E
puntualmente ieri mi sono dimenticata di mettere la seconda scena. Tipico.
II. Buio
Quando
si sveglia lo fa di soprassalto, con un sospiro affannoso a compensare il senso
di soffocamento lasciatogli dal sogno appena interrotto. Si guarda intorno
febbrilmente ma i contorni delle cose sono sfuggenti, le forme irriconoscibili,
la luce arriva alle sue pupille strapazzate in così misera
quantità che tutto rimane grigio e ombroso. In quell’ottenebramento
l’immagine appena rivista nel sonno – il volto di Itachi
agonizzante, il suo dito sporco di sangue proteso a pochi centimetri dagli
occhi di lui – sembra acquisire ancor più concretezza, diventando
reale confronto a tutto il resto, che sembra invece, quello sì, fumoso
come un sogno.
Sasuke
tende faticosamente una mano quasi alla cieca, sbattendola contro una
superficie solida. Qualcosa fa rumore, c’è un colpo secco in basso
e un fruscio di rotolamento. Muove il capo cercando di guardarsi intorno,
disorientato. Riconosce la sagoma rettangolare di una finestra da cui entra la
luce, quella più alta e scura della porta della stanza. Pian piano,
mentre si sveglia completamente, riesce a intuire altre cose: il fondo del
letto, oltre la protuberanza che deve essere formata dalle punte dei suoi
piedi, la superficie del tavolino da camera contro cui ha sbattuto, sul quale
doveva esserci qualcosa che è caduto, un’ombra alta e sottile che
dapprima non riconosce precisamente e che solo dopo aver percorso con la mano
il filo che esce dal suo braccio arrampicandosi verso l’alto gli si
conferma essere una flebo.
Appoggia
indietro la testa sul cuscino, emettendo un lungo respiro. Automaticamente il
suo cervello rimette insieme le fila degli ultimi eventi di cui ha coscienza:
lo scontro tra l’Akatsuki e Konoha, la battaglia che ha visto soccombere
gli aggressori sotto i colpi di un Naruto che lui non aveva mai visto, un
Naruto dalla forza portentosa e dall’abilità incredibile, che lo
ha steso con un potere sconosciuto mai visto prima – e che pure gli
è sembrato familiare, in qualche modo - poi il confronto con Madara e il risveglio di Kyuubi, il demone volpe.
L’esplosione della forza furiosa del bijuu a nove code, che controllare
gli è valso una fatica mai sostenuta in vita sua, contrastando anche i tentativi
del capostipite del clan per far evolvere la situazione a suo vantaggio in un
ultimo tentativo di ribaltare il risultato.
Mentre
Naruto tornava in sé Madara ne ha approfittato
per tentare un ultimo colpo e sopraffarlo ed è stato allora che Sasuke
ha commesso l’errore finale, gettandosi su di lui nonostante non avesse
più l’energia nemmeno per camminare, svuotato del suo chakra come
una spugna strizzata. Ha sentito la lama che gli si piantava nel fianco con un
colpo secco e un attimo dopo – o così gli è sembrato, anche
se in realtà sono stati quattro giorni – era steso su quel letto,
con accanto Sakura che singhiozzava biascicando chissà cosa.
“Sas’ke-kun, sei sveglio!”
È
proprio la voce della sua ex compagna di team a invadere i suoi timpani di sorpresa,
facendolo quasi sussultare. Intravede la figura esile di Sakura e il rosa dei
suoi capelli in rapido avvicinamento, poi sente la sua mano fresca sulla
fronte.
“La
febbre è scesa. Come ti senti?”
Sasuke
tace indecifrabile, pensando che quella sia veramente la domanda più
stupida che lei avrebbe potuto fargli. Ha addosso chili di bende, si è
spezzato parecchie ossa, un chunin fa la guarda davanti alla sua porta come se
potesse prendere e andarsene – strisciando, perché di certo non
può camminare: ma forse a Konoha sono convinti che Orochimaru lo abbia
abituato anche a quello – per massacrare i concittadini. È un nukenin, ha ucciso suo fratello, Naruto lo ha ampiamente
superato e per concludere in bellezza non riesce nemmeno a capire se quella che
lei ha in mano è una penna o un coltello. Probabilmente nessuno dei due,
dal momento che non vede quasi nulla.
“Ti
prendo la temperatura,” continua pazientemente la ragazza, materna.
Infatti.
È un termometro, maledizione.
“Sto
bene,” mormora sostenuto, con distacco.
“Oh,
riesci anche a parlare,” commenta Sakura, allegra. “Tra qualche
giorno sarai in piedi, vedrai. È una buona notizia, no?” continua
incoraggiante, cercando evidentemente di stimolare una reazione positiva.
“Certo,
sarebbe imbarazzante dovermi decapitare sdraiato,” replica Sasuke
glaciale, senza interesse.
La
mano con cui lei sta tenendo il termometro trema violentemente, accedendogli in
petto un truce senso di soddisfazione. Ma dura solo un istante, prima che
l’apatia lo riprenda.
“N-non sarai affatto decapitato, Sas’ke-kun,” ribatte Sakura con lo stesso tremito anche
nella voce, nervosa. Lui riesce a sentire il suo terrore per quell’idea
anche senza bisogno di vederla in faccia. È curioso come Sakura sembri
preda del panico quando a lui invece non importa assolutamente nulla della
prospettiva di finire i suoi giorni entro qualche settimana al più
tardi.
È
più l’idea di vivere ad angosciarlo. Il pensiero che possano
decidere di concedergli la grazia gli fa provare una sensazione di oppressione
simile al senso di annegamento. L’ipotesi agghiacciante di dover
affrontare anni di vita a tu per tu con il senso di colpa e il fallimento,
quando Itachi è stato costretto a morire, pare molto peggiore di quella
di seguirlo entro breve.
Non
si prende il disturbo di ribattere ulteriormente, non ha niente da dire. Lascia
che Sakura finisca di visitarlo in silenzio, scuotendo semplicemente la testa
quando lei gli chiede se abbia bisogno di qualcosa. La ragazza sembra esitare,
ma la sua scontrosità e il suo evidente desiderio di essere lasciato in
pace finiscono per spingerla ad andarsene, riluttante e nuovamente sconfitta.
Ma tanto c’è abituata, dopotutto.
Quando
rimane finalmente solo Sasuke richiude gli occhi, affaticato. Itachi lo fissa
di nuovo, martoriato e morente, affiorando dal buio delle sue palpebre
abbassate. Li riapre di scatto ma suo fratello rimane lì, quasi
costringendolo a guardare in faccia la realtà. È finita, la sua
grande vendetta è giunta a termine ma lui rimane un perdente. Dopo anni
di lotta e rinunce i risultati che ha ottenuto sono un fratello morto
d’amore per mano sua, una squadra mandata al macello – almeno
Suigetsu sarà ancora vivo? – una lunga sequela di menzogne e
manipolazioni a suo danno, un’adolescenza buttata via, un odio
sproporzionato per il suo villaggio natale e una cecità parziale.
Una
vita da dimenticare.
L’eredità
del clan Uchiha, adesso Sasuke lo sa, è fatta di sangue e tormento.
C’è
qualcosa di profondamente confortante nel silenzio quasi assoluta della sua
stanza di degente. Le voci e i movimenti provenienti dall’esterno sono
suoni attutiti che lo raggiungono a malapena, permettendogli di riuscire quasi
a fingere che non esista nulla, nemmeno lui. Può dimenticarsi di se
stesso e dell’avvenire che lo aspetta, indipendentemente da quale esso
sia, e far finta che l’universo sia semplicemente la vacuità
sfuocata di quella stanza bianca. Se si concentra abbastanza intensamente
riesce a non pensare a nulla anche per più di trenta secondi
consecutivi, sebbene sospetti che i calmanti e gli antidolorifici generosamente
somministrati da Sakura abbiano comunque la loro parte in quel benefico torpore.
L’unica
cosa che lo opprime ancora, che lo sprofonda in una sensazione di gelido
panico, è l’impossibilità di vedere. Più si impegna
più tutto si fa confuso, l’unica cosa che vede meglio se si sforza
di mettere a fuoco è l’intensità ormai quasi tangibile
delle fitte di dolore alla testa. Quel mondo senza aspetto è
terrificante. Può riuscire a immaginare cosa debba essere cercare di
muoversi, di camminare senza poter vedere dove stia andando e cosa abbia
intorno, d’interagire con oggetti e persone che non può
individuare, e si sente mancare il respiro al pensiero che forse Sakura ha
mentito, forse la sua vista non tornerà limpida quando si sarà
ripreso ma rimarrà così, completamente annebbiata. Sembra un
incubo peggiore di qualunque altra cosa gli sia mai capitata.
Anche
suo fratello viveva così, guardando le cose attraverso un filtro di
tenebra ottundente? È in quello stato che ha affrontato il combattimento
mortale che gli ha strappato la vita?
Domande
senza risposta, destinate a rimanere insolute.
“Sas’ke.”
Riconosce
la voce senza bisogno di voltare la testa. Ricorda soltanto sentendola che non
è la prima volta, oggi. Quando si era appena svegliato dal coma Naruto
è stato lì per un momento, ha detto qualcosa, a meno che non se
lo sia sognato. Forse il ricordo vago della sua sagoma e delle sue parole
è un altro parto della sua mente destabilizzata.
Non
risponde, continuando a guardare il vuoto senza ragione per qualche altro
istante, prima di risolversi a voltarsi. È costretto ad abbassare lo
sguardo di parecchio prima di poter trovare il suo corpo, incastrato in una
sedia a rotelle su cui spicca in modo sconcertante il suo pigiama di un vistoso
arancione. Fa risalire gli occhi sbattendo in quelli di Naruto, anch’essi
straordinariamente visibili nel loro azzurro caldo e acceso, e infine nel
biondo splendente dei suoi capelli scarruffati. Naruto è una macchia di
colori brillanti che le sue pupille registrano meglio di tutto il resto.
È abbastanza sorprendente, ma quando lo pensa si rende conto da solo che
in realtà non lo è affatto: Naruto è sempre stato una cosa
a parte rispetto al resto del mondo. Non c’è ragione per cui in
questa circostanza dovrebbe essere diverso.
Non
che questo abbia la benché minima importanza, ora.
“Cosa
c’è nella flebo?”
Sasuke
sbuffa automaticamente, con un’irritazione che nasconde la sorpresa. Non
“come stai?”, “ti senti meglio?” o “ti sei
ripreso?” ma “cosa c’è nella flebo?”. Come se si
fossero parlati l’ultima volta dieci minuti fa e non ci fosse nulla di
più generico o pressante di cui parlare né qualche tipo di
soggezione a distanziarli.
“Cosa
vuoi che ne sappia, idiota? Non sono un medico,” risponde
d’istinto, epigrafico. Quella non è la sua voce, e accorgersene fa
anche male. Quella è la voce di un ragazzino che una volta era lui,
prima. Ma non gli appartiene e non gl’interessa più.
Naruto
ride. Dalla sua risata traspare un po’ di più il nervosismo, ma
non abbastanza da rendere esattamente quale sia la situazione.
“A
me avevano messo dei sedativi,” ciarla, giulivo.
“E
mi sa che non te n’hanno messi abbastanza,” risponde lui, asciutto
e indifferente.
“E’
sempre un piacere parlare con te, teme,” brontola Naruto risentito.
Teme.
A sentirlo dire così, dopo tanto tempo, uno potrebbe anche pensare che
niente di quello che è accaduto sia reale e tornare indietro, nel team
Kakashi. Uno potrebbe convincersi che tutto quanto sia stato una specie di
strano incubo sanguinoso e che il mondo vero sia quello di Naruto, quello in
cui tutto andrà bene e lui diventerà Hokage, e che invece non
esiste. Lui è sempre stato un elemento di distrazione dalla
realtà, una specie di folletto capace di trasportare i pensieri in una
dimensione in cui ci sono odori, profumi e colori migliori e una luce soffusa,
morbida. Poi una notte come un’altra ci si trova a scoprire che non
è vero nulla e che la realtà è quella in cui si vive e si
muore per niente, per un imbroglio o una bizza di qualcuno che ride, nel buio.
Naruto.
Una vita fa.
“Cosa
vuoi?” domanda Sasuke.
“Mi
stavo annoiando, in camera mia,” annuncia il jinchuuriki, allegro.
“Così ho pensato di venire a darti il tormento, visto che
ultimamente tendevi ad evitarmi. Ma,” ridacchia perfidamente, vittorioso,
“adesso sei bloccato a letto, perciò a meno che tu abbia imparato
anche a levitare a mezz’aria e prendere il volo, in quella tua tana
sotterranea, non puoi svignartela.”
Sembra
estremamente soddisfatto, il cretino.
Sasuke
non risponde nemmeno. Non ha voglia di avere Naruto intorno e ricordarsi che
una volta era quasi felice, prima di decidere di lasciarsi tutto alle spalle e
seguire una strada oscura e faticosa. Non ha voglia di vedersi sbattere in
faccia il confronto penoso tra il genio e il perdente, tra il miglior studente
dell’accademia e quello più scarso, tra i suoi fallimenti e le
vittorie di Naruto. Non ha voglia di pensare che fra pochi giorni lui
probabilmente morirà e Naruto invece ha davanti una strada che è
quasi in discesa. Con quel paragone sotto gli occhi la sua condizione gli
risulta ancor più misera e umiliante.
“M’hai
fatto spaventare l’altro giorno, Sas’ke,” fa il jinchuuriki
con la sua sfolgorante schiettezza.
“Patetico,”
ribatte lui, col preciso, spontaneo intento di ferirlo.
Il
successivo silenzio gli conferma il raggiungimento di quell’obiettivo
meschino.
“Forse
sì,” commenta Naruto con tono meno vivace. “Ma lo sai, non
m’è mai importato molto di cosa ne pensassi tu dei miei obiettivi
e delle mie motivazioni.”
“Sei
ridicolo, Naruto,” risponde Sasuke, tagliente e aggressivo. “Tu
cerchi il la mia approvazione e il mio sguardo da quando eravamo bambini. Beh,
adesso ne dovrai fare a meno in ogni caso, no?” aggiunge, caustico.
C’è
un nuovo, breve silenzio.
“In
che senso?” chiede poi Naruto, disorientato. Evidentemente ha deciso di
non offendersi perché non aveva capito del tutto la provocazione. Sasuke
sbuffa, infastidito da quella lentezza.
“Se
non ci vedo non ti posso guardare, mi sembra evidente,” sbotta secco.
Ancora
silenzio.
“Non…ci
vedi?”
Nella
sua voce c’è stupore, inquietudine a anche ansia. Soprattutto
quella, per la precisione. Sasuke realizza che Naruto non è ancora stato
informato del suo problema alla vista, o più verosimilmente non ha
capito il discorso. Qualunque esso fosse. Sbuffa, mostrandosi noncurante.
“Vedo
il tuo pigiama e il giallo dei capelli,” smozzica. Non aggiunge e gli occhi perché gli sembra una
cosa stupida e stucchevole, sono relativamente piccoli ed è strano che
li veda tanto bene, ma è solo perché hanno quel colore
così vivido e particolare e non vuole dargli la soddisfazione di
saperlo.
“Ma…allora
quello che ha detto prima Sakura…” bofonchia il jinchuuriki
allarmato. “Però presto andrà meglio, no?” continua
speranzoso.
“Non
ne ho idea, né vedo come possa averla lei,” risponde lui atono,
ignorando il senso di vertigine per quella fosca consapevolezza.
Naruto
non parla oltre, deglutendo rumorosamente. È spaesato, non serve vederlo
per saperlo.
“Non
vorrai dirmi che credevi di poter svegliare quella cosa senza che qualcuno ci andasse di mezzo, vero?” domanda
allora il genio, sprezzante.
È
un colpo preciso e ben mirato, lanciato con tutta la crudeltà che resta
a Sasuke. Gioisce del fiato di Naruto che si spezza per la sorpresa, della
percezione definita del suo sbigottito dolore nel realizzare di avergli
danneggiato la vista.
“Co…cosa?”
esala Naruto. Agghiacciato, palesemente.
“Vattene.
Hai già fatto abbastanza.”
Un
tono affilato come una lama, che fa cadere le parole una ad una quasi fossero
macigni. Tutto quello che gli resta, imprigionato in quel letto
d’ospedale, è la forza del suo dignitoso e tracotante orgoglio.
Non vi rinuncerà facilmente.
“Io…io
non…”
Sasuke
volta la testa con contegno altero, smettendo di considerare l’altro. È
stanco e non gli interessa, davvero. Non sa nemmeno perché abbia
sprecato tempo a parlare, forse perché era tanto tempo che non
succedeva. Naruto rimane immobile per qualche secondo, poi il cigolio delle
ruote e il loro ronzio in allontanamento segnalano la sua partenza. Quando si
volta di nuovo, Sasuke ritrova la stanza deserta.
La
soddisfazione se ne va in un’ondata, com’è arrivata,
lasciando una solitudine ancor più marcata dietro di sé.
L’erede dello sharingan se la lascia cadere addosso con la certezza cupa
e rassicurante che sia quello che gli spetta, prendendo quasi a respirare
meglio.
Solo. Come sempre.
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Grazie
mille a Capitatapercaso,
ryanforever,
karolalpha
e Pudentilla
Mc Moany per i gentili commenti. Sono lusingata dalle cose che avete detto.
Non ho molte altre parole e non saprei cosa aggiungere senza rendermi ridicola,
quindi mi limito a un gra sorriso commosso. E a una rassicurazione
per chi l’ha chiesto: Hail to
the Thief esiste ancora, sto solo aspettando di
potervi stupire con…straordinari effetti speciali. Top secret,
ovviamente.
A
presto!
suni