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Autore: aki_penn    24/01/2010    11 recensioni
Si è sempre parlato di gente "sfigata" che vuole diventare bella ricca e famosa, ma a nessuno è mai interessato se qualcuno sta bene nel suo bozzolo da nerd con una catenella da gabinetto attaccata alla porta? Beh, mio fratello stava bene così. E finchè se ne è stato nel suo piccolo paradiso di 20 metri quadrati nessuno ha mai avuto da ridire (a parte mia madre ovviamente), ma poi è arrivata quella tipa , ed è cambiato tutto, a partire dalla catenella del wc,e a finire col cercare di farlo diventare una specie di latin lover! E io sapevo che avrebbe portato guai, io lo sapevo, ma figurati se qualcuno mi ascolta mai in questa famiglia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei venti metri quadrati' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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I miei venti metri quadrati

Capitolo Ventunesimo

Guerre Culinarie

 

Quando mi svegliai quella mattina mi chiesi se la trapunta di Joyce rappresentasse la bandiera dell’Italia sbiadita, o quella dell’Irlanda. Poi pensai che in realtà me ne fregava ben poco, alzai le spalle e svegliai Joyce con uno scappellotto.

Joyce che dormiva accanto a me, con indosso un pigiama stupido, sobbalzò.

“Sia mai che tu riesca a svegliarmi in modo un po’ più carino… e poi che cavolo! E’ domenica! Perché dobbiamo svegliaci presto anche di domenica?”sbraitò sull’orlo di una crisi di nervi mattutina.

Alzai le spalle “Perché soffro di insonnia”.

Joyce mugugnò qualche cosa nascondendosi sotto la trapunta tricolore.

 

Nikka guardò i biscotti che la signora Pavesi aveva appoggiato sulla scrivania con circospezione. Mei sorrise, gli occhi languidi con cui la ragazza ammirava le leccornie di sua madre lo facevano divertire.

Probabilmente in quel momento nel suo cervello era in corso una battaglia. O forse sulle sue spalle erano apparsi un angioletto ed un diavoletto tentatore.

Probabilmente Nikka era a dieta più o meno da quando era venuta al mondo, ma sua madre in cucina ci sapeva davvero fare, tanto da far vacillare anche la più solerte esteta del quartiere.

Nikka distolse gli occhi dai dolci per non venirne tentata oltre. Era appollaiata sul ciglio del letto un po’ a disagio, neanche si era tolta la giacca.

“Tutto a posto?” domandò ridanciano. Nikka strizzò gli occhi e annuì.

Mei appoggiò la testa al muro pensando che a pensare a Nikka come amica si stava bene.

“Allora come va con Cesar?” chiese con un sorriso come per dimostrare a sé stesso che gli era del tutto passata la cotta per Nikka, e che era arrivato alla saggia conclusione che l’amicizia tra loro due potesse essere l’unica scelta sensata.

“Oh, non c’è male…all’inizio l’avevo giudicato male. Invece mi trovo molto bene, è simpatico, intelligente e ha un accento un po’ buffo” spiegò annuendo tranquilla.

“E poi è anche di bell’aspetto” aggiunse. Mei sentì lo stomaco contrarsi e aggrottò le sopracciglia costringendosi a pensare che sicuramente Nikka e Cesar insieme stavano benissimo, e lui poteva essere un perfetto migliore amico.

Infatti direi che mi ci sto affezionando, non mi era mai capitato prima” disse con lo sguardo un po’ perso.

Non che da dopo il divorzio sua madre avesse avuto tanti uomini intorno, in realtà oltre a Cesar c’era stato solo Ezio, una talpa cretina e balbuziente. Alzò gli occhi dicendo tra sé e sé che era una fortuna che fosse arrivato uno come Cesar, un altro Ezio non l’avrebbe sopportato. 

“Quanti anni ha?” chiese poi ostentando la più totale indifferenza.

Nikka non notò nulla nella sua espressione, forse perché considerava l’argomento completamente neutro.

“Trentadue” rispose lei svelta con un sorriso. “Una bella differenza…tredici anni” commentò a denti stretti.

Nikka annuì allegra, non pensava che Mei si ricordasse esattamente l’età di sua madre.

Poi a Mei parve che lei cambiasse discorso e si distese “Tua madre non ha mai pensato di … non so… trovarsi un altro uomo…rifarsi una vita?” chiese curiosa.

Mei alzò le spalle e guardò il lampadario, con il collo piegato in una posa un po’ innaturale.

“Lei ama ancora mio padre… a volte vede Giovanni Cumoli…ma sono amici, anche il padre di Joyce ama ancora la sua ex moglie”spiegò con semplicità.

Nikka si avvicinò un po’ a lui con fare strano e con aria un po’ maliziosa appoggiò il mento alla sua spalla. Mei deglutì, dicendosi che era stupido agitarsi. Intanto però gli stava venendo la tachicardia.

“Lo sai che c’è una certa percentuale dei ragazzi che hanno perso il padre in tenera età che diventano gay?” disse. Si allontanò di nuovo, e il cuore di Mei riprese il suo andamento regolare, ridacchiò.

“Quando è morto mio padre avevo già superato la fase anale…” fu la risposta divertita. Nikka fece una faccia strana.

Mei rise “Non sai cos’è?” chiese, e la risposta la sapeva già.

“No, e non lo voglio neanche sapere!” esclamò drastica facendolo ridere ancora.

“E da dove ti saltano fuori certe cose scusa?” sbottò appoggiandosi al muro.

“Nozioni sparse di psicologia… ho letto qualche libro…” disse con fare dolce. Nikka pensò che avrebbe voluto dargli un bacio. Era carino quando era saccente, era carino quando era impacciato… insomma era sempre carino… sospirò.

Mei guardò l’ora “Devo andare a dire alla spagnola che Rachele ha la febbre e non può andare a sturarle il water” disse senza sentirsi più di tanto idiota.

“Ha preso l’influenza?” chiese Nikka alzandosi dal letto.

“No, se l’è svignata con Joyce… come al solito”rispose Mei, Nikka alzò gli occhi al cielo e aprì la porta “Dopo anni, quei due non gli ho ancora capiti…

“Fa te, io ho scoperto che andava a letto insieme due settimane fa…” commentò prendendo il giubbotto.

“Ed è tua sorella” aggiunse infine lei attraversando il corridoio con un andatura un poco dondolante sui tacchi alti.

Mei si sistemò il colletto della giacca abbassando i capo, e finendo a guardare i tacchi di legno di Nikka che battevano sul pavimento di palladiana.

Li vide fermarsi sulla soglia della cucina e anche lui si arrestò, appena in tempo per non andarle addosso.

“Mamma, Cesar…” disse soltanto con voce tranquilla avviandosi verso il tavolo.

Mei alzò lo sguardo su sua madre che se ne stava in piedi affianco al fornello con una teiera in mano, seduti al tavolo, entrambi col busto ritorto a guardarli se ne stavano Marianna coi suoi ricci biondi tinti e il suo naso a punta, e un uomo sulla trentina dalla carnagione scura.

Il cervello di Mei ci mise poco ad analizzare quella figura a lui quasi sconosciuta.

Capelli scuri e mossi, pelle altrettanto scusa, occhi neanche a parlarne, scuri.

Bello. Si disse. Davvero bello, cavolo.

Portava una camicia a righine azzurre e delle scarpe in vernice nera, tra le mani una tazza di tea fumante.

“Tu sei Cesar?” chiese con un’aria un po’ strafottente che decisamente non gli apparteneva.

Cesar annuì voltandosi meglio nella sua direzione. Sorrise e allungò la mano per dire piacere, ma Mei la ignorò.

“Beh, non credi che tredici anni di differenza siano troppi per una coppia?” sbottò.

Cesar arrossì vagamente imbarazzato, deglutì e si passò la mano nervosamente tra i capelli ricci.

Nikka lo guardò perplessa, e la signora Marianna si accigliò, le stava dando della vecchia? Lei che si truccava sempre bene per essere al livello del suo nuovo fidanzato?

“Beh, sì… in effetti tredici anni non sono pochi… ma pensa che c’è gente che anche con vent’anni di differenza si sposa… e sono felici comunque, siamo entrambi grandi e vaccinati e…” cominciò a blaterare imbarazzato.

“Nikka non ha neanche vent’anni! Anche se è maggiorenne non mi sembra poi così grande!” continuò accigliato.

“Beh…” fece Cesar sempre più imbarazzato da quella situazione.

Dopo che sua madre l’aveva insultato dicendo che stava con una come Marianna solo perché mirava alla pensione pensava di aver visto tutto. E invece il quasi fidanzatino della sua quasi figliastra gli stava facendo la predica per non si sapeva quale motivo!!

“Conosco gente risposata che ha figli ben più piccoli di Nikka, credo che alla sua età sia abbastanza grande per capire…” ancora una volta Mei lo interruppe.

“Che cavolo centrano i figli… credo che tu sia troppo grande per stare con Nikka, e basta…” disse infine con un’occhiataccia sprezzante.

Marianna, Cesar e la signora Pavesi con la teiera ancora in mano lo guardarono perplessi, più o meno nello stesso istante in cui una gomitata di Nikka gli atterrava tra le costole.

Mei si inarcò un poco verso sinistra e fece una smorfia di dolore.

“Cesar sta con mia madre non con me!” disse tra i denti in un sussurro udibilissimo.

Mei si raddrizzò con uno scatto e si guardò in giro imbarazzato per poi adocchiare nervosamente l’orologio senza guardarlo e dire in una recita palese “Oh, cavolo… come è tardi!”. Pausa teatrale “Devo andare dalla spagnola. Ci si vede” salutò scattando fuori dalla porta con un fruscio.

I rimanenti quattro si guardarono vicendevolmente negli occhi, perplessi, finché Nikka non sfoderò uno dei suoi sorrisi plastici e disse calorosa “Arabella! Si dice che i tuoi biscotti siano i più buoni del quartiere! Non è che li potrei assaggiare?”

Per una situazione del genere poteva anche fare uno strappo alla perenne dieta.

Arabella ci mise un attimo a realizzare cosa le era stato chiesto “Oh, sì, sì Nicoletta, arrivano subito!”

La signora Pavesi appoggiò sul tavolo della cucina un vassoio stracolmo di biscotti e tutti ci si buttarono a capofitto.

“Mangiamo, che è meglio” disse qualcuno, e tutti si trovarono d’accordo.

 

 

 

“Cosa hai detto che non deve mai andare in contatto con l’acqua?” chiese distrattamente Rachele il giorno dopo mentre passavano per il corridoio della scuola.

“Eh?” fece Mei preso alla sprovvista.

Rachele sbuffò “Ti ricordi quando ti si mozzato il dito? Mi hai raccontato che lo mai messo nel ghiaccio eccetera eccetera, e poi ti sei messo a parlare di chimica  e hai detto che c’è un qualche cosa che non va mai messo nell’acqua” spiegò.

“Il sodio… il sodio non va messo nell’acqua… perché?” chiese Mei perplesso. Rachele alzò le spalle. Probabilmente suo fratello avrebbe insistito se non avesse visto una coda di cavallo rossiccia all’inizio del corridoio e non avesse sentito per questo il bisogno di nascondersi nella stanza delle fotocopiatrici.

Si dileguò così con un “Non fare cose di cui potresti pentirti!” e sparì inghiottito da una porta.

Rachele si diresse al laboratorio di chimica. C’era stata qualche volta i primi due anni di superiori, ma non si ricordava praticamente nulla, a parte il fatto che il professore di laboratorio non era un brutto uomo, e che si scordava sempre in modo poco professionale di chiudere a chiave l’armadietto che conteneva tutte le sostanze.

Rachele rimase a guardare per un secondo l’armadietto dalle ante in vetro, prima di individuare la boccetta che portava la scritta a biro sodio.

La prese con uno scatto e se la infilò nella borsa a tracolla, uscendo non vista con incredibile nonchalance.

Estrasse il cellulare e digitò un numero che conosceva a memoria, quello che componeva più spesso “Joyce?”

Mhm?” muggirono dall’altra parte, probabilmente stava mangiando.

“Ci vediamo tra un quarto d’ora al laghetto” comandò perentoria.

“Ma stavo mangiando!” biascicò contrariato. “E chi se ne frega Joyce!” sbottò lei interrompendo la chiamata.

Si diresse a passo di marcia verso il laghetto del giardino. Che in realtà era una pozzanghera immensa che dopo ogni acquazzone si formava e stava lì per giorni.

Passò di gran carriera davanti al bagno delle ragazze, e qualche passo dopo si inchiodò e tornò indietro, appoggiandosi pensierosa allo stipite della porta.

Si chiese se per caso fosse davvero così pericoloso quel sodio che aveva preso. Se l’avesse lanciato nella pozzanghera dove stava Joyce sarebbe stato così letale?

Si morse il labbro. Aveva letto in un racconto di uno scherzo simile… ma più che altro vi erano effetti pirotecnici, e non c’entrava il sodio… era.. non si ricordava.

Strinse il contenitore tra le mani ed entrò nel gabinetto.

Prese un pezzo di carta igienica e svitò il tappo del contenitore in vetro. Iniziò a battere il dito sul vetro inclinando la boccetta per farne scendere un po’.

Guardò un po’ i granelli bianchi sulla carta igienica e richiuse la boccetta che rimise nella borsa. Uscì dal gabinetto lasciando la porta aperta in modo da poter vedere bene la tazza del water e si andò a mettere dietro al muro che separava i gabinetti dalla stanza dei lavandini.

Si morse il labbro e con un lancio deciso buttò la carta igienica che conteneva il sodio nella tazza e si nascose dietro al muro.

Ci fu un boato e Rachele rimase immobile atterrita appoggiata al muro freddo senza avere il coraggio di guardare cosa fosse successo. Le veniva quasi da piangere. Aveva quasi ammazzato Joyce.

Partì l’allarme antincendio e cominciò a piovere sul bagnato, l’acqua proveniente dalle tubature le era arrivata fino ai piedi.

Deglutì e si fece coraggio, si sporse a guardare oltre il muro, il bagno era sventrato e dove prima c’era un water a quel punto c’era un buco dal quale sgorgava acqua a fiotti e cocci bianchi in ogni dove.

Deglutì decidendo nel modo più lucido possibile di fuggire prima che qualcuno si rendesse conto che l’effetto molotov lo dovevano tutto alla sua smania nel fare il piccolo chimico.

Corse fuori sui pavimenti bagnati, verso il giardino, dove Joyce l’aspettava alla pozzanghera.

Le veniva da piangere e non era sicura che l’acqua che le bagnava la faccia fosse dovuta all’impianto antincendio o alle lacrime.

Joyce si vide arrivare incontro una Rachele blu e fradicia, in corsa frenetica.

“Rachele?” chiese lui perplesso vedendo che non accennava a rallentare. Non pensò nemmeno a scansarsi e quando Rachele gli arrivò addosso di prepotenza dandogli un bacio caddero entrambi nella pozzanghera.

Joyce si tirò un po’ su con il giubbotto e i pantaloni inzuppati, e una Rachele seduta addosso altrettanto zuppa, che non accennava ad aprire gli occhi e guardarlo o semplicemente a darsi una calmata e smetterla di baciarlo e toccargli la faccia.

Le appoggiò una mano sul petto e l’allontanò deciso ma senza strattoni.

“A cosa devo tutto questo casino?”chiese circospetto guardandola sottecchi.

“Ho rischiato di ammazzarti” disse lei col fiatone. Joyce annuì pensieroso.

“Poco male, non mi sono accorto di nulla…” commentò. Non ebbe tempo di dire altro perché Rachele gli riprese la faccia la tre mani e ricominciò a baciarlo.

Joyce decretò di non essere particolarmente interessato a impedirglielo.

Mei uscendo dalla scuola per via del violento acquazzone elettronico notò un po’ di movimento dentro la pozzanghera, ma non ebbe modo di indagare oltre perché vedendo uscire anche Nikka che imprecava perché le si stava sciogliendo il trucco, decise fosse meglio filarsela e si nascose in un cespuglio.

Si accucciò per terra tra le foglie e guardò tra i rami, prima di accorgersi di non essere solo.

“Emily!” esclamò “Stai cercando un marito ricco nascosta in un cespuglio?”chiese.

 “A cercare un marito ricco ci vado nel pomeriggio, al momento sto cercando pettegolezzi” spiegò lei sistemandosi la frangetta.

“E credi di trovarli stando qui?”

Mei alzò le sopracciglia e sbuffò rimettendosi a guardare oltre i rami, Emily riportò subito su di sé l’attenzione del ragazzo “Non permetto a uno finito qui per nascondersi da Nikka perché ha scambiato il suo patrigno per il suo fidanzato di non credere nelle mie doti investigative!”

“Come diamine lo sai?!” sbottò lui inarcando le sopracciglia scure e folte.

Emily alzò le spalle “Tu mi sottovaluti e allora… comunque dovresti ringraziarmi, non ho detto a Monica di questa cosa…”aggiunse senza guardarlo.

“Grazie” fece Mei sincero, voleva evitare che la cosa si sapesse in giro, era già abbastanza imbarazzante il fatto che fosse successo. E avere un’alleata come Emily non poteva che giovare.

“E… se vuoi che continui a non dirlo mi devi dare cinquanta euro” disse tranquilla allungando la mano aperta nella sua direzione.

“E’ un sordido ricatto!” sbraitò arrabbiato mettendo mano al portafoglio.

“No, è solo la dura legge del mercato” si scagionò Emily sibillina.

 

Il giorno dopo Mei era ancora intento a sfuggire a Nikka che invece gli telefonava e

andava a cercarlo in aula. Nel mentre la scuola sembrava invasa da una mandria di astronauti, che a un’attenta osservazione sarebbero risultati essere gli idraulici intenti a sistemare il bagno distrutto dalla bomba di sodio.

Comunque nonostante tutti gli sforzi di Mei arrivò il momento di andare a mensa e lì certo non avrebbe potuto evitarla. Rimase per qualche secondo indeciso sul da farsi.

Il piano era semplice: arraffare un po’ di pasta e una bistecca e poi fuggire non visto a gambe levate, in modo da restare il meno possibile in un luogo vasto come la mensa.

Avanzò qualche passo fino ad arrivare alla fila davanti al cuoco che distribuiva pugni di pasta prendendoli con le pinze.

Il cuoco muggì in direzione di Mei “Pomodoro o tonno?”

“Tonno, tonno” rispose lui sperando che si sbrigasse a mettergli la manciata di spaghetti al tonno nel piatto in modo da poter fuggire il prima possibile.

Passò avanti ed arraffò una bistecca, quando finalmente pensò di essere vicino alla salvezza e già stava per imboccare la porta e uscire si sentì afferrare per la camicia all’altezza del fianco. Si irrigidì girandosi lentamente.

Una ragazzina piccola e castana seguita da due coi capelli blu gli sorrise “Ciao Mei! Vieni a mangiare con noi?” domandò Sofia.

Mei rimase per qualche secondo a guardarla indeciso su cosa rispondere, poi sconnesso cominciò a indicare la porta dicendo “Guarda, io proprio dovrei andare e…

Ma Sofia lo strattonò un poco verso un tavolo ancora libero “Eddai Mei, non farti pregare, non vorrai mica andare da quella bisbetica di Nikka invece che stare con noi!” esclamò allegra trascinandoselo dietro.

Mei si sedette al tavolo di malavoglia.

“A dire il vero è proprio ciò che cercavo di evitare”disse lui.

“Oh, bene vedo che stai imparando!” esclamò lei allegra sedendosi davanti a lui.

“La mamma mi ha raccontato che hai fatto il tuo numero” sussurrò aspra Rachele sedendosi, non vista, accanto a lui.

Suo fratello si passò una mano sul viso “Ti prego non ricordarmelo!”disse disperatamente.

La ragazza blu alzò le spalle e prese una forchettata dei suoi spaghetti al pomodoro e olive.

Esattamente in quel momento Mei vide Nikka dall’altra parte della sala, e lo stesso fece lei. Si guardarono negli occhi per qualche secondo.

Nikka aprì la bocca come per dire qualche cosa. Mei fece una smorfia, sentendosi braccato.

Successe tutto troppo velocemente, forse solo Rachele alzando gli occhi riuscì a seguire i movimenti di tutti.

Nikka salì sulla sedia su cui stava seduta fino a un secondo prima.

Mei rubò un’oliva al piatto di sua sorella.

Nikka salì in piedi sul tavolo.

Mei lanciò l’oliva in faccia all’oca blu che gli stava accanto.

Nikka urlò al di sopra del frastuono generale “Mei!”

L’oca si voltò verso Mei accigliata e lui le indicò Millie dall’altra parte della sala “E’ stata lei!” disse a bassa voce.

L’oca accigliata si alzò in piedi e urlò “Maledetta baldracca!” il piatto dell’oca partì in direzione dell’ignara Millie che non si era accorta di nulla, ma deviò colpendo Isabella Gigli, che arrabbiata ricambiò cercando di lanciarle addosso la sua insalata, che però colpì in pieno volto Pallotti, che si vendicò spiaccicando in faccia al vicino la sua millefoglie. Non per un motivo. Solo per sfogare la rabbia.

Mei!” urlò di nuovo Nikka, mentre per la mensa volava cibo di tutti i generi.

Monica si beccò in faccia un piatto di spaghetti al tonno e distraendosi da Nikka iniziò anch’ella a partecipare alla rissa culinaria ignorando gli ultimi pettegolezzi.

Mei…smettila di evitarmi, perché pensavi che stessi con Cesar! Smettila di evitarmi perché sono stata una stronza e mi piacevi solo per i tuoi vestiti! Smettila di evitarmi perché ho cercato di farti fare da opera d’arte! Smettila di evitarmi perché tua sorella mi odia… perché ti sto rincorrendo io adesso… e ti assicuro che non l’ho mai fatto con nessuno. Non ho mai rincorso nessuno! Che cosa devo fare per farmi volere bene, Mei? Non è colpa mia se non posso fare a meno di notare che il top di Millie è orrendo, non è colpa mia se credo che sia giusto non mangiare , e non è colpa mia se non riesco a fare a meno di pensare che bisogna sempre far finta di essere perfetti.

Ma ti assicuro che mi piaci Mei. Mi piaci perché sei carino, e saresti carino anche con un sacco della spazzatura addosso, e sei intelligente, anche se non vai in giro a far sentire gli altri degli idioti, mi piace perché fai le cose con il cuore, mi piace perché quando parli di solito lo fai a sproposito  e perché sei sempre e comunque un pesce fuor d’acqua.

Ti ho trascinato in questo casino perché mi piaci, ti ho fatto baciare Alsazia perché mi piaci, ti ho fatto provare il frac perché mi piaci, ti ho fatto fare il bagno nei ghiaccioli perché mi piaci,mi sono mangiata un’intera torta sacher perché mi piaci, ho fatto amicizia con Cesar perché mi piaci, sto urlando come una pazza perché mi piaci…”  scese dal tavolo e gli andò incontro. Mei si era alzato ma era rimasto fermo immobile accanto alla sua sedia.

Nikka gli arrivò davanti e lo guardò negli occhi “Lo so che sono paranoica… ma è perché mi piaci Mei

Lei gli prese le mani e le strinse, Mei respirò guardandola fisso negli occhi con le labbra leggermente aperte senza sapere cosa fare.

“Non so cosa dire…”sussurrò infine.

“Dire non so, ma per alleviare un po’ l’umiliazione di avere urlato che mi piaci ai quattro venti potresti piegare un po’ le ginocchia e baciarmi” consigliò perentoria.

“Oh sì” disse lui come se non gli fosse neanche venuto in mente di fare una cosa simile fino a che Nikka non glielo aveva consigliato.

Rachele sospirò e prese in mano una delle poche millefoglie sopravvissute al massacro e se ne andò pensando che se fosse rimasta lì ancora qualche secondo con tutto quell’irsuto romanticismo le sarebbe venuto il diabete.

Subito dopo il suo abbandono della sala, Mei e Nikka vennero colpiti da una torta.

Lei si allontanò da lui per iniziare a imprecare contro chi le aveva rovinato il vestito.

“Me la paghi tu la lavanderia!!Mei la teneva per mano e ridacchiava tutto sporco di panna.

Sua sorella intanto se ne andava via per il corridoio desolato mangiando la millefoglie, mentre dalla mensa venivano urli e grida di guerra.

Le suole degli stivali battevano facendo un rumore ritmico sul pavimento.

Si fermò un secondo e notò che i passi continuavano e si facevano più veloci. Non fece in tempo a girarsi che un urlo le riempì le orecchie “La millefoglie è mia stronza blu!”

“Col cavolo, stupido impellicciato!” urlò lei di rimando. E come al solito finì con calci sugli stinchi, morsi ai gomiti e panna ovunque.

 

 

 

E così fortunatamente, o sfortunatamente dal mio punto di vista, Mei e Nikka riuscirono bene o male a mettersi insieme. Una coppia che lasciava un po’ perplessi, ma  dopo un po’ si faceva anche l’abitudine a vedere lui parlare di microcosmi e follie matematiche, e lei illustrare tutte le varie tonalità degli ombretti satinati che aveva comprato quel giorno.

Monica si mangiò le mani per mesi per non essere riuscita ad ascoltare la proverbiale dichiarazione che Nikka aveva fatto a Mei.

Mio fratello passò la maturità col massimo dei voti, come era ovvio, e andò a iscriversi immediatamente alla facoltà di matematica. Nikka se la cavò con un discreto settantacinque e Joyce con un rubatissimo ottantadue.

C’è chi sospetta che sia andato a letto con la presidentessa della commissione.

Io invece venni malamente bocciata con un cinque in condotta, non capii mai come avevano fatto a capire che ero stata io a far esplodere il bagno…

E tra me e Joyce? Come potrebbe andare tra me è Joyce? Andiamo a caccia di opossum.  Cosa posso farci. Lui è un idiota impellicciato!

 

Fine

 

 

 

 

E così siamo arrivati alla fine…O.O… questa storia mi ha accompagnato per così tanto tempo che mi sembra strano.

Spero che la fine vi sia piaciuta. So che magari molti si aspettavano una fine diversa per Joyce e Rachele, ma secondo me doveva finire così, insomma, ce li vedete questi due che si sbaciucchiano e vanno al cinema per mano? Credo che morirebbero nell’impresa. Cioè, Rachele morirebbe, Joyce ce la farebbe benissimo, lui è abbastanza sano di mente anche se non sembra XD

 

Comunque devo ringraziare tutti per l’incredibile sostegno che mi avete dato durante più di un anno! Grazie davvero di cuore senza di voi non sarei arrivata in fondo, grazie a chi ma messo la storia tra i preferiti e chi tra le seguite. Ma soprattutto grazie a chi ha commentato!

Nello specifico:

DarkViolet92: Oh beh di solito sì, ma Rachele ha uno strano rapporto con il prossimo! Spero davvero che questo ultimo capitolo ti sia piaciuto!!^.^

The Corpse Bride: Rachele cambia idea molto velocemente, e Joyce è molto convincente, quindi ha fatto presto a farsi perdonare… anche se non ho descritto la scena XD spero davvero che questo capitolo non abbia rovinato le tue aspettative! ^.^ grazie mille davvero per il tuo sostegno, non sai quanto mi fanno piacere i tuoi commenti!

The Duck: e così siamo giunti al termine,non odiarmi per Joyce e Rachele , ma a parere mio più insieme di così non ce la possono fare! Comunque no, Nikka non si era dichiarata, Mei era contento perché era convinto di essere arrivato alla giusta conclusione, cioè che Nikka fosse perfetta come sua migliore amica. Deduzione errata ovviamente…^.^

Pazzascatenata89: sono felice che il capitolo scorso ti sia piaciuto, spero che ti sia piaciuto anche questo! e beh, sì Nikka è una stronza complessata, quindi nonostante all’inizio la odiassero tutti alla fine si fa voler bene. ^.^

 

 

Avevo in mente un sacco di cose da scrivere in fondo a questo capitolo, ma me le sono scordate tutte…l’unica che mi ricordo è che alla fine Marianna e Cesar si sposano anche se non ho fatto in tempo a scriverlo. Come? Non ve ne fregava niente di loro? Vabbè, io ve lo dico lo stesso!!!

Beh allora dato che non mi ricordo più come volevo dire mi rimane solo da ringraziarvi ancora di cuore!^.^

 

Aki_Penn

   
 
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