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Autore: Mikayla    12/03/2010    5 recensioni
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In una Venezia del seicento un nobile si nasconde dietro ad una maschera e un ragazzo di strada sogna di volare in alto, dove nessuno potrà raggiungerlo.
Quanto vale un solo istante, prima che ti venga strappato con forza?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sposa, ignaro il velo spezzerà il dolce contatto.



“ Qua la moglie e là il marito,
ognuno va dove gli par;
ognun corre a qualche invito,
chi a giocare e chi a ballar. ”
(Carlo Goldoni)



Ino distese bene il cerone bianco sul volto abbronzato di Naruto, coprendo con particolare attenzione quello che restava dell’occhio nero. Era una vera fortuna che guarisse così in fretta.
«Non vuoi proprio dirmi chi ti manda quella lettera, vero?» tentò stancamente Ino ancora una volta. Quelle poche parole avevano cambiato completamente quel ragazzino rumoroso e sempre sorridente, rendendolo muto e distaccato.
Scrollò le spalle, offrendo il collo al trucco «Tanto non potrò vederlo» asserì atono.
Era arrabbiato, per quanto composto. Stava per avverare il suo sogno, esibirsi nel volo dell’Angelo, eppure stringeva i pugni con violenza ai fianchi.
Perché, perché, perché quella Bauta bastarda doveva dargli appuntamento proprio durante la propria esibizione?
«Significa che non voleva vi vedessero insieme» risolse il suo dubbio la ragazza, quasi leggendo nella sua mente. In verità il volto del ragazzo era talmente trasparente che anche coperto dal trucco lasciava trapelare il suo pensiero. «È meglio così, e in ogni caso ripartiremmo il mercoledì delle ceneri, e nulla sarebbe cambiato.»
Gli posò una mano tra i capelli, cercando di rassicurarlo con la sua presenza. «Pensa al tuo volo, Naruto. Pensa solo a questo.»
Il ragazzo annuì leggermente, alzandosi in piedi. Di solito si sentiva volare solo al pensiero di poter salire sulla fune, ora, però, era pesante come un macigno. Come poteva quel ragazzo conosciuto solo per qualche minuto avere un simile potere su di lui?
«Sono pronto a volare.»


Il clamore euforico della folla gli procurò feroci fitte alla testa, portandolo a sedersi un poco in disparte. Sulla banconata del Palazzo Ducale, a pochi metri dal Doge, non si sentiva per nulla onorato d’essere stato lì invitato.
Era stato Itachi a costringerlo ad andare, certamente per ripicca al suo comportamento con Sakura. Aveva provato in ogni modo a farsi esonerare da quella buffonata, ma a nulla erano valse le protesta.
Era giovedì grasso e attendeva di assistere al volo dell’Angelo, mentre con la mente pensava solo ai giardini poco più in là, dove aveva mandato quell’Arlecchino idiota. Forse, sbrigandosi, sarebbe potuto arrivare prima che l’idiota se ne fosse andato… ma non l’avrebbe fatto: non aveva motivo di farlo.
«Sasuke?»
Il ragazzo voltò il capo verso Karin, guardandola dal basso all’alto. «Ti senti bene?» Ultimamente la ragazza non faceva altro che chiederglielo. E lui la ignorava.
Puntò lo sguardo sulla barca ancorata al molo della piazzetta da dove partiva la lunga e semi-invisibile corda. Forse l’idiota aveva preferito guardare lo spettacolo del suo collega piuttosto che incontrare lui; forse aveva fatto bene a non presentarsi all’appuntamento.
Poco dopo l’esibizione cominciò: il funambolo salì sulla corda, aiutato solo da un bilancere, e avanzò elevandosi sopra la folla urlante. Doveva arrivare fino alla cella campanaria del campanile di San Marco, al ritorno si sarebbe fermato alla banconata del Palazzo Ducale omaggiando il Doge. La difficoltà stava nel vento, e nel coraggio di camminare a novanta metri dal terreno.
Annoiato Sasuke volse lo sguardo altrove, incrociando per un momento l’espressione preoccupata di Sakura. La cognata non aveva mai dimostrato di temere qualcosa, eppure provava evidente timore per il funambolo. Ipotizzò che l’avesse conosciuto due sere prima, quando era andata a spasso per la città con Naruto, e decise di vedere con i propri occhi quale tipo di persone il ragazzo frequentava.
Non lo distingueva bene, ma di certo aveva la pelle molto chiara, quasi bianca, e capelli biondi. Atletico come ogni artista che si rispetti. Non gli forniva alcuna informazione utile.
Secondo l’impazienza di Sasuke, il funambolo c’impiegò delle ore per raggiungere la cella campanaria in uno scoppio di ovazioni, e ancora di più, se possibile, nell’arrivare alla banconata.
Lo osservò appena porgere i propri omaggi al Doge, impegnato a spiare la cognata: Sakura sembrava incapace di trattenersi a sedere, gli occhi rivolti in continuazione al funambolo. Itachi, da parte sua, non sembrava infastidito della cosa.
Fu con sua grande sorpresa che li vide alzarsi e andare incontro al funambolo quando questi fu congedato dal Doge. S’avvicinò per pura curiosità, ignorando Karin alle spalle che gli domandava con insistenza dove stesse andando.
«Sei stato bravissimo!» si complimentò Sakura, prendendo fra le mani quelle del funambolo. Itachi annuì il suo consenso, parco di parole come il suo solito.
Sasuke ghignò appena, sopraggiungendo alle spalle del funambolo «Non che sia necessaria particolare maestria per poter camminare su una corda, sorella cara.»
Il funambolo scattò di lato, sfoderando uno sguardo di sfida «Perché, tu ne saresti capace, pallone gonfiato che non sei altro?» domandò incontrando lo sguardo del nuovo arrivato per la prima volta.
Si riconobbero.
Si erano visti per pochi istanti, Naruto e Sasuke, ma si riconobbero immediatamente.
Il funambolo boccheggiò appena, facendo per alzare la mano e puntare il dito contro Sasuke, ma il nobile fu più veloce «Idiota, sono un nobile, non ho bisogno di fare gesti ecclatanti per affermarmi.»
La gola secca per l’emozione di riavere davanti a sé la Bauta fu superata da quell’ostentazione di puro egocentrismo, tanto da permettergli non solo di parlare, ma di parlare a sproposito «Sakura, ci tieni tanto al tuo fratellino qui? Perché potrei massacrarlo solo un pochino, se ci tieni ad averlo ancora vivo.»
Itachi rise, nascondendo le labbra incurvate dietro la mano. «Se tu riuscissi a renderlo più socievole te ne sarei grato, mio fratello ha un pessimo carattere.»
«Itachi, non t’immischiare» si trovò quasi a ringhiare Sasuke, concentrandosi sul ragazzo davanti a sé. «Se davvero pensi di potermi battere, idiota, provaci.»
Naruto caricò il pugno all’istante, pronto a gettarsi sul bastardo, utilizzando il nobile faccino come bersaglio. Non aveva però fatto i conti con le guardie del Doge, intervenute immediatamente, le quali, presolo sotto le ascelle, lo trascinarono via.


«Sei davvero un idiota, Arlecchino» quell’insulto aveva un tono ironico, quasi sereno. Piombò su Naruto dall’alto, e fu con estrema fatica che il ragazzo alzò lo sguardo per vedere sopra di sé l’altezzoso Sasuke.
Incassò il collo nelle spalle e borbottò.
«Non sei neppure più capace di parlare?» lo prese in giro il nobile.
Naruto gli rivolse un ringhio «So parlare benissimo, solo non ho niente da dire a te» rispose piccato.
Quello a cui stava pensando erano i rimproveri che Tsunade gli avrebbe scionirnato una volta tornato. Se per la serata con Sakura l’aveva rinchiuso per l’intera giornata successiva, per essere stato arrestato l’avrebbe probabilmente ucciso.
«Alzati, avanti. Ho parlato con il Doge» lo informò tranquillo, senza fare alcun gesto per aiutarlo.
Naruto tardò ad alzarsi per qualche secondo, solo per dare fastidio a Sasuke, poi balzò in piedi dopo una capriola che lo liberò dalle corde che averebbero dovuto legarlo.
Le labbra di Sasuke si stirarono in un leggero sorriso, che sarebbe potuto essere una risata «Stupido e onesto; è vero che vanno sempre a braccietto.»
Una smorfia comparve sul volto di Naruto «Bastardo e borioso, anche questi si fanno compagnia volentieri» ribatté veloce.
«Dovresti stare attento a come parli: se non fosse per me saresti rimasto qui.»
Naruto imitò un inchino malfatto «Allora ho un debito con te, è questo il punto?» chiese con tono piccato «Cosa vuoi faccia per ripagarlo?»
Un ghigno leggero comparve sul nobile viso, tanto che Naruto si pentì d’aver fatto l’insolente; eppure Tsunade gli aveva sempre detto che non doveva giocare con il fuoco!
«Mi terrai compagnia finché vorrò» ordinò senza ammissione di replica. Attese un istante e continuò «Manderò qualcuno ad avvertire tua madre, ehm… Tsunade.»
Naruto scoppiò a ridere, allentando la tensione. Si sfregò gli occhi con le mani, togliendosi parte del trucco che ancora aveva sul viso.
«Che hai da ridere?»
«Tsunade non è mia madre. I miei sono morti poco dopo che nascessi; la vecchia forse è mia parente alla lontana, non so, mi ha preso che avevo tre anni, poi è diventata la mia datrice di lavoro» spiegò brevemente, alleggerendo forzatamente il tono.
Sasuke non mancò di notare il velo di tristezza che annebbiò il viso del ragazzo per qualche istante. Naruto era solo, e forse era per quel motivo che era ossessionato da lui: vedeva qualcosa di sé dietro la maschera sorridente che il ragazzo portava.
Lo tirò verso la porta con un gesto brusco, facendolo quasi caracollare su di sé, ottenendo il suo orecchio a portata di bocca «A Carnevale tutti quanti si mascherano; per alcuni è un’ottima scusa per calare quella che si porta per tutto il resto dell’anno» gli sussurrò all’orecchio, lentamente, solleticandolo appena con le labbra morbide e sottili.
Naruto spalancò gli occhi chiari, voltandosi di scatto verso il ragazzo al suo fianco. Si trovarono labbra contro labbra, in un gesto sorpreso e nuovo. Potevano vedere sé stessi negli occhi dell’altro, riflettendo il proprio stupore come l’altro lo vedeva.
La magia dell’attimo fu spezzata dal rumore fuori dalla porta, portandoli entrambi a oltrepassare la soglia. Le guardie impettite facevano strada a Itachi e consorte, diretti con passo spedito alla cella.
«Oh, Naruto! Sono felice non ti sia successo nulla!» esclamò sollevata Sakura, raggiungendolo di corsa e prendendo le sue mani tra le proprie. Da sopra la sua spalla Itachi fissava lungamente il fratello, cercando di carpire la sua espressione leggermente alterata.
Posò gentilmente una mano sulla spalla della moglie e sorrise affabile ai due ragazzi «Temeva che lo scontro fosse continuato nella cella» ironizzò pacato, scoccando un’occhiata a Sasuke «In particolare temeva per la tua incolumità, fratellino.»
Sasuke rimase perfettamente indifferente, ma la mano nascosta dietro la sua schiena si era stretta a pugno, conficcando le unghie nella pelle.
Naruto ridacchiò, lasciando andare le mani di Sakura. Non dovette voltarsi per immaginare l’espressione di Sasuke. «Non c’era bisogno di preoccuparsi, me la cavo da solo da una vita!» sdrammatizzò velocemente, dimenticandosi che la cosa non faceva ridere.
Un silenzio denso come l’olio colò tra di loro, rallentando non solo i movimenti ma perfino i pensieri.
Sasuke li superò tutti e tre, voltando loro le spalle «Andiamo, idiota, la libera uscita è finita, si torna a casa» richiamò Naruto come un padrone con il proprio cane.
Naruto ringhiò in risposta, ma dopo una capriola e un filc si trovò oltre la coppia, subito dietro il nobile sbruffone. Alzò la mano in segno di saluto, voltandosi appena indietro.


Quando uscirono in strada era già sceso il buio, complici gli alti edifici. Piazza San Marco era gremita e ci si faceva strada a fatica.
Sasuke non era mascherato e chiunque lo riconoscese come erede degli Uchiha si prostrava in una riverenza di circostanze, cercando di trattenerlo in futili chiacchiere.
Naruto, il trucco sciolto sul viso, lo osservava da lontano, nonostante fosse al suo fianco e potesse toccarlo solo alzando il braccio. Era vicinissimo, eppure sembrava così distante.
Svoltarono appena possibile in una calle vuota, trovandosi finalmente protetti dall’ipocrisia, nel crepuscolo di edifici alti e calli strette.
«Non sono l’unico a portare una maschera, noto» constatò neutro Naruto. Non era un commento acido o una ripicca per quanto detto in cella, ma una semplice constatazione.
«Sono il cognome che porto» rispose Sasuke con lo stesso tono atono.
Si squadrarono con occhio attento, pronti a cogliere qualsiasi segnale mandato dall’altro, qualunque esso fosse e qualunque cosa significasse.
Sasuke si avvicinò con passo leggero; era più alto di dieci centimenti abbondanti, ma la differenza d’età di tre anni gli preannunciava che quei centimetri si sarebbero presto ridotti a un soffio.
Allungò la mano verso il viso del funambolo. Con il dito levò con attenzione il cerone lentamente, seguendo con gli occhi quello che faceva; all’indice poi si aggiunse il medio e seguirono le altre tre dita, stendendosi poi ad accogliere la guancia sul palmo.
D’istinto Naruto chiuse gli occhi, godendosi quel contatto forte e presente. Sasuke gli stava gridando in silenzio che lui era lì, che per quanto solo fosse stato lui lo poteva capire e sapeva come alleviare quel dolore - perché una vera cura non esisteva, né mai sarebbe esistita.
Il nobile si chinò sul viso di Naruto quando questi lo alzò di poco. Le loro labbra s’incontararono a mezza via, facendo avvicinare i loro corpi; l’uno alla ricerca dell’altro. Scivolarono contro il muro, come se questo potesse da solo sorreggere il loro bisogno di annegare nell’altro, di non essere più ognuno nel proprio corpo ma due in uno solo; perché solo insieme, forse, avrebbero potuto alleviare quella latenza che entrambi provavano, come un buco che li privava della vita.
Si soffiarono sulle labbra, gli occhi ancora socchiusi per assaporare le sensazioni che avevano provato. Naruto si sporse in avanti, cercando nuovamente quelle labbra, imitando un morso giocoso. I denti cozzarono leggermente mentre quel bacio si approfondiva, facendo loro tremare le ginocchia, privandoli del respiro.
Era qualcosa di giusto; l’unico modo per riempire quel vuoto in mezzo al petto, colmando quel baratro che non sapevano d’avere o, perlomeno, gettare una passerella su di esso permettendo di attraversarlo.
Per Sasuke era stata la Bauta, la possibilità di non essere solo un cognome; per Naruto era la Colomba, il poter volare liberamente. E poi, insieme, scoprire che era l’altro che cercavano: era Sasuke la Colomba rinchiusa in una gabbia di nomi altisonati, ed era Naruto la Bauta che non mostrava mai il pianto sotto la maschera.


Quel sabato, una manciata di minuti prima dell’ora di pranzo, Sakura bussò allo studio di Itachi. Non andava mai a disturbarlo lì, non perché l’accesso le fosse interdetto, ma perché la ragazza sapeva che il marito aveva bisogno di un posto tutto per sé.
Ugualmente però, quella volta, bussò alla sua porta.
Con leggera trepidazione abbassò la maniglia e si apprestò a entrare, la mano leggermente tremula.
I coniugi si guardarono negli occhi, spiandosi. Itachi aveva delle leggere occhiaie, segno evidente che qualcosa lo preoccupava; Sakura aveva il viso più pallido del normale e gli occhi leggermente dilatati.
«Sakura?»
Un leggiadro inchino e il capo abbassato la fecero tornare in sé, tanto che si pentì d’essere entrata nello studio. Si umettò le labbra e deglutì «Scusatemi, mio signore, non volevo disturbarvi...»
Quand’era nervosa Sakura aveva quella buffa abitudine di distanziare i toni, in alternativa a prendere a pugni qualunque cosa passasse sotto le proprie lunghe e affusolate - maledettamente forti - mani.
Itachi posò la penna e incrociò le dita sotto il viso, osservando attentamente la moglie. Riscuoterla con le parole sarebbe stato inutile, lo sapeva. Pazientemente attese che il porporio delle guancie sparisse e la lingua umettasse le labbra almeno quattro volte.
Schiarendosi la voce Sakura si decise a rivelare quale motivo l’aveva condotta nello studio: «Ero al mercato con Iruka, questa mattina. Lungo la strada ho incontrato Shikamaru, lì per qualche commissione affibiatagli da Ino, che mi ha chiesto di salutare Naruto; è andato via, però, prima che potessi dirgli che non lo vedevo da giovedì. Mi sono chiesta perché lo domandasse a me, dato che era tornato a casa dopo il disguido con il Doge...» la sua voce si affievolì, perdendosi nei suoi ragionamenti.
Itachi aveva una vaga idea di cosa potesse turbarla a quel modo, ma la lasciò proseguire: a lui spettava l’ingrato compito di trovare una soluzione.
Sakura piantò gli occhi verdi in quelli neri del consorte e sospirò «Prima di tornare a casa, poi, ho trovato Karin. Sembrava molto allegra, parlava di qualcosa di bello accadutale in questi giorni ma che doveva restare un segreto; era di corsa, però, e non mi ha detto di cosa si trattava, rinviandolo a domani per il tè» si fermò. Umettò nuovamente le labbra, esitando «Ho… ho pensato che… Non vedavamo Sasuke da due giorni, infondo, e lei era tanto felice… Non ci ho riflettuto molto quando sono entrata nelle sue stanze per chiedergli se finalmente pranzava con noi, oggi. Era buio e ho acceso la luce» le sue guance s’imporporarono di pudore.
Non era particolarmente difficile capire cosa stesse per dire. Questa volta Itachi le venne in aiuto «Era con Naruto» terminò la frase in sospeso con tono neutro.
Immaginò limpidamente Sakura balbettare qualche scusa rivolta ai due per poi uscire di corsa, incapace di capire davvero quello che aveva visto; si era diretta da lui immediatamente, quindi, e aveva messo tutti i tasselli al loro posto proprio lì, con lui.
Sakura annuì imbarazzata, abbassando gli occhi.
Li rialzò ben presto, però, portandosi le mani al petto «Itachi! Te ne prego, non puoi fare qualcosa? Mi sono sembrati così sereni… e sono sicura di non aver più visto Sasuke rilassato dalla morte dei vostri genitori...» fece un tentativo accorato.
Itachi si alzò dalla sedia con calma, aggirò la scrivania altrettanto tranquillo, raggiungendo la propria consorte. Si piegò su lei, baciandole la fronte «Vado a parlare con Sasuke» le disse prima di sorpassarla e uscire dalla stanza.


Quando i due fratelli Uchiha parlavano si riusciva perfettamente a sentire il ronzio delle mosche.
Le persone normalmente urlano, si minacciano, s’insultano, dicono cose che non pensano; riversano in quelle discussioni il rancore più profondo per esorcizzarlo da dentro sé. Alla fine poi le acque si calmano e scende il perdono.
I fratelli Uchiha, al contrario, parlavano poco e con un tono di voce tale che faticavano a sentirsi loro stessi; più erano arrabbiati, più la voce si assottigliava e diventava un bisbiglio. Ogni singola parola era calibrata, frasi intere dette con gli occhi o la forza di poche parole.
Quando alla fine cala il silenzio non c’è alcun perdono; c’è un accordo, o almeno qualcosa che può vagamente assomigliare ad un compromesso.
Fino ad allora, ha sempre vinto Itachi. Non solo perché più grande, ma per il suo genio; Sasuke per quanto intelligente non sarà mai in grado d’imparare quello che per il fratello maggiore è un dono naturale.
Sakura si torce le mani, seduta nel proprio salottino. Spera che tutto possa risolversi nel migliore dei modi e si preoccupa. Ha sempre provato affetto per il cognato, s’in da quando, bambini, giocavano assieme. E per quanto poco lo conosca, ha trovato in Naruto una persona a suo dire meravigliosa.
Egoisticamente non vuole perderli; più altruisticamente li vuole felici. Sa che non lo saranno mai per davvero, ma per quanto effimera sia desidera solo che la felicità sia concessa anche a quei due.
Itachi la raggiunge, si guardano negli occhi e Sakura capisce. Capisce che tutto ciò che è bello, è destinato a finire; perfino quando è appena sbocciato.
«Lunedì Sasuke e Karin si sposeranno» annuncia.
Un macigno si annida sul petto della ragazza mentre annuisce: se solo lei non avesse parlato, forse, tutto quello non sarebbe successo. Almeno non subito; avrebbero avuto la quaresima prima della fine.
Quaranta giorni sono meglio di due.
«Naruto?»
Itachi avanza nella stanza e si accuccia davanti a lei. È dolce, con Sakura, lo è sempre stato. Le accarezza la guancia e lo sguardo greve si addolcisce di quel poco da farla sperare.
«Il suo circo parte per Padova mercoledì; poi lo aspettano Milano, Bologna, Firenze… tornerà a Venezia il prossimo Carnevale.»
Non è consolante, ma sicuramente sarà distratto da quelle sue acrobazie: quando tornerà sarà ancora più bravo, e forse farà nuovamente il volo dell’Angelo.
Sakura cinge con le braccia il collo del marito e preme la fronte nell’incavo della spalla. Non piange, ma vorrebbe tanto farlo.
«Non c’era altra soluzione» risponde Itachi alla domanda non espressa. Ne è consapevole, non c’era altra soluzione per quanto avesse desiderato che vi fosse.
Non tutte le cose finiscono per forza bene.


Le campane suonano, quel lunedì, suonano a festa. Ma è già festa, e nessuno s'accorge che bisognerebbe festeggiare un po' di più.
Una sposa felice trattiene il velo bianco che porta tra i capelli mentre scende la scalinata al braccio dello sposo.
Ci sono gli invitati, in piazza, e anche le maschere del Carnevale. La sposa né è felice: sembra che festeggino tutti lei.
«Oh, che bell'idea il travestirsi da sposi!» esclama rivolta a loro una Bauta. La maschera s'inchina e Karin la imita.
«Buongiorno siora maschera» saluta, senza riuscire a trattenere una risata «non siamo travestiti, ci siamo sposati oggi!» corregge lo sconosciuto raggiante.
Lo sposo, al suo fianco, fissa intensamente la maschera, quasi a voler penetrare sotto il volto bianco e perfetto. E viene ricambiato, forse con la medesima intensità.
Karin però non lo nota: si volta di scatto ad ammirare le colombe rilasciate nel cielo e involontariamente il proprio velo si frappone tra i due, sollevato dalla leggera brezza e il movimento.
Quando torna a voltarsi la Bauta è sparita e Sasuke fissa gelidamente il vuoto davanti a sé.
«Sasuke...?»
Meccanicamente le porge la mano, aiutandola a camminare «Ci aspettano» le dice solo, proseguendo verso il ponte.





Solite note della squinternata che scrive:
Non ho, come al solito, molto da dire. Chiedo venia per il ritardo accumulato a causa di un esame dato oggi; inoltre mi scuso per com'e' finita la storia.
In quanto a questo ho solo una scusate: per l'ambietazione e il mio desiderio realismo (escludendo dunque i nomi, che non potevo cambiare) non poteva finire altrimenti.
Ah, per conferma: la Bauta alla fine e' Naruto; e Sasuke l'ha capito fin troppo bene.

Alla prossima ^^

Risposte:
rayanforever: Sono contenta che tu abbia apprezzato, mi rende davvero felice! La pergamena, anche se non c'e' scritto, l'ha fatta leggere a Shikamaru -e' l'unico che, pur sapendone il contenuto, non lo avrebbe sommerso di domande piu' o meno indiscrete XD. Per quanto riguarda Sakura no, non e' davvero la sorella. E' un "modo di dire" della nobilta' all'epoca, quando l'eta' delle persone era vicina piuttosto che chiamarsi cognati si davano dei fratelli (quindi acquisiti). Ah, se ti domandi perche' abbia specificato vicini d'eta' e' perche' un tempo non dava poi tanto scalpore che si sposassero persone con differenza d'eta' di anche vent'anni! Ciao ciao! =)
YUKO CHAN: Nonostante il commento "striminzito" mi e' arrivato il messaggio sostanziale =) Sono davvero contenta che ti sia piaciuto, e spero di non deluderti con quest'ultimo capitolo!
   
 
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