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Autore: mamma Kellina    03/02/2010    11 recensioni
Primi anni del Novecento. Miniere della Sardegna sud occidentale. Il giovane ingegnere gallese Robert Forrest, vedovo con un figlio piccolo, e la sfortunata ma indomita Barbara decidono di sposarsi pur senza amarsi. Ma il loro non sarà un patto facile da mantenere perché in fondo è l’amore che vogliono, come tutti gli esseri umani. Il cammino in comune sarà difficile e forse non riusciranno a trovare ciò che cercano, ma di sicuro impareranno a riconoscere le cose che contano davvero nel rapporto tra un uomo e una donna.
Si tratta di un vero e proprio romanzo, molto intenso e drammatico. Il genere è piuttosto classico, alla Jane Austen per intenderci, ed anche se non ho la presunzione di paragonarmi ad una tale Autrice, ho cercato di dare un certo spessore psicologico ai miei protagonisti. Ho provato anche a rendere con efficacia l’epoca ed i luoghi con un accurato lavoro di ricerca. Spero di esserci riuscita. Le località minerarie sarde e la loro storia sono del tutto autentiche. Non così le vicende ed i personaggi di cui narro che sono frutto invece solo della mia fantasia e pertanto non si riferiscono, se non in maniera casuale, a persone realmente esistite e a fatti davvero accaduti.
Vi va di accompagnarmi in questo viaggio?
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 32

 

Potevano essere circa le sei del pomeriggio quando Robert vide entrare Barbara nella stanza. Aveva indosso la camicia da notte e la vestaglia, i bei capelli sciolti le ricadevano come un manto ad incorniciarle il viso pallidissimo dove spiccavano gli occhi arrossati dal pianto.

Si avvicinò alla culla e guardò la bambina ancora immersa in un sonno così profondo da sembrare quasi un letargo. Sotto lo sguardo preoccupato del marito, la prese in braccio e andò a sedersi su una poltrona. Scoprendosi il seno, provò a farla attaccare, ma inutilmente. La piccina neanche si riscosse un po’ al contatto delle labbra con il capezzolo. Nel silenzio rotto solo dal ticchettio dell’orologio a pendolo, rimasero entrambi muti fino a quando la donna, vista l’inutilità di ogni tentativo, con un sospiro si ricoprì e posò di nuovo delicatamente la figlia nella culla, rimboccandole la copertina con un gesto di enorme amore.

- Dov’è Charles? – chiese al marito.

- Ho dato il pomeriggio libero a quella povera piccina di Nunzia e  lei lo ha voluto portare con sé. Andavano in casa di amici di Luigi. Sono delle brave persone, anch’io li conosco e poi hanno dei bambini della sua età. Ho pensato che un po’ di distrazione non avrebbe fatto male a nessuno dei due. Ho sbagliato?

- No, hai fatto benissimo. L’ha coperto bene? Fa freddo ed è già buio.

- Sì, gli ha messo la mantellina pesante.

- E il cappellino di lana? È importante, sai, Charles sta mettendo gli ultimi molari ed un colpo di freddo in questi casi non è l’ideale.

Aveva parlato con una voce molto triste e strana, come se quelle parole non venissero davvero da lei, ma da un’estranea la quale fingeva che tutto fosse normale. Robert ne ebbe una gran pena.

- Mi pare di sì. Sta’ tranquilla e torna un po’ a riposare – le sussurrò. Si sentiva struggere dalla tenerezza ed avrebbe voluto abbracciarla forte per consolarla. Ma anche così non avrebbe potuto rassicurarla e si trattenne.

Barbara si allontanò, ma verso mezzanotte tornò di nuovo nella stanza. Vide il marito che aveva la figlioletta in braccio e quasi lanciò un grido.

- Robert, cosa è successo!

- Nulla, nulla, stai tranquilla, l’ho presa un po’ in braccio perché in questo modo mi sembrava di tenerla più calda.

In effetti la minuscola neonata tra le sue braccia forti sembrava davvero protetta ed al calduccio. Lui aveva un’espressione così dolce e buona sul viso mentre la stringeva con una tenerezza smisurata che Barbara si sentì stravolgere dall’emozione.

Non riuscì più a controllarsi.

- Dovrei essere io a riscaldarla, non tu! – proruppe - Ma forse è meglio che sia tu a farlo, io sono stata buona solo a detestarla in tutti questi mesi, a sentirla come una cosa estranea che mi cresceva dentro, a desiderare che non ci fosse … - dovette interrompersi tanto era  scossa dai singhiozzi ma poi mormorò, ancora tra le lacrime – È colpa mia. Non sono stata una brava madre  e me ne rendo conto solo adesso che la sto perdendo!

Il giovane posò la bimba nella culla e le si avvicinò, questa volta prendendola tra le braccia.

- Smettila, smettila. Non è vero! – le disse carezzandole i capelli mentre lei si era abbandonata a piangere con il viso posato sulla sua spalla.

- Sì, è vero, tu neanche l’immagini quanto l’ho odiata, ma io non la conoscevo ancora… ora vorrei…

-  Non è colpa tua, semmai la colpa è mia che ti ho messo in questa situazione e non avrei dovuto farlo. Era me che odiavi, ed a ragione anche, non lei.

Barbara lo guardò. I suoi begli  occhi ora erano gonfi e sciupati dalle troppe lacrime.

- Non dovevo farlo comunque - gli disse -  la mia creatura era innocente e non c’entrava affatto con i nostri errori.

- È proprio perché è innocente che il suo destino non dipende da noi e dalle nostre colpe.

La giovane stava per replicare qualcosa, ma la porta di comunicazione con la stanza di Charles si aprì e questi apparve sulla soglia. Le loro voci l’avevano svegliato e già da troppi giorni con tutta quella strana confusione in casa, il povero bimbo, sensibile com’era, si era sentito sbandato e triste. Ora con i piedini nudi e solo con la camicina da notte addosso, piangeva silenziosamente e guardava i genitori con le labbra tremanti come ad implorare la loro protezione ed il loro conforto.

Barbara si precipitò da lui e lo prese in braccio. Solo allora il piccolo scoppiò in un pianto dirotto.

- Che c’è, amore, perché fai cosi? – gli chiese stringendogli forte il capo e baciandogli la guancia bagnata di lacrime.

- Ha paura, cara, e solo tu puoi calmarlo. Mettilo nel letto accanto a te e fagli mettere le manine tra i tuoi capelli. Vedrai che si addormenterà tranquillo e perlomeno lui sarà sereno stanotte – le disse il marito con un sorriso triste e dolcissimo.

- Ma io non posso, io devo stare con Neve.

- Ci sarò io, la veglierò tutta la notte e continuerò a darle la medicina. Vai cara, cerca di dormire un po’ anche tu, sei ancora così debole!

- Non posso lasciarti solo, non stanotte, non con la mia bambina che potrebbe…

- Ti chiamerò se ci saranno novità e poi …è mia figlia, nessuno più di me potrà vegliarla con amore. Va’ a riposare, sei distrutta e Charles ha bisogno di te.

Alla fine lei acconsentì, un po’ per il bambino che le si stringeva contro tutto tremante, un po’ perché l’angoscia dell’attesa l’avrebbe uccisa e si ritirò in camera sua.

Come aveva previsto Robert, dopo un po’ il bimbo si addormentò. Barbara lo tenne stretto, traendo conforto da quel corpicino di cui percepiva il tepore. Il pensiero però correva sempre nell’altra stanza, al padre e alla figlia che lottavano insieme contro la morte. Si pentiva di aver ritenuto che un figlio appartenesse solo alla madre, ora certamente non avrebbe più potuto crederlo. A tratti un sonno agitato la travolgeva ed i sogni con esso. A volte erano incubi, a volte invece vedeva la bambina star bene, muoversi, strillare. Si sentiva piena di gioia, ma poi la consapevolezza che si trattava solo di un sogno la faceva svegliare bruscamente riportandola alla realtà.       
Durante quella notte terribile, più volte si alzò dal letto e, silenziosa, si avvicinò all’ uscio da sotto il quale filtrava la luce. Accostato l’orecchio per percepire i suoni nell’altra stanza, udiva però solo un silenzio innaturale che le toglieva ogni speranza. Allora se ne tornava a letto, incapace di trovare il coraggio di scoprire che tutto era già finito.     
Riuscì a resistere solo fino alle prime luci dell’alba. Stava male, aveva la testa che le scoppiava ed il cuore che batteva all’impazzata, ma non poteva più sottrarsi, doveva sapere. Robert le aveva sì promesso di venirla a chiamare se fosse successo qualcosa, ma forse non aveva avuto l’animo di farlo. Era venuto il momento di affrontare la pena.
Così come aveva fatto oramai tante volte dalla sera precedente, si avvicinò alla porta ma questa volta fu colpita dal suono della voce di lui che stava pronunciando versetti scherzosi, di quelli usati con i bambini piccoli per farli giocare. In preda ad un'ansia senza fine spalancò l’ uscio  e l’uomo, sobbalzando, sollevò a guardarla gli occhi cerchiati dalla stanchezza, ma pieni di felicità. Teneva in mano un piedino di Neve sbucato fuori dalle fasce disfatte e stava giocando con lei che aveva aperto gli occhietti ed un po’ si lamentava. Ad un tratto il lamento si trasformò in un vero pianto di protesta.

- Meno male, ti sei decisa a venire! – scherzò allora con un tono allegro che sottolineò ancora di più la gioia  sul suo volto – Credo che abbia fame. A farla mangiare però, mi dispiace, ma  devi provvedere tu.

Senza farselo dire ancora, Barbara si precipitò a prendere la bambina  in braccio e le offrì il seno. La neonata si attaccò subito e cominciò a succhiare, se non proprio avidamente, almeno con una certa lena. Intanto Robert aveva accostato la sedia alla poltrona della moglie e carezzandole le guance con tenerezza, cominciò ad asciugarle le lacrime perché lei non poteva farlo, occupata com’era a tenere la bimba.

- Vedrai, starà bene la nostra piccola – le sussurrò dolcemente - E forse anche noi potremo essere felici.
Lei lo osservò. Gli occhi chiari nella penombra della stanza gli brillavano di commozione e le mani che la carezzavano avevano un tepore confortante. Barbara non sapeva se davvero sarebbero stati felici in futuro. Di una cosa era certa,  però: anche se quell’uomo non era davvero il suo sposo, di sicuro sarebbe stato il compagno fidato con cui affrontare le prove della vita.

E all’improvviso non si sentì più sola.


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Ed ecco finita la prima parte di questa storia. Presumo che abbiate consumato intere scatole di Kleenex (a proposito, devo sempre proporre a quest’ultima di sponsorizzarmi) ma che tutto sommato l’abbiate gradita. Come avete visto, alla fine non solo Neve si è salvata ma anche sui suoi genitori è calata una luce di speranza e di gioia. Ho notato che qualcuna di voi ha parteggiato per Robert, altre per Barbara e ciò mi fa piacere perché io non volevo creare “eroi” o “eroine” ma personaggi veri nella loro umanità, di quelli che talvolta ti fanno venire la voglia di prenderli a schiaffi perché sono cocciuti e pieni di difetti. I vostri commenti mi hanno detto che ci sono riuscita.

Ringrazio tutte coloro che mi hanno recensita, in particolar modo la banda delle “fedelissime” a cui va tutta la mia immensa gratitudine e le persone che hanno messo questo romanzo tra i seguiti o i preferiti perché anche fare ciò è un tacito segno di apprezzamento. Ma come non  ringraziare ugualmente poi tutte quelle che hanno avuto il coraggio di sorbirsela tutta pur senza esprimere nessuna opinione? Non nego però che mi avrebbe fatto piacere conoscere un parere, anche sintetico,  di ognuna delle mie lettrici e questo non per la pretensione di ricevere molte recensioni ma solo  per sapere se sono riuscita nel mio intento di emozionarvi, intrigarvi, divertirvi.

Dopo una breve pausa, comincerò a postare anche la seconda parte di questo mio “romanzo” che, ve lo prometto, sarà meno drammatica e più varia nell’intreccio. Che aggiungere? Spero di avervi fatto venire la voglia di continuare a leggere di Barbara e di Robert, non solo per vedere come andrà a finire il loro amore ma anche per continuare a vivere insieme ad essi le romantiche atmosfere di un’epoca ormai lontana e di luoghi magici quali dovevano essere  le miniere della Sardegna. Ma questo potrete dirmelo solo voi.

   
 
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