'italiano negli occhi con fare accusatorio, corrugando le sopracciglia, che Romano notò essere più folte del normale, conferendogli un'aria ancora più scorbutica.

- M-mi dispiace. - l'italiano abbassò lo sguardo, colpevole. - Pensavo di potercela fare da solo, ho agito in un momento di rabbia.

Ammettere di aver fatto una stupidaggine lo irritava particolarmente, di solito era troppo fiero per poterlo fare, ma in quel momento non aveva molta scelta, era circondato da mutanti che sembravano piuttosto potenti, non avrebbe voluto offenderli e poi finire abbrustolito o che altro.

Arthur sospirò. - Per questa volta posso chiudere un occhio.

Il ragazzo chiamato Alfred intervenne. - Arthur, voglio ricordarti che ci ha quasi fatti ammazzare, non dovresti andarci così piano con-

Non fece in tempo a finire la frase. Arthur gli lanciò un'altra occhiata fulminante, ma questa volta Alfred sostenne il suo sguardo. Si scrutarono a lungo in un duello silenzioso. Romano si chiese se non stessero discutendo tramite i pensieri, ricordava che il nonno lo faceva spesso con lui e suo fratello quando non voleva sgridarli ad alta voce. Sapeva quanto potesse essere faticoso lottare con un telepate.

Proprio quando la tensione divenne quasi insopportabile, Alfred alzò gli occhi e scosse la testa.

Arthur si voltò di nuovo verso Romano, facendo finta che nulla fosse accaduto. - Dicevo, posso chiudere un occhio per stavolta. Ma potremmo evitare un altro fraintendimento del genere in futuro, non trovi? Non sarai più costretto a dover lavorare da solo...

- Mi... Mi state chiedendo di entrare a far parte dei rivoluzionari?

- Esattamente. - proseguì Arthur. - Ti daremo una mano a ritrovare tuo fratello e tu intanto aiuterai noi con missioni di ricognizione per ottenere informazioni sulla fortezza. Naturalmente dovrai trasferirti qui alla villa per limitare il più possibile i tuoi spostamenti e per non essere rintracciato dall'eser-

- Non posso.

Arthur sbatté più volte gli occhi, allibito. Evidentemente non si aspettava di essere interrotto e nemmeno i suoi compagni. Persino Alfred aveva smesso di tenere il broncio e aveva spalancato la bocca, stupito per il comportamento dell'italiano.

Il capo dei rivoluzionari si schiarì la voce. - Come, scusa?

- Non posso unirmi a voi. - Romano abbassò lo sguardo, per non incrociare quello penetrante di Arthur. - Non posso trasferirmi, quindi non mi è possibile lavorare per voi, attirerei troppo l'attenzione spostandomi dalla città fino a questa villa. Vi risparmierei un sacco di problemi. Anzi, non dovrei nemmeno essere qui in questo momento.

- Ma come... Oh. - Arthur portò una mano sotto il il mento, pensieroso. Romano quasi poté vedere gli ingranaggi del suo cervello lavorare e intuì che avesse letto nella sua mente per capire che cosa gli stava nascondendo. Quel pensiero lo irritò.

- Che cosa? - intervenne il ragazzo asiatico, il quale intanto aveva riposto nell'armadietto il kit medico. - A cosa si sta riferendo?

- È Moreau, non è vero? - gli chiese Arthur, ignorando il suo compagno. - Ti ha trovato prima di noi e ti sta minacciando. “Se fai un passo falso ti metto l'esercito alle calcagna”, giusto?

Romano si strofinò una mano sul viso dalla vergogna. Era stato così stupido da farsi scoprire da quell'uomo e adesso era inevitabilmente legato a lui. - Mi dispiace, non ho potuto fare altro. Quel bastardo ha tutti i miei dati e quelli di mio fratello, mi ha obbligato a lavorare per lui. Mi ha detto che se io provassi a fuggire da lui, farebbero del male a Feliciano. Ho le mani legate.

- Dannato Moreau! - sibilò Alfred. - Sapevo che avremmo dovuto ucciderlo molto tempo fa!

- Noi non uccidiamo nessuno e questo lo sai, Alfred, altrimenti non saremmo migliori dell'esercito. - Arthur si passò una mano tra i capelli, sbuffando. - Romano, magari possiamo aiutarti in qualche modo.

- No, non vi conviene. - l'italiano si alzò dalla sedia, ignorando i dolori al collo. - Il suo locale è situato in una zona colma di militari. Perfino io sto rischiando molto nonostante non abbia grandi poteri, ma voi... Voi attirereste troppo l'attenzione. La vostra presenza è troppo potente. Fidatevi, è molto meglio così. Posso andare ora o dovete ancora rompermi le palle?

Arthur lo stava guardando come se fosse un cane bastonato e in effetti forse ci andava molto vicino. Sembrava volesse a tutti i costi aiutarlo e trovare una soluzione. A dire la verità, tutta quella gentilezza da parte sua lo irritava, sicuramente non era rivolta a lui: era così disponibile solo perché era nipote di Cesare. Nessuno voleva mai davvero il suo bene. Veniva solo usato per altri scopi.

- E va bene, ti lascio andare. - Arthur sembrava sinceramente infastidito da quella conclusione. - Ma non esitare a metterti in contatto con me se avessi bisogno di aiuto o se dovessi cambiare idea. Immagino tu sappia già come fare.

Romano annuì ed uscì dalla stanzetta senza degnare nessuno di un singolo sguardo.

Prima di chiudersi la porta alle spalle, sentì la voce di Arthur. - Alfred, nel mio ufficio.

 

 

 

Appena sentì la porta chiudersi dietro di sé, Arthur si voltò con la fronte aggrottata e le braccia conserte e appoggiò la schiena alla scrivania

- Non ti permettere mai più di interrompermi mentre trattengo una conversazione, in particolare con un nuovo mutante.

Alfred si teneva a qualche metro di distanza con lo sguardo basso. In realtà Arthur sapeva perfettamente che non vedeva l'ora di poter ribattere a tono e discutere. Sin da piccolo era sempre stato un ragazzo irrequieto che non prendeva ordini da nessuno, ma nell'ultimo periodo sembrava essere molto più in competizione con l’inglese.

- Come credi che io possa mantenere la mia autorevolezza se ho costantemente qualcuno che mi interrompe o mette in dubbio le mie decisioni? - proseguì Arthur, impassibile. - Senza contare il fatto che non c'era alcun bisogno di rivolgersi in modo così aggressivo verso Romano Vargas.

- Non c'era bisogno?! - sbottò Alfred. - Arthur, ha mandato a monte il nostro piano! Abbiamo rischiato di farci scoprire o catturare! O peggio, uccidere!

- Lo capisco, ma non poteva saperlo. - tentò in tutti i modi di non alzare la voce, non era nel suo stile. Ma con Alfred era davvero difficile. - Voleva soltanto salvare suo fratello.

- Come me, non ti pare? - Alfred fece qualche passo in avanti. - O forse ti sei dimenticato che Matthew è stato catturato e rinchiuso in quella prigione perché ha seguito ciecamente il tuo piano?

Ecco dove voleva andare a parare.

- Alfred, sai già come mi sono sentito per tuo fratello. - Arthur aveva sempre cercato di evitare quella conversazione. Pensare di aver perso un ragazzo (e non uno qualunque) per un suo errore lo faceva imbestialire, non gli serviva sicuramente che il gemello glielo ricordasse ogni volta che si innervosiva. - Matthew era abile, mi aveva assicurato che avrebbe fatto attenzione, io mi sono fidato, non potevo sapere che sarebbe finita così...

- Sono tutte scuse! - tuonò Alfred. - La verità è che non ci hai provato abbastanza. Volevi più informazioni e così hai usato il mutante più indicato, ma sapevi che sarebbe finita male, sapevi che la sorveglianza era aumentata, sapevi e non hai fatto nulla per impedirlo!

Ormai Alfred si era avvicinato a pochi centimetri dal viso di Arthur. Sfruttando la differenza di altezza, fissava l'inglese dall'alto in basso con gli occhi lucidi per la rabbia e il dolore. Dall'agitazione aveva spiegato le ali, circondando completamente Arthur ai lati con i suoi due metri e mezzo di apertura alare. L'unica cosa che Arthur voleva fare in quel momento era fuggire dalla verità, ma era bloccato dalla scrivania che gli premeva sulla schiena. Per la prima volta non riuscì a guardare Alfred negli occhi.

- Alfred, devi credermi. - Balbettò, scuotendo il capo. Imprecò mentalmente per quella scena pietosa. Era più maturo e più preparato di Alfred, eppure in quel momento si sentiva come un bambino che aveva appena distrutto un vaso prezioso di famiglia. - Ho mandato Matthew solo perché me l'ha chiesto lui. Se avessi potuto, glielo avrei impedito, davvero.

Il ragazzo inclinò leggermente il capo, assottigliando lo sguardo. - Beh, ci vorranno più che delle semplici parole per convincermi. E preferirei che mi guardassi quando mi dici la verità. Io voglio continuare a fidarmi del mio leader, Arthur.

Con riluttanza e con il cuore che batteva forte per l'agitazione, Arthur incrociò il suo sguardo con quello di Alfred. Senza dubbio quella visione di sé doveva risultare penosa agli occhi del diciottenne. Alfred aveva sempre guardato con ammirazione l'inglese, non l'aveva mai fronteggiato direttamente, quella situazione era del tutto nuova per tutti e due. Tuttavia, Arthur si sforzò di mantenere un tono deciso. - Matthew si è offerto volontariamente di compiere quell'impresa. Era sicuro che avrebbe avuto successo. Come uno sciocco, l’ho lasciato andare. E io mi sento tremendamente in colpa per questo, credimi. Non ti mentirei mai, Alfred.

Per attimi che sembrarono ore, Alfred non tolse il suo sguardo corrucciato dagli occhi affranti  dell'inglese. Solo quando ebbe appurato che stesse davvero dicendo la verità, ripiegò le ali.

- So che non lo faresti, sei troppo buono per potermi mentire. - sospirò per poi dare dei colpetti alla spalla di Arthur. - Scusa se ho reagito trasportato dalla rabbia, ero nervoso... Vado a farmi un giro.

Si voltò e si avviò verso l'uscita.

- Alfred. - lo richiamò l'inglese.

Il ragazzo si voltò con la mano ancora sul pomello della porta.

- Sono felice che siate tornati sani e salvi, oggi. - Arthur si accarezzò un braccio, a disagio. - Sei stato bravo, hai agito temerariamente e hai salvato la vita a un mutante.

Non sapeva cosa volesse ottenere di preciso, ma era sincero. Era davvero fiero di lui, aveva agito in modo responsabile. Stava diventando più maturo, dopotutto.

Proprio quando pensava che lo avrebbe mandato a quel paese, Alfred sorrise e le guance gli si colorarono lievemente di rosso. - Sono un eroe, ho solo svolto il mio dovere!

Detto questo, uscì e si chiuse la porta alle spalle, mentre Arthur si faceva sfuggire una risata, rilasciando tutta la tensione accumulata.

 

 

 

3 febbraio 1985, fortezza di Westbrook, Maine, USA

 

Le giornate nella fortezza erano estremamente monotone. Ma d'altronde, cosa si sarebbe dovuto aspettare da una prigione?

Negli ultimi giorni Feliciano aveva passato molto più tempo insieme a Matthew. Durante la pausa in giardino si raccontavano le vicende passate con i propri fratelli e proseguivano anche una volta in cella, se le guardie lo permettevano.

Kiku invece si era sempre più chiuso in se stesso. Non voleva mai partecipare alle conversazioni, nonostante i numerosi inviti di Feliciano, e a malapena mangiava. Preferiva dare i suoi avanzi ai fratellini. Un gesto splendido, se non fosse che in questo modo stava perdendo peso a vista d'occhio.

Feliciano temette che la condizione in cui il corpo di Francis si era ridotto lo avesse traumatizzato a un punto tale da voler diventare più debole per non essere usato come cavia.

In fondo, Feliciano poteva capirlo, anche se non aveva grandi poteri come i suoi. Essere diversi in una società che non ti accetta, è estremamente stressante e faticoso, figuriamoci essere un mutante con un potere tanto potente a soli quindici anni. E come se non bastasse, era stato catturato e rinchiuso in una prigione in cui non gli rimaneva altro che attendere il verdetto finale. Doveva essere terrorizzato.

Feliciano avrebbe voluto confortarlo, ma non riusciva a parlargli. Ogni volta che ci provava, Kiku lo ignorava.

Quel giorno, Kiku sembrava particolarmente inquieto, forse alimentato dal fatto che Francis non si era ancora svegliato dal suo “coma volontario”. In quei quattro giorni il suo corpo si era rinvigorito e le ferite erano sparite come per magia, ma non si svegliava, dunque non doveva essersi del tutto ripreso. E questo voleva dire solo una cosa: se al laboratorio avessero avuto bisogno di una cavia, avrebbero preso chiunque altro, in particolare i mutanti più potenti, fornitori numero uno della maggior quantità di energia. E Kiku rientrava in quella categoria.

Proprio in quel momento la porta del corridoio si spalancò e Kiku ebbe un fremito da sotto le coperte. Anche a Feliciano mancò un battito: era sempre difficile capire per quale motivo i soldati entrassero nella zona delle celle.

Poi una voce in mezzo al corridoio, alla destra di Feliciano, tuonò. - Gruppo delle 15:30. Mutanti Elizabeta Hédervàry, Michelle Payet e Feliciano Vargas.

L'italiano trasse un sospiro di sollievo: erano solo i turni della doccia. Il soldato che aveva parlato andò ad aprire prima una cella poco lontana e poi quella di Feliciano.

L'uomo indicò la porta dall'altro lato del corridoio. - Uscite da lì, la vostra guardia vi sta aspettando. - girò i tacchi e ritornò da dove era venuto.

I tre prigionieri si avviarono. Feliciano lanciò uno sguardo alle sue due compagne: aveva rivolto loro la parola svariate volte. Michelle era una bambina sugli undici anni delle Seychelles dalla pelle ambrata e i capelli neri legati in due code, categorizzata come mutante di Livello Epsilon, mutanti con nessun potere particolare, ma che non potevano confondersi tra gli umani. Difatti, Michelle sarebbe anche passata per una normale ragazzina delle medie, se non fosse che le sue braccia, le caviglie e gli zigomi erano ricoperti da squame dai riflessi azzurri, come quelle di un pesce. Al loro primo incontro la ragazzina gli aveva rivelato di possedere la capacità di respirare sott'acqua e di saper parlare con gli animali marini. Feliciano pensò che fosse un potere piuttosto divertente, ma non osò dirglielo, non sapeva come l'avrebbe presa. Elizabeta invece sembrava una vera e propria ninfa dei boschi: era una bella donna formosa dai lunghi capelli castani ondulati e un'espressione del viso gentile e premurosa. Era una mutante di Livello Gamma. Come Michelle, non sarebbe mai stata scambiata per un'umana qualunque: la pelle chiara prendeva sfumature verdastre e rosee, come il gambo e i petali dei fiori, aveva le orecchie a punta e gli occhi svegli e brillanti. Ma, al contrario della ragazzina, possedeva dei poteri considerati pericolosi dall’esercito, poteva infatti controllare ogni forma vegetale, dai fili d’erba alle radici degli alberi. Diceva che spesso, senza il collare, dal suo corpo spuntavano fiori e germogli quando provava forti emozioni, specialmente tra i capelli. Scherzava su quanto fosse una seccatura doverli togliere dopo una notte di incubi. Era una driade arrivata direttamente dalla mitologia greca, Feliciano ne era sicuro.

Elizabeta teneva per mano la bambina: condividevano la cella e la più grande si era ripromessa di non lasciare mai Michelle da sola. A essere sinceri, anche l'italiano avrebbe voluto qualcuno nella fortezza che tenesse a lui come Elizabeta teneva alla piccola.

Ad aspettarli al di là della porta, all'ingresso dei bagni, c'era un soldato che Feliciano aveva già conosciuto. Non seppe se rallegrarsi o meno. - Ludwig?

L'interpellato strabuzzò gli occhi nel sentire il suo nome. Quando realizzò chi lo avesse chiamato, ritornò con la sua solita espressione dura. - Gradirei che non mi si chiamasse per nome mentre sono in servizio. Specialmente da un mutante, non si addice molto al tuo status, senza contare il fatto che gli altri soldati potrebbero innervosirsi e prendersela con te, non credi?

Feliciano storse la bocca, grattandosi la testa dall’imbarazzo. - Hai ragione, scusa.

Nonostante la faccia torva, Ludwig non sembrava uguale agli altri soldati che disprezzavano profondamente i mutanti e li trattavano come spazzatura, nascondeva qualcosa dietro a quella maschera di ghiaccio. Per questo motivo Feliciano si era interessato e non aveva fatto altro che pensare a lui nell'ultima settimana. Voleva capire che cosa passasse per la sua testa, il motivo per cui lavorasse in quella fortezza nonostante non avesse alcun interesse nello studio o nel contenimento dei mutanti.

Ludwig indicò una porta. - Hédervàry, conosci già il procedimento. Non c'è bisogno che ti debba ripetere i rischi che comporterebbero un tuo eventuale atto di insubordinazione, giusto?

La donna sorrise ironicamente. - Certo che no. E poi, dovrei essere una stupida a voler tentare di fuggire da una fortezza pullulante di guardie armate. - si trascinò dietro Michelle ed entrarono nel bagno riservato alle donne.

- Tu, da questa parte. - il soldato indicò con il dito un'altra porta, quella per il bagno degli uomini.

Feliciano la spalancò trotterellando dentro, felice di avere finalmente la possibilità di darsi una sciacquata. Ma proprio quando fu sul punto di togliersi la maglia bianca, si accorse che anche Ludwig era entrato nel bagno e lo fissava con occhi duri ed inespressivi.

- Ehm... Scusami, ma non merito anche io un po' di privacy?

- Con Elizabeta posso chiudere un occhio, si è conquistata la mia fiducia negli scorsi cinque mesi, per questo non ritengo necessario che venga controllata. - rispose senza battere ciglio. - Ma, secondo il regolamento, devo sorvegliare ogni mossa del prigioniero a me assegnato (tu in questo malaugurato caso) nell'eventualità in cui volesse ideare un piano per fuggire.

- Ma io non voglio ideare un piano per fuggire. - borbottò Feliciano.

- Immagino, ma sono le regole.

L'italiano aggrottò la fronte, perplesso. Sperava di poter avere qualche momento per se stesso almeno sotto la doccia. Ne aveva bisogno, in quella fortezza era costantemente osservato e non aveva avuto neanche un attimo di intimità.

Probabilmente Ludwig notò il malessere del mutante. - Ma... Se ti mette così tanto a disagio, posso voltarmi. Devi solo promettermi che non farai niente di stupido o sospetto o sarò obbligato a procedere con le maniere forti. Hai cinque minuti.

Feliciano sorrise raggiante. - Tutto chiaro e cristallino, non farò nulla di sospetto!

Ludwig annuì e si voltò verso la porta, dando il tempo a Feliciano di togliersi i vestiti e riporli su uno sgabello. Dopodiché entrò dentro la doccia e si chiuse alle spalle lo sportello che dava la possibilità di coprire almeno la parte inferiore del corpo. L'aria che fuoriusciva dallo scarico puzzava di fogna, ma non appena sentì l'acqua sul viso si sentì come rinato e ignorò l'odore.

- Non sapevo lasciaste che i prigionieri usufruissero dell'acqua calda! - urlò, per farsi sentire.

- A dir la verità non è per compassione o per farvi un piacere. - sentì la voce di Ludwig a malapena, coperta dallo scrosciare dell'acqua. - È per far sì che vi adattiate al caldo, così che se provaste a fuggire, non riuscireste ad abituarvi alle temperature glaciali del Maine in tempo prima di essere presi di nuovo o uccisi.

Feliciano rabbrividì, pentendosi di aver fatto quell'osservazione. - Davvero rassicurante.

Mentre si lavava, poté già notare gli effetti della sua prigionia: nonostante consumasse tre pasti al giorno, era dimagrito. Era sempre stato di corporatura minuta, ma in quel momento capì che la permanenza in quel posto l'avrebbe ridotto a uno scheletro: le costole erano già ben visibili e anche quel tanto di grasso che aveva era scomparso. E non era stato rimpiazzato da alcun muscolo, si sentiva debole. Ovviamente il collare che lo espropriava dei poteri non faceva altro che peggiorare la situazione. Si sentiva privato di una parte di sé e inevitabilmente questo lo lasciava senza forze.

I cinque minuti volarono, dandogli a malapena il tempo di insaponarsi completamente, e il getto d'acqua si spense in automatico. Diede un'occhiata fuori e notò che Ludwig gli aveva lasciato un asciugamano bianco appeso ad un gancio. Lo prese, si asciugò velocemente il corpo e poi se lo legò alla vita. Il soldato era ancora voltato e questo fece scappare un sorriso a Feliciano: in fondo, era stato fortunato ad avere lui come supervisore e non qualche altro militare, dubitava ci sarebbe stato qualcuno così rispettoso della sua privacy. Forse solo quell'altro che non aveva più rivisto, Antonio. Si domandò cosa gli fosse successo e perché non si fossero più incontrati.

Era talmente preso dai propri pensieri, che, uscendo, non notò quanta acqua si fosse riversata fuori dalla doccia. All'improvviso appoggiò male un piede, che slittò in avanti, facendogli perdere l'equilibrio.  Il cuore mancò di un battito e, mentre cadeva all'indietro, l'unica cosa che riuscì a pensare fu “Sono un idiota”.

Si aspettò di sentire dolore alla schiena, di battere la testa e magari finirci secco, ma non accadde. Al contrario, percepì un braccio sotto la sua schiena, prevenendo la sua caduta sul pavimento.

Gli ci volle qualche attimo per riprendersi dallo spavento iniziale. Strizzò gli occhi e quando li riaprì, Ludwig era inginocchiato di fianco a lui e lo guardava, tenendolo saldamente tra le sue braccia. - Tutto bene? - gli chiese con la sua voce grave.

Feliciano si guardò intorno. Era seduto sul pavimento bagnato, sostenuto dal braccio del soldato. Sentiva il respiro caldo di Ludwig sulla sua fronte. L'orecchio era talmente vicino al suo petto, che poteva percepire il battito regolare del suo cuore nonostante l'uniforme. Solo in quel momento si accorse della mano destra del soldato appoggiata al suo fianco umido e arrossì.

- G-grazie. - balbettò in imbarazzo. - Sto bene, non mi sono fatto male.

Probabilmente anche il soldato si accorse solo in quel momento della posizione in cui si trovavano e vide le sue orecchie tingersi di rosso. Feliciano pensò che fosse carina come reazione e trattenne una risata: quindi anche il soldato più inespressivo della fortezza sapeva provare emozioni.

Ludwig si tirò su, aiutando il ragazzo ad alzarsi. - Ehm... Ora rivestiti, devo riportarvi nella cella. - e uscì dal bagno. Probabilmente dall'agitazione si era dimenticato del fatto che avrebbe dovuto “sorvegliarlo in ogni sua mossa”.

Feliciano ridacchiò e si rivestì alla svelta. Una volta uscito, si unì al gruppo che lo stava aspettando. Le ragazze avevano ancora i capelli umidi, a quanto pare non erano presenti degli asciugacapelli nei bagni. Si girò verso Ludwig, ma quello voltò lo sguardo dall'altro lato con un'espressione imbarazzata sul viso. Feliciano rischiò davvero di scoppiare a ridere, ma si contenne, non sapeva come avrebbe reagito e in più non gli sembrava giusto, lo aveva appena salvato da un'ipotetica fine pietosa e molto poco memorabile.

- Andiamo. - disse Ludwig, spalancando la porta per il corridoio delle celle.

Ma in quel momento, ogni briciolo di felicità che aveva provato svanì.

Appena entrati nella stanza, si levò un grido disperato. Feliciano inorridì alla scena che si presentò davanti ai suoi occhi: due soldati alti e robusti cercavano di tirare su per le braccia Kiku, il quale invece si dimenava e urlava di lasciarlo andare, il tutto accompagnato dalle vocine dei fratellini che gridavano il suo nome. Un terzo soldato dai capelli rossi, un colonnello, recitava annoiato qualcosa scritto su un bigliettino che stringeva tra le dita, ma le sue parole si perdevano in mezzo a quella confusione. - Kiku Wang, mutante di Livello Omega, tramite esami accurati, sei stato scelto come soggetto più indicato per gli esperimenti dell'esercito federale degli Stati Uniti d'America al fine di contribuire alla creazione di una cura che possa prevenire una volta per tutte la diffusione del Gene X, ossia la causa del mutamento genetico di numerosi esseri umani sulla terra. - Il soldato alzò gli occhi verdi al cielo, noncurante delle grida del ragazzo. - Non opporre resistenza o saremo costretti a sedarti.

Le minacce non servirono a nulla, Kiku continuò a resistere. Piangeva e sul suo volto era dipinta un'espressione di puro terrore. Ogni volta che uno dei due soldati lo prendeva per un braccio, Kiku gli mordeva la mano e se provavano ad afferrarlo per le gambe, tirava calci disperati.

Quando Feliciano si riprese dallo shock iniziale, cominciò a strattonare Ludwig per la manica. - Fermali! - implorò con le lacrime agli occhi.

- Non posso, quell'uomo è un mio superiore e prende ordini direttamente dai dirigenti del laboratorio e dal generale. Io non ho potere in quel campo. - nemmeno Ludwig sembrava felice della scena a cui stavano assistendo, tanto da tenere lo sguardo basso.

Feliciano emise un gemito. Non potevano portarlo in laboratorio, non potevano essere così insensibili alle sue suppliche!

- Kiku Wang, ti sto avvertendo una seconda volta. - continuò il soldato dai capelli rossi con aria seccata, per niente toccato emotivamente dalla scena. - Dovremo sedarti se non vieni con noi pacificamente.

Ma non era più una minaccia. Fece un cenno a uno dei due uomini, che smise di contrastare Kiku e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una siringa. Intanto una guardia delle celle era intervenuta per tenere fermi i due bambini.

- Allistor! - gridò la voce di Matthew dalla sua cella - Non potete farlo, è troppo giovane, non sapete che conseguenze potranno esserci!

- Zitto! - ringhiò il soldato, dando un calcio alle sbarre della cella di Matthew. Il frastuono riuscì persino a sovrastare le grida dei fratelli Wang. Poi sul suo viso si disegnò un sorriso malsano, gli occhi verdi crudeli come quelli di un serpente luccicarono di malvagità. - O forse vuoi offrirti ancora una volta come volontario? Dopotutto, non ci hai rivelato tutti i segreti dei rivoluzionari, o sbaglio?

Matthew fronteggiò il suo sguardo, senza però proferire parola. La paura e il ricordo lo tenevano incollato al terreno.

Feliciano voleva fare qualcosa. Anzi, sapeva cosa doveva fare, ma era terrorizzato. Le parole non uscivano, il corpo non si muoveva. Come a rallentatore, vide il soldato togliere il tappo dalla siringa e conficcarla nel braccio di Kiku, il quale emise un ultimo grido irato, prima di crollare a terra, semi cosciente.

Quello fu il culmine. Non poteva aspettare, non poteva permettere che un ragazzo così giovane venisse usato da degli scienziati senza cuore per le loro azioni vili e orribili. E le parole gli uscirono spontanee. - ANDRÒ IO! - urlò, avanzando verso i soldati.

Ludwig, ripresosi dallo stupore iniziale, tentò di afferrargli il braccio. - Cosa fai?! Rimani qui!

Ma Feliciano lo ignorò e continuò a camminare. Il cuore pareva volergli spaccare il petto da quanto batteva forte per la paura, ma non si sarebbe fermato. Mai.

- Feli-... - mormorò Kiku, mezzo svenuto tra le braccia di uno dei soldati.

- Feliciano, non farlo! Sarà troppo doloroso da sopportare anche per te! - gli gridò Matthew da dietro le sbarre, ma l'italiano non gli diede attenzioni.

La guardia dai capelli rossi lo squadrò con sguardo sprezzante. - E tu chi saresti?

- Mi chiamo Feliciano Vargas e voglio offrirmi per l'esperimento al posto di quel mutante. - con suo stupore, la voce non vacillò. Ma tutto il suo corpo stava tremando e avrebbe tanto voluto darsela a gambe. Ma non lo fece. Sostenne lo sguardo perforante del soldato.

Quello sembrò rifletterci su. Guardò il biglietto che aveva in mano e poi lo accartocciò. - Molto bene, abbiamo un mutante tanto temerario quanto stupido! - esclamò e poi indicò Kiku, il quale ormai aveva completamente perso i sensi. - Potete rimettere dentro la sua cella quella lagna. Al laboratorio non saranno molto felici, ma, insomma, un mutante vale l'altro.

I due soldati annuirono, sollevarono Kiku e lo riposero su uno dei letti della loro cella, tra i singhiozzi dei suoi fratellini.

- Allora vieni pure, Feliciano Vargas. - scandì il soldato chiamato Allistor con fare da superiore. - Immagino non ci sarà bisogno di sedare anche te, non è vero?

L'italiano non gli rispose e si incamminò insieme ai soldati.

- Voglio venire anche io. - Feliciano si bloccò, sentendo la voce di Ludwig.

Il soldato dai capelli rossi alzò il sopracciglio folto e scuro, innervosito. - E perché vorresti, Beilshmidt?

- Sono stato assegnato alla custodia di questo mutante, non mi sembra sia scritto da nessuna parte che io non possa assistere. Specialmente io. Capisci cosa intendo, giusto?

L'espressione di Allistor era indecifrabile. Con quegli occhi da serpe, sembrava quasi che volesse saltare al collo di Ludwig e mozzarglielo. Invece, sbuffò e si incamminò verso l'uscita. - Fai quello che ti pare.

Feliciano tentò di rivolgere la parola al biondo, ma i due soldati lo afferrarono per le braccia e lo costrinsero a camminare, seguiti da Ludwig. Voltò la testa indietro e vide una guardia che richiudeva la cella numero 34 e un'altra che riportava Elizabeta e Michelle nella loro cella. Forse se lo immaginò, ma gli sembrò di vedere Ludwig voltarsi verso una delle prime celle e parlare a bassa voce con un prigioniero, ma prima di poter capire se fosse davvero così, i due soldati lo trascinarono dietro l'angolo, diretti verso il laboratorio.




Spazio dell'Autrice
Salve a tutti Hetalians!!!
Questo è probabilmente uno dei miei capitoli preferiti per ora! Mi sono divertita un mondo a scrivere tutta la parte iniziale con Alfred e Roderich che bisticciano, Romano e la sua lingua lunga e poi la piccola scena di tensione tra Arthur e Alfred! Ma la mia preferita in assoluto è tutta la parte dedicata a quei due sciocchini di Feli e Ludwig T^T Staranno già nascendo dei sentimenti? Chi lo sa! So solo che il prossimo capitolo sarà un punto di svolta per Feliciano e per il suo rapporto con Ludwig e la fortezza. Ne passerà tante dentro quel laboratorio.
VOGLIO SCUSARMI per aver saltato la scorsa domenica. Purtroppo vi avevo avvertito che maggio sarebbe stato un incubo per me con tutti gli esami che devo dare. Tra l'altro quello che ho dato questa settimana è andato male, quindi sono un po' giù T_T ... Spero che a voi invece stia andando tutto bene!
Fatemi pure sapere se il capitolo vi è piaciuto e noi ci rivediamo la prossima domenica!!
Byeeeeee <3

   
 
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