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Autore: Milly_Sunshine    01/06/2023    3 recensioni
Kay è una giornalista radiofonica affermata e conduce un programma di cronaca, accerchiata da un entourage di fedelissimi, il marito Anthony, a sua volta giornalista, il loro collega Samuel e l'assistente Theresa. Fissata con i crimini irrisolti, matura un'ossessione insolita nei confronti dell'omicidio di un'anziana locandiera che le costa a sua volta la vita. Kay si ritrova a sua volta vittima di un delitto, lasciando le persone che le stavano intorno, oltre che la collega Rebecca, con la quale aveva una feroce rivalità appianata soltanto nelle sue ultime settimane di vita, a interrogarsi su chi l'abbia eliminata e perché, su chi fosse la femme fatale che si aggirava presso la sede della radio il giorno prima del delitto, oltre che sulle ragioni per cui fosse così in fissa con lo specifico caso della locandiera assassinata. // Long fiction scritta nel 2015 sulla base di un'idea già in parte sviluppata cinque anni prima, unisce elementi del giallo classico e del thriller.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Albert era sul punto di abbandonare le speranze e di andarsene quando la sottile porta di compensato si aprì, senza che nessuno proferisse parola.
Avvolta in una vestaglia scarlatta sulla quale era ricamata la sagoma di un drago grigio, Avah lo squadrò dalla testa ai piedi.
Ci volle qualche istante, prima che mormorasse: «Tu... qui...»
Albert non ebbe dubbi: Avah era rimasta spiazzata dalla sua visita. Doveva essere quella la ragione per cui si stava mostrando troppo poco ospitale nei suoi confronti.
Albert la guardò negli occhi.
«Posso entrare?»
L’insicurezza parve scomparire in un istante, nel momento in cui Avah sbuffò.
«Di solito non faccio entrare in casa mia la gente che si presenta a sorpresa...» Abbassò lo sguardo e il suo tono, per fortuna, si fece più accomodante. «Nel tuo caso penso che potrei spingermi a fare uno strappo alla regola.»
Albert annuì.
«Bene.»
Era soddisfatto dalla piega che gli eventi stavano prendendo. Presentarsi a casa di una ragazza che conosceva a malapena, in una fredda sera di dicembre, non era una mossa che tutti si sarebbero permessi di fare.
“Dopotutto” si disse, “Avrebbe potuto sbattermi la porta in faccia.”
Non l’aveva fatto, forse perché aveva capito che a spingerlo a presentarsi a casa sua era stata un’idea che non poteva scartare a priori.
Le avrebbe fatto una proposta che avrebbe potuto cambiare il senso della sua stessa esistenza e, nel momento in cui Avah si scostò per lasciarlo entrare, Albert varcò la soglia realizzando che era davvero la persona giusta.
Una volta dentro, si guardò intorno. L’appartamento della ragazza era piccolo e poco illuminato. L’ingresso dava sulla cucina, al centro della quale vi era un tavolo rovinato dai tarli.
Avah richiuse la porta e si diresse proprio in quella direzione. Si sedette sul bordo, mentre Albert continuava a guardarsi intorno.
C’era un albero di Natale sintetico, alto poco meno di un metro, posizionato sul pavimento. Le luci colorate e intermittenti, piuttosto che ravvivare la stanza, sembravano darvi quasi un aspetto spettrale.
Albert le domandò: «Hai mai pensato che meriteresti di più?»
Avah scosse la testa.
«Sono tutte favole.»
«Nemmeno per sogno.» Albert le si avvicinò. «Ho parlato con te non più di tre volte, prima di stasera, ma ho capito chi sei. In realtà stai aspettando che la zia di Phil si decida a schiattare e che lui erediti.»
Ad Avah sfuggì una risatina.
«Davvero ti ho dato quell’impressione?»
«Sì, e per un attimo mi hai fatto pena» ammise Albert. «Conosco bene Phil e sono certo che, anche quando sua zia morirà e lui entrerà in possesso di una fortuna, continuerà a fare la stessa vita che fa ora. Rifletti, Avah...» Fece un altro passo verso di lei. «È davvero quello che vuoi? Vuoi passare la tua vita accanto a un uomo che, ogni giorno della sua vita, passerà le ore in una polverosa officina e tornerà a casa sporco di grasso? Non riesci a immaginare niente di meglio per il tuo futuro?»
«Mia madre sarebbe felicissima, se io potessi condurre quel tipo di vita» puntualizzò Avah. «Starei accanto a un uomo ricco, con un lavoro sicuro, che...»
Albert la interruppe: «Saresti sprecata, accanto a lui, e forse lo sei già. Te l’ho appena detto, Avah: anche se erediterà, Phil non cambierà di una virgola la sua vita. A lui non interessano le ville lussuose, non sa che una donna ha bisogno di pellicce e gioielli...»
«Io non ho mai avuto pellicce e gioielli» puntualizzò Avah. «Evidentemente non sono necessari per sopravvivere.»
Albert insisté: «Vuoi dire che non ti piacerebbe questo tipo di vita?»
«Oh, sì, mi piacerebbe» replicò Avah, «Ma faccio la cameriera in un’osteria frequentata da ubriaconi e venderei l’anima al diavolo per potere avere un lavoro più decente.»
Albert sorrise.
«Io non me ne faccio niente della tua anima, ma se vendi il tuo corpo a me, invece, un giorno sarai ricca.»
Avah scoppiò a ridere. Evidentemente non lo prendeva sul serio.
«Ricca? Grazie a te? Vedi, Albert, Phil fa il meccanico ma almeno l’officina è sua. Tu, invece, sei un suo dipendente che non ha nulla di suo.»
«Adesso non ho nulla di mio» ammise Albert, «Ma è un grave errore pensare che le cose non possano mai cambiare, nella vita, e il mio non è semplice ottimismo, ma volontà di mutare le cose. Io sarò un’altra persona, un giorno, fidati di me.»
Avah aggrottò le sopracciglia.
«E se io mi dovessi fidare di te, che cosa mi daresti in cambio?»
«Te l’ho detto, un giorno sarai ricca» ribadì Albert, «Chissà, un giorno potremmo anche sposarci... Io diventerò un uomo celebre amato e rispettato da tutti e tu sarai la mia musa ispiratrice.»
«Chiacchiere» decretò Avah. «Le tue sono soltanto chiacchiere senza fondamento.»
«Chiacchiere che ti interessano, però» azzardò Albert. «Un giorno non dovrai più servire da bere a degli alcolizzati, mia cara. Ti fidi, se ti dico che tutto ciò avverrà prima del tuo trentesimo compleanno?»
«E tu mi credi, se ti dico che manca ancora tantissimo tempo?» replicò Avah. «Ho diciannove anni e tutto quello che conta è quello che ho adesso. Onestamente non me ne importa proprio nulla di quello che accadrà quando ne avrò trenta: io voglio vivere la mia vita adesso, non quando sarò vecchia.»
Albert rise.
«A trent’anni saresti vecchia?»
Avah annuì, lentamente.
«Eccome.»
«Io ne ho trentuno» le confidò Albert. «Ne ho trentuno, proprio come Phil. Mi sento tutt’altro che vecchio.»
Avah sorrise.
«Buon per te. Evidentemente pensi di avere ancora tutto il tempo che vuoi, per vivere la tua vita fino in fondo.»
«Sì, c’è ancora tempo» convenne Albert, «Per vivere la mia vita... e anche per realizzare il mio sogno.»
«Quando ne avrai più di quaranta...» Avah fece una smorfia, forse di disgusto. «Dovresti cercare di affrettare i tempi, Albert.»
Lui abbassò lo sguardo.
«Forse dovrei, Avah, ma affrettare i tempi non sempre è possibile. È meglio godersi le cose a tempo debito, ma godersele davvero. Devi credermi.»
Tornò ad alzare gli occhi e vide che Avah lo fissava.
«Sei un visionario.»
Il suo tono era meno critico di quanto Albert avrebbe potuto aspettarsi.
«So che anche tu vuoi quello che voglio io.»
Con un balzo, Avah scese dal tavolo.
«Temevo che tu fossi un tipo ancora più scialbo e banale di Phil, ma non lo sei.»
Albert aggrottò le sopracciglia.
«Cosa vuoi dire?»
«L’hai detto tu stesso» puntualizzò Avah. «Phil non farebbe mai niente per cambiare la propria vita, qualunque cosa possa accadergli.»
«Esatto» convenne Albert, «E una ragazza come te, accanto a lui, è sprecata. Tu meriti qualcuno che ti dia tutto quello che desideri.»
Sul volto di Avah comparve un inquietante sorriso.
«E se tu mi stessi sottovalutando, Albert? Se lo scopo della mia vita non fosse aspettare che un uomo mi dia quello che voglio, ma piuttosto essere io stessa a conquistarmelo?»
Albert sospirò.
«Ecco, anche tu inizi con queste fantasie...»
«Non sono fantasie» replicò Avah. «Il mondo potrà anche sembrare in mano agli uomini, ma una donna con le palle non aspetta che qualcuno decida che cosa offrirle.»
Con un rapido movimento della mano destra slacciò la cintura della vestaglia.
Albert la fissò a bocca spalancata. Sotto portava biancheria intima di pizzo.
Avah parve non notare la sua espressione. Non voleva mostrargli il proprio corpo, ma soltanto una cicatrice sul fianco destro.
Era lunga quasi una decina di centimetri, più chiara rispetto al resto della pelle.
Albert volle sapere: «Come te la sei fatta?»
«Domanda sbagliata» replicò Avah. «Avresti dovuto chiedermi che cosa ne è stato della persona che me l’ha fatta.»
Albert spalancò gli occhi.
«L’hai denunciato?»
Avah scosse la testa.
«L’ho ucciso.»
Albert non ebbe indecisioni. Quella ragazza parlava sul serio.
«L’ho ucciso e sono felice di averlo fatto» insisté Avah. «Come vedi non ho aspettato che qualcuno mi salvasse. Ci ho pensato da sola. Sarò io a badare a me stessa.»
«E se un giorno ti dimostrassi che i miei sogni non sono soltanto fantasie?» replicò Albert. «Allora cambieresti idea su di me?»
Avah sbuffò.
«Se un giorno diventassi ricco, intendi dire? I soldi sono una bella cosa, Albert, ma il potere che ti danno non è lontanamente paragonabile a quello che ho fatto io. Mi sono sentita padrona del mondo, quel giorno.»
«Un giorno saremo padroni del mondo insieme, io e te» le assicurò Albert. «Ti dimenticherai di Phil, di questa topaia e dell’uomo che hai ucciso.»
Avah lo guardò storto.
«Prima che io compia trent’anni?»
«Prima che tu compia trent’anni» confermò Albert. «Considerala una promessa.»
«La considero una promessa» rispose Avah, piuttosto frettolosamente. «Ora, però, potresti lasciarmi sola?»
Albert non si oppose e se ne andò, consapevole che le parole pronunciate dalla ragazza avevano come solo scopo quello di liberarsi di lui, almeno per quella sera.
Erano le 22.35 del 28 dicembre 1968 e negli anni a venire non si sarebbe mai dimenticato di quel loro incontro.

   
 
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