Anelava
all’intenso profumo dei fiori di maggio;dolce e
smielato nettare giovanile,allorché avesse posseduto un plausibile ricordo
dell’esordio primordiale di quei soli trent’anni. E le delicate
calle sfumate di viola,intrise di rugiada mai
aspirata,rasentavano il turbinio della lunga chioma,adagiata
nell’oscurità dell’ambiente chiuso,e indecifrabile,supportate dalla
fantasia perduta che la continua inconsapevolezza di sé comportava. Lacero di
suoni,soffuso di poliedrici interessi mai
svelati,incuranti di poter definire la poeticità del consenso di se stesso,un
impegno talmente spronato da risultare banale,monotono tragitto della
schematica costruzione. Epoca di orologi poco perfezionati,il
tempo impossibile da scandire,oramai insufficiente,non turbava con eccesiva
prepotenza l’anima di un progetto,il sadico divertimento di una
pianificazione improvvisa,e durata lunghi anni. Mentre i pavimenti di marmo
scadente echeggiavano di passi,l’oscuro anfratto
non baluginava di lacrime,e un’insana fierezza forse tendeva a
diffondersi,per la convinzione dell’ardire del gesto. Una strada
cesellata da ciottoli ordinati era il continuo percorso delle notti,mentre le mattinate si susseguivano tra poesie di passione
e annoiate contrattazioni di vendite,agli occhi degli ignari acquirenti la
frustrazioni di colui che aspirava molto di più e che neppure la discreta
ricchezza appariva del tutto soddisfare. Un gioco insulso,e
perfettamente pianificato,solo al principio mirabolante e adrenalinico: quel
terriccio bagnato dall’umidità notturna infangava ancora il tetro
laboratorio in cui l’oro si plasmava,gli eccessivi ornamenti femminili
acquisivano la vita dallo stesso esame di morte. E lunga barba,cappotto scuro,di tela marrone,doppiopetto perfettamente
sistemato non di certo contribuirono più a rendere placida l’immagine,la
personificazione della tranquillità annoiata e apatica delle rare bevute di
liquore in compagnia dei pochi amici. Improvvisa agitazione,e
sparizione misteriosa,lungo quella strada immeritevole di turbe,consumata da
passi di rimorso e folle elucubrazione. Il femore talmente ammirato,la sadica risata sommessa alla laminazione
dell’argento,ossa polverizzate che triturare rendeva ancor più appagato
l’animo,immerso nella sua insana e duplice psicologia. Un iniziale scopo
non più perseguito,e la necessità di
operare,violentare,dissacrare,nello stesso momento in cui abili chirurghi
operavano con i loro sterili ferri e ponevano fine alle sofferenze dei
pazienti. La figura umana attirava più del dovuto; una donna esile ma dal seno
prosperoso ridotto a brandelli di pelle giaceva,fiera
ed insanguinata,stracciata in quegli abiti mortuari che precedentemente si
erano asciugati delle lacrime e delle infezioni pestilenziali;amorevoli cure,e
l’improvviso strazio,verosimile alla morte di prostitute
nell’antica Londra. Denti candidi,labbra
delicata,ispide sopracciglia,tutto stranamente importante in un processo di
fabbricazione intriso nel processo di fabbricazione di quella vita,preziosi
gioielli di mogli,dame,amanti,derivazione da quella violenza depravata e
piacevolmente sensuale. Ma l’uomo di rappresentanza,primo
cittadino,abile oratore,non suscita interesse nella visuale altrui. Non
affascinante,non perfetto,dalla cura metodica e
necessaria per l’impronta comunale,la sicurezza delle parole celata da
dentatura irregolare,arti solidi e forti intervallati solo dalla protuberanza
di anemoni di grasso,sinonimo di stabilità e floridezza lunga anni. Quel sangue
oscuro sulla scalinata nella notte,improvvisa scoperta
all’echeggiare della cinica risata,all’orribile spettacolo del
riprovevole cadavere disossato,provato da fisiche violenze,nel perverso
ragionamento di affinità omosessuale,ossessione funerea e morente,aldilà
superiore all’interesse suscitato dalle delicate fanciulle della strada,dalle
desiderose monache di Chiesa,dalle prorompenti e lascive padrone di bettole
diffamate o meno. E quelle mogli,appannati i vetri
delle abitazioni,nessuna paura dovevan celare per se stesse,forse perché
decisamente belle,impellenti di giudizio straniero,da valorizzare sul
piedistallo del matrimonio come trofeo abbigliato di ornamenti. Può da un
chirurgo crescere l’orefice? O,viceversa,scindersi
in duplice personalità,perché un sogno giovanile rincorso desiste e muore nella
vanificazione dell’importanza di quanto esso importante appariva?Il male
annidato ingiustificabile,la volontà dell’orrido e della spiccata
conoscenza a prevalere su quella ragione realmente mai malata,solo indebolita
dalla ricerca dell’insana voglia,inappagabile. La carne ruggiva,il sangue bollente al fondersi con la femminilità privata
della vittima costituiva quel gioiello costosissimo,pesante di fatica e
ineccepibile studio della perfezione. Uomo disonesto lettore per fuggire,ribelle nell’epoca in cui tutto era eppur certo e
sicuro,lontano secoli dallo Stilnovo Dantesco o dagli studi di Leonardo.
Condanna per depravazione,figlio di un luminare della
medicina; e la cella permane nell’oscurità,la sadica risata si diffonde
sul turpiloquio dei padri pellegrini,delle vedove sgomente,alla curiosità dei
giovani becchini e degli scolari divertiti,alla tacita disapprovazione degli
uomini dell’arma bussa,e avvolge. Amore,attendimi,corpo,sarà
mio,e lo distruggerò sino a strapparne le carni già ferite,a tal punto che non
una lacrima sanguinolenta potrà più defluire,e i miei capolavori brilleranno
nella notte,attirando quelle donne che offriranno un contributo,e
risplenderanno loro stessi come esempi di accurata oreficeria. Il cappio era,però,la vera morte,ma la follia cullava persino
l’ultimo atto dell’abile spettacolo,penosa illusione di un
fuggiasco privilegiato.