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Autore: Neamh Moonstar    19/05/2023    1 recensioni
C'è un motivo se Aziraphale non dorme, e risale all'alba dei tempi - anzi, a molto prima.
Anche conosciuta come la fanfiction che Neamh scrisse invece di continuare le altre.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Prima e dopo la fine del mondo'
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Alla carissima genius_undercover che vorrebbe tanto vedere l'angioletto dormire (e come darle torto).




Aziraphale non poteva ricordarlo, ma era accaduto quando ancora non esistavano che Dio, gli angeli e il Paradiso.

Si era avvicinato lentamente ad uno degli arcangeli, l'unico con cui aveva tessuto un buon rapporto, e lo aveva osservato in silenzio.

Raphael, così si chiamava prima di Cadere, se ne stava steso tranquillo tra le nuvole, rilassato, con gli occhi chiusi e il volto imperturbato. I suoi lunghissimi capelli rossi gli incorniciavano il viso, ricadendogli dolcemente sulle spalle. Nonostante fosse coricato di schiena, le ali non parevano dargli fastidio.


Non era la prima volta che lo faceva. Anzi: Aziraphale aveva visto altri angeli farlo, di tanto in tanto. Si raggomitolavano contenti tra le nubi, chiudevano gli occhi e si assopivano. Ogni tanto si stiracchiavano, si rigiravano, e poi, come nulla fosse, riaprivano gli occhi e tornavano alle loro attività di sempre.

La cosa aveva lasciato il neonato principato alquanto confuso. Così, educato e composto come sempre, era andato da Dio a chiedere spiegazioni.

    Lei, alta, stupenda e luminosa come Suo solito, gli si era inginocchiata di fronte. «Dormono, luce mia» aveva spiegato con un sorriso. «È una cosa bella: ti aiuta a riposare dopo aver creato stelle e ideato galassie. E poi, ti aiuta a trovare nuove idee.»

    Lui aveva inclinato la testa, confuso: «In che modo?»

    «Sognando. Dai sogni nasce la migliore ispirazione.»

In effetti sembrava allettante. Aziraphale non ci aveva mai provato, ma si disse che se giovava agli altri, allora poteva giovare anche a lui.

    «Il riposo è importante» aveva continuato Dio, accarezzandogli i riccioli. «Un giorno, molte altre creature riposeranno. Sono contenta del fatto che anche voi vogliate farlo.»


Era stata Lei a dirgli di farsi insegnare da Raphael.

L'arcangelo dagli occhi dorati amava sonnecchiare. Aziraphale si chiese se non fosse quello il motivo per il quale riuscisse a creare le nebulose più belle dell'universo.

Lo aveva visto all'opera: volteggiava leggiadro nel vuoto, decorando di stelle tutto ciò che toccava. Era un artista dal fare dolce e affabile, pronto a decorare ogni angolo vuoto di cielo. E adesso tutta quella potenza creativa se ne stava lì, assopita, tranquilla e silenziosa.

Paziente, il principato vi si sedette accanto e aspettò che si svegliasse.

    Non ci volle poi tanto. Ad un certo punto, Raphael allungò le braccia e aprì gli occhi, posandoli subito sull'angelo al suo fianco. «Oh, sei tu» disse, piacevolmente sorpreso. «Avevi bisogno di qualcosa?»

    Aziraphale annuì: «Spero di non disturbare. Avrei bisogno di chiederti una cosa.»

Lui e l'arcangelo andavano molto d'accordo. Il rosso lo aveva preso sotto la sua ala, facendogli conoscere i più disparati angoli di Paradiso. Nonostante la differenza di ruoli, passavano parecchio tempo assieme.

    Difatti, Raphael si mise subito a sedere, sicuramente pronto a sapere quale fosse la richiesta dell'amico. «Nessun disturbo! È sempre un piacere per me vederti, e lo sai. Dimmi tutto.»

    Aziraphale raccontò brevemente della sua chiacchierata con Dio e della sua curiosità. Nelle iridi dorate dell'arcangelo parve accendersi una luce: «Tutto qui?» Chiese, divertito. «Ma è facilissimo! Vieni, poggiati.»

Inginocchiandosi tra le nubi, Raphael prese delicatamente il braccio di Aziraphale e lo portò a poggiare la testa sulle sue gambe.

    Al principato parve strano avere le ali sotto la schiena, ma dopo qualche movimento di assestamento, riuscì a mettersi più o meno comodo. Alzando lo sguardo celeste verso quello aureo dell'arcangelo, chiese: «E adesso?»

    «E adesso arriva la parte migliore: ti rilassi, chiudi gli occhi e ti lasci andare. In un attimo sarete tu e qualsiasi cosa riservino i tuoi sogni» affermò Raphael con il tono di chi ne sa a pacchi. Poi, con la stessa delicatezza che riservava agli astri, prese a passare le dita tra le volute platino di Aziraphale.


Questi decise di seguire le istruzioni. Dapprima strinse gli occhi e il buio gli fece un po' paura. Lui era fatto di luce: illuminava sé stesso e tutto ciò che lo affiancava, perciò quel genere di oscurità lo coglieva assolutamente impreparato. Nonostante ciò, le carezze dell'arcangelo parvero fare l'effetto sperato: fendevano il nero come lame, aiutandolo a superare la novità.

Presto, Aziraphale iniziò a capire perché quella pratica piacesse tanto. Fu come diventare tutt'uno con le nubi e il silenzio; i gesti di Raphael parvero farsi sempre più morbidi, cullandolo lentamente. Era davvero bello e rilassante come gli era stato detto - non che avesse mai dubitato.

I suoi pensieri si fecero pian piano più lontani e presto, senza neanche accorgersene, l'angelo più luminoso del Paradiso si addormentò.


--


Dio amava i Suoi angeli. Nonostante avesse i Suoi più fedeli aiutanti sempre accanto, amava scendere per passare il tempo con i più piccoli di essi. Li aveva creati uno ad uno, perciò li conosceva meglio del cielo, delle nubi e delle stelle. Sapeva le loro particolarità, le loro abitudini e le loro preferenze. Sapeva chi amava essere salutato con un abbraccio, e chi invece preferiva una semplice parola.

Era una Madre dolce e premurosa, pronta ad ascoltarli tutti. Amava le canzoni che Le dedicavano, così come amava i semplici resoconti che Le raccontavano. Non si stancava mai e c'era sempre per loro, sempre. In qualsiasi momento, ogni secondo.

Per questo rimase sorpresa dal modo in cui Raphael Le corse incontro. Lui, l'arcangelo più giulivo e allegro di tutti, l'aveva raggiunta con una frenesia nervosa e una punta non indifferente di preoccupazione e paura negli occhi. Lui che di solito La stringeva e La salutava con gioia, non Le rivolse stavolta nemmeno un saluto.

    «Madre!» Aveva esclamato invece, tremante e su di giri. «Qualcosa non va!»

    E Dio, preoccupata, aveva congedato brevemente gli altri angeli giunti per parlarLe. «Cosa succede, amor mio?» Aveva chiesto, affiancandolo.

    Lui La prese per mano, iniziando subito a trascinarLa via con sé: «Si tratta di Aziraphale, penso stia male!»


Era molto difficile che un angelo stesse male. L'idea stessa di "male" non era che abbozzata all'epoca: una prospettiva quasi aliena che ancora non aveva trovato un effettivo compimento. Eppure, quando Dio giunse al banco di nubi dove il Suo arcangelo l'aveva portata, vide subito che qualcosa non andava.

La Sua dolce luce se ne stava raggomitolata, imbozzolata nelle sue stesse bianchissime ali, tremante. Piangeva: dai suoi occhi stretti scivolavano giù luccicanti strisce di lacrime che brillavano sotto le stelle.

    Raphael prese un polso di Dio, guardandoLa implorante: «Ti prego, aiutalo! Non so che cos'abbia: stava solo dormendo.»

    Lei lo tranquillizzò con una carezza sulla testa: «Va tutto bene, amor mio. Lascia fare a me.»

Sotto l'aureo sguardo ansioso dell'arcangelo, Dio si avvicinò ad Aziraphale e, con la delicatezza che riservava alla creazione degli universi, lo raccolse e se lo poggiò in grembo. Lo cullò appena e gli diede un solo dolcissimo bacio sulla fronte.

Tanto bastó a farlo svegliare di soprassalto, gli occhi azzurri sbarrati e terrorizzati da chissà cosa. Per un secondo parve quasi non vederLa.

    Raphael si precipitò da loro, allungando una mano verso la guancia dell'angelo. «Che succede? Sta bene?»

Ma non gli arrivò risposta. Dopo averli guardati entrambi, confuso e sconvolto, Aziraphale si rimise a lacrimare. La luce che contraddistingueva la sua bella aura prese a sfarfallare nervosa, tanto che Dio, da brava Madre qual'era, decise di stringerlo a sé e alzarsi in tutta la Sua altezza e magnificenza.

    «Non piangere, luce mia» sussurrò, accarezzandogli la chioma candida. «Sei tra le Mie braccia, adesso. Non c'è niente di cui aver paura.»

    Passandosi le mani sugli occhi, il principato la guardò affranto: «Ho sbagliato qualcosa?»

    Lei scosse la testa, intenerita: «Assolutamente no. Vedi, non sempre le cose vanno come ci aspettiamo» spiegò senza smettere di cullarlo. «Ti ho mai raccontato com'è nato Morte?»

    Aziraphale scosse la testa mentre, proprio sotto di loro, arrivò una voce: «Io lo so!» Esclamò Raphael. Con un battito d'ali, li raggiunse e si posò sulla spalla di Dio: «Me lo ricordo.»

    Lei annuì: «Fu per via della prima stella di Raphael. La creò ed era bellissima: splendeva come non mai e il suo bagliore viaggiava fiero nel cielo. Poi, senza preavviso, esplose e si disgregò. Fu allora che Morte comparve e le stelle iniziarono ad avere un ciclo. Noi le posizioniamo nel cielo, loro splendono finché gli è dovuto, e Morte le porta via quando è il momento.»

    L'arcangelo poggiò la testa su un palmo della mano, soffiandosi via alcune ciocche cremisi dalla faccia. «Anche io credevo di aver sbagliato qualcosa» ammise, guardando l'amico con comprensione assoluta. «Ma non è stata colpa mia: alle volte le cose prendono una piega inaspettata. È come hai detto Tu, Madre.»

    Aziraphale si rilassò appena, rincuorato dalle loro parole. Giocherellando un po' con le maniche della sua tunica, li guardò entrambi ed annuì: «Credo di capire.»

    Dio lo strinse ancora un po' a Sé, felice di aver ridato la calma e la pace alla Sua dolce luce. «Non devi più farlo, se non vuoi» lo rassicurò. «Ma se ti venisse voglia di riprovare a dormire, vieni da Me: farò in modo che i tuoi sogni siano belli come te.»

    «E io darò una mano» propose immediatamente Raphael, volando verso l'amico. Delicatamente, gli asciugò le guance ancora umide e gli accarezzò la testa. «Faremo in modo che non accada più.»


Quando Dio lasciò Aziraphale, questi andò subito a rifugiarsi tra le braccia aperte dell'arcangelo.

Raphael lo strinse a sé per molto tempo ancora, assicurando a sua Madre che si sarebbe preso cura della Sua luce finché ce ne fosse stato bisogno. Non lo spinse a dormire di nuovo, né lo fece più in sua presenza. Per risollevargli il morale, lo portò con sé verso una delle sue nebulose preferite e insieme passeggiarono tra le nubi del Paradiso.


Fu così che nacquero gli incubi.


**


Angeli e demoni non sentono la stanchezza: per loro è un concetto lontano quanto la fame, la sete, il freddo e il caldo.

Eppure Aziraphale mangiava e Crowley dormiva. Semplicemente, avevano provato a farlo una volta - solo ed esclusivamente perché potevano e volevano - e gli era piaciuto. Il primo frutto che Aziraphale aveva assaggiato era stato abbastanza succoso da fargliene provare altri; il primo sogno che Crowley aveva fatto era stato talmente bello da spingerlo a volerne creare ancora.

Era lo stesso concetto che li portava ad accendere la stufa o a mettere i cappotti in inverno. Era lo stesso principio che li portava a girare in macchina quando avrebbero potuto schioccare le dita ed arrivare in Giappone. Facevano ciò che più gli aggradava senza pensare cosa fosse effettivamente utile e cosa no. E se prima erano costretti a nascondersi o a subire le occhiate stranite dei loro simili d'innanzi a quelle abitudini bizzarre, da quando l'Apocalisse non era avvenuta, la libertà aveva aperto loro un mucchio di porte.

Per questo Crowley aveva deciso di dare un morsetto a tutte le cose che il suo angelo gli descriveva come deliziose; per questo Aziraphale aveva deciso di essere lì quella notte, a pancia in giù tra le coperte di quel letto che si era quasi scordato di avere.


In realtà non era stata una cosa così immediata. Entrambi avevano iniziato ad accomodarsi l'uno nella vita dell'altro, mescolandosi con una facilità disarmante. Erano diventati inseparabili (ancor più di prima), tanto che il loro rapporto si era evoluto ed era cresciuto, tramutandosi in qualcosa che gli umani avrebbero catalogato come amore.

Eppure, nonostante le loro mani fossero ormai automaticamente portate a cercarsi, nonostante condividessero tutto - dai bicchieri alle sedie - c'era voluto un po' perché arrivassero a scambiarsi baci, carezze, abbracci e tutte quelle cose che gli umani avrebbero considerato normale in una relazione come la loro.

C'era voluto un po' per finire l'uno accanto all'altro su quel letto, mezzi svestiti e con le chiome divelte; un'altra di quelle cose inutili fatte semplicemente perché volevano, potevano, e non c'era nessuno a fermarli.


    Dopo aver riempito il suo angelo di baci, Crowley si era stiracchiato sul suo lato di letto e gli aveva detto: «Perchè non dormi un po', mh? Il mattino arriva prima.»

E Aziraphale gli aveva assicurato che ci avrebbe almeno provato, dato che la cosa non gli andava granché a genio.

Si era spesso chiesto il perché. Aveva sempre considerato il dormire una pratica che toglieva tempo alle letture notturne. Lo considerava quasi pericoloso, forse a causa della sua vigile natura di guardiano. Eppure non ricordava di averci mai provato... Aveva solo visto gli umani avere gli incubi, cosa che lo aveva portato a lasciar perdere l'idea. 

Dall'altro lato della medaglia, però, c'era Crowley che si raggomitolava come un serpente al sole e mugugnava soddisfatto. Forse, se faceva stare bene lui, tanto male non poteva essere.


Così, dopo aver rimuginato inutilmente per un po', Aziraphale aveva deciso di provare. Non sapeva bene che pesci pigliare, tanto che chiuse gli occhi un paio di volte, confuso dal fatto che nulla stesse accadendo. La terza volta riuscì nell'intento, godendo della piacevole sensazione del suo corpo contro il materasso.

Si addormentò lentamente, guidato dall'odore di casa: pagine stampate e tè, ora con qualche pizzico di aroma di caffè.

Durante gli ultimi secondi di lucidità, ascoltò il respiro dell'altro al suo fianco e si disse che nulla avrebbe potuto turbarlo.


Non poteva ricordarlo, ma aveva già fatto quegli stessi pensieri eoni prima, e le cose non erano andate come avrebbe voluto.


**


Crowley venne svegliato nel cuore della notte da quelli che la sua mente assonnata registró come singhiozzi.

Si disse che doveva esserseli immaginati, anche se poco avevano a che fare con le corse a mille allora in riva al mare che avevano popolato la sua nottata. Eppure, riaperti gli occhi, continuò a sentirli chiari e tondi accanto a lui.

Quando comprese cosa stava succedendo, il suo cuore - inutile ma presente - fece un balzo.

Si voltò verso il suo angelo: se ne stava raggomitolato, imbozzolato nelle coperte, tremante. Piangeva: dai suoi occhi stretti scivolavano giù pesanti strisce di lacrime che parevano quasi luccicare.

Ingoiò un'imprecazione. Che fosse quello il motivo per cui Aziraphale non dormiva mai? Effettivamente ricordava bene la faccia che aveva fatto la notte in cui la povera Eva - era ancora incinta e i gemelli nella sua pancia non facevano che darle noie - aveva passato un sacco di tempo a lamentarsi nel sonno.

Gli incubi erano un brutto affare. Crowley stesso ne aveva avuti parecchi e li aveva raccontati al suo angelo affinché lo confortasse - cosa che aveva sempre, dolcemente e gratuitamente fatto. Era ora di ricambiare il favore.


Si avvicinò con una delicatezza disarmante - e che ben poco gli si addiceva - al corpo del suo amato, spostandolo abbastanza da girarlo e stringerselo al petto. Lo abbracciò dolcemente, passandogli una mano sul fianco e posandogli le labbra sulle guance bagnate.

Lo zittì delicatamente, sussurrandogli parole di conforto. Gli passò persino le mani tra i capelli - una cosa che aveva scoperto piacere ad entrambi - e gli baciò le palpebre, sperando che i suoi occhi smettessero di inseguire qualsiasi incubo stessero vedendo. Gli rubò anche qualche bacio sulle labbra, morbide e tremanti, facendo tutto ciò che era in suo potere per calmarlo.

E funzionò.

Con calma, Aziraphale si sciolse nel suo abbraccio. Poggiò la fronte contro il suo petto, ora calmo come l'acqua di un lago. Si fece scappare un solo, lievissimo, rantolo; dopodiché si rimise a dormire dolcemente, come nulla fosse accaduto.

    Affondando il naso tra quei riccioli di neve, Crowley gli sussurrò: «Sogni d'oro» sperando di aver davvero tinto di oro gli incubi del suo angelo.


Non poteva ricordarlo, ma aveva già adempiuto ad una promessa fatta eoni prima.

Aveva promesso che Aziraphale non avrebbe più avuto incubi. E così sarebbe stato.

   
 
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