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Autore: Rucci    08/12/2009    8 recensioni
Anche i santi di Atena aspettano i regali sotto l'albero.
Specialmente i più giovani, che con un piccolo racconto natalizio passano da un sogno ad un viaggio, accompagnati da guide sin troppo famigliari.
Quel che non è famigliare, è il futuro.
{what if: post-Hades} {shonen-ai sparso}
Genere: Commedia, Sovrannaturale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un Canto di Natale

Un Canto di Natale

 

 

 

Capitolo 2. Il Canto del Dragone

Dove si scopre che la Cina non è solo panda e bambù.

 

 

 

Shiryu, nonostante non lo desse a vedere in compagnia dei suoi amici, era stanco per via del lungo viaggio che aveva dovuto compiere in solitaria, dalle pendici della cascata di Goro-ho sino alle scalinate candide del Santuario. Si era avventurato da solo, come era abituato a fare, senza lamentarsi. E aveva viaggiato a lungo.

Fu per questo che dovette farsi un poco forza, per rimanere sveglio, fin da quando i pensieri risvegliati da Shion avevano cominciato a farsi strada nella sua testa: il viso sorridente di Shunrei, sola sulla montagna, acquisiva ora tutt’altro aspetto. Cercò di rimanere sveglio per pensare, per riflettere almeno un poco su quello che gli era stato detto, su cosa poteva fare, ancora, ma l’ora era troppo tarda: il suo fisico stanco ebbe il sopravvento.

Dormì parecchio, o almeno così gli parve.

Shiryu!

Tanto che non si aspettava assolutamente di venire svegliato di soprassalto.

“Shiryu!”

Una voce. Squillante.

Ma non solo una voce.

Anche una serie di tonfi sullo stomaco piuttosto decisi.

“Shiiii-ryyyyy-uu!”

“Cos—?”

“Finalmente, Shiryu! Credevo che non ti saresti più svegliato!”

“Chi…?” Il ragazzo sbatté le palpebre, confuso, strappato al sonno in maniera così insolita che faticò a distinguere da subito la figura che trillava il suo nome. Figura che presto mise a fuoco, svelta e piccola com’era, appallottolata sulla sua pancia. “Kiki!”

“Sorpresa!”

“Che ci fai qui?”

“Una sorpresa, ti ho detto!”

Shiryu sospirò, abbandonando la nuca sul cuscino. Per essere una sorpresa, era una sorpresa: era un po’ di tempo che non vedeva il piccolo Kiki, ma di certo aveva trovato la maniera più originale per organizzare un ritrovo.

“Kiki, ma… è tardi!” si ricordò, in un momento di lucidità. Il sommo Mu l’avrebbe rimproverato, se l’avesse trovato a gironzolare per il Santuario a notte fonda. O almeno così pensava. Si raddrizzò, seduto, scuotendosi il sonno di dosso, mentre il bambino gli scendeva dalla pancia per sgattaiolargli a fianco, veloce come uno scoiattolo. “Non dovresti essere a letto?”

“No!” Se mentiva, mentiva con disinvoltura. “E poi non è tardi, per il tuo viaggio. In realtà, è il momento migliore.”

“Viaggio? Che viaggio?”

“Shiryu, ascoltami.” Il bambino sgambettò, tornando a sedersi sulle sue ginocchia, ora che il ragazzo era seduto. Shiryu sbatté gli occhi, davanti alla luminosità innaturale dei suoi occhi; nella penombra, aveva un sorriso da folletto. “Stanotte riceverai la visita di tre spiriti.”

“Tre… spiriti?”

“Ma come, Shiryu!” Kiki gonfiò le guance, in segno di disapprovazione. Shiryu notò che il peso sulle sue gambe era quasi inesistente. Complice il sonno, la confusione, rimase a guardarlo mentre lo rimproverava, come se lo meritasse. “Dovresti saperlo! C’è lo Spirito del Natale Presente, quello del Natale Passato, quello del Natale Futuro. E tutti e tre hanno qualcosa da mostrarti.”

“Oh” sospirò lui, come scrollandosi di dosso altro sonno. Lo fece a lungo, poi allungò una mano, conciliante, ai capelli del bambino. Ora era molto più chiaro. “Ora capisco. Hai sentito anche tu il racconto? Dove ti eri nascosto?”

Kiki gonfiò ancora di più le guance, se possibile. Pareva offeso.

“Io sono venuto qua ad avvisarti, e tu parli d’altro!”

“Kiki, non capisco… stavo dormendo, e…”

“E adesso è il momento di svegliarsi! Seguimi!”

Era corso giù dalle sue ginocchia senza che lo sentisse. Solo in ritardo, come se l’immagine fosse più veloce del suono, sentì il suo scalpicciare veloce e il tintinnio di campanelli. Ma non indossava campanelli…

“Kiki!” abbassò subito la voce, dopo averlo chiamato. Gli altri stavano di sicuro dormendo! “Kiki! Aspetta!”

Incerto, Shiryu si levò dal letto. Senza mettersi niente addosso oltre alla lunga casacca che già gli faceva da pigiama, si affrettò a seguirlo. Non poteva lasciarlo girare da solo per la Tredicesima Casa, il palazzo del Sacerdote e della divina Athena. Di certo non avrebbe dovuto essere lì. L’avrebbe fatto dormire con lui, magari – anche se il sonno ormai, curiosamente, era svanito…

Si ritrovò alla soglia dei gradini di marmo.

L’aria era fredda.

Di Kiki nessuna traccia.

“Ti stavo aspettando” scandì, al suo posto, una voce proprio accanto a lui.

Shiryu si voltò lentamente, sorpreso. Il vento freddo di dicembre lo sferzava, ma non avvertiva freddo. Si accorgeva a malapena del lembo morbido della tunica che gli carezzava i piedi.

“Shura?”

Un sorriso composto, e il Cavaliere della Decima Casa si scostò dal muro a cui era appoggiato.

Shiryu non lo vedeva da parecchio tempo. Anche durante la salita del mattino precedente lui e gli altri, guidati da Shion di Aries, avevano percorso passi silenziosi in case silenziose. Certamente i Gold Saint non erano assenti, ma non si erano manifestati. Shura, adesso, in quella notte fonda e buia, lo stava aspettando ai piedi della Tredicesima, con lo stesso sorriso con cui Shiryu lo ricordava nei momenti più disperati delle sue battaglie.

“Shura…” sentì qualcosa d’indefinibile sciogliersi nel petto, gioia sincera, onore, e forse anche commozione. “Desideravo rivederti.”

“Anche io, Shiryu. Vieni con me.”

“Ah… aspetta. Hai visto passare Kiki?”

Un battito di ciglia, composto. Poi si avviò, come se la risposta fosse superflua.

Shiryu, sorpreso, non disse niente. Lo seguì e basta.

“Il giovane allievo di Mu” tentò di spiegare, dopo qualche passo. Era talmente sorpreso dallo strano incontro che senza porsi problemi, come se fosse del tutto normale, seguiva a piedi nudi nel freddo i passi di Shura, che non si accompagnavano ai gradini di marmo. Avevano preso un sentiero scosceso dalla vegetazione indefinibile, nel buio. “Era qui. Almeno credo. Non l’hai visto?”

“No” rispose semplicemente.

Shiryu, stranamente, accettò quella risposta come se risolvesse ogni cosa. Continuò a camminare, confuso: “Stiamo andando…?”

“Un po’ lontano. Vedrai.”

“Dove mi stai portando?”

“Indietro.”

La risposta era quanto mai enigmatica, ma Capricorn non aveva un tono di voce da lasciar presagire ulteriori spiegazioni. Ciononostante, le sue parole non erano né secche né brusche: rispondeva preciso, sincero. E lasciava intendere che presto avrebbe verificato con gli occhi.

“Indietro?” non poté tuttavia trattenersi dal domandare Shiryu, sempre più confuso. Non che lo lasciasse trasparire molto, abituato al controllo estremo su sé stesso, ma un intontimento generale lo intorpidiva. Colpa del sonno?

Shura non parve prendersela a male per l’ennesima domanda. Continuò a camminare.

“A volte è indispensabile, guardare indietro. Ricordi il tuo passato, Shiryu?”

“Certo che lo ricordo.” Shiryu avvertì distintamente il terreno sotto i suoi piedi farsi più morbido. Strano. Abbassò lo sguardo, ma con il buio non vedeva molto. La terra era morbida, più morbida del suolo arido di Grecia. Presto si accorse di camminare sopra un tappeto di aghi di pino. Trattenne la sorpresa.

“Non puoi ricordare ogni cosa.”

“I-io…”

“Quindi io te la mostrerò.”

Come Shura ebbe pronunciato quelle parole, con somma calma e una strana, impercettibile dolcezza, il suo braccio forte rivelò delle luci nell’ombra, scostando una fronda d’albero particolarmente fitta. A Shiryu mancò quasi un battito: “L’orfanotrofio! Ma come… non possiamo essere qui!”

“Possiamo. Stai sognando, Shiryu.”

“Sognando?” boccheggiò il ragazzo, seguendo come automaticamente i passi dell’uomo che lo conduceva. “Io sto…?”

“Questo è un sogno, e io sono qua per mostrarti un Natale che hai trascorso anni fa. Avvicinati alla finestra.”

Le luci sfavillanti e i lampi di rosso catturarono l’attenzione di Shiryu tanto da eclissare qualsiasi altra domanda. Rimase ipnotizzato dai bagliori oltre il vetro, improvvisamente catturato dai ricordi.

“Questo… era un Natale di molti anni fa. Prima che venissimo mandati lontano, prima che…”

“Chi c’è, che riconosci?” domandò pacatamente Shura. Non si muoveva da dov’era rimasto, in piedi, come una statua o un fantasma. Ma era una presenza incredibilmente rassicurante.

“Ci sono tutti i ragazzi dell’orfanotrofio. Stanno aiutando le ragazze più grandi ad organizzare una cena di festa. Era un’occasione per distrarre i bambini. C’è…” un sorriso increspò le labbra del santo di bronzo, conferendogli un’aria ancora più matura, serena. Si prese una pausa, e poi descrisse la scena davanti ai suoi occhi, nemmeno accorgendosi di completarla a memoria, prima che le figure si muovessero davvero davanti ai suoi occhi. “C’è Seiya, che cerca di aiutare ad addobbare l’albero. Non è mai riuscito a farlo senza rompere qualcosa, ma ci metteva sempre molta buona volontà. Credo. Anche se forse era solo ansia di partecipare a sua volta.”

“E poi?”

“Poi… c’è Hyoga, in un angolo. Era il primo Natale che passava lontano da casa” si ricordò, gli occhi attenti sul mondo oltre la finestra. Cominciava a ricordare moltissime cose. “Era arrivato da poco all’orfanotrofio. Era chiuso e schivo, e non parlava quasi con nessuno. Lui e Seiya si azzuffavano spesso. Se ne stette per conto suo per tutte le feste, sostenendo che non era affatto Natale, che la data era sbagliata. Oh, e lì c’è anche Shun. E Ikki. L’inverno era talmente freddo da costringerlo a rimanere al caldo, quando spesso girovagava per conto suo. Stanno preparando la tavola.”

“E tu, dove sei?”

“Oh.” Sorrise, scorgendosi. “Sono a togliere le decorazioni dalla scatola. E ad arginare i danni di Seiya.”

“Me l’aspettavo” commentò laconicamente Capricorn. Quando Shiryu si voltò verso di lui, vide che stava sorridendo.

“Perché… perché mi stai facendo vedere questo?”

“Eri felice?”

“Eravamo bambini soli” rispose seriamente lui, una mano al vetro della finestra, opaco. Guardò un’altra volta dentro, una scena chiassosa illuminata dalle luci artificiali. “Non avevamo granché. Ma anche per questo ci bastava poco. Un’occasione di festa era più che sufficiente per essere felici, anche se a malapena sapevamo cosa fosse, il Natale.”

“Ha molta importanza?”

“Eh?”

Shiryu si riscosse e si voltò, avvertendo la figura a lui famigliare allontanarsi. Sino ad ora non l’aveva distinto bene, nel buio: ora, guardandolo illuminato dal rettangolo di luce della finestra, lo vide dirigersi verso un’altra strada ancora, i passi silenziosi, un mantello candido a drappeggiargli le spalle.

“Shura.”

“Seguimi. Non abbiamo finito.”

Se era davvero un sogno, Shiryu si ritrovò a domandarsi che cos’era che nel sogno gli stava ora attanagliando lo stomaco, se una semplice nostalgia per il passato o qualche presentimento che aleggiava negli occhi della sua guida. Aveva colto il suo sguardo mentre volgeva il viso in avanti: erano occhi che guardavano fermi davanti a sé, e contemporaneamente gli occhi più malinconici che avesse visto. Si domandò se fosse quello ad acuire il senso di nostalgia che stava provando allontanandosi da quell’inaspettato ricordo.

“Non hai più festeggiato il Natale, da quella volta.”

“Come? Davvero?” I ricordi d’infanzia, come sempre, tendono a scalare gli anni, ad unirsi in maniera disomogenea. Shiryu cercava gli occhi di Shura, che non trovava, ora che si stavano risommergendo nel buio della notte. Rumore di fronde.

“Sì. Non faceste in tempo ad organizzare il Natale successivo. Andasti in un luogo dove quello era l’ultimo del suoi problemi.”

E con somma meraviglia del cavaliere, il paesaggio che si apriva dietro il verde era ancora una volta diverso. Shura lo stava conducendo per un sentiero di labirinti, ed ogni ramo si affacciava su un’illusione diversa. Oppure quello era veramente un sogno, e stava sognando anche le carezze fresche e taglienti delle foglie di bambù, sul viso.

“Goro-ho.”

“Certo è che il saggio maestro, nonostante l’affetto per te e la mente svelta nel corpo vecchio, non ha mai pensato ad addobbare un albero.”

“No, certo che no” Shiryu sorrise appena, anche solo all’idea. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalla roccia imponente che sovrastava la cascata. La luna era nitida in cielo, lui, poco più grande di come si era visto correre a raccogliere palle di polistirolo che rotolavano per tutta la stanza, ora sfidava le acque millenarie di una cascata. Era completamente solo, lui e l’acqua scrosciante, nell’aria fredda e verde. Non sembrava affatto Natale, anche se a giudicare dal freddo e dall’odore della terra era per forza quel periodo dell’anno. Shiryu si ritrovò a riflettere, abbassando lo sguardo. Poi si voltò deciso verso Shura, l’avversario, l’amico, la guida.

“Shura, tu… cosa stai cercando di dirmi?”

Gli occhi di Capricorn, nella sera, erano completamente neri.

Lo scrutarono a fondo, senza un perché, prima di saettare per un attimo in alto, verso la scena che avevano abbandonato. Shiryu, istintivamente, lo seguì.

“Andiamo.” Si sentì afferrare per un polso, prima che riuscisse a distinguere qualcosa di significativo. “Non c’è più niente da fare, qui.”

“Che cosa…?”

Qualche cosa gli era sembrato di avere visto.

Per la prima volta, si oppose a lui, girando il collo all’indietro, cercando di guardare ancora.

Una bambina…

“Non c’è più niente da fare” ribadì pacato il santo d’oro, conducendolo gentilmente eppure con pugno di ferro. Le foglie si chiudevano di nuovo attorno a loro. Il buio blu della notte permetteva a malapena d’intendersi con i respiri. Shiryu si domandò se il blu si sarebbe aperto di nuovo sulla Grecia, o su quale altro posto lontano. Con sua immensa sorpresa, avvertì i propri piedi poggiarsi sulla roccia nuda e umida.

“Shura? Shura?”

“Il mio tempo è finito, Shiryu. Verrà qualcun altro, a prenderti.”

“Shura!” gridò, stavolta, il ragazzo, irrazionalmente. Si voltò istintivamente all’indietro, da dove proveniva la voce. Con suo immenso sollievo, lo vide. Una figura affilata, all’ombra della cascata.

Shiryu lo fissò a lungo, senza capire il perché di quel senso acuto di nostalgia che provava nel guardarlo. Non si era mai accorto di quest’ombra nella figura del cavaliere, che pure aveva vissuto di zone nere, nel suo passato. Ma Shiryu l’aveva sempre visto forte, glorioso e risplendente, e vederlo tagliare l’ombra sul punto di svanire era qualcosa che gli stringeva la bocca dello stomaco. Gli rivolse uno sguardo accorato, come a pregarlo di non lasciarlo; finalmente Shura gli sorrise.

“Non temere. Hai già capito molto più di quanto tu creda.”

“Shura, aspetta! Ci rivedremo?”

“Per questa notte, no. Ma tu temi troppo, Shiryu…. e adesso, non è proprio il caso di farsi intimidire.”

E così, con un sorriso misterioso, con quella strana dolcezza, si dileguò nell’acqua, lasciando di sé solo una macchia oscura dietro lo scrosciare rombante della cascata. Il cavaliere del Dragone vi si gettò, senza pensarci due volte, del tutto istintivamente. La notte a Goro-ho era terribilmente rumorosa, nel suo silenzio.

“Shura! Shura! Aspetta! Che cos’è che devo capire? Che cosa…?’”

“Che cosa dovresti capire?” Lo apostrofò una voce durissima, che senza dubbio non era quella di Shura. Shiryu si fermò appena in tempo, sbigottito, il viso ad un palmo dagli spruzzi violenti della cascata. Ma non fece in tempo a ritrarsi, perché quella macchia di nero emerse senza preavviso, spaventandolo come il vento furioso spalanca una porta. Lo colpì in pieno, non molto lontano da dove Kiki aveva allegramente saltellato con tutto il suo peso per svegliarlo.

Come Shiryu fu schiantato a terra, incredulo e sdegnato, realizzò che quello che aveva preso era un calcio dritto allo stomaco. E che la figura sgangherata che torreggiava su di lui, grondante d’acqua, la conosceva.

“Bene, bene. Guarda chi si rivede.” Una risata scomposta e gracchiante, molto lontana dalla voce distante e raccolta di Shura. Shiryu digrignò istintivamente i denti, sebbene non avesse voluto. “Te l’ho già detto che ho un debole per le entrate in scena?”

“Death Mask!” ruggì il Dragone, rimettendosi presto in piedi, dolorante e umiliato. Questa proprio non se l’aspettava. Oltretutto trovava il remake della cascata assolutamente fuori luogo. “Tu qui!”

“Di nuovo, eh? Immagino il piacere che ti faccia.” Snudò i denti quello, occhi di brace nel buio. Pareva estremamente, se non oscenamente compiaciuto dalla trovata. Non esattamente nello stesso stato d’animo era Shiryu il Dragone.

“Perché sei qui? Parla!”

“Canta, canta, stai allegro, sono qui per te, moccioso!”

Beffardo, Death Mask emergeva alla luce della luna come se fosse il figlio stesso del demonio. Quella sua andatura piegata, storta, simile davvero ad un granchio, lo faceva apparire ancora più minaccioso, si rese conto Shiryu con un brivido. Le sue braccia penzolavano apparentemente inerti, e potevano infierire colpi del tutto imprevisti. Non era come trovarsi davanti un avversario in postura d’attacco. Era molto peggio. Istintivamente, s’irrigidì.

Passarono lunghi istanti di silenzio, finché Death Mask, evidentemente soddisfatto del turbamento che aveva seminato, lo lasciò crudelmente in sospeso per dargli le spalle.

“Seguimi.”

“Perché…”

“Ho detto seguimi. Niente storie. Ho dieci minuti. E cinque li userò per fumarmi una sigaretta.”

“Ma che cosa…” Shiryu storse il naso, del tutto involontariamente. Lo seguì, anche se affatto di buon avviso. Lo scrutò a fondo, la sua schiena nervosa e l’andatura che tratteneva forza. Si ricordò di quello che aveva detto Kiki. “Tu sei… lo Spirito del Natale Presente.”

Minchia. Detta così sembra davvero una stronzata.”

Shiryu spalancò gli occhi.

Che ne era della dolce malinconia di Capricorn?

Dell’atmosfera tanto rarefatta e poetica che aveva saputo creare?

A ramengo, grazie a Cancer, che gli fece cenno con un grugnito in direzione della casetta arroccata sulla roccia, dove erano arrivati tra una bestemmia in italiano e l’altra – forse rivolta a Shiryu, forse rivolta ai sassi scivolosi, forse a nessuno. Shiryu si avvicinò, senza per questo abbassare la guardia un istante; anche se Death Mask pareva più intenzionato a frugarsi in tasca che a concedergli un grammo della sua attenzione. Frugò rumorosamente in entrambe.

“Ebbene?” cercò di mostrarsi sostenuto, Dragone.

Non poteva permettersi di chinare il capo di fronte a chi, nonostante i trascorsi passati, si ostinasse a mantenere un contegno tanto provocatorio e beffardo. Ne andava del suo onore.

Cancer si grattò.

“Sai, quelli come te mi fan pena.”

“Come hai detto?”

“Quello che ho detto.” Un lampeggio furioso, sconquassato. Una fiamma di accendino. Death Mask aveva trovato la sua sigaretta, e l’odore inquinava l’aria. Probabilmente erano le sigarette più pregne di catrame che la Grecia potesse produrre. Erano sigarette comprate al porto, in un baracchino. Shiryu non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, pur manifestando aperta ostilità. Fremeva di collera, che quell’uomo era tanto bravo ad scoperchiare. “Non mi aspetto che tu capisca. Eppure dovresti, se sei quel santone che tanto ti vanti di essere. Ecco, la vedi là dentro?”

Shiryu tacque, aspettandosi quello che stava per vedere.

Una donna sola, in una casa fredda. Non c’era bisogno d’altro, per provare rimorso.

Non era il momento migliore per litigare con Cancer: cercò di non mostrarsi debole, ma mai come in quel momento si era sentito sciocco e colpevole. Shunrei, rincantucciata sotto le coperte, dormiva, anche se l’avrebbe fatto per poco: Shiryu si accorse della luce rosata, che da un Est lontano preludeva all’alba. Troppo preso dagli avvenimenti, si ricordò che da quando Death Mask aveva preso il poso di Shura, in quel modo tanto grottesco, il cielo era cambiato. Quello era il presente: in Grecia la notte sprofondava, in Cina il giorno avanzava.

Un commento sarcastico lo riportò alla realtà:

“Buon Natale, ciuridda!

“Smettila!” S’infuriò Shiryu, il viso e il petto accesi da un bruciore spiacevole, forte. “Proprio tu, parli! Sono capace di accettare un rimprovero; ma non se viene da uno come te! Vuoi umiliarmi?”

“Ohi, di che parli, Dragone.” Death Mask gli soffiò in faccia una boccata di pessimo fumo, più beffardo e soddisfatto che mai. “Sarò l’ultimo qui a farti una predica. Personalmente, la mocciosa mi sta anche sui coglioni. Non è quella che ti ha salvato, l’ultima volta che ci siamo visti? Bene, io avrei preferito di gran lunga scaraventarti nella fossa degli sfigati, e non dire che non l’avrei fatto.”

Un'altra bella boccata coronò quel discorso.

“Tu non sai che cosa vuol dire. Non sai cosa siano sentimenti nobili come…”

“La gratitudine?” suggerì lui, un ghigno crudele.

Quella andò a segno come un pugnale arroventato.

Shiryu non si era mai sentito così in tutta la sua vita.

“Hai ragione, che ne capisco io. Ma anche tu hai un bello fare lo splendido.” Rigirò abilmente il filtro arraffandolo tra pollice e indice, quello spirito chiassoso e insensibile. Aspirò con malcelata soddisfazione. “Per me con la tua morosa puoi farci quel che ti pare, anche usarla come straccio per lavare i pavimenti. E mica solo per Natale. Non è per la storia del Natale. La storia del Natale è una minchiata. Non l’hai sentito quel che ti ha detto Shura, eh? Pensavo che Shura lo ascoltassi, sei orbo, non sordo. Ti ha detto anche lui che è una minchiata.”

Shura non aveva detto proprio così, in verità.

Ma aveva sussurrato, al suo orecchio, se era davvero importante. E Shiryu dovette ammettere la verità.

“No. No, non è il Natale quello importante.”

“No, infatti. Quelle scassa minchia sono il presepe, sfinciuna, pesce, vino, sfinci, scacciu e chi minchia ne può più. Ci si alza alle nove di sera e fuori stanno ancora cantando. Poi mi chiedono perché ammazzo la gente.”

“Non è neanche quello!” ribatté Shiryu, più che altro confuso per aver capito un decimo di quel che aveva detto. Proprio quando cominciava a perdere le staffe, Cancer l’aveva steso con un’uscita insensata. Che a lui pareva perfettamente normale, dalla concentrazione tattica con cui tirava su gli ultimi residui di tabacco prima di arrivare al filtro: “Ah no? E che è?”

“È…”

“No, guarda. Non ho voglia di sentire la tua carola. Ti metterai a parlare come i tordi in chiesa. Se hai capito, và dal vecchio e lasciami andare che ne ho piene le palle.”

“Death Mask…” ribollì il ragazzo, i pugni stretti. Mai nessuno era stato talmente bravo a mandarlo fuori dai gangheri. Death Mask alzò a malapena la faccia, buttando la sigaretta usata giù nella cascata. Un altro modo dei cento modi di ingraziarsi i padroni di casa.

“Guarda che è lassù” gli fece notare, rificcando le mani in tasca. “Io me ne vado.”

Shiryu volse la testa verso l’alto.

Ma quello era il luogo dove…

Si girò di nuovo di scatto, per apostrofare nuovamente Death Mask. Ma quello, ovviamente, se ne era già sparito. Se ne rimase lì qualche minuto con l’amaro in bocca, una sensazione strana e pungente. Faticò, ma tornò con gli occhi alla finestra della capanna, esitando ad avvicinarsi. Non sapeva nemmeno se voleva vedere Shunrei svegliarsi, oppure no. Non sapeva più molte cose. Le finestre ora erano scure, e lui distolse lo sguardo, forse intuendo qualcosa.

Non si voltò più verso l’alto. Rimase fermo.

“Shiryu…”

Conosceva quella voce, ovviamente. Sospirò, a lungo, abbassando il capo.

Non sapeva se ce l’avrebbe fatta a reggere sino in fondo. In un certo senso, poteva essere più crudele degli altri.

“Shiryu. Figliolo. Guarda in alto, o non mi vedrai.”

“Maestro…”

Il sorriso di Doko sapeva essere molto confortante. Aveva occhi grandi e saggi, proprio di quelli che sapevano accompagnare i sorrisi. Shiryu sentì quasi le lacrime salirgli agli occhi, riconoscendoli nel viso giovane di un ragazzo poco più grande di lui, ma dall’animo secolare. Rese grazie, nel pensiero e a voce alta, per la sua presenza. E fece per inchinarsi.

“No, Shiryu, avanti” sorrise comunque, il vecchio maestro, il mantello che sventolava nel vento della cascata. Tutti i suoi abiti erano spinti dal vento, ma il cappello di paglia, fido compagno, rimaneva fermo sulla sua testa, trattenuto per sicurezza da una cordicella. Con quel grande copricapo in testa, sempre uguale, sdrucito dagli anni eppure incrollabile, era più che mai lui.

Shiryu annuì, decidendosi ad avvicinarsi.

“Maestro… non mi sarei mai aspettato…”

“No? Davvero, Shiryu?” saltellò giù con enorme disinvoltura, il vecchio tornato giovane. “E perché no?”

“Se avessi saputo prima che i tre spiriti che sarebbero giunti eravate…” esitò, appena, ma poi proseguì: “…voi… allora avrei pensato a voi, per primo. Il mio venerabile maestro, compagno del mio passato…”

“Sarò anche compagno del tuo futuro, Shiryu, se me lo permetterai.” Brillavano allegri, gli occhi vecchi, sul viso luminoso di un giovane. Shiryu non trovò subito le parole per rispondere. E sì, sentiva che quella era la scelta giusta, che dopo il piccolo viaggio che aveva fatto solo con lui avrebbe potuto fare lo sforzo di proseguire. Ora era chiaro.

“Sono pronto, allora. Per tutto ciò che volete mostrarmi.”

“Bene. Ti mostrerò un gioco di prestigio, allora.”

“Che cosa?” Shiryu sbatté gli occhi verdi, una, due volte, discretamente sorpreso. Non disse niente neppure quando il mantellone lo avvolse, coprendolo sino ai piedi. Non era proprio quello che si aspettava.

“Uno, due, tre.”

E fu luce.

Una mattina abbagliante.

“Maestro!” gridò Shiryu, sorpreso dalla luce improvvisa.

“Niente panico, figliolo. O cadremo dal tetto.”

Il valoroso Dragone s’immobilizzò. E non aveva tutti i torti. Avvertì con chiarezza di trovarsi molto, molto in alto.

“Non guardare ancora giù. O sì. Ora sì.”

Shiryu aprì gli occhi, con uno sbuffo appena nervoso. Il maestro non era tipo da tirargli simili giochetti, non lo era mai stato. O la situazione lo divertiva particolarmente, o non c’era nessun rischio effettivo. Si decise a guardare in basso.

“Ma questa città… non la conosco.”

“Io ci sono stato, invece. Un po’ di tempo fa. È Hong Kong.”

“Hong Kong?” sillabò lui, sbalordito. “È una vera metropoli…”

“La tua Tokyo la batte ancora, tuttavia. Quasi del doppio. Vedi qualcuno di famigliare, laggiù? O preferisci che scendiamo?”

“Scendiamo, maestro.”

Dolcemente, Doko lo prese per mano. E Shiryu non seppe come, ma velocemente scesero, non con la velocità dei santi di Atena, ma con quella del sogno, impalpabile e sincopata. Scesero come spiriti attorcigliandosi ai tubi e alle scale di metallo, alle luci al neon e alle decorazioni rosse e verdi, o di un bianco sporco, o di un oro falso, tutto esagerato. La città, contagiata dall’occidentalismo come ogni grande metropoli, era estrema anche in questo.

Il maestro lo precedeva, per le strade affollate, il mantello che sventolava bello largo, nonostante la folla, e il cappello sempre fedelmente calcato in testa. Shiryu lo seguiva, i piedi nudi sull’asfalto. Non sentiva né dolore, né duro, né freddo. Erano due fantasmi che attraversavano la corrente.

“Non prendere male quello che stai per vedere, Shiryu. Ma è importante che tu lo sappia.”

Shiryu non fece in tempo a domandare che cosa, perché non la riconobbe, a colpo d’occhio.

Era più alta. Aveva i capelli sciolti, e più corti. Stava in piedi davanti a una vetrina. Non sorrideva. In realtà, era abbastanza assente.

La folla le scorreva attorno senza sfiorarla. A Shiryu pareva che fosse l’unica persona ferma, in quel marasma, come un sasso in mezzo al corso del fiume.

Lentamente, la ragazza si girò, distogliendo lo sguardo dalla vetrina. Controllò l’orologio. Shiryu riconobbe quegli occhi che aveva visto grandi e umidi, e stretti nelle risate.

Doko rimaneva fermo in piedi, placidamente, senza guardare l’allievo. Dato che non parlava, parlò per primo, stringendosi nel mantello:

“Sai? Credo sia ancora sola.”

Shiryu riuscì a malapena ad annuire. Non volle aggiungere altro.

L’antico maestro incrociò le braccia sul petto e proseguì, come doveva fare:

“Posso mostrarti Goro-ho, ma hai guardato per un attimo attraverso la finestra, mentre io ero già lì, non è vero?”

“Sì.”

“Che cos’hai visto?”

“Era deserto.”

“E impolverato. E marcente. È vuoto. Se n’è andata.”

“Sì. Sì, lo so.”

“E tu?” domandò più delicatamente, come se fosse ancora bambino, mentre Shunrei se ne andava, affrettando i passi verso un punto che sembrava privo di senso, nella folla di persone. “Pensi di essere con lei?”

“No” sillabò appena, il Dragone. Raddrizzò le spalle, lo sguardo serio, ma senza orgoglio. “Il Santuario mi avrà chiamato a sé.”

Doko sorrise di nuovo, paziente, lo sguardo mite. Ancora non allungava un braccio di conforto, nonostante avvertisse chiaramente qualcosa, seppur di infinitamente piccolo, spezzarsi in profondità del suo allievo. Il suo allievo che non parlava mai di Shunrei, ma i cui occhi la guardavano a lungo, anche quando nemmeno la luce li raggiungeva.

“Sei un discepolo che mi ha sempre reso fiero, Shiryu. Hai già capito ogni cosa.”

“Non ci vuole molto, in verità.” Dragone chinò il capo, molto oltre l’umiltà, in quel momento. “È il mio dovere. E l’avete detto voi. Sembra ancora sola.”

“Non capisci? Non è con nessun altro.”

“Piuttosto, preferirei.”

“Shiryu, Shiryu. Che sciocchezza.” Nonostante l’aria dolce, qualcosa nella voce di Doko faceva intuire molto di più di un affettuoso rimprovero. Shiryu lo guardò. Era più fermo che mai, con quelle braccia incrociate. In quel momento, nel suo corpo svelto e giovane, si ergeva solido come una montagna che sbarra il passo a migliaia di armate. “Non lo preferiresti affatto. Nonostante la lontananza ed il tempo, certe cose non passano. Non dire mai che preferiresti la persona amata felice con qualcun altro, che infelice con te. È un sentimento disonesto.”

“Parlate come se sapeste.”

Un sorriso vecchio, mentre gli occhi tornavano giovani. Ogni cambio di espressione sul viso di Doko catturava Shiryu in un sogno dentro un sogno. Ed era stato Doko a parlare di sogni, davanti alle torce accese nella buia, nera notte di Hades, mentre cieco Shiryu rantolava sulle scale per raggiungere l’amato maestro che andava a morire per mano di Shion.

Doko sapeva.

“Vieni. Desidererai vedere altro.”

“No.”

“Desidererai vedere come sei.” Gli tese la mano, incoraggiante. “Sei cresciuto anche tu, Shiryu. Ti sei fatto un uomo alto, distinto, amato dalle genti. Presiedi la Casa della Bilancia, quando sono assente, e la presiederai quando il mio cuore cesserà di battere per cause naturali, se Athena lo vuole; ed addestri giovani generazioni tramandando le nostre storie, le vostre storie, perché siano pronti ad affrontare nuove guerre, o, come Atena auspica, la sempiterna pace. Non vuoi vedere?”

“No… no.”

“No?”

“No. Tutto questo mi è bastato.”

Lasciò cadere la mano, morbidamente, in quella ruvida di Doko; il maestro si fermò, già in procinto di partire, stupito. Poi lentamente gli sorrise – forse il sorriso più sincero sino a quel momento – e Shiryu finalmente gli sorrise di rimando, anche se debolmente.

“Ho visto abbastanza.”

“Molto bene. Non ti chiederò, dunque, se hai compreso.”

“Potete chiedermelo.”

“No. Me lo dimostrerai. Sei un discepolo che mi ha sempre reso fiero, Shiryu. Mi renderai fiero di nuovo.”

“E se facessi la scelta sbagliata, maestro?”

La figura di Doko era così ferma, e così colorata, in mezzo alla folla. Adesso erano loro due, il sasso in mezzo al fiume. Non si pronunciò, ma non abbandonò l’espressione serena.

“Torna a dormire, Shiryu.”

Un groppo in gola, Shiryu sentì che il sogno stava per finire. La folla si stava dileguando. Sarebbe tornato il buio, non più quello blu di Grecia, né l’argentato candore di Goro-ho. E al risveglio, cos’avrebbe fatto?

Chiuse gli occhi, per non vedere il maestro svanire assieme a tutto il resto.

Zai jian, roshi.”

Zai jian.

 

 

 

 

 

The Carol

 

E così, la prima carola è quella di Shiryu. Domandona: che ne dite?
Mi sono cimentata con una serie di personaggi affatto famigliari, per me, per cui spero che apprezzerete lo stesso. Ho cercato di fare un po’ ordine nella mia testa e di lanciarmi. Non è stato facilissimo.

È chiaro che come fan ho preferenze smaccate per un personaggio, un altro o un altro ancora; altri mi riescono facili da muovere, altri meno. In questo primo Carol non compare nessuno dei miei prediletti, ma credo che sia meglio così: un po’ perché mi sentivo tipo in erasmus, un po’ perché è stata una bella sfida, un po’ perché è un cast molto omogeneo e che secondo me, a dispetto delle diversità interne, funziona.

Poi, se devo dire la verità, a me i cocchini di Atena piacciono tutti quanti. ._. *GOLD* …E non è carino, Dokino? <3 E sì, dello shonen ai vago ce lo dovevo pur spruzzare. Owww, l’amore a distanza… ;O;

 

Shinji: Sì, hai visto come lo Spirito Natalizio mi ha permeata? <3 Incredibile, faccio l’albero con anticipo, scrivo le carole, spargo fluffiness. Ho un problema. Sarà stata la nostra playlist.

Himechan: Oooh, che meraviglia! Ma grazie, carissima! *O* Sì, il Carol di per sé fa già quasi strike, speriamo di essere all’altezza del soggetto per distribuire mielosità natalizie a destra e a manca. I bronzini mi aiuteranno. Sono fatti per questo. *C* <3
Kijomi
: Prego. E ora sotto con le tartine. *^* *terrorismo*

Sakura2480: Sì, poveretto, non se lo meritava un colpo così. Ma tu che diresti se ti ficcassero un abete nel mezzo del tuo tempio pagano, eh? Grazie per l’incoraggiamento, spero anche andando avanti continui a piacere. <3

LeFleurDuMal: Saori deve avere un paio di quelle robe. E certo che Ikki ha ragione. Ikki ha sempre ragione. Ma cosa ti lamenti per Seiya? È colpa tua! Ehi, voi, là fuori! é_è Sappiatelo! Il Seiya che scrivo è colpa sua! Sua!

Malu Lani: Gli hint Hyoga/Shun sono la cosa più godibile dell’universo. Ora che lo so, li sfrutterò come un’arma di distruzione di massa! Eccoci qui al capitolo dopo, i tuoi commenti vanno benissimo come sono. *O* Sono dolci!

Regina di Picche: Grazie, tesoro, che bello averti anche qui. Mi fai dei complimentosi, sui personaggi. Cielo, speriamo di tenere sempre botta. Ma sì, oggi di media è il giorno che si fa l’albero, no? Cedi! Cedi! *C*

Pucchyko_girl: No! Fermati! Ci oscureremo in un mondo di melassa! ...OMG il Natale. Scamperemo?

 

 

Vogliate scusarmi per il totale nonsense dei sottotitoli ai capitoli. Sono stata istigata.

  
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