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Autore: Rucci    20/12/2009    7 recensioni
Anche i santi di Atena aspettano i regali sotto l'albero.
Specialmente i più giovani, che con un piccolo racconto natalizio passano da un sogno ad un viaggio, accompagnati da guide sin troppo famigliari.
Quel che non è famigliare, è il futuro.
{what if: post-Hades} {shonen-ai sparso}
Genere: Commedia, Sovrannaturale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un Canto di Natale

Un Canto di Natale

 

 

 

Capitolo 5. Il Canto del Cigno

Dove la bora ci porta di qua e di là senza riguardo.

 

 

 

Hyoga capì che era un sogno subito, da quando poggiò il piede a terra, nel silenzio ovattato della notte nera. Lo capì dall’immobilità innaturale delle cose, prima ancora di spalancare la finestra e venire rapito dal vento: soffiava forte, nel sogno, il vento, molto più forte di quanto in realtà non battesse sui tetti dei templi candidi, in Grecia. Se lo ricordava bene.

Oltre la finestra c’era il bianco, che nella notte nera si faceva azzurro, scuro, per sterminate piane illuminate dalle stelle. Chiuse gli occhi, e, come li riaprì, fu esattamente dove si aspettava.

“Hyoga! Sei arrivato presto.”

“Jacob.”

Gli occhi azzurri del giovane si aprirono presto a cercare quella voce famigliare che aveva parlato. E lo vide immediatamente: Jacob era proprio lì di fronte a lui, sempre uguale a sé stesso, allo Jacob dei ricordi di Hyoga. Piccolo, affondato nel pelo folto del cappuccio che lo teneva al caldo, uno o due denti mancanti nel sorriso largo. Aveva ancora i denti da latte, Jacob, il piccolo conducente di slitte, che incitava i cani e spalancava gli occhi davanti al ghiaccio millenario che, sotto i pugni di Hyoga, si frantumava come vetro.

“Siamo in Siberia?”

“Sì, Hyoga. Sei arrivato presto, molto presto.”

“Devi dirmi qualcosa, Jacob?”

Hyoga sapeva che i sogni di quel genere non accadevano perché li si cercasse, o perché la fantasia li mettesse assieme: quel genere di sogno – nitido, limpido, in piena coscienza – ti viene a cercare sotto le coperte per bisbigliarti all’orecchio qualcosa d’importante. Forse le persone care lontane, forse quelle scomparse stanno cercando di avvisarti. Il viso di Hyoga era calmo, e perfettamente tranquillo, ma interrogava Jacob con la serietà che si addice a un cavaliere delle lande ghiacciate.

“Io no, Hyoga. Ma sono contento di vederti. Anche che sei venuto presto.”

Sorrise, allora, Cygnus, avvicinandosi al bambino: “Anche io. Allora mi devi portare da qualche parte?”

“Sì. Sali sulla slitta. Anche se sai correre molto più veloce dei cani!” rise allegro il piccoletto, facendo fare un salto alle redini. Hyoga annuì, e, senza nessuna particolare espressione, salì.

Gli animali erano all’erta, l’aria fischiava. Il ragazzo non sapeva bene cos’aspettarsi da quell’azzurro sterminato che la slitta fendeva. Non disse nulla, non si mise in guardia, non si guardò attorno, ma era notte, e la notte, nei sogni, non prometteva nulla di buono. La notte era l’oscuro e il nascosto, l’inconscio, il desiderio e la paura.

Alzò la testa a guardare le stelle, schiudendo appena le labbra, bevendo il vento che non sentiva. Come sospeso.

Si mise a delineare le costellazioni con gli occhi, perdendosi nei meandri della sua mente.

Era la prima volta che vi s’immergeva così coscientemente, sulle scie della neve.

Riconobbe le costellazioni meccanicamente.

“Siamo quasi arrivati.”

Orsa maggiore.

“All’isba?”

Orsa minore.

“Sì. Lì incontrerai il primo dei tre spiriti. Ma tu sei forte, Hyoga. Non è vero che sei forte?”

Lira.

“Tre spiriti?”

Croce del Nord.

“Lo Spirito del Natale Passato, lo Spirito del Natale Presente, lo Spirito del Natale Futuro.”

Cefeo.

“Come nel Canto di Natale.”

Cassiopea.

“È qui.”

Andromeda.

La slitta frenò.

Jacob sorrise, con i suoi adorabili dentini da latte. Ne mancava qualcuno, come sempre. Hyoga lo fissò a lungo, poi gli allungò una carezza sulla testa, attraverso il cappuccio imbottito.

“Grazie, Jacob.”

“Ci vediamo, Hyoga!”

E la slitta ripartì, lasciandolo da solo con gli spiriti. Hyoga non aveva paura. Sapeva solo che la notte, nei sogni, non porta niente di buono. Si voltò, alla ricerca di una figura a cui fare riferimento; c’era l’isba, sola in mezzo all’immensa Siberia. Nient’altro.

Vi girò attorno, attento. Sapeva che Jacob era stato un messaggero, un ponte che il suo inconscio aveva scelto per portarlo lì, proprio lì. Proprio in quel luogo, in quello e in nessun altro. E quale altro, d’altro canto, avrebbe potuto risvegliare memorie importanti? Ricordava perfettamente il Natale in Russia, anche se confondeva un anno con l’altro. Era impossibile non scinderlo dal Natale in Giappone, così diverso…

“Maestro, maestro Camus!”

Hyoga appoggiò le mani sul vetro spesso della finestra, guardando all’interno. Era come appoggiare le dita su uno scrigno, ugualmente freddo, da tastare tra le dita sino al momento di scoperchiarlo. Gran parte del suo passato per lui non era che questo: memorie custodite in un cofanetto prezioso, da aprire con cura e serbare nascosto; la similitudine di sensazioni lo provò tanto che dovette chiudere gli occhi.

“Non ascoltatelo, maestro Camus! Ho ragione io!”

“No, ho ragione io!”

“No, io!”

“No, iooo!

“Ragazzi, un po’ di contegno. Su che cosa discutete?”

“Hyoga dice cose stupide” riassunse Isaac, non trovando di meglio da argomentare.

Hyoga riaprì gli occhi, allora, per guardare attraverso i vetri gelati. Camus dell’Acquario, maestro e mentore, sorrideva conciliante ai due bambini che si agitavano a tavola. Isaac – oh, lo ricordava bene, Isaac – prima di essere un ragazzo fiero e muscoloso era stato un bambino sveglio e scattante, e, come tutti i bambini, facile a scaldarsi. Nulla a che vedere, però, con l’altra pallina bionda saltellante al suo fianco: “Non è vero! Non è vero! Non dico cose stupide! È Isaac che dice le stesse cose che dicevano in orfanotrofio, ma sbagliavano, si sbagliavano tutti! Dice che Nonno Gelo abita in Finlandia! Secondo me lo dice solo perché ci abitava lui, in Finlandia! Non è vero! Nonno Gelo conosce tutte le strade di Mosca, e non vola sulla slitta! Va a piedi!”

“È vero, invece, abita in Lapponia! E non si chiama neanche Nonno Gelo, ti ho detto… Maestro Camus, ditegli qualcosa!”

“E non è neanche vero che ha il vestito rosso! Nonno Gelo ha il mantello blu! E la veste blu!”

“Maestro Camus! Non sta zitto!”

Non solo non stava zitto. Il futuro cavaliere del Cigno si era praticamente arrampicato sulla tavola, le sopracciglia contratte in un’espressione serissima. E stava anche, ad occhio, per raggiungere la soglia degli ultrasuoni: “Ma maestro Camus, è Isaac a dire cose stupide! Secondo voi le renne possono volare?”

“Ma vuoi stare zitto?” Isaac storse la bocca e si tappò le orecchie.

“Hyoga, Isaac. Con calma, per carità.” Camus ebbe la buona idea di placare gli animi, una mano a capoccia. Abbassò entrambe le testoline calde, riscuotendo il silenzio. “Parlate di Santa Claus, non è vero?”

Hyoga, fuori dalla sua finestra, ebbe quasi un singulto.

Il maestro Camus, l’algido, grande e forte maestro Camus non poteva avere più dell’età che aveva lui adesso. Se ne rendeva conto solo ora, dopo tanti anni, a guardarlo con le mani sulla testa di due bambini.

“Ah, visto che anche maestro Camus lo chiama così? Avevo ragione io.”

“No, Isaac. Santa Claus è solo il nome con cui è più conosciuto.”

Una carezza veloce ad entrambi, con cui Aquarius la ebbe vinta, e un nuovo sorriso, estremamente adulto. Camus si allontanò di nuovo per andare a controllare il pentolino sul fuoco, senza smettere di parlare: “Qui in Russia Santa Claus non passa la notte di Natale, bensì quella di Capodanno. E Hyoga ha ragione a dire che qui non si chiama neppure Santa Claus. Lo chiamano Died Moròz, Nonno Gelo, e porta i doni senza la slitta. Cammina…”

“Cammina a piedi per tutte le vie di Mosca!” s’intromise Hyoga, gli occhi brillanti. Come dimenticandosi dell’acceso diverbio, si rivolse a Isaac come se gli stesse raccontando una favola: “Tutto carico dei suoi pacchi! Altro che renne.”

“Smettila con quella storia delle renne.”

“Ma Isaac, sei tu che credi che le renne volano.”

“Smettila! Non ho detto questo.”

Era arrossito come un peperone, il piccolo guerriero dei ghiacci.

Hyoga rise, mentre Camus continuava a rimestare in un pentolino, senza fretta.

“E in orfanotrofio, Hyoga?” interloquì dopo un poco. “Dicevano le stesse cose di Isaac?”

“Sì, maestro. E ci facevano festeggiare il Natale in una data strana.”

“Non è una data strana. So che tu probabilmente l’hai sempre festeggiato in gennaio, ma in Occidente il Natale cade il 25 dicembre, non come in URSS, che ha un calendario diverso. Il Giappone ha acquisito questa festività dalla cristianità cattolica.”

Hyoga all’epoca ci aveva capito poco.

Solo che gli altri avevano un calendario fatto male.

“Ma è sbagliato.”

“No, Hyoga. È solo diverso.”

 E con questa saggia considerazione, fu servita la cioccolata in tazza.

Hyoga e Isaac si zittirono di colpo, perché non sarebbe ricapitato presto di poter godere di una rarità del genere. Muti, anche quando le ebbero in mano esitarono per fissare con occhi da bambola il liquido denso e dal profumo delizioso che riempiva la stanza. Camus sorrise di nuovo, appena.

Sapeva benissimo che i ragazzi non si aspettavano abeti addobbati, né regali avvolti in carte luminescenti. Avevano imparato da un pezzo, bambini non più bambini, che genere di vita stavano per intraprendere: proprio per questo, in virtù della loro assenza di pretese, aveva estratto dalla dispensa quello che era più unico che raro potere procurarsi, in quella landa senza vita, e offrirglielo così, senza spiegazioni. Era stata una bella pensata, a giudicare dai faccini inebetiti dal profumo dolce.

“Maestro Camus. La cioccolata è per Nonno Gelo?”

“Sì. Diciamo di sì.”

E con questo, ebbero il benestare che serviva loro. Affondarono voracemente i cucchiai per accaparrarsi la cioccolata, a sprezzo del pericolo di scottarsi la lingua. Infatti se la scottarono parecchio.

“Ma Nonno Gelo…” riprese a conversare Isaac, incuriosito, ora che il dibattito era stato sedato e blandito con la cioccolata. Intanto dava aria anche alla lingua scottata. “…come fa a portare i regali tutto da solo, se non ha la slitta?”

“Ha un’assistente” rispose prontamente Hyoga, a bocca piena.

Camus, in silenzio, lasciò la stanza. Hyoga, all’improvviso, si sentì avvolto da una pesantezza fredda, consapevole, che gli fece piegare le dita sul vetro. Chiuse gli occhi, il cuore che batteva forte, aspettandosi di sentire cigolare la porta. La sentì.

“Uno solo?”

“Una sola” corresse la sua vocetta da dentro. “Ed è giovane e bella.”

“Giovane e bella” confermò una voce più profonda, al suo fianco, ora. Hyoga annuì, la fronte ormai contro il vetro. Lo Spirito del Natale Passato era uscito da quella casa accogliente per raggiungerlo. “La piccola Snjegòrushka.”

“Sì.”

“Ci credevi, Hyoga?”

“Sì, maestro Camus.”

“Credi che sia qui per rimproverarti?”

“No. La vostra voce è calma, e non lo credo affatto.”

“Allora perché non ti volti a guardarmi?”

Hyoga lo fece, lentamente, ma solo perché era restio a togliere gli occhi da quella scena calda. Vi si era immerso come in un racconto già letto molte volte, ma sempre amato. Guardò in viso Camus, scuro nella notte siberiana, ma dagli occhi luminosi. Non era più giovane come quando l’aveva preso per mano e condotto ai ghiacci eterni che doveva imparare a sfondare; era il Camus rigido e altero che presiedeva il tempio dell’Acquario in cui era morto. Ma non c’era severità in lui, ora.

“Scusate. È bello rivedervi, maestro.”

“Di nuovo, santo di Atena, ti perdi in ciò che è stato.”

“Non l’ho fatto apposta. Questa volta, è un sogno. Credete che me lo sia andato a cercare?”

“No. Ma come ogni volta che sfiori il tuo passato, tu indugi.”

Snjegòrushka?” vociò Isaac da dentro, squillante come un campanello. “Che nome è?”

“È un nome bellissimo! Snjegòrushka vuol dire fiocchetto di neve…”

“Ti ricordi di Snjegòrushka, Hyoga?” domandò Camus, sulla voce dei bambini. Hyoga annuì, senza una parola. Quindi proseguì lui, quasi con dolcezza, nel vento della bora che lo rendeva quasi indistinguibile, nel buio. Ma Hyoga aveva la sua voce, la sua ferma voce: “L’hai vista, questo Natale di qualche anno fa. I tuoi occhi stanno per alzarsi dalla tazza e posarsi su di lei. E poi correrai fuori nella neve, chiamandola a gran voce. Ti ricordi?”

Un rumore di porta che sbatte. Isaac lo chiamava, agitato. Hyoga non ebbe bisogno di guardare per vedere il bambino che era stato correre a perdifiato nella neve, inseguendo una visione.

“Ho sempre creduto che mia madre fosse Snjegòrushka.”

“Mh.” Camus sembrava sorridere. “Perché?”

“Perché era giovane, e bella. Perché disponeva per me i regali sotto l’abete addobbato. Perché si muoveva come un fiocco di neve, danzando per le vie di Mosca.”

Il vento soffiava, forte. Hyoga non guardava Camus in viso.

“Ho creduto di vedere mia madre, fuori, nella neve.”

Cadde un silenzio che non era un silenzio, riempito dalle grida dei bambini, e poi, soffocato, di qualche singhiozzo. Non c’era bisogno di guardare, per ricordarsi dell’angoscia che l’aveva preso in mezzo al buio e al gelo, la figura sfuggente di Natassia riapparsa per non tornare; e anche se non l’avesse ricordata, poteva perfettamente indovinare. Camus rimase in silenzio a lungo; poi si avvicinò a Hyoga, allungando una mano, pallida e delicata, al suo viso.

Il santo di Cygnus spalancò gli occhi, pure nel vento, a quel gesto tanto affettuoso. Camus non disse nulla, i capelli tanto rossi nell’aria, sorprendenti come un’aurora boreale. Lo accarezzò lentamente, però, il viso contratto in un’espressione sera.

“Hyoga, apparterrai sempre a questo posto. Quello che ti volevo dire, dopo tanto tempo, è che ritengo che tu sia pronto per una prova ulteriore, dopo tutto quello che hai passato. Dopo tutto quello che è stato detto. Dopo che abbiamo alzato la mano l’uno verso l’altro…” abbassò la voce in toni quasi impercettibili. “…affinché tu potessi diventare tanto forte da superare il tuo passato. Ora ti resta solo una cosa da fare, dopo averlo superato.”

“Che cosa… che cosa, maestro Camus?”

Gli occhi di Camus scintillarono, nel buio. I singhiozzi infantili riempivano l’aria, sempre più vicini: stavano rientrando in casa. Il quel momento, Hyoga seppe che stava per lasciarlo. Schiuse le labbra, allungò le mani per trattenerlo, pentendosi di non aver capito subito: voleva parlare, voleva parlare ancora con lui…

Ma Camus, due dita fredde sui suoi occhi, gli abbassò le palpebre, con una carezza.

Non dimenticarlo.

Il vento cessò.

Improvviso come si era alzato.

“Maestro…?” chiamò Hyoga, nel buio. “Maestro!”

“È rimasto.” Scandì una voce conosciuta, che fece rilassare subito a Hyoga i muscoli. Si era involontariamente teso, pronto a scattare. “È rimasto in Siberia, che è il tuo passato, giovane santo. Adesso sei nel tuo presente, al Santuario. E quello di cui hai bisogno è una guida.”

Cygnus si rese conto di poter aprire gli occhi. Lo fece, lentamente, stupendosi e contemporaneamente non stupendosi affatto di chi si trovava di fronte. Un sorriso accogliente, lo stesso di quando aveva spalancato la via alle Dodici Case, come un prato ricolmo di fiori. Eppure, avrebbero incontrato la morte.

“Sommo Mu.”

“In persona. Ti starai chiedendo perché io.”

“Non… mi ero posto nessuna domanda del genere.”

“La risposta, Hyoga di Cygnus, è…” raccolse il mantello, il Santo dell’Ariete, aprendogli la via alle scalinate, come aveva fatto molto tempo prima. Sembrava un mago, un mago dal sorriso dolce, che srotolava un tappeto incantato. “…il luogo stesso.”

In silenzio, Hyoga lo seguì. Le scale parevano infinite, ma poteva solo seguirlo.

Mu era le scale, e assieme, la guida. Dietro di lui, Hyoga compì un viaggio lunghissimo che durò un battito di ciglia.

“Il luogo? Questo?”

“Sarò tua guida.”

“Per il Santuario?”

“Sì. Perché il tuo presente, più che mai, è qui.”

“Spiegati, sommo Mu. Te ne prego.”

Le colonne bianchissime nella notte si moltiplicavano. Nessuna angoscia a pervadere il cuore di Hyoga; il ragazzo camminava, instancabile, ma lentamente impercettibili nodi cominciavano a sciogliersi, dentro di lui. Tante piccole domande che non sapeva di avere in testa e nel cuore.

In quella lunga salita per il bianco e l’oro, le pose tutte a Mu, che con incredibile naturalezza rispondeva. Cominciando con un sorriso, e parole dolci.

Così simile al suo maestro, Shion, dalla pelle luminescente e gli occhi di stelle, lo condusse sempre più in alto, senza fare rumore: “Più che mai, ora, tu appartieni a questo luogo.”

“Non capisco.”

“Tu capisci, invece. È che ancora non vuoi vedere.”

“Che cosa?”

“Che il tuo passato è altrove” un passo dopo l’altro, gradino dopo gradino. Hyoga proseguiva, gli occhi grandi, la bocca semichiusa, come ad assorbire le verità che gli venivano rivelate dal custode delle porte del Grande Tempio. “E che il tuo presente è qui.”

“Perché adesso mi trovo in questo luogo.”

“Adesso più che mai. Ma sono solo per porte che si dischiudono per il futuro. Lo sai.”

“Maestro Camus mi ha detto…”

“Non il maestro che hai incontrato in sogno.”

“No. Me l’ha detto giorni fa.”

“Che cosa ti ha detto?”

“Che ha in serbo qualcosa per me.”

“Tutti noi abbiamo in serbo qualcosa per voi, giovane Cygnus. Ma forse tu ne sei il più consapevole.”

“Perché?”

“Perché hai visto il tuo maestro, nell’isba lontana, hai visto i suoi occhi e la sua voce. E ti sei riconosciuto.”

A Hyoga batteva forte il cuore. Camus. Che nell’isba aveva appena la sua età. Era come lui.

La comprensione cominciava a scorrere, a fluire attorno al suo cuore, dentro la sua testa, e non riusciva a parlare. Fissò Mu.

“Era lui ed eri tu. Santi di Atena. Maestri.”

Fissò il Santuario.

“Sono ancora troppo giovane per essere un maestro.”

“Non è vero. E l’hai capito esattamente in quel momento.”

Erano alle porte del Tredicesimo Tempio. Era stato un viaggio durato il tempo di un soffio. Mu non si fermò neppure allora, infilandosi tra le porte solide, scivolando silenzioso nei corridoi. Il sogno si faceva tanto più nitido, da quelle scalinate bianche senza tempo, alle porte dietro le quali dormivano i fratelli di Hyoga. Parve come riscuotersi, il quel momento, quasi fosse sveglio e stesse camminando la notte preso da insonnia. Ma davanti a lui c’era Mu.

Allora capì perché Mu.

Perché Mu era il luogo.

Mu di Aries che aveva loro spalancato le porte del Santuario, nella mente di Hyoga, era il Santuario stesso. E anche il suo presente lo era: santo di Atena, maestro.

Maestro?

“Mu. Mu, c’è qualcosa che vuoi dirmi?” esclamò, cercando di raggiungerlo. Mu sfiorava dolcemente la maniglia di una porta, come se avesse paura di disturbare il sonno di chi la occupava. Hyoga aveva la testa che frullava di pensieri. Cercò di afferrarlo. “Che cosa significa, maestro? Che cos’ha in serbo Camus per me? Tu lo sai?”

“Lo sai anche tu, ormai l’hai capito. È inutile che continui a farmi domande.”

“Ma così io non saprò mai…”

“No. Il mio compito era solo quello di farti comprendere qualche cosa, nell’infinito groviglio si sentimenti che ti porti sempre appresso. Quello che verrà, è già futuro. E io dunque non ho più senso di essere. Domanda a chi verrà dopo di me.”

“Stai per andartene?”

“Oh, sì.” Il sorriso di Aries era dolcissimo, ma non voleva dire nulla. Hyoga si chiese perché non l’aveva mai notato prima. “Ma prima devo farti vedere qualche cosa ancora, Cygnus.”

La maniglia, piano, senza un suono, si abbassò.

Hyoga non riusciva a ricordare di chi fosse quella stanza.

“Non solo il Santuario e le sue scalinate di marmo occupano la tua mente, nel tuo presente. C’è qualche cosa d’altro ancora che hai lasciato insoluto. Su cui il tuo pensiero vaga e non si sofferma.”

“Io…”

“Entra ed affrontalo. Ti basteranno gli occhi. Cygnus, tu già sai: io non ho dovuto fare niente. Solo metterti in grado di vedere.

E improvvisamente, quella porta chiusa assunse un grande significato.

Hyoga deglutì: sapeva, sapeva eccome. Ma ancora non vedeva.

“Buona fortuna” sussurrò Mu, un ultimo sorriso che si dileguava. Chissà se era per incoraggiamento, chissà se per scherno. Lo facevano molti sogni crudeli.

Hyoga si ritrovò dentro, fermo immobile.

Shun dormiva profondamente.

Lui rimase in silenzio a lungo, deglutendo, in difficoltà. Abbassò gli occhi. Li rialzò su di lui.

Dormiva placido, sommerso dalle coperte, appena rannicchiato. Era come aveva detto Mu: davvero Cygnus non aveva bisogno di comprendere, di nuovo: solo di vedere. La sua presenza lì era già un’ammissione molto più grande di qualsiasi pensiero tenuto nascosto nel suo cofanetto prezioso.

“Beh, carino è carino, non trovi?”

Pensò di perdere almeno tre anni di vita.

Quando si voltò verso la figura che sedeva in un angolo, gambe accavallate e sorriso scanzonato, lo fece tenendosi la mano sul cuore, vergognosamente colto di sorpresa. Aveva praticamente i capelli ritti in testa.

“Mi… Milo! Sei tu!”

“Sono lo Spirito del Natale Futuro” sciorinò lui, con l’aria di divertirsi un mondo. “E sono qui per mostrarti il futuro. Quante cose in sospeso, Hyoga, quanta confusione ti hanno messo in testa. Io sarò più tranquillo, lo prometto.”

“Ma… io… ah… hm… e Shun…?”

“Oh, dorme. Non ci sente. Vieni con me. Ce ne andiamo molto più lontano da qui!”

Con sua somma sorpresa, Milo lo prese subito per mano. Fu un contatto caldo, genuino, svelto: gli strizzò l’occhio, e lo trascinò via. Un’ultima occhiata a Shun, e Hyoga fu travolto dalla neve, uscendo dalla porta. Lanciò un gemito di puro sbigottimento.

“Nevic—ah!

“Ah, sì, quest’inverno ha nevicato molto!” Milo rise, senza smettere di tenerlo per mano. Praticamente, correva; tanto che Hyoga non capiva neppure dove fossero. Per quanto la sua rigidità gli impedisse un contatto tanto confidenziale, così, all’immediato, il Cigno, col groppo in gola, dovette per forza aggrapparsi a lui, per tenergli dietro. Finì per sentirsi di nuovo bambino, stretto per mano a Milo, che correva nella neve senza un problema al mondo, tenendolo forte per non lasciarlo andare. Non era una sensazione spiacevole.

“Milo!” riuscì a gridare, nella corsa. Fiocchi di neve vorticavano tutt’attorno a loro, e ancora più attorno, a circondarli, c’era la città. “Dove mi stai portando?”

“In un posto che non conosci!” esclamò, la voce caldissima. Hyoga lo strinse di più, quasi vergognandosene.

“È il futuro? Che cosa vedrò?”

“Qualcosa di bello” promise Milo, due occhi azzurri scintillanti, nella neve. Il mare nel bianco. Hyoga rallentò il passo con lui, incredulo, con il fiatone, quando gli fece una rivelazione sorprendente: “Perché ho deciso di mostrarti solo il futuro che ti meriti.”

“Che… che cosa?”

“Tu devi capire, Hyoga” Milo si avvicinò al davanzale della casa che avevano raggiunto. Allegramente, quasi, ne spolverò giù la neve, per avvicinarsi, e curiosare oltre il vetro. “Devi capire che il futuro ha in serbo solo meraviglie per i giovani come te. Vieni, vieni a vedere.”

“Quindi questo vuol dire… che non è proprio il mio futuro?”

“Certo che lo è” gli fece cenno nuovamente di avvicinarsi. “Se saprai comportarti a modo.”

“Mmmh.”

“Quel ragazzino, Andromeda, che stavi guardando attentamente nel sonno…”

Hyoga, che aveva cominciato a darsi da fare per raggiungere Milo, gli scarponi che affondavano nella neve, si bloccò, assumendo un’interessante tonalità color fanale. Non riuscì a spiccicare parola. Milo, per tutta risposta, notandolo, ghignò: “È carino.”

“Hm.”

“Perché non gli dici quello che ti frulla in testa da un po’?”

“Perché… non so. Perché sono ancora confuso” riuscì a tirare fuori, sorprendendosi anche solo del fatto di riuscire a dirlo. Senza dubbio, era un sogno. Boccheggiò, cercando aria fresca, e poi chiuse gli occhi. Dirlo a Milo, nella neve che cadeva, a larghe faloppe, era così semplice, così naturale: “Non è semplice esprimere quello che sento.”

“E così preferisci tenerlo tutto per te. È vero. È sacro. È prezioso. Ma comporta grossi rischi. Perché non ti abbandoni, per una volta, a seguire l’istinto al primo colpo?”

“Perché sono fatto così” borbottò piano, Cygnus, riuscendo finalmente ad accostarsi a lui, i piedi a scrollare la neve che gli si accumulava addosso. Mentre lo diceva si sentì tanto, incredibilmente, vergognosamente adolescente. Milo dovette pensare la stessa cosa, dalle pacche intenerite con cui lo fece avvicinare di più, sfregandogli affettuosamente la schiena. Come un fratello maggiore.

“Lo so, Hyoga. Però la vita ti può riservare davvero grosse sorprese. Guarda dentro.”

Hyoga esitò, prima di guardare. Con espressione concentrata, allungò una mano a ripulire il vetro dalla brina e dallo strato di vapore addensato al di fuori. Dentro, rimaneva leggermente opaco, ma quanto bastava per guardare. Trasalì, al vedersi seduto su una poltrona, a leggere chissà cosa, le spalle curve.

“Quello sono io.”

“Eh, sì.”

Suonò il campanello. Hyoga, da chinato che era, si alzò, stiracchiandosi, per andare ad aprire la porta. Lui stesso, da fuori, più piccolo, poté vedersi meglio, un giovane adulto dal passo disinvolto, a proprio agio nella propria casa. Si guardò attorno, distogliendo un attimo lo sguardo. Sì, era Tokyo. Ora non aveva più dubbi.

“Ehi. Buon Natale” lo distrasse la propria voce, all’interno, incredibilmente diversa. Sensuale, calda, addirittura: era accompagnata da un sorriso sulle labbra che non si era mai visto in volto.

“Buon Natale a te!” trillò un’altra voce conosciuta, anche questa più bassa. Ma Shun non era capace per natura di rimanere troppo rigido: lo vide entrare a grandi passi, e, per prima cosa, buttargli le braccia al collo, ridendo.

“Hai fatto presto.”

“Io faccio sempre presto” increspò le labbra in una piega imbronciata letteralmente adorabile, Andromeda, sotto gli occhi increduli di Hyoga, che guardava da fuori e lo riconosceva, e assieme non lo riconosceva affatto. L’altro, però, senza alcun imbarazzo né perplessità di alcun tipo, gli cinse morbidamente i fianchi, allargando il sorriso.

“Sì, sì. Sempre.”

“Bene. Mi hai preparato gli ingredienti per i biscotti?”

“Sì.”

“E tutto l’occorrente?”

“La cucina è tua.”

Vedersi con uno sguardo talmente profondamente innamorato, per un adolescente, è dura. Hyoga, incredulo, non sapeva se arrossire sino alla punta delle orecchie, boccheggiare sconvolto, alzare le sopracciglia sino ai limiti della propria costellazione. Probabilmente stava facendo tutte e tre le cose, considerata l’aria divertita che prendeva Milo a sbirciare le sue reazioni.

Shun rideva, cristallino. Non era la stessa risata alta e innocente in cui poteva irrompere adesso, a uno scherzo divertente, alla gioia di vedere un prato ricolmo di fiori. Era più matura, profonda, ma sempre incredibilmente chiara. Con sommo sgomento di Hyoga, il cavaliere di Andromeda gli diede l’assalto arrampicandosi con implacabile destrezza fra le sue braccia, sino a ritrovarcisi appollaiato in mezzo. Gli passo le braccia attorno al collo, con un sorriso altrettanto adorabile quanto il primo che gli aveva rivolto.

“Allora? Non mi ci porti?”

“Ah, subito” si sentì sbuffare, scherzoso. “Cosa non si fa per una teglia di biscotti.”

“Veramente sono per tutti!” protestò, acuto, l’altro, senza riuscire a mascherare l’ilarità, ma la voce andava già sfumando: si stavano spostando altrove, senza troppi impedimenti nonostante il groviglio strano che avevano formato. Hyoga si vide sollevare Shun dall’onere di camminare con le proprie gambe da una stanza all’altra, e lo portava in cucina in braccio.

“Beh, niente male, Hyoga. Qui avrai venti, ventun anni, all’incirca. L’età del tuo maestro, direi. Hai visto che bell’uomo che sei diventato?”

“Non capisco” borbottò quello, fermo piantato davanti alla finestra come un lampione “se sono diventato il suo… fidanzato, o il suo schiavo a vita.”

Milo rise, di cuore, a quel tentativo di sdrammatizzare. E fu quello che ci voleva, perché Hyoga prese a grattarsi la testa, imbarazzato, sì, ma accennando un sorriso. Almeno aveva alleggerito un po’.

“Probabilmente entrambe le cose” dichiarò serissimo lo Spirito del Natale Futuro, gatto sornione appoggiato al davanzale. “Prenderà presto possesso di te e non potrai più tornare indietro.”

“Parli come se sapessi.”

“So di quel che parlo.”

“Milo, io… ti sono grato per questa visione del futuro. Anche se non so se si avvererà.”

Hyoga abbassò gli occhi azzurri sul davanzale la neve cadeva talmente fitta e a larghi fiocchi che si sentiva letteralmente ricoprire. Attorno a lui non c’era più niente: la casa, la città. Niente.

Abbassò le palpebre. Chissà cosa sarebbe successo, a lasciarsi sommergere dal bianco. Così morbido e puro, per sempre…

“Si avvererà, Hyoga. Non sono apparso nei tuoi sogni per darti delusioni: si avvererà se saprai comportarti nella maniera giusta. Se saprai ammettere i tuoi sentimenti, che già conosci, perché ho visto l’emozione con cui hai guardato in questa finestra; se oserai finalmente sperare, bambino disilluso; se avrai il coraggio di levare la voce.”

“La fai così facile…”

“No. Non è facile. Non è stato facile neppure per me. Ma che cos’altro potevo fare?”

Hyoga si voltò lentamente, nella neve. Tutto era bianco, enormemente bianco.

Milo sorrideva, spirito durato nella neve: “Combatti, Cygnus, per ciò in cui credi. Se io ho piegato il custode delle energie fredde, il Maestro dei Ghiacci, oh, tu non avrai bisogno di arrivare a tanto. Fidati.”

E poi rise. Una risata bellissima, piena.

Hyoga li vide, Scorpio e Aquarius, senza vederli.

Schiuse la bocca, ammaliato, senza sorprendersi.

“Milo…” un sussurro, appena. “…tu credi?”

“Io credo sempre.” Milo abbassò la voce, catturando il suo sguardo, magnetico, le labbra dischiuse. Sembrava talmente interessato, così fisso e immobile, che il Cigno non riuscì a distogliere l’attenzione da quegli occhi, paralizzato. “Non te lo ricordi, Hyoga? Me l’hai detto tu. Tempo fa. Sogno non è sinonimo d’impossibile. In quel momento ho capito, e l’ho sempre pensato, che noi due, in fondo, ci assomigliamo.”

Non serviva altro, ora, mentre il vento non era più vento.

La bora l’aveva portato in tre posti diversi, tutti lontani, e ora si placava.

“Allora io…”

“Allora tu devi tornare, Hyoga, ed essere felice. Camus ti ha insegnato a fare tesoro del tuo passato, dopo averlo superato, perché ormai sei pronto per farlo. Mu ti ha insegnato ad aprire gli occhi sul presente. Io voglio che tu ora sia felice.”

Hyoga sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma non poté piangere.

Il freddo aveva reso insensibile le sue guance, il suo volto.

Si accorse che la neve l’aveva davvero ricoperto.

Che finalmente avrebbe saputo com’era, perdersi in un mondo bianco, freddo e lucente. E puro, come l’idea stessa della purezza. Pulito e confortante. Chiuse gli occhi, respirando come se respirasse per l’ultima volta.

“Chiudi gli occhi e dormi, bambino” sentì l’ultimo sussurro, e chissà se era di Milo, di Camus, o di sua madre, addirittura, dagli echi di un tempo lontanissimo. “Sarà un meraviglioso Natale.”

Il vento smise di soffiare.

E il silenzio calò come neve.

 

 

 

 

 

The Carol

 

Buongiorno a tutti! Aggiorno con due giorni di ritardo rispetto a quanto avevo promesso, con tante sentite scuse e facendo gli occhioni grandi e umidi per farmi perdonare. Sono stata indaffarata.  È Natale non solo per questi spuccini, ma anche per le povere mortali che tra lo studio, la gente da spucciare prima delle vacanze, i parenti da sedare, la neve da spalare, i regali da comprare, le visite da fare, i prodotti di Lush da provare (ho i capelli tutti vaporosi che sanno di cocco! Weee! *C*) non sanno più dove stanno di casa, a momenti. Infatti mi sono portata dietro il capitolo da finire in chiavetta e sto pubblicando in trasferta. Vogliatemi bene! ;O;

 

Il sogno di Hyoga è quello che ha e avrà, credo, il maggior numero di caratteristiche del sogno, vero e proprio. Ho cercato di rendere l’ambiente molto onirico, credo che si adatti al personaggio: sfumato, sentimentale, evocativo. Mah, che dire, spero di aver fatto un buon lavoro. Non è stato facile neppure questa volta, considerata la grande carica affettiva che sto cominciando ad avvertire verso questo personaggio; ma attendo i vostri giudizi. :)
Ce la metterò tutta per consegnarvi il prossimo capitolo – il penultimo – in tempo! Per Natale farò carte false pur di pubblicare la conclusione: avrete tutto il fluff che non avete avuto sino ad esso, lo giuro.

Un bacione e un grazie a tutti; specialmente a LeFleurDuMal, da cui sono stata ampiamente contagiata per le atmosfere suggestive di Neve; non citarla è impossibile, considerato il contesto. Bacioni a cascate. Anche a Shinji, che in play mi tiene uno Shun che va oltre… va oltre… va oltre. Grazie davvero.

 

No, Jacob non è il palestrato di New Moon ma quel paciughino che accompagna Hyoga ovunque in slitta.

, la costellazione di Andromeda è nell’emisfero boreale e non è strano che Hyoga la veda; in realtà non è nemmeno lontanissima da quella del Cigno. In questo caso non sono io a fare fan service.

, i russi festeggiano davvero Natale a quel modo e il loro folklore mi uccide di tenerezza.

, Milo è un amore. Lui e Camus sono davvero mampapà e mamma. *luv*

 

LeFleurDuMal: Saga quarantenne doveva comparire, prima o poi. È un erotic-concept troppo grande per rimanere sconosciuto al mondo. Ma che figo è? Sì, prima o poi dovremo riprendere in mano la yakuza, la mafia, i templi buddhisti e pure Las Vegas. Gh. Ma abbiamo tutta la vita per noi, mon amour. =ç=

Kijomi: Sì. Lo so. <3 Ti amo.

Shinji: Sì, Shin, non è splendido? Ora abbiamo praticamente tutti i feticci sessuali in comune! *O* La nostra amicizia uscirà rinsaldata da tutto questo! (?!) Dopo tutto il fan service e la mafia, ora ti sottopongo questa cosa spiumeggiante; ormai l’era dei pennuti si è aperta, tanto vale spararcela. :D Un bacio a te!

beat: Guarda, nemmeno io avrei dato mezzo soldo bucato a Ikki e Aphrodite. Nel senso, ma chi li vede mai interagire? (giustamente) E invece guarda qua. Andrebbero avanti per ore. Da non credere. Nemmeno io so cosa dire a parte ringraziarti enormemente per  i bei commenti che mi fai, che guarda che mi lusingano tantissimo! ;_; Non smettere maih!

Himechan: Grazie mille e baci a te, cara! Ikki è palesemente nel suo ambiente naturale, dovevamo vederlo prendere a botte un po’ di gentaglia o troppo Dickens, caramelle e spuccioserie poi ci rubano l’anima. A presto! <3

BianchiD: LOL, è vero, Ikki è il più Scrooge di tutti! Speriamo non incontri mai il piccolo Timmy! Un grosso grazie e alla prossima. XD

Kagura92: Alla faccia della stanchezza! È una recensione bella e davvero sentita. Devo ringraziarti tanto, per tutte le sfumature che cogli. L’ultima frase che mi hai lasciato mi ha dato una soddisfazione immensa: dovrei solo riscriverla così se volessi riassumere in una parola tutto ciò che ho scritto. Grazie.

Regina di Picche: Ebbene, Seiya ha risvegliato il pucciume necessario, e Ikki è entrato in grande stile, di modo che una fan che lo sa apprezzare rimanga soddisfatta. :D Questo è più che sufficiente, anzi. Che le atmosfere siano diverse è inevitabile, anzi è il bello: Ikki per natura è molto più oscuro degli altri. Attendevo con ansia di scrivere un capitolo noir. XD Alla prossima e non crucciarti… come vedi sono in ritardo anch’io. O_o

 

 

  
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