Ok,
bene. Questa… cosa avrà teoricamente quattro capitoli, collegati
effettivamente due a due. Oggi, per aver cassato il SasuNaru
Day (mea culpa, maxima culpa) mi punisco postando i primi due.
Deprimentissimi, chiaramente.
Abbiate
pazienza.
suni
I. Mille
chilometri
Le
ultime cose che vede sono l’espressione sbigottita del volto di Sasuke,
sporco di uno schizzo di sangue – chissà se suo o di qualcun altro
– contrapposta a quella malevola e vittoriosa di Uchiha Madara davanti al mostro che si risveglia, e l’alone
come fuoco che si forma intorno al proprio corpo, sgorgando direttamente da
dentro di lui; brucia ed è doloroso persino più delle ferite
profonde che si è procurato combattendo. Poi la sua mente va in totale
blackout.
Quando
ritorna in sé non c’è un singolo punto del suo fisico che
non gli faccia male da urlare, ha la vista appannata dalla debolezza per la
perdita di sangue e dalla sofferenza e sente qualcosa di freddo sfiorargli la
spalla con un suono di stoffa che si lacera, ma non si ferma. Davanti a lui
c’è il leader dell’Akatsuki e tutto quel che Naruto fa, con
un grido di collera e ferocia, è approntare la sua versione più
avanzata del rasengan per finire il malconcio
avversario. Quando Madara cade è come se
scendesse un silenzio innaturale, assordante. Gli sembra di trovarsi in un
altro posto, tanto l’ambiente è irriconoscibile: una distesa
devastata di macerie e terra divelta, rami d’alberi scagliati tra le
pareti frantumate, polvere e detriti. L’estremità a sud di Konoha
sembra essere stata distrutta dal passaggio di un ciclone.
Ma
Naruto sa che non è stato un ciclone.
È
stato lui.
È
stato Kyuubi.
Casca
sulle ginocchia con un gemito di dolore, sentendo le forze abbandonarlo
completamente, ed è allora che intravede il fagotto: sembra un mucchio
di stracci buttati in un angolo, tra una porta scardinata e una buca nel
terreno dissestato. Ma quel che i suoi occhi riconoscono, chiaro ed evidente
come se fosse enorme, è il simbolo disegnato su uno di quei pezzi di
stoffa lercia e sporca di sangue: la ben nota effige bianca e rossa, stemma del
clan Uchiha.
Geme
istintivamente, incespicando in avanti sulle ginocchia che strisciano tra le
pietre spaccate. Quelli non sono stracci, quello è Sasuke.
“Sas’ke,”
soffia stremato, trascinandosi avanti con uno sforzo che prosciuga il poco che
resta delle sue energie. “Sas’ke,” ripete, con la voce che
trema.
Fa
forza sui gomiti per tirare il proprio corpo in avanti. Ad avvicinarsi lo vede
meglio, localizza la sua testa seminascosta da un pezzo d’intonaco. Ha
gli occhi chiusi e un filo di sangue gli scivola dal lato della bocca. Sul suo
fianco è aperto uno squarcio da cui ne sgorga altro, copioso,
imbevendogli la camicia e allargandosi a terra.
Sembra
addormentato.
“Sas’ke,”
ripete ancora Naruto, senza più riuscire a vederlo attraverso la nebbia
che gli offusca la vista. Allunga una mano fino ad afferrare debolmente il suo
avambraccio, senza nemmeno riuscire a muoverlo, e nel farlo cade in avanti,
accasciato per terra. Si accorge solo dopo qualche attimo di stare
singhiozzando così forte che la gola gli fa male ad ogni singulto,
scosso da un pianto irrefrenabile.
“Dei,
no,” geme tra le lacrime, sbattendo la fronte in terra. “No! No! No!
No!” ripete stravolto.
Non
c’è altro che il silenzio e il suo pianto che diventa un urlo
bestiale, disperato, mentre tira un pugno al suolo e poi un altro. Con voce
impastata e arrochita lancia alti lamenti confusi, incomprensibili a lui
stesso, con in mente un solo pensiero agghiacciante e insopportabile. È
morto, l’ha ucciso lui. Dopo anni passati a cercare di salvarlo, dopo
infinite rinunce e fatiche sovrumane, dopo aver sognato di ritrovarlo
così tante volte da aver perso il conto, l’ha ucciso. E’ finita,
è finita davvero. E grida, vomitando dolore e impotenza senza potersi
trattenere, senza riuscire nemmeno a respirare.
“L’ho
uccis…no!” singhiozza ancora. “No,
dei, ridate…melo indiet…!
Sas’ke,” lo chiama, vinto. “Qualcun…mi
ammazzi…dei…”
Non
si accorge di nulla. Non si rende conto dell’arrivo silenzioso e
tempestivo – ma non abbastanza – di Kakashi, barcollante sulle
gambe malferme e con un braccio inerte abbandonato lungo il fianco in
un’angolazione innaturale, dei suoi occhi che si sgranano e si
inumidiscono di lacrime d’amarezza e dei suoi passi che si avvicinano. Lo
sente soltanto quando gli poggia la mano sulla spalla.
“Naruto,”
lo chiama il sensei, piano.
Lui
si divincola rabbiosamente, senza smettere di piangere.
“Ti
porto in ospedale, sei ferito gravemente,” mormora il ninja copia,
bonario e desolato, cercando di afferrarlo per sollevarlo con l’arto
sano.
“Lasc…” ringhia lui sottraendosi alla presa con
uno sorta di spasmo. La sua mano è ancora stretta intorno al braccio
immobile del genio. “Lasciami…q-qui!”
Kakashi
non risponde, cerca soltanto di staccare la sua mano dal corpo di Sasuke con la
propria, invano.
“Naruto…”
“Lasciami!”
ruggisce il ragazzo, furioso, scattando come un animale ferito. “Lasciami
o ammazzo anche te! Lasciami!”
Kakashi
prova allora a tirare via direttamente il polso dell’ex allievo, serrando
penosamente le labbra nel toccare dopo tanto tempo quel caro corpo perduto, che
una volontà cieca e incrollabile ha trascinato avanti fino
all’estremo.
“Cos…”
mormora, raggelato dalla sorpresa, e spinge via Naruto bruscamente. Rimane
immobile, ascoltando nel timore di aver preso un abbaglio. Ma sotto le sue dita
chiuse febbrilmente sul polso di Sasuke c’è una seconda, debole
pulsazione.
Tenace
oltre ogni immaginazione, come sempre, l’erede degli Uchiha si dibatte
per vivere, ancora. E Kakashi dimentica il braccio spezzato, le altre ferite e
la testa che pulsa di fitte violente per il troppo uso dello sharingan.
“Un
medic-ninja! Shizune! Ino! Sakura!” sbraita, nominando a caso tutti i
medici che gli vengono in mente come un ossesso, mentre si china a cercare un
alito di fiato e di vita in un quel corpo martoriato. “Un medico,
maledizione!”
Naruto
non sta più badando a lui, ha gli occhi chiusi, la testa abbandonata in
avanti e singhiozzi muti, rapidi a ostruirgli il fiato in gola.
“Non
voglio…medico.”
“Sensei!”
È
Sakura, seguita da qualcun altro. Le voci intorno a lui si fanno confuse,
irriconoscibili e sempre più flebili, accavallandosi l’una
all’altra. Naruto sente qualcuno afferrarlo e sollevarlo con decisione da
terra.
“No!”
cerca di urlare di nuovo, ma senza emettere più di un sussurro, quando
la sua mano perde definitivamente la presa su Sasuke. Qualcuno esclama
qualcosa, si sente adagiare su una superficie più morbida e avverte il
pizzicore di una puntura sul braccio. Poi è buio di nuovo.
Non
sa quanto tempo dopo, la luce del giorno gli fa bruciare gli occhi non appena
socchiude le palpebre, strizzandole subito con un gemito. Le riapre lentamente,
con cautela, riconoscendo poco a poco il familiare ambiente di una stanza
d’ospedale. Piega la testa di lato con un gemito e una smorfia, le
lacrime tornano ad affacciarsi dall’azzurro dei suoi occhi nel ricordare,
immediatamente, la conclusione della grande battaglia per la salvezza di
Konoha.
“Naruto,
come ti senti?”
I
capelli dorati di Ino, il suo volto colorato di
premura.
Lui
non risponde, stringe solo i denti scuotendo piano la testa. Non ha parole per
esprimere lo strazio.
“Naruto,
Sas’ke-kun è vivo,” annuncia la
ragazza posando la mano sulla sua spalla.
La
frase impiega qualche secondo a raggiungere il suo cervello e soprattutto a
palesare il proprio senso compiuto. Allora il jinchuuriki sgrana gli occhi,
sollevando la testa con uno scatto.
“Cosa?”
gracchia incredulo.
Ino
annuisce, sorridendo.
“E’
incosciente e ancora in grave pericolo, ma per il momento è vivo,”
spiega seria.
Naruto
rimane immobile, le labbra semiaperte e lo sguardo fisso. Non reagisce per
qualche istante, mentre un fiotto di calore lo pervade da capo a piedi e
l’ossigeno sembra ricominciare finalmente a farsi largo nei suoi polmoni,
oltre la morsa di angoscia e disperazione che li opprimeva. Emette un lungo
respiro, quasi uno sfiato di liberazione, e sorride.
Poi
ride piano, nonostante gli faccia male dappertutto. Ride.
Non
può ancora alzarsi, ma può stare seduto e ricevere visite, dopo
quattro giorni d’immobilità e cure intensive. Oggi una fila di
persone si sono susseguite accanto al suo letto, per omaggiare l’eroe che
ha salvato il villaggio dalla distruzione.
Poi
Sakura ha buttato fuori tutti, informandoli severamente che Naruto è
ancora debole ed ha bisogno di riposo. Lui ha tentato di protestare ma
l’amica si è fatta minacciosa, terrorizzando una buona percentuale
dei presenti con la prospettiva dei suoi temibili cazzotti.
In
pochi istanti nei dintorni della sua stanza non c’è stato più
nessuno.
“Sakura,”
brontola lui, lagnoso. “Potevo continuare a…”
“Non
adesso,” fa lei, senza badare alle sue lamentele. Naruto
s’imbroncia, prima di notare il suo sorriso ansioso e felice insieme, il
nervosismo con cui tormenta le mani guantate.
“Che?”
“Mettiti
sulla sedia, ti porto di là,” intima lei, agguantando
dall’armadio una coperta. Il jinchuuriki si afferra alle maniglie di
sicurezza, sollevandosi con un certo sforzo per spostarsi sulla sedia a rotelle
che la compagna di team porta accanto al suo letto. Poi Sakura lo copre
premurosamente, prima di spingerlo verso la porta e nel corridoio
dell’ospedale.
“Devo
vedere qualche altro dottore?” chiede Naruto contrito.
La
sente ridacchiare sopra la propria testa e poi le ruote virano, puntando verso
la porta di un’altra camera, a lato della quale fa la guardia un
inspiegabile chunin, cui Sakura fa un cenno di rassicurazione con la mano prima
che lui si faccia da parte per farli passare. Naruto ha un tuffo al cuore un
infinitesimo prima di sorpassare la soglia, quindi lo vede.
Sasuke
è adagiato mollemente tra le lenzuola, in un tripudio di graffi, stecche
e fasciature. Ha gli occhi chiusi, ancora, ma il suo petto va a su e giù
seguendo il ritmo del respiro. Lui lo guarda sorridendo con un sollievo che gli
sembra farlo levitare a mezzo metro da terra, facendo per voltarsi per
l’amica e manifestarle il suo sfrenato entusiasmo. È vivo, urla
una voce euforica nella sua testa, vivo, vivo, vivo. Ma la giovane lo anticipa,
togliendogli il fiato un’altra volta.
“C’è
qualcuno per te, Sas’ke-kun,” annuncia, con tono morbido e calmo.
Naruto
sussulta, tornando a guardarlo. Vorrebbe gridare quando le palpebre del genio
si sollevano lentamente e le sue iridi nere compaiono altre la barriera delle
ciglia. Poi Sasuke aggrotta faticosamente la fronte, con espressione vacua.
“E’
Naruto, vedi?” cinguetta ancora Sakura, avvicinando ulteriormente la
sedia.
“Certo
che sono io!” farfuglia lui, con la voce che trema. Sasuke lo guarda
ancora attentamente per qualche secondo, poi distende la fronte e accenna una
conferma con un lieve movimento del capo, indifferente. I suoi occhi non sono
mai stati così vuoti e senza vitalità, così freddi e
lontani, ma sono aperti. Almeno questo.
Naruto
deglutisce a fatica, senza riuscire più a parlare. Lo guarda soltanto,
riacquistando familiarità con quel che si vede dei suoi lineamenti tra
le fasciature. La fronte alta, le labbra sottili, il suo irritante naso
all’aria e la cascata leggera dei capelli neri. Sasuke. È bellissimo
vederlo da vicino senza armi e jutsu scagliati
dall’uno all’altro.
“Sas’ke,”
mormora Naruto commosso.
Il
genio prende un lungo respiro, socchiudendo gli occhi.
“E’
normale che tu abbia sonno anche se ti sei appena svegliato,” lo informa
Sakura, premurosa e rassicurante. “Sei in uno stato di estrema debolezza.
Quando avrai recuperato le forze anche gli occhi andranno meglio, è una
condizione temporanea.”
Sasuke
annuisce senza quasi badarle mentre Naruto continua a fissarlo, trascurando le
parole dell’amica. Sogghigna, senza sapere come spiegare la gioia, come
dire di quell’esplosione di benessere che lo attraversa. Si attacca alle
maniglie per avvicinarsi ancora di più a quel letto, fino a trovarsi
all’altezza della testa di Sasuke, accanto a lui.
“Eccoci
qui,” mormora impacciato. “Insieme.”
Sasuke,
le palpebre quasi del tutto calate sugli occhi, non ha nessuna reazione e non
cambia espressione, restando apatico e imperscrutabile. Però, serrando
definitivamente gli occhi, fa scivolare la testa sul cuscino verso il
jinchuuriki. La sposta di un nulla, due centimetri appena, ma a Naruto sembra
che abbia appena coperto una distanza di mille chilometri che si frapponeva tra
loro due, sentendosela scivolare via di dosso come sabbia che cade a terra.
Ridacchia scioccamente, appoggiando una mano sul materasso poco lontano dalla
guancia del compagno di squadra.
“Ciao,
Sas’ke,” sussurra elettrizzato.
Il
genio si è già riaddormentato, spossato. Naruto si volta verso
Sakura, trovando specchiata nei suoi occhi verdi la sua stessa gioia
primordiale.
“Rimango
qui per un po’,” annuncia risoluto. “Credo di poter ritornare
in camera da solo.”
Lei
annuisce, avviandosi alla porta. Poi si morde le labbra, stringendosi le
braccia intorno alle spalle come se avesse freddo.
“Naruto…andrà
tutto bene, vero?” mormora inquieta.
Lui
china lo sguardo, ritrovando la realtà in quella domanda. Sasuke
è un nukekin, un traditore e un nemico di
Konoha, e di certo sul suo capo pende la minaccia di qualche condanna.
“Perché
non dovrebbe?” risponde però, caparbio.
Sakura sospira.
“Naruto…la
pena prevista in questi casi…” S’interrompe, stringendo le
labbra tanto da farle sbiancare.
Lui
deglutisce a fatica, senza fiato. La pena capitale, naturalmente, la condanna a
morte. Scuote fermamente la testa, incupendosi, ma poi torna a sorridere con
sicurezza. Dopo tutto quel che è successo non permetterà certo a
delle maledette questioni legali di influire.
“Andrà
tutto bene,” esclama di slancio. Adesso che Sasuke è qui non
può essere altrimenti.
Lei
annuisce, scrolla le spalle e lo lascia solo. Il jinchuuriki torna a osservare
l’amico come se non potesse guardare altro. Lo ascolta respirare,
affascinato del lievissimo movimento delle sue narici per quell’aria che
entra e esce dai suoi polmoni ricordando, ancora, che è magnificamente
vivo.
Non
si può smettere di sorridere, davanti a uno spettacolo così.
È
Sasuke, è a Konoha.
E' tutto quel di cui c'era bisogno.