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Autore: beat    23/02/2010    7 recensioni
Aveva sempre considerato fiori e affini come cose inutili. Per lui, che era cresciuto in mezzo al ghiaccio, tutto quello che era debole e inadatto a sopportare il freddo era qualche cosa che non valeva nemmeno la pena di considerare. Gli sembrava profondamente sciocco che un fiore sbocciasse se non era in grado di sopravvivere all'inverno.
Non aveva mai pensato però che ci potessero essere dei fiori come quelli, fiori capaci di uccidere un uomo.

L'infanzia di Aphrodite come non l'avete mai vista.
[Dedicata ad ayay]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Pisces Aphrodite
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Red Roses'
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa fiction non è stata scritta a scopo di lucro.

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Titolo
: Red Roses Resistance
Personaggio: Pisces Aphrodite
Personaggi random: Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Aiolos Sagitter, Aries Shion, Maestro OC di 'Phro
Genere: Generale, Introspettivo
Avvertimenti: One-shot
Controindicazioni: Gold Saint bambini.
Altro: Questa fiction è un esperimento. Rivalutazione completa di un personaggio che non ho mai apprezzato.
Ulteriori commenti e precisazioni li troverete a fine storia.
Dedica
ayay
. E' colpa sua e delle meravigliose fic che scrive.
Ed è anche colpa di LeFleurDuMal
e del suo toto-Aphrodite. A me 'Phro prima manco piaceva! éOè

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Red Roses Resistance



La prima volta che aveva messo piede in terra greca era stato per la sua investitura a Cavaliere d'Oro dei Pesci.
Era un bambino, otto anni appena compiuti, uno scricciolo con le mani rosse per il freddo e i corti capelli pallidi arruffati dai gelidi venti del nord. A fianco del suo Maestro salì tutte le scale.
Mano a mano che procedevano, il paesaggio sotto di lui era sempre più meraviglioso: per lui, abituato solo a neve, iceberg e ghiaccio, vedere tutta quella vita era qualche cosa di assolutamente straordinario.
Gemette appena, quando il sorriso che gli era affiorato spontaneo non gli allargò ancora di più i tagli netti che aveva sulle labbra.
Il suo Maestro si era voltato un attimo nel sentirlo lamentarsi. Ma non sprecò parole con lui – non l'aveva mai fatto – si limitò solo a squadrarlo con cipiglio severo.
Il piccolo si passò silenziosamente la lingua sulle ferite.
I due continuarono a salire le scale per quelle che al piccolo sembrarono delle ore. Infiniti scalini si stagliavano ancora di fronte a lui. Non che fosse stanco, ma stavano cominciando a venirgli a noia.

“Lennart” la voce dell'uomo al suo fianco lo riscosse dai pensieri in cui si era immerso.
“Maestro”.
Erano arrivati sulla soglia della Dodicesima Casa. Quella che da quel giorno sarebbe stata la sua nuova dimora.
“Vedi di non fallire”.
Il piccolo annuì appena.
Ermetico fino all'ultimo, il suo maestro non si sprecò in parole superflue. Aveva seguito il suo addestramento per due anni, ma le sole volte in cui avevano parlato era stato quando aveva dovuto insegnargli la lingua greca. O per dargli ordini secchi e precisi riguardo allenamenti massacranti. Per il resto non parlava mai. Compariva solo quando Lennart doveva allenarsi, e svaniva subito dopo aver concluso il suo dovere. Una figura sfuggente, tuttavia implacabile.
Di certo Lennart non ne avrebbe sentito la mancanza.

Attraversarono anche la casa dei Pesci, e l'ultima scalinata prima del Tredicesimo tempio.
Infine, con passi lievi e veloci, entrarono. Il Sacerdote si era alzato ad accogliere gli ospiti. Lennart si era fatto avanti senza timore. Era solo vagamente curioso dal fatto di vedere tante persona tutte assieme: oltre la figura imponente del Sacerdote e di alcune guardie dietro di lui, c'erano anche due bambini più o meno della sua età, e due ragazzi decisamente più grandi. Tutti i quattro vestivano le armature d'Oro.
Li guardò di sfuggita, prima di calamitare la propria attenzione sull'uomo ammantato di fronte a lui.
Parlò a lungo, quell'uomo, un fiume di parole che sembrava non avere mai fine. Lennart cercò di prestare attenzione, ma il discorso era davvero troppo lungo e difficile per lui, che conosceva solo un greco stentato, ed era inoltre abituato ai lunghi silenzi dell'inverno artico.
Non capiva il perché fossero necessarie tutte quella parole, ma non disse nulla. Si limitò a rimanere immobile, un ginocchio a terra in segno di rispetto, mentre giurava fedeltà ad Athena. Poi ci fu la luce, quella luce abbagliante che lo circondò di calore e potere.



*°*°*°*°*°*


Lennart fissò il giardino di fronte a lui.
Era una distesa infinita di rose.
Rose.
Fiori.
Quelle piccole cosine delicate che l'inverno stronca senza pietà.

“Che cosa dovrei fare esattamente, io?”

Voleva avere la conferma.
Aiolos, cavaliere del Sagittario, sorrise benevolo e si premurò di ripetere di nuovo quello che gli aveva appena spiegato.
Lennart ascoltò con cura e, alla fine del discorso, si rese conto che non c'erano stati fraintendimenti nemmeno la prima volta.

“Io dovrei prendermi cura... di questi fiori?!”

Aveva cercato di usare un tono pacato, vista la persona cui si stava rivolgendo, ma non era riuscito a mascherare il disappunto che la richiesta gli aveva provocato.
In tutta la sua vita non aveva mai, mai avuto a che fare con dei fiori. Erano la cosa più inutile al mondo, deboli e privi di qualsivoglia utilità.

“Perché?” chiese fuori dai denti. Era il suo primo incarico ufficiale e già non gli piaceva. Non gli piaceva nulla di quel posto in verità.

Troppo caldo, troppo sole e troppa gente.
E fiori.
Bah!

“Devi sapere, Lennart, che le rose del Dodicesimo tempio sono qui sin dai tempi del mito, e non sono dei fiori normali. Sono molto velenosi, e servono per proteggere il Sacerdote e la Dea.”
“Non dovremmo farlo noi cavalieri, questo?”

Aiolos rise e scompigliò affettuosamente i capelli al bambino.
Cosa che Lennart non gradì molto, ma evitò di farlo notare.
Sagitter pareva essere una persona molto aperta e disponibile, ma aveva imparato che non era il caso di svegliare l'orso che dorme.

“Chi tenta di invadere il tempio della dea Athena deve vedersela con i suoi Cavalieri. Però, nel malaugurato caso in cui nemmeno noi siamo in grado di contrastare i nemici, c'è sempre il giardino di rose come ultima difesa. In tutti questi secoli non ha mai lasciato scampo a nessuno.”
“Nessuno?” gli occhi del piccolo Lennart si erano sgranati.
“Nessuno.” confermo Aiolos con un altro sorriso. “I nemici sono ingannati dal loro aspetto innocuo e inevitabilmente ne vengono sopraffatti.”

Lennart aprì la bocca per ribattere, ma non trovò nulla da dire.
Serrò le labbra e si accucciò, fissando meditabondo la rosa più vicina a lui.
La sua conoscenza dei colori era piuttosto limitata – bianco, blu, nero e di nuovo bianco – ma quello, il rosso vivo, lo conosceva. Era come il colore scarlatto del sangue.
Lennart allungò una mano per sentire com'era la rosa al tatto, ma Aiolos fu più svelto e gli afferrò il polso prima che anche solo sfiorasse il fiore.

“Attento! Sono velenose!” gli ricordò, con veemenza quasi.

Lennart lo fissò corrucciato.
Come faceva a prendersi cura di quelle rose se non poteva nemmeno toccarle?
Aiolos sembrò leggerli in faccia la domanda inespressa.

“Prima di tutto, devi imparare a resistere al veleno” sentenziò.

Pisces si limitò ad uno sguardo neutro.
Non gli aveva dato nessun consiglio utile.
Anzi, non gli aveva dato proprio nessun consiglio.
Ma non se ne lamentò troppo. In fondo era stato cresciuto dal suo Maestro, il tipo d'uomo che per insegnargli a nuotare lo aveva buttato senza troppe cerimonie nel mare gelido.
Aiolos lo lasciò al suo problema.

Lennart rimase accucciato a fissare le rose per molto tempo.
Aveva sempre considerato fiori e affini come cose inutili. Per lui, che era cresciuto in mezzo al ghiaccio, tutto quello che era debole e inadatto a sopportare il freddo era qualche cosa che non valeva nemmeno la pena di considerare. Gli sembrava profondamente sciocco che un fiore sbocciasse se non era in grado di sopravvivere all'inverno.
Non aveva mai pensato però che ci potessero essere dei fiori come quelli, fiori capaci di uccidere un uomo.
D'improvviso sentì nascere uno strano e sottile interesse per quegli intricati arbusti dal colore così vivido. Aiolos aveva detto che per prima cosa doveva imparare a resistere al veleno.
Resistere.
Lennart sorrise.
Era la cosa che gli riusciva meglio.


*°*°*°*°*


Tre giorni dopo Lennart si svegliò con un mal di testa epico. Però riuscì ad aprire gli occhi e mettersi seduto.
Aiolos si era dimenticato di dirgli che bastava anche solo annusare le rose perché il veleno cominciasse ad avere effetto. Aveva passato due giorni terribili, semiparalizzato e con tutti gli altri sensi offuscati.
Lentamente il ragazzino si alzò da terra, spolverandosi meccanicamente la tunica macchiata di terra. Era riuscito a strisciare lontano da quel giardino malefico, ma non aveva avuto la forza di rialzarsi se non in quel momento. Non avrebbe mai pensato di poter essere messo fuori combattimento solo con un po' di profumo. Quei fiori erano davvero terribili.
Ma erano una sfida che lo solleticava parecchio. Era riuscito a sopravvivere al freddo perenne, ma quei boccioli erano qualche cosa che non aveva mai affrontato.
Erano... intriganti.
Moriva dalla voglia di provare quella nuova sfida.
Se solo fosse stato in grado di resistere al loro veleno.
Il bimbo non ebbe il tempo di mettere su il broncio che una voce sconosciuta richiamò la sua attenzione.

“Ehiii! Sei in casa?!”

Lennart barcollò fino all'ingresso.
Sulla soglia c'erano i due coetanei che avevano presenziato alla sua investitura.

“Ah, ma allora ci sei. Sono due giorni che non ti fai vedere! Pensavamo che fossi scappato!”

Lennart fissò gli occhi rossi del bambino di fronte a lui. Era inquietante, con quello sguardo scarlatto – come le sue rose – e i capelli grigi nonostante la sua tenera età.

“Che vuoi?” domandò secco, incrociando le braccia al petto e poggiandosi ad una colonna. Sentiva che le gambe erano ancora un po' instabili.
“Ehi, quanto ospitalità! E io che volevo fare la tua conoscenza.”

Lennart lo fissò imbronciato.
Non sapeva bene come comportarsi in quella situazione. Non aveva mai dovuto fare la conoscenza di nessuno. L'unica persona con cui aveva mai avuto un qualche rapporto – esclusa sua madre di cui aveva solo un vago ricordo – era stato il suo Maestro. Non il massimo dell'espansività.
Poi erano arrivati il Sacerdote, Aiolos e Saga. Ma loro erano di un'altra categoria. Non gli era nemmeno passato in testa di poterli avvicinare.
Per cui se ne rimase zitto, continuando a fissare il ragazzino di fronte a lui.
Il quale lo fissava di rimando, anche lui senza parlare, ma sempre più impaziente per quella situazione di stallo.
L'altro bambino nel frattempo si limitava ad osservarli entrambi, silenziosamente divertito dalla situazione.
Alla fine il ragazzino inquietante perse la pazienza e allungò una mano verso il nuovo arrivato.

“DeathMask, Cavaliere del Cancro. E lui è Shura, Cavaliere del Capricorno.”
Lennart fissò la mano tesa di Cancer. Poi lentamente alzò gli occhi su di lui.
“DeathMask?!” chiese, perplesso.
“Figo, vero?!” chiese, visibilmente compiaciuto per l'effetto che aveva fatto.
“Ti chiami davvero Maschera di Morte?”
“Veramente...” Shura si intromise, anticipando l'amico “... si chiama Angelo. DeathMask è un soprannome.”

Lennart non fece in tempo a recepire l'informazione che DeathMask cominciò a strepitare all'indirizzo di Shura, starnazzando in quella che doveva essere la sua lingua madre.
Pisces non capì pressoché nulla di quello che Cancer stava urlando, ma dal tono di voce era indubbiamente arrabbiato.
Ma non doveva essere nulla di così serio, visto che Shura non aveva fatto una piega: anzi, se la stava ridendo sotto i baffi.

“Mi è solo sembrato educato fargli sapere il tuo vero nome.” disse dopo un po', ritornando a parlare greco, per far rientrare anche Lennart nella conversazione.
“Nessuno te l'ha chiesto! Lo sai che mi fa schifo! Come minchia pensi che la gente mi prenda sul serio se vado in giro a dire “Sono Angelo, Cavaliere di Athena”!”
“È un nome rassicurante.”
“Staminchia! Deve far paura, altro che rassicurare!”
E prima che Shura potesse rispondergli, DeathMask si voltò di nuovo verso Lennart.
“E tu come ti chiami?” domandò brusco.
“Lennart”
“Lennart..? Fa schifo anche il tuo nome.” decretò, dopo nemmeno un attimo di riflessione.
Pisces aggrottò le sopracciglia: e dire che il suo nome non era poi così malaccio.
“Lennart di Pisces. No, proprio non va. Dobbiamo trovarti un soprannome che faccia la sua figura.”
Le sopracciglia del bambino si aggrottarono sempre di più. Ma prima che potesse rispondere per le rime a quell'esaltato di Death ask, Shura gli posò una mano sulla spalla.
“Lascia perdere. Ormai non lo puoi più dissuadere. Non avrà pace finché non ti avrà trovato un soprannome che gli piace.”
“Ha fatto così anche con te?”
“Sì.”
“Come ti chiamavi prima?”
“Luis.”
“Fa schifo anche Luis. Luis di Capricorn. Non farebbe paura nemmeno ad un poppante.” berciò DeathMask, mentre Shura sospirava rassegnato.

Lennart si permise di sorridere.
Era la prima volta che aveva a che fare con dei ragazzi come lui.
E anche se trovava quel DeathMask insopportabilmente rumoroso e Shura fin troppo calmo a confronto, non avrebbe avuto dubbi in futuro a dire che quelli erano stati i suoi migliori amici da sempre.



*°*°*°*°*


Gli ci erano voluti molti, molti mesi, ma alla fine era diventato capace di non risentire più degli effetti nocivi provocati dal profumo delle rose. Certo, aveva ancora qualche problemino quando si pungeva con le spine, ma il più era ormai fatto.
Era stato un allenamento lungo e difficile, esporsi continuamente la veleno, rischiare ogni volta di addormentarsi e non svegliarsi più. Ma la sua determinazione, e la sua profonda capacità di resistenza, erano state la sua carta vincente. E l'aiuto dei suoi amici era stato altrettanto fondamentale.
Lennart non usciva quasi mai di casa, e non si andava mai ad allenare nell'arena. Faceva troppo caldo per i suoi gusti, e oltretutto quel tipo di allenamento non faceva per lui.
DeathMask l'aveva preso in giro per questa sua apparente mancanza di spirito combattivo e per la sua passione per il giardinaggio, anche se si era dovuto ricredere quando lui e Shura l'avevano trovato mezzo morto, febbricitante e in preda al delirio, per essersi bevuto un decotto fatto con le rose rosse. Roba da pazzi suicidi, come avrebbe poi commentato DeathMask. Ma questo gli fece capire quanto quel ragazzino rachitico fosse determinato e sicuro di sé. Da quel giorno non lo prese più in giro per le sue rose.
Anche se si trovò costretto ad andare a trovare Lennart più spesso di quanto non avesse pensato: il fatto che quello scriteriato passasse metà del suo tempo libero a cercare di avvelenarsi – in maniere poi sempre più complicate con il passare degli anni – rendeva quanto mai necessario che qualcuno lo tenesse d'occhio, per evitare che crepasse senza dire niente a nessuno. E visto che lui era più grande, sentiva che quella responsabilità era sua. Ormai, se non era ad allenarsi, DeathMask era alla Dodicesima casa, ad accudire Lennart e i suoi postumi da avvelenamento. Aveva perso il conto di quante volte aveva dovuto metterlo a letto, e preparargli qualche cosa da mangiare perché non deperisse troppo, visto che già era magro da far spavento.

“Mangia!” gli intimò, una di quelle volte appunto, allungandogli il cucchiaio con la minestra.
Lennart mugugnò qualche cosa di indistinto, e a fatica si girò dall'altro lato. Aveva sonno, non fame.
DeathMask sbuffò irritato. Poggiò il piatto sul mobiletto di fianco il letto, e prese per le spalle il ragazzo, girandolo e mettendolo seduto.
“Non fare i capricci e mangia.”
“Ho sonno!” protestò debolmente l'altro.
“Non rompere e mangia qualche cosa o morirai.”
“Io non muoio..!”
DeathMask scoppiò a ridere, mentre riprendeva in mano il piatto.
“Questa è buona! Se non fosse per me saresti morto già da un pezzo.”
“...nonèvveroh...” biascicò Lennart, mentre cercava di stare sveglio. Il veleno lo aveva rimbambito proprio a dovere questa volta. Non riusciva nemmeno a tenere in mano il cucchiaio da solo. Fosse stato un po' più lucido si sarebbe preso a calci da solo per la figura ignobile che stava facendo in quel momento. Imboccato da DeathMask!
Ma fortunatamente era abbastanza intontito da non notare che Cancer si stava divertendo – e non poco – a trattarlo come un bambino.
“Forza, apri la bocca! Aaaahm! Manda giù tutto!”
Lennart ubbidì docile.
DeathMask era quasi intenerito.
Quasi.
“Sei davvero un caso disperato. Possibile che tu ti debba ridurre in questo stato tutte le volte?”
La minestra era finita, e DeathMask non poté esimersi dal fargli la ramanzina. Lennart sbuffò: con la pancia piena si sentiva un po' meglio, addirittura più lucido.
“È l'unico modo.”
“Staminchia! Trovane uno meno rischioso. Non posso stare a farti da balia tutto il tempo.”
“Grazie.”
DeathMask fece un cenno infastidito con la mano, come per dirgli di lasciare perdere. Ormai si era affezionato a quel disgraziato, e non l'avrebbe certo lasciato crepare in quel modo. Anche se era suo dovere fare la scenata, di tanto in tanto. Giusto per ricordargli che gli stava facendo un enorme favore.
“Piuttosto, che ne dici di Polinice?” erano passati mesi, ma ancora non demordeva dal suo intento di trovargli un soprannome decente.
Lennart però arricciò il naso.
“Non se ne parla, porta male.”
“Fai troppo il difficile tu. Sto esaurendo le idee!”
“Perché non la smetti di arrovellarti e mi lasci in pace con il mio nome?”
“Giammai. Ho detto che ti troverò un nome da battaglia figo, e stai certo che lo farò! Piuttosto, è da un po' che volevo dirtelo. Va bene che ti faccio da balia ma non pensare nemmeno che mi occupi anche della tua persona.”
“Eh?” domandò confusamente Lennart.
“Quel cespuglio che hai in testa.” e indicò i capelli di Lennart. In effetti sembravano un cespuglio incolto da tanto erano arricciati e scomposti. “Forse è il caso che vai da Shura e ti ci fai dare un taglio.” DeathMask ridacchiò per la sua battuta.

Lennart invece si passò una mano tra i capelli, e le dita rimasero impigliate nei nodi. In effetti non aveva mai dato troppa importanza al suo aspetto. Non ci era abituato. Durante l'addestramento l'importante era stato sopravvivere, e l'aspetto esteriore era davvero l'ultimo dei suoi problemi. Se si ricordava ogni tanto di tagliarsi i capelli era solo perché quando diventavano troppo lunghi diventavano scomodi per combattere, e inoltre avevano il brutto vizio di annodarsi a causa del vento. E sciogliere quei nodi era praticamente impossibile.
Da quando era al Santuario, però, non si era più tagliato i capelli. Li aveva lasciati crescere senza preoccuparsene, visto che non gli creavano più problemi come un tempo.

“Sul serio” riprese DeathMask “Sembri... non so nemmeno bene a che cosa paragonarti. Sistemali che è meglio.”
“Come li dovrei sistemare?”
“Pettinarli per prima cosa aiuterebbe.”
“Non ho un pettine.”
“Come? E come ti sistemi di solito?”
“...”
“E dire che con quel bel faccino e le tue cavolo di rose uno si aspetterebbe una persona ben più curata.”
“Non penso che in battaglia sia importante se il tuo avversario è pettinato o meno.”
DeathMask gli tirò uno scappellotto.
“Ahia! Che cavolo fai?!”
“Si vede che tu non ne sai niente di battaglie. È come la storia del nome, ciuriddu.”
“Non mi chiamare così!”
“Finché non ti trovo il nome ti chiamo così.”
“No.”
“Che stavo dicendo? Ah sì. Pensi davvero che l'aspetto non conti nulla in battaglia? La prima impressione è quella che conta. Pensa anche solo alle armature. Il tuo avversario magari si fa quattro risate se ha di fronte un bronze Saint... ma se gli piazzi davanti uno con una gold cloth, vedi che quella mezza sega se la fila a gambe levate!”
“Quindi è per spaventare i tuoi avversari che hai sempre quelle occhiaie paurose?”
“Ovvio, per spaventare... eh?! Occhiaie a chi?!” sbottò indispettito DeathMask, quando si accorse del dispetto verbale di cui era appena stato vittima.
Provò a tirare un altro scappellotto a quella lingua velenosa, ma il ridacchiante ragazzino di fronte a lui si contorse nel letto peggio di un'anguilla e riuscì a sfuggire alla punizione.
“E quindi?” Lennart smise di ridere e riprese il discorso. DeathMask sembrava una persona poco seria e per nulla affidabile, ma gli aveva insegnato più lui in quei pochi mesi che il suo maestro in più di due anni.
“E quindi, sciocco, se ti presenti in battaglia con i capelli in quelli stato penseranno tutti che sei un cretino che non si sa nemmeno pettinare.”
“Non lo penseranno dopo che li avrò sconfitti.”
“Sì, potrai essere forte quanto vuoi, ma per il mondo sarai sempre quello con i capelli a cespuglio. Ehi, che ne dici di Cespuglio come nome? Cespuglio dei Pesci!”
“Non hai altra gente da infastidire?!”
“Nah.”
“Come sono fortunato.”
“Vero? Ahahah!”



*°*°*°*°*°*


Fu dal giorno dopo, quando DeathMask passò da lui con una fetta di torta e un pettine in regalo, che Lennart prese a curarsi davvero della sua persona.
All'inizio gli sembrava una cosa strana, e sciocca quasi quanto il doversi occupare di un giardino di fiori.
Ma le parole dell'amico continuavano a ronzargli in testa. Ci aveva riflettuto un bel po', ma alla fine non aveva potuto che trovarsi d'accordo con quanto aveva detto DeathMask.
La questione dell'aspetto era importante.

Lennart si mise di fronte all'unico specchio che aveva trovato in casa. Per la prima volta in tutta la sua vita si mise a studiare il suo corpo, la sua faccia, il suo aspetto in ogni singolo particolare.
Si corrucciò non poco nel rendersi conto che i rimproveri di Cancer riguardo la sua magrezza erano fondati. Aveva braccia inconcepibilmente esili, se confrontate con quelle dei suoi compagni. Ed era davvero magro da far spavento. Forse non avevano tutti i torti quando gli dicevano che non doveva starsene rintanato in casa tutto il tempo. Forse, soppesò il pensiero con cautela, forse sarebbe stato bene andare anche lui nell'arena, qualche volta.
Inoltre, DeathMask gli aveva detto che aveva un bel viso. In effetti il taglio degli occhi – grandi e luminosi, di un azzurro intenso -, i lineamenti dolci e le guance rotonde, gli conferivano un aspetto delicato.
Lennart si stupì quando si rese veramente conto che quella figura aggraziata che vedeva riflessa nello specchio era effettivamente la sua immagine. Se ne rammaricò sinceramente. L'immagine che fino a quel momento aveva avuto di se stesso era tutt'altra cosa. Ben più possente e virile. Molto più vicina a quella di Shura o di Saga. Non di certo così simile a quella delle ancelle che intravedeva ogni tanto affaccendate per i templi.

Lennart rimase a fissarsi nello specchio per lungo tempo.
Non sapeva bene che cosa farsene, di quell'immagine.
Non sembrava un guerriero.
Non lo sembrava proprio per niente.
Era solo un cosino magro e carino.
Un fiorellino pronto ad essere spazzato via al primo vento prepotente.
Ma Lennart aveva imparato sulla sua pelle che essere un fiore non voleva necessariamente dire essere debole. Lo sapeva bene lui, di non essere debole. Non lo era, e non lo erano nemmeno le sue rose.
Sorrise, anche se fu più un ghigno che un sorriso quello che gli si dipinse in viso.

Quelle rose, quelle delicate quanto fatali rose rosse non si sarebbero mai dette l'arma più adatta per un guerriero, ma il loro essere così inaspettatamente letali aveva sortito un effetto sorprendente su una persona come Lennart, che nella sua vita aveva imparato a considerare cose di valore solo quelle che possedevano una straordinaria forza e resistenza.
Il vento. Il mare. Il freddo. Il ghiaccio eterno. Tutte cose capaci di far tremare i polsi anche al più temerario degli uomini.
Le rose non erano spaventose.
Non incutevano timore.
A loro non veniva associato il concetto di morte.
Per questo Lennart aveva imparato ad amare dal profondo quelle rose letali. Perché loro avevano in più anche l'inganno. La sorpresa dell'inatteso.
Lennart non ebbe più dubbi. Erano armi perfette. Spietate.
Erano le sue armi.

Afferrò con decisione il pettine che DeathMask gli aveva regalato, e se lo passò tra i capelli più e più volte. Sciogliendo a forza tutti i nodi che incontrava.
Passò il pettine tra i capelli un'ultima volta. I morbidi ricci biondi gli caddero scompostamente sulla fronte, poggiandosi sulle spalle.
Lennart poteva rinforzare il suo corpo quanto voleva, ma sarebbe sempre apparso un essere carino e delicato. Tanto valeva allora diventare bello. Bello oltre ogni dire.
Doveva crearsi un'immagine di bellezza tale da abbagliare i suoi nemici. Confonderli con l'apparenza.
Sarebbe diventato lui stesso come una rosa. Bello, dal profumo ammaliante. Ma pronto a colpire con letali spine avvelenate.
Guardò ancora la propria immagine riflessa: i capelli dorati gli incorniciavano il bel viso come ad un'aggraziata fanciulla, una principessa delle fiabe. O una dea del mito.

Lennart inclinò la testa di lato, come a soppesare l'idea fulminea che gli aveva attraversato la mente.
Piegò le labbra in quel suo ghigno che voleva essere un sorriso. DeathMask probabilmente non avrebbe approvato. Ma se Cancer era testardo, Pisces lo era di più.
Aveva imparato a resistere al freddo, al tremendo gelo del nord.
Aveva imparato a resistere alle rose, al veleno mortifero più letale la mondo.
Non si sarebbe certo piegato alle proteste di DeathMask.

Bisbigliò piano il suo nuovo nome.
Lo soffiò fuori dalle labbra lentamente, per vedere che effetto faceva.
Lasciò che fluttuasse nell'aria e prima che svanisse lo ripeté.
Suonava bene.
Lo ripeté una terza volta, guardandosi allo specchio.
Il volto angelico nel riflesso sembrava essere stato creato per quel nome.



*°*°*°*°*


Quando Pisces aveva detto loro di aver finalmente trovato il suo nome di battaglia, DeathMask gli aveva tirato una forte pacca sulla schiena. Shura si era complimentato in maniera più educata e compita.
Ma quando venne il momento di rivelare il tanto agognato nome, Lennart non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere nel vedere le facce sconvolte dei suoi due amici.
Shura aveva gli occhi sgranati come non glieli aveva mai visti.
E per la prima volta da che lo conosceva, DeathMask si era ammutolito.
E poiché che il ragazzo non parlava, fu Shura a fare la prime rimostranze.
“Ma lo sai che è il nome di una divinità?”
“Di una divinità molto vendicativa.”
“Di una divinità donna!”

Pisces ascoltò con attenzione le argomentazioni di Shura, solo che non aveva smesso di sorridere, tranquillo.
E visto che il ragazzino non sembrava minimamente turbato, Capricorn fu costretto a voltarsi verso DeathMask, implorando con lo sguardo il suo supporto.
Cancer, dal canto suo, stava ancora fissando con attenzione il ragazzo più piccolo.
Stava ragionando febbrilmente.
In effetti non poteva dare nessun torto a Shura. Un nome da donna! Ma come gli era venuto in mente?!
Ma quando vide quello strano ragazzino sorridere al suo indirizzo – quel suo maledetto sorriso ghignante dipinto su quel visino di porcellana – non poté non capire come mai aveva scelto proprio quel nome.
Gli restituì il sorriso storto, tirandogli poi un'altra pacca affettuosa.

“E sia. Felice di fare la tua conoscenza, Aphrodite dei Pesci.”





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Angolo dell'Autrice:

Grazie per essere arrivati in fondo a questa fiction.
Come detto sopra, è un esperimento: non mi ero mai soffermata troppo sul personaggio Aphrodite, e devo dire che fino a prima di mettermi a scrivere questa storia gli avevo sempre affibbiato le caratteristiche stereotipate che il fandom gli ha affibbiato. Checca, isterico, che sta solo a farsi bello. E poi...le rose. XD
Beh, come potete vedere, ho cambiato radicalmente opinione su di lui.
Mi sono riletta con attenzione il manga, lo scontro tra lui e Shun (ci sarà una fic anche su quell'argomento! *O*) e mi sono accorta che è una persona molto più tranquilla e posata di quanto non sembri. E' quasi più isterico DM quando deve affrontare Shiryu! XD
Miei sproloqui a parte, partendo da questo episodio e raccattando qua e là le opinioni che altri scrittori avevano su 'Phro, ho cercato di creare un passato che spiegasse come mai è diventato il cavaliere che è.
A me sinceramente così piace. Piace un sacco.
E sono aperta a qualsiasi parere in merito! *O*


Passo ora alle precisazioni:

- Che Aphrodite, DeathMask e Shura, siano un soprannome penso che sia assodato. Per scegliere il nome di battesimo di Pisces ho invero usato un metodo parecchio sciocco. A quanto pare "Angelo" è il nome più quotato per DeathMask. E cercando per internet, ho scoperto che Angelo è il settimo nome più diffuso in Italia. Quindi, per 'Phro ho scelto il settimo nome più diffuso in Svezia. Idem per Shura. *O*
[EDIT] Mi è poi stato fatto giustamente notare che la scena in cui Cancer si lamenta dei veri nomi di 'Phro e Shura, è spaventosametne simile alla stessa scena che c'è nella fic di LeFleurDuMal Il Malefico Trio
. Ovviamente mi sono ispirata a quella fic per questo pezzo, ma non mi ero accorta di quanto io l'abba riscritta in maniera così spaventosamente simili. Chiedo scusa, ma quella scena era così perfetta che non ci ho pensato. Non mi linciate per questoH! ç0ç
E' un omaggio al genio di Fleur. *annuisce convinta*

- Il fatto di dover imparare a resistere al veleno delle rose era stato specificato da Albafica in Lost Canvas. Suppongo che anche per Aphrodite valesse la stessa questione.

- Non me lo sono inventato: basta vedere le schede dei personaggi per rendersi conto che 'Phro è davvero rachitico in confronto a tutti gli altri Golds! (Shaka escluso, ma lui è un caso patologico! XD)

- ...mmh, basta, credo di non avere più altre cose da spiegare! XD
Grazie per avermi sopportata fin qui. *sparge affetto a tutti*


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Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti leggeranno e basta.

Beat




   
 
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